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Autore: Horrorealumna    06/06/2012    1 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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IL CERCHIO MAGICO
 
Fu la mattina del 21 Giugno.
Come previsto non ero riuscita a dormire; ero rimasta stesa a guardare le mie farfalle appese alla parete. Ad illuminare la stanza solo una piccola candela che si era spenta producendo una quantità di fumo immensa, che aveva inondato la mia cameretta facendomi prudere il naso per tutto il tempo.
Avevo scarabocchiato un po’ per far passare il tempo e avevo creato un piccolo quaderno dei disegni con tutte le mie opere più belle.
Alle prime pagine c’ero disegnata io insieme a Claudia, mano nella mano, sorridenti. Poi c’era la mamma, anche lei sorridente, e papà. Sapevo benissimo di non conoscere il suo vero aspetto ma me lo ero sempre immaginato bello, alto, molto simile a me... e felice.
L’avevo disegnato vicino a me, seduto su un verde prato. Io ero al suo fianco, con una margherita in mano. Sarebbe stato proprio bello avere un papà; ma non come Leonard! Volevo immaginarmelo gentile, comprensivo e... sorridente. Tutto il contrario della mamma. Chissà come hanno fatto a conoscersi...
 
Verso l’alba, uscii dalla stanzetta e mi lavai per benino, cercando di non guardarmi allo specchio e di non pensare a quello spaventoso incubo. Poi scesi verso la cucina, per mangiare qualcosa: sgranocchiai qualche biscotto e bevvi un grande bicchiere di latte, poi mi sedetti rilassata su una delle sedie più comode e osservai fuori dalla finestra.
Dal silenzio tombale, dedussi che la mamma non era in casa. Meglio.
Eppure, vedevo alla finestra delle figure arrivare dal bosco fuori città; erano due figure, si stavano avvicinando. Verso di me, verso casa.
Rimasi là, a contemplare quelle due piccole ombre diventare sempre più grandi e definite.
Riconobbi subito il profilo della mamma; era seguita da una piccola ombra... l’ombra di un bambino.
Pensai subito a Claudia... ma non era lei... non aveva i capelli lunghi...
Ben presto, mamma e il piccolo ospite entrarono in casa.
L’ospite si rivelò essere quel noiosissimo Walter Sullivan, l’orfano.
- Cosa ci fai, in piedi? – chiese mamma, leggermente sorpresa di vedermi in piedi.
- Perché? Non posso...? – dissi nervosa.
- Fila in camera tua! – urlò.
Vidi Walter ridere sotto i baffi. Piccolo mostriciattolo!
Corsi verso camera e mi chiusi a chiave.
Ora, chissà cosa avrebbero fatto loro due?! Quando Walter entrava in casa, potevo anche sparire! Mamma aveva occhi solo per lui. Ah, già! Perché lui dovrebbe essere il Prescelto! Ah! Il prescelto dei piagnucoloni! A suo confronto, io ero inutile feccia?! Io avevo i poteri! Lui no!
Crac!
Il vetro di uno degli espositori delle farfalle si ruppe, ma non cadde a pezzi: una grossa crepa divideva i poveri insetti stecchiti.
Uffa! Di nuovo io!
Ero sotto stress! Ero nervosa. Ed ero “esplosa”.
- Devo imparare a controllarmi – dissi prendendomi la testa fra le mani – Ma non ci riesco! Come si fa!?
Spostai lo sguardo sulla sedia, che iniziò a ballare e roteare su se stessa, come una trottola.
“Ferma” pensai, ma quella continuava la sua danza. Forse ero ancora nervosa...
Le gambe della sedia producevano un frastuono pazzesco.
... Mamma!
Cercai di bloccare il mobile in tutti i modi: provai a sedermi sopra, col risultato di finire a terra; cercai di bloccare l’incessante rumore ma era impossibile. Così mi concentrai: chiusi gli occhi e pensai intensamente “Fermati!”.
Bam!
La sedia atterrò con un pesante tonfo sul pavimento.
C’era qualcuno sull’uscio della mia stanza.
- Cosa stai facendo, Alessa?
Era Walter. Mi guardava abbastanza spaventato. L’avevo sorpreso.
- C-cosa stavi facendo? – ripeté, tremante.
Gli voltai le spalle e restai zitta. Che ne voleva sapere lui?!
- Lo dico alla tua mamma! – continuò il biondino.
Voleva fare la spia, eh?
- Mamma già lo sa, impiccione. Fatti gli affari tuoi, adesso, e lasciami in pace! – dissi scontrosa.
- Veramente è stata tua madre a dirmi di controllarti! – si difese Walter – E poi, vuole che ti dica una cosa!
- E perché non viene lei?
- Forse perché è impegnata!
Impegnata?
Mi voltai verso di lui, con sguardo interrogativo.
- Vai giù – disse il bambino, incrociando le braccia.
Cosa mi stava nascondendo?
Corsi fuori dalla cameretta, spingendo via Walter, che bloccava la strada.
- Ehi! – esclamò quando si ritrovò a terra.
Gli feci una linguaccia e scesi da mamma, velocemente.
Rimasi a bocca aperto quando arrivai in cucina.
Il piano terra di casa mia era completamente invaso da... bambini?!
Non si riusciva neanche a camminare! Dovevano essere almeno una cinquantina di ragazzi e ragazze, sparsi per tutta la casa. Tutti indossavano la mia stessa tunica bianca.
Ero, a dir poco, pietrificata.
Scorsi mamma, bloccata anche lei da quella strana folla.
- Mamma! – chiamai, ma i bambini producevano un chiasso infernale – Mamma! Sono qui!
Lei mi vide e fece un cenno con la mano.
- Permesso! Fatemi passare! – dissi a tutti quelli che mi bloccavano la strada verso mia madre.
Mi sentii tirare per un braccio e mi lasciai trascinare, per ritrovarmi davanti a Leonard.
- Tua madre è qui, mocciosa! – mi disse nell’orecchio, per poi spingermi verso l’uscita, dove c’era la mamma con altri signori che non avevo mai visto.
- Mamma ! Cosa succede? – dissi raggiungendola.
Lei mi quadrò da capo a piedi ed esclamò:
- Walter non ti ha avvertito?! Perché non porti la tunica bianca?
Cosa? Di nuovo?!
- No! – gridai, puntando i piedi – Io non vengo al rito!
Un uomo esplose in una fragorosa risata:
- Ahahahah! Dahlia, e questa sarebbe tua figlia!? Ah!
Poi si aggiunsero gli altri:
- Capricciosa la piccola, eh?
- Dai non abbiamo tempo da perdere!
- La figlia della sacerdotessa che non partecipa alle funzioni? Bell’erede!
Mi sembrava di essere tornata a scuola. Tutti ad ingiuriarmi e a ridere di me!
Mamma lo sapeva benissimo: io non avrei mai più partecipato ai riti.
- Non capisci, Alessa? Non andiamo in Chiesa. Ti chiedo solo di partecipare a... questo. Poi andrai via, d’accordo? – disse mia madre, prendendomi il polso e stringendolo fortissimo.
Cosa dovevo fare?
Rifiutare per poi essere odiata a morte... o accettare e andare via dopo un poco?
- Magnifico – aggiunse un uomo alle mie spalle – Se tua figlia non adempie ai suoi doveri adesso... figurarsi quando crescerà!
- Zitto! – sibilò mamma, con uno sguardo che pareva di fuoco. Poi mi fisso, aspettando una risposta.
- Vengo – sussurrai scoraggiata.
 
Perché? Perché!? Io non volevo andarci!
Ma è stato più forte di me.
Adesso la mamma mi vorrà bene.
No! Non sarà questo a far cambiare la mamma.
Sbagliato! Credo che stia iniziando a capirmi.
Forse è una trappola.
O forse sta cambiando.
Sei ingenua.
Mamma...
La mamma non ti vuole bene, in realtà.
Cosa...?
Non preferiva Walter?
Forse... no!
Pensa quello che vuoi...
 
Leonard fece uscire i ragazzi in bianco e li condusse dietro casa, verso il bosco adiacente alla città. Io seguii mamma e Walter che si stavano dirigendo verso l’orfanotrofio del bambino: la Wish House.
C’ero già stata un paio di volte con mia madre e Claudia.
Era un “normale” orfanotrofio dove educavano i bambini alla macabra religione della mamma.
Avevo sentito, però, che i custodi erano davvero spietati e crudeli. Rinchiudevano i bambini in una specie di prigione e li lasciavano lì a marcire, se si rifiutavano di eseguire riti e sacrifici.
Meno male che non ero orfana!
 
Doveva essere primo pomeriggio quando, dopo essere entrata nella struttura, la mamma ci condusse verso gli alberi, verso Leonard.
La foresta, nonostante il sole, era buia e tetra, piena di ombre strane e alberi giganteschi.
Fummo condotti in una specie di ampia radura, dove trovammo il papà di Claudia con quelli strani tizi e quei bambini.
Notai che al centro dello spazio aperto ero stato scritto qualcosa... no, era stato disegnato qualcosa.
Mi avvicinai curiosa, lasciando dietro me, mamma e Walter.
Era un simbolo, scritto con quella che sembrava vernice rossa... almeno, speravo lo fosse.
Era un simbolo che conoscevo molto bene.
Mamma, durante i riti, lo chiamava Scaro Sigillo, o Sigillo di Samael.
Samael, il loro dio.
Il dio a cui avevo rivolto tante volte le mie povere preghiere... e che lui non aveva mai esaudito o ascoltato; il dio per cui cercavano la Donna; il dio che avrebbe purificato il mondo con le fiamme e che, con sua Madre, avrebbe aperto i cancelli del Paradiso.
Stupidaggini!
Delle strane rune erano disposte attorno al sigillo.
- Alessa, torna qua! – disse mamma.
- No, Dahlia! Lasciala avvicinare – disse Leonard.
Mi guardai attorno.
Nei volti di quei ragazzi, sereni e vestiti in bianco, mi sembrava di scorgere tutte quelle bambine che erano morte in quella Cappella. Loro avrebbero fatto la stessa fine delle altre?
Cercai Claudia...
Ma non c’era. Per fortuna. Non volevo le capitasse qualcosa di brutto.
 
Al centro del sigillo c’erano tre cerchi: il passato, presente e futuro.
Mamma disse che io dovevo posizionarmi nel cerchio del passato; Walter doveva raggiungere quello del futuro. Cosa significava?
Riguardava l’Ordine, sicuramente... mamma mi aveva ingannata?
I bambini bianchi, senza aspettare ordini, a differenza mia e di Walter, si disposero lungo l’ampia circonferenza e si presero per mano, chiudendoci in una specie di girotondo.
Walter tratteneva a stento le risate.
Non vedevo più Leonard e la mamma. Non mi sentivo molto sicura, lì in mezzo a perfetti sconosciuti.
 
Aspettammo che succedesse qualcosa. Anche Walter sembrava abbastanza confuso, anche se si comportava da scemo.
Poi all’improvviso, i bambini iniziarono a danzare, uno dietro l’altro, attorno a noi.
Il moccio setto iniziò a ridere sguaiatamente.
Non sembrava più se stesso.
Si buttò a terra, quasi rotolandosi dal divertimento.
- Alzati, idiota! – sussurrai, ma era molto lontano da me, non mi sentii. Grazie al cielo, si ricompose dopo pochi minuti.
Alcuni di quei bambini erano scomparsi.
Il numero dei danzatori si andava diminuendo.
In effetti era uno spettacolo abbastanza strano... e ridicolo.
Urlavano come pazzi e producevano strani suoni.
Credo siano in trance. Perché sei entrata nel cerchio?
Dov’era la mamma?
 
Dovevano essere passate un paio di ore.
Io ero seduta per terra e strappavo qualche ciuffo d’erba. Walter era sul punto di addormentarsi.
Mamma era ricomparsa e stava seduta su un masso. Sussurrava qualcosa. Probabilmente stava pregando. O stava solo impazzendo.
Le urla dei pazzi si erano spente, per lasciare il posto a strane lamentele, davvero lugubri e oscure, in una lingua strana.
Dei ragazzi erano caduti sfiniti, su alcuni simboli, a forza di girare in cerchio senza fermarsi mai. Nessuno li aveva spostati.
Se avevo capito bene, dovevano cadere sfiniti tutti.
Non ci volle molto a vederli svenire, in preda a strane convulsioni, sulla fredda terra.
 
Quando l’ultimo cedette, la mamma accorse. Si accasciò vicino a tutti quei ragazzi caduti in prossimità delle rune e esaminò i loro corpi.
- Possiamo andarcene? – chiese Walter alla mamma, aspettandosi una risposta. Lei non disse niente.
Ah!
- LEONARD! – urlò mia madre, esaminato l’ultimo ragazzo – Presto!!
L’uomo si fece subito vicino a lei.
Rimasero pietrificati, là, a guardare quello spettacolo piuttosto pietoso.
- Credo... – disse piano Leonard - ... che tu non debba più farla uscire di casa.
Chi?

Stanno parlando di me...
   
 
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