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Autore: rainandteardrops    04/06/2012    14 recensioni
Era a pochi centimetri da me. E non ero immobile perché ero troppo impegnata a contarli; ero immobile perché i suoi occhi mi avevano paralizzata.
Avevo i muscoli atrofizzati. L'unico ancora in vita era il mio cuore, ma se si fosse avvicinato ancora non avrei più sentito i suoi battiti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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puzzle.


La certezza della fine di un'altra giornata mi assalì appena riaprii gli occhi, e l'ansia che mi attanagliò lo stomaco mi rese consapevole dell'inesorabile scorrere del tempo. 
Avevo le dita della mano destra intrappolate nella sua mano enorme e calda, e il mio viso era talmente vicino al suo, e il silenzio così forte che riuscivo a sentire chiaramente il suo respiro e i movimenti lenti del suo petto. 
Le sue labbra erano di un rosa opaco, e i capelli troppo lunghi gli ricadevano su una parte del viso, coprendogli un occhio. Sebbene dormisse, la sua presa era ben salda. 
«Buongiorno», sussurrai, anche se in quel momento sembrava ancora nel mondo dei sogni. Guardarlo e rendersi conto che era davvero mio era devastante. Una bella sensazione, che poteva regalarti di negativo solo il batticuore, ma devastante.
Era come se tutto fosse realmente possibile. Nessun limite esisteva per il momento, nessun gran numero di chilometri a separarci. Eravamo sotto lo stesso cielo, nella stessa stanza, vicini più che mai.
La mia mano cominciò a tremare nella sua, appena pensai che tra soli quattro giorni non avrei più visto il suo volto così poco distante dal mio, non avrei più visto i suoi occhi luccicare, o il suo sorriso capace di creare un varco dentro di me, capace di risucchiare qualsiasi cattiva sensazione.
Lo sentii prendere un respiro profondo, poi riaprì lentamente gli occhi indirizzandomi uno sguardo verde smeraldo.
«Ehi, buongiorno», disse con la voce impastata e rauca, piegando gli angoli della labbra all'insù e facendomi sentire la persona più fortunata dell'universo. Gli spostai il ciuffo ribelle dal viso. 
«Dormito bene?», gli chiesi. Lui per tutta risposta fece scivolare la mano sotto le lenzuola fino a poggiarla sul mio fianco. Mi tirò a sé, ed io mi avvicinai volentieri.
Sentivo il suo respiro caldo sul mio viso, i nostri nasi si sfioravano. «Ti ho sognata, sai?».
Sorrisi a pochi centimetri dalle sue labbra. «Ero più bella di come sono nella realtà?», chiesi a bassa voce, sicura che potesse sentirmi.
«Scherzi?», avvicinò la bocca alla mia. «Sei sempre bellissima». Sentirlo da lui, con quella voce sincera e calda era la cosa più bella che potesse accadermi. Chiusi gli occhi e restituii il bacio, mentre le farfalle svolazzavano allegre nel mio stomaco. La mia mente mi restituì un replay lentissimo dell'ultima frase, che mi rimbombò in testa per un paio di volte. E mi sentii all'altezza.
Mi accoccolai tra le sue braccia, godendomi quel calduccio così familiare e accogliente, sebbene fossimo in piena estate. Mi sentivo protetta, mentre le sue mani si intrecciavano dietro la mia schiena. 
Sentivo il buon profumo che emanava la sua pelle morbida. 
«Resterei così per sempre», mormorò lui. Allungai il collo per baciargli delicatamente la spalla.  «Prometti che sarà sempre così?»
Mi ammutolii all'istante e sentii come un pugno allo stomaco. Probabilmente Harry sentì il mio corpo irrigidirsi. «Non te ne andrai, vero?», chiese, con un tono che mescolava la speranza con l'angoscia. 
Fui assalita dalla nausea. 
«Non puoi andartene», continuò, come in un monologo. «Penseremo ad una soluzione, giusto?»
Non osavo fiatare, sia perchè avevo la salivazione azzerata, e sia perchè nelle mie parole non avrebbe trovato conforto. E sapevo che se avessi parlato, non ne sarei uscita incolume neanche io. 
«Guardami». Allentò la presa e si allontanò di poco per alzarmi il mento con una mano. Aveva gli occhi velati di preoccupazione, io probabilmente ero sul punto di piangere. 
Mi sentivo in catene.
«Non posso lasciare mia madre da sola», farfugliai. «Mi stai chiedendo di abbandonare la mia vita e lasciarmi tutto alle spalle».
«In realtà non pensavo di dovertelo chiedere», rispose freddo, facendomi sprofondare il cuore.
Deglutii. «Lo sai benissimo che se scegliessi di seguire il mio istinto resterei qui, con te, fino alla fine dei miei giorni. Ma la testa mi dice altro, e non riesco ad ignorarla...», confessai.
Non potevo lasciare la mia casa, non potevo sparire da un giorno all'altro, non avevo abbastanza soldi per permettermi di restare lì e non ero così insensibile da riuscire a dirlo a mia madre con una telefonata.
«Non importa», fece, allontanandosi bruscamente per alzarsi dal letto. Mi lasciò da sola tra le coperte, con un'orribile sensazione di vuoto e di freddo. 
Rimasi per qualche istante immobile, poi mi ripresi. «Che significa "non importa"? Credi che sia così facile, Harry? Ho passato tre quarti della vacanza a pensarci, e tu mi dici che non importa?!», il cuore batteva irregolarmente e gli occhi cominciavano a pungere.
«Credi che voglia ritornare in quella casa, in quello schifo di vita? No che non voglio, dannazione! Ma anche se lì sono una persona morta e fredda, credi davvero che sia così facile mandare tutto all'aria?», stavo urlando come una matta, mentre la visuale veniva offuscata dalle lacrime. Lui camminava per la stanza, aggiustandosi il colletto della camicia e dandomi le spalle. Afferrò la cintura che penzolava dalla sedia. 
«Rispondimi!», sbraitai, con le labbra tremanti e il respiro corto.
Si voltò verso di me con uno scatto. «Io lo farei! Rischierei tutto per te!», gridò, facendomi sobbalzare e rendendomi piccolissima davanti alla sua voce profonda e alta.
Lo fissai con uno sguardo colmo di lacrime, mentre qualcuna solcava le mie guance. «Quindi adesso sarei anche quella che non ti ama abbastanza?».
Rimase immobile a guardarmi. Scosse debolmente la testa. «Non ho mai detto questo».
Mi sentivo completamente vuota. Di nuovo inutile e insignificante. «Però l'hai pensato. Ed è quello che mi stai facendo capire», dissi con una voce incolore.
«Devo andare», bofonchiò.
«Dove?», gli chiesi subito. Mi sentii assalire dall'ansia.
Mi guardò fugacemente, poi sparì nell'altra stanza. «Dai ragazzi», mi rispose, mentre la sua voce si affievoliva pian piano e scompariva insieme a lui. Il rumore della porta della camera contro lo stipite mi lasciò senza fiato.
Senza neanche pensarci più di tanto afferrai il mio cellulare dal comodino e mandai un messaggio a Liam. "Dove siete?", gli scrissi. 
Poi mi alzai, quasi presa da un raptus di follia, e aprii a caso dei cassetti prendendo dei vestiti altrettanto a caso. Mi ritrovai ad uscire dall'albergo con degli enormi occhiali da sole per coprire gli occhi rossi, i capelli legati in malo modo e una t-shirt larghissima. 
Appena svoltai l'angolo, Liam rispose e mi diede tutte le indicazioni per raggiungerli. Guardavo davanti a me, sperando di intravedere tra la gente un ragazzo alto, con una camicia bianca e i capelli ricci. Ma non c'era traccia di lui. 
Sentivo addosso tutti gli occhi dei passanti, nelle orecchie la sua voce e le parole che aveva detto durante la litigata. Ripensai anche alle mie, e non trovai niente che avrei voluto cambiare, nessuna frase da modificare. Magari se avessi potuto rifare tutto da capo, non gli avrei mai risposto. 
Quasi mi sentivo controllata, seguita in ogni minimo movimento. Mi voltai assecondando il mio istinto, e subito la mia attenzione fu catturata da un flash che immortalò il mio viso distrutto. 
Un secondo dopo essermi ripresa ed essermi resa conto che un paparazzo mi aveva appena fotografata, cominciai ad accelerare il passo. 
Tenevo le braccia distese rigidamente lungo i fianchi, le scarpe aderivano al cemento perfettamente. Quasi sembravo un robot preso dal panico.
«E' lei!», sentii dietro di me.
Ed io mi chiesi perché. Perché quella giornata era cominciata così.. così di merda.
Mi sentivo persa, inseguita e allo stesso tempo attirata dalla mia ipotetica vita futura. Non sapevo più dove fosse il passato.
Nell'istante in cui nella mia testa risuonarono altre voci sovrapporsi alla prima, cominciai a correre, più in fretta che potevo. 
Non che fosse una novità essere ritratta in una foto come la ragazza di Styles - e il solo pensiero mi provocò le vertigini - ma non mi aspettavo che fossero addirittura pronti ad inseguirmi. 
Sentivo il vento scompigliarmi i capelli e il caldo misto alla corsa togliermi il fiato.
Arrivai in una strada deserta e all'improvviso, guardandomi intorno, mi chiesi se avevo sbagliato oppure no. 
Mi fermai sul marciapiede, affiancata soltanto dalle foglie verdi che sbucavano dalla recinzione di una proprietà privata. 
Seguii con lo sguardo un'auto scura che spuntò all'imbocco della via e scomparve, dirigendosi verso destra.
Mi voltai di nuovo, mentre il cuore mancava di un battito.
«Come mai sei qui?», sentii una voce baritonale rompere il silenzio.
Arretrai di un passo istintivamente, portandomi la mano al petto e soffocando un urlo appena mi resi conto che era Liam. Ansimai. «Ti ho spaventata?»
Mi preoccupai di scuotere la testa per quanto riuscissi a muovermi. Ero tentata di accasciarmi per terra e riposarmi per un solo istante. 
E sarebbe stato bello se Harry fosse spuntato all'improvviso e mi avesse abbracciata.
«Dov'è Harry?», chiesi, a mezza voce.
«Aaah», fece Liam, guardandosi intorno, come se pronunciando il suo nome avessi scatenato un polverone. «E' stato convocato dal management. Al momento stanno discutendo»
«Devo parlargli», dissi, quasi non prestando attenzione alle sue parole.
«E' successo qualcosa?»
Guardai dietro di lui, poi incontrai il suo sguardo preoccupato. «No», ma la mia voce si ruppe.
Lui sospirò, ed io feci lo stesso, rendendomi conto che aveva capito che era una bugia bella e buona.
«Quattro giorni», e con quelle due parole avevo praticamente spiegato il motivo del mio malumore barra dispiacere barra angoscia.
Lui fece una smorfia e mi circondò le spalle con un braccio. «Andiamo». Entrammo nella proprietà privata che era proprio accanto a noi - il che mi sollevò, facendomi capire che le mie capacità di orientamento non facevano così schifo - e passeggiammo fino all'entrata dell'edificio chiaro davanti a noi. C'era una porta spalancata sul fianco della costruzione, e salimmo le scale per entrare da lì.
Nel frattempo spiegai a Liam tutto ciò che era successo, e lui stranamente mi diede il suo supporto.
Appena fummo all'interno, ci inoltrammo in un corridoio bianco, costellato di porte da un solo lato. 
Da una di queste, riuscii a sentire la voce di Harry. 
«Raggiungo gli altri», disse Liam, appena notò che mi ero bloccata sul posto. 
Lo lasciai andare, e non vidi neanche dove si diresse, troppo occupata a guardare il colore chiaro del legno della porta di fronte a me.
«Hai intenzione di continuare così?», urlava qualcuno all'interno della stanza. «Vuoi fare il cantante o vuoi soltanto attirare l'attenzione dei media con uno scoop?»
«Nessuno scoop, vivo solo la mia vita»
«Sarebbe meglio se cambiassi il modo di viverla, allora. Non abbiamo intenzione di assecondare le tue stupide entrate in scena sulle pagine dei giornali»
«Come se fossi io a volere i paparazzi intorno!», sentii Harry esplodere in una risatina nervosa. «Sono dappertutto! Cosa dovrei fare, chiudermi in casa?»
«Solo cercare di non conquistare la prima pagina. Tu e gli altri dovreste concentrarvi sulla vostra musica e sul cd che uscirà a breve, non impegnarvi con delle ragazze. Non vogliamo scoop, credo che la cosa sia abbastanza chiara.»
«E' un discorso che non ha alcun senso».
«Volete diventare popolari grazie ai paparazzi o grazie alla vostra musica?»
Me ne stavo in silenzio ad ascoltare, incollata al muro e immobile, mentre fuori gli uccellini cantavano. «Che razza di domanda è?»
«Non c'è tempo per le relazioni, Harry».
«Credo di sapere se ho del tempo a disposizione oppure no, e poi state tranquilli, quattro giorni e i giornali non avranno più nulla di cui parlare.»
«Non aspetteremo quattro giorni»
La porta si aprì con un rumoroso cigolio della maniglia. Sobbalzai. «Vaffanculo», disse, mentre varcava la soglia e richiudeva la porta alle sue spalle con un colpo secco.
Alzò lo sguardo e mi vide. 
Avevo il cuore schiacciato contro la gabbia toracica, un groppo in gola e le gambe molli. 
Restò davanti a quella dannata porta a guardarmi, scrutandomi e cercando di decidere o forse capire cosa fare. 
L'unica cosa che volevo era sentire le sue braccia intorno a me.
Il silenzio era assordante ed imbarazzante. «Mi dispiace», disse alla fine. 
A grandi passi attraversò il corridoio e venne da me. «Avrei dovuto farlo prima, quando ti ho vista piangere», e mi abbracciò, così forte che mi sentii rimessa insieme. Non stavo più cadendo a pezzi.
Con un singhiozzo, le mie lacrime cominciarono a scendere e a bagnare la sua maglietta. «Dispiace anche a me», riuscii a dire.


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E' il capitolo più orribile che abbia mai postato :')
non voglio dire assolutamente nulla perchè sono schifata ahaha potevo fare di meglio, ma è un capitolo di passaggio e non ero molto ispirata. Comunque vi ringrazio delle 19 recensioni. Ringrazio tutte le persone che seguono questa storia. GRAZIE.
Posterò presto comunque, sono pronta a cogliervi di sorpresa.
Anyway, salterò dei giorni e arriverò direttamente all'ultimo, nel prossimo capitolo. Sappiate che ho cambiato il finale della storia e spero di non deludervi e di non cadere nella banalità.
Ora me ne vado. Spero mi lasciate almeno cinque recensioni AHAHAHAHAH ç_ç

p.s. non ho riletto e_e
  
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