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Autore: Nykyo    24/12/2006    1 recensioni
La guerra è finita, Voldemort è caduto e Piton è sopravvissuto, ma vivere sul serio è un altro paio di maniche. Un'eredità particolare, un "gemello" inquietante, un regalo di Natale.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II. Severus e Severus

 

 

 

 

H

o sempre avuto il sonno leggero, fin da bambino.

Non mi addormento facilmente dai tempi in cui mia madre mi cantava le gesta di Merlino e Morgana e l’ultima volta avevo sei anni.

Dopo la guerra ho smesso di aiutarmi utilizzando pozioni.

Non ne distillo più e nutro poca fiducia negli infusi miscelati da altri.

Inoltre, preferisco vincere la mia piccola battaglia con gli incubi contando solo sulle mie forze.

Ricorrere ad un filtro sarebbe a suo modo una resa.

E poi senza i miei spaventevoli compagni onirici non mi riconosco più.

Abbiamo anche periodi di tregua, a volte.

Ma non questa notte, evidentemente.

C’è voluto poco a svegliarmi, sempre che io sia desto davvero.

Non nutro alcuna certezza al riguardo.

Quel che i miei occhi mi stanno mostrando non mi piace, ma non mi spaventa: troppe volte ho incontrato simili incubi.

E’ un Mangiamorte.

Lungo mantello nero, cappuccio calato, la luna che penetra in strisce sottili attraverso gli scuri riflette il suo argento brunito in quello freddo e lucido della Maschera calata sul viso.

Bene, uno degli amici d’un tempo venuto a muovermi il suo rimprovero dalla morte.

Sono sopravvissuti in pochi e, vivi o morti, io li ho traditi tutti.

Quale di loro sarà quello che ora siede spavaldo sul mio letto?

Dalla sagoma lo direi di sesso maschile.

Ombra tra le ombre, resta immobile a fissarmi dalle tenebrose orbite di vuoto metallo.

Rodulphus Lestrange? Doholov? Rosier? Sono morti tutti e tre.

Escluderei Regulus Black. Ha gli occhi neri questo spettro notturno.

Regulus li aveva d’un grigio brillante, retaggio di famiglia.

E da lui non ho nulla da farmi perdonare, se non forse di non aver compreso che era come me.

Avrebbe dovuto confidarsi, eravamo amici.

Ma la guerra porta a guardarsi le spalle anche da coloro a cui tieni.

Io stesso non ho mai avuto fiducia piena e perfetta se non in Albus.

“Chi sei?” vorrei quasi domandare, sonnolento.

Ma che importa?

Chiunque tu sia: Benvenuto! Prendi pure il posto che ti spetta nella folla dei tuoi fratelli. I rimorsi sono gli unici a cui ancora non ho sbarrato la strada; in cui compagnia sono disposto a trattenermi ogni giorno.

 

Volge lentamente il capo di lato, in un movimento che mi è familiare.

Sì, lo conosco, anche se ancora non ha un nome.

Da parte mia non faccio niente per scacciarlo.

Resto immobile tra le coltri a ricambiargli lo sguardo.

Mi fissa ancora per un lungo istante, poi scosta la Maschera dal viso, facendola sparire rapida tra le pieghe pesanti del mantello.

Prima ancora che il cappuccio si accasci in morbide pieghe sulle esili spalle comprendo chi ho davanti: sto osservando me stesso.

Non vi è dubbio alcuno.

Neri capelli pettinati in lisce bande ordinate a spiovere sul volto pallido e aguzzo, amare labbra sottili, iridi gelide e quel naso che ho preso da mia madre, tanto ostinatamente piantato a farmi da becco in mezzo al viso.

Adesso forse dovrei cominciare ad aver paura, in fondo sono sempre stato la causa prima d’ogni mio male.

Ma alla fine attendevo questo momento, sapevo che un giorno sarebbe giunto.

Ecco, forse sono finalmente impazzito.

La resa dei conti con il mio peggior nemico è cominciata.

Lo combatto da sempre, era anche ora che si decidesse a sfidarmi a viso aperto.

Non parlo.

Cosa potrei dire che non mi sia già ripetuto fino alla nausea?

Lui è me, i miei errori li conosce a memoria.

“Ben svegliato, Severus” mi apostrofa infine la mia stessa voce “O forse no, magari è meglio dire: benvenuto nel peggiore dei tuoi incubi”

Mi stringo nelle spalle.

La sua aperta ostilità non mi stupisce e ferisce meno del continuo sproloquiare del mio coinquilino dipinto che ho lasciato al piano di sotto.

“Non hai paura?” mi sfida “Dovresti. Hai molte colpe da scontare. Sei un assassino, un bugiardo, un traditore. Sono venuto a ricordartelo”

“Potevi risparmiarti il disturbo, Severus” gli replico asciutto e l’usare il mio stesso nome mi allarga un sorriso sghembo sul viso “Non ho scordato nulla di ciò che hai elencato”

Fa per rispondermi, ma non lo lascio iniziare.

“Non ho scordato nulla e nessuno” puntualizzo, inarcando un sopracciglio “Non una menzogna, non una vittima o un amico tradito. Sono tutti incisi a fuoco sulla mia anima, dovresti saperlo dal momento che sei me”

Lui ride il mio usuale riso amaro.

“Come puoi arrogarti il diritto di chiamarli amici?” e si china in avanti a sovrastarmi imperioso “Se li avessi considerati tali non li avresti traditi”

Non sono solito trovarmi alibi o giustificarmi con me stesso, inoltre ho già svolto questa conversazione mille volte, ma rispondo, solo per levarmi il gusto di assaggiare la follia fino in fondo.

“Alcuni lo meritavano, altri non sono mai stati veri amici, sebbene a volte li abbia ritenuti tali e… Altri ancora… Ho voluto loro bene davvero, ma non potevo consentire che continuassero ad agire… ”

“Agire come?” m’incalza “Avevano degli ideali. Non sono forse stati i tuoi stessi ideali? Credi d’essere migliore di loro perché ad un tratto hai avuto paura e sei fuggito a rifugiarti sotto le sottane di Silente?”

Non dovrebbe irritarmi sentirglielo dire, invece è vero il contrario.

Mi sollevo a sedere anche io e lo motteggio “Per essere me parli come se tu fossi Bella Lestrange”

“Peccato però che lei sia morta per causa tua” mi leva nuovamente la parola, severo.

Beh, sono stato sempre un giudice implacabile della mia persona, perché dovrei smettere solo per il fatto che sono ammattito?

“Bella è morta combattendo accanto al suo Signore, com’è vissuta. Forse è mia la colpa, ma non avrei mai compiuto scelte diverse solo per salvarla. Ho lottato per tenere alcuni dei miei amici lontani dal baratro, nella maggior parte dei casi inutilmente, però la mia causa non era e non poteva più essere la loro. Non smetterò di rammaricarmi, sebbene questo non serva a riportarli indietro. Ciò nonostante, non intendo nemmeno mettere in dubbio ciò per cui ho combattuto, né gli insegnamenti di Albus. Con i miei errori ci puoi lastricare una strada da qui fino a Hogwarts, ma rivolgermi a lui non è stato uno di questi. Ho provato momenti di autentico terrore, prima che m’indicasse la via, lo ammetto, ma dopo di allora l’unica mia paura è sempre stata quella di non poter rimediare a sufficienza e di non deludere la sua fiducia. Dubito d’essere riuscito nel mio intento, eppure non è di questo che mi vedrai mai pentito”

Salvo che dell’aver ucciso Albus pur di compiere il mio dovere fino in fondo.

Tranne che d’aver visto scorrere troppo sangue da ambo le parti.

Per quanto io possa giustificarmi è questo che sento, ma evidentemente perfino contro me stesso la mia vena polemica non vuole soccombere.

Ad ogni modo, non ha alcun senso.

Posso spaccarmi la testa in eterno e resterò sempre ciò che sono, inadeguato, perfino come giudice ultimo.

Né spetta a me questo ruolo.

Non so se esista qualcuno al di sopra delle fragilità umane che voglia per sé quest’incarico; a me manca l’obiettività per assolvermi o condannarmi interamente.

La bilancia pende sempre più dal lato della colpa che da quello della redenzione, ma mi consola pensare che qualcosa di buono possa essere venuto perfino da me.

Il mio doppio, però, pare non concordare affatto.

“Sempre in grado di usare meravigliosamente bene raziocinio e dialettica, eh, Severus?” conclude “ma se credi che ti lascerò in pace ti sbagli. Devi pagare pegno e lo sai. Ti aiuterò a scontare e potrebbe venire il momento in cui pregherai perché io me ne vada e ti lasci in pace”

“Fa pure” lo autorizzo “Comunque in pace non lo sono mai stato”

Chiudo gli occhi, sempre che finora fossero aperti.

Magari domattina non sarà più appollaiato sul mio letto come un grifone in attesa che gli dia in pasto la carcassa del mio cuore, ma di certo lo rivedrò nello specchio del bagno, mentre mi rado.

 

 

- 8 -

 

 

D

opo quella notte il mio gemello è tornato ogni giorno.

Più puntuale dello scadere d’una Giratempo, non manca un appuntamento.

Facciamo delle belle chiacchierate, il materasso come podio per le rispettive orazioni, tranne quando lui resta in piedi in fondo alla stanza, nell’angolo più buio.

Del tutto normale trattandosi di un altro me.

Ho sempre preferito i cantucci all’ombra, piuttosto che le luci della ribalta.

Non si trattiene mai a lungo e solitamente mi basta chiudere gli occhi, sogno o veglia che sia, e lui ha la delicatezza di svanire prima o poi.

Ma per quanto non si attardi mai troppo a farmi compagnia è sempre estremamente solerte nel rinverdire i miei rovelli.

A dire il vero, per essere la proiezione della mia coscienza generata da un qualche malfunzionamento mentale, è decisamente di parte.

Potrei dire che è il lato della mia anima preposto a rammentarmi il tradimento.

Evidentemente, poiché mi basta il quotidiano rapporto col ritratto di Albus per ricordare fin troppo bene quanto sangue innocente mi macchia le mani, durante la notte quest’incubo speculare si prende la briga di assicurarsi che io non scordi nemmeno i cosiddetti “nemici”.

E’ puntiglioso e, a volte, addirittura capzioso al riguardo.

Cerca di cogliermi in fallo e in contraddizione.

“Coloro per i quali hai tradito i tuoi amici” ha insinuato due sere fa “erano davvero migliori e meritevoli? Realmente erano meglio dei tuoi vecchi compagni? E tu, Severus? Credi d’essere superiore a loro? Se lo fossi non li avresti rinnegati. I traditori non conoscono onore e lealtà; non sono mai brave persone, quale che sia la parte per la quale combattono”

In un certo senso è vero, ma ho ribattuto secco “Si tradisce chi ha fiducia in te e l’unica persona che in me abbia mai creduto io non l’ho tradita affatto”

L’ho uccisa, il che è peggio, almeno dal mio punto di vista.

Ma non sono venuto meno alla fede che riponeva in me.

“Gli altri non contano” gli ho rimarcato “Salvo rare eccezioni da un versante come dall’altro, gli altri non sono poi così importanti. Le vittime che ho spento con le mie stesse mani o con i miei sbagli, quelle si hanno un gran peso… Chi è sopravvissuto… Beh, non ho combattuto la mia guerra solo per fare un favore ai ‘buoni’ o contro i miei compagni di gioventù. Ho lottato prima di tutto contro me stesso e avevo dei conti in sospeso, nel bene e nel male. Partite aperte con Voldemort e un debito da saldare con Albus. Tutto qui”

Mai stato un uomo dell’Ordine io, non nel senso pomposamente ipocrita che molti dei suoi membri intendevano.

Ma ero un uomo di Silente e su questo non intendo venire a patti neanche con la mia coscienza.

“Non mi reputo né migliore né peggiore di tanti altri, anche se ho provato sempre ad essere superiore a me stesso” gli ho concesso, prima di sprofondare nel buio delle palpebre chiuse.

E lui ha pronunciato la solita minaccia di commiato ed è andato via.

 

Altre volte scende perfino più nel particolare.

Per forza: mi conosco, so quali sono i miei tasti più dolenti.

“E Lucius?” mi ha chiesto ieri, fissandomi sfrontato “Anche lui non meritava lealtà?”

Lucius.

Una delle mie croci, lo ammetto.

Ciascuno ha gli amici che merita, si dice. Io di amici ne ho avuti sempre pochi, in parte per mia scelta e per gli spigoli acuti del mio carattere, sui quali non è piacevole andare a sbattere. Amici sinceri poi, ne ho avuti anche meno.

Per lo più facevamo corpo, ecco tutto.

Prima a scuola e poi tra le fila incappucciate dei Mangiamorte.

Era anche un modo comodo e istintivo per non sentirsi smarriti non appena ci si chiusero alle spalle le porte di Hogwarts.

La scuola è una ben nobile istituzione e fornisce a chi non è una testa di legno ottime conoscenze, ma se c’è una cosa cui non ti prepara affatto è l’impatto del rientro nel mondo esterno.

Hogwarts è un microcosmo in cui è fin troppo facile, se si ha fortuna, crearsi false certezze.

Perfino per l’emarginato della scuola come me, Hogwarts è fonte di sicurezze.

Immutabile, cadenzata, chiusa, la vita scolastica ti fa sentire comunque parte dell’ingranaggio, fosse anche solo quello della tua Casa.

Ma fuori sei solo, specialmente se non hai un illustre famiglia alle spalle.

Questo fa paura a diciassette anni, maggiorenne o no.

Essere Mangiamorte per molti di noi era un po’ come trovarsi ancora nella Sala Comune di Serpeverde.

Ma al di là di questo avevo pochi affetti sinceri.

Però “A Lucius tenevo davvero” ho affermato sicuro, con voce appena un po’ più roca di quanto avrei desiderato.

E’ la pura verità.

Per questo non mi perdono di non essere riuscito a tenerlo fuori dai guai anche contro la sua stessa volontà.

Per questo non penso di poter menare alcun vanto per aver salvato Draco.

A che alto prezzo… Ma era giusto.

Almeno per lui volevo esserci fino in fondo e mantenerlo integro.

“Non hai le mani più pulite delle sue” mi ha contestato “Eppure Lucius è ad Azkaban e tu sei qui, libero”

Se questa si può chiamare libertà, ha ragione.

Il mio processo è stato una vera farsa: avevano una gran fretta di liberarsi di me perché scottavo come una patata bollente.

Condannarmi non potevano, dato che a mia insaputa Albus aveva lasciato in mani sicure le prove schiaccianti del fatto che avevo solo obbedito al suo ultimo fatale ordine, ma nemmeno potevano assolvermi con troppo clamore.

A quelli del Ministero non andava giù che ci fosse ulteriore pubblicità della figura di Silente; lui li ha sempre smascherati per gli stolti incapaci che sono.

Fosse stato per loro il mondo magico sarebbe andato in malora da un pezzo.

Così hanno pronunciato la mia discolpa privatamente, in fretta e furia, diffidandomi formalmente dal rilasciare dichiarazioni ai giornali.

Come se avere attorno nugoli ronzanti di scribacchini potesse essere fra le mie ambizioni.

Ipocriti!

Lucius, invece è rimasto ad Azkaban, perché il suo cognome pare non contare più niente. Evidentemente anche i Purosangue Malfoy possono cadere in disgrazia.

E’ un segno dei tempi.

Non dico che Lucius non lo meriti, ma solo che non credo spettasse a me meno che a lui.

“Non sono stato io a decidere” ho fatto per replicare, ma poi ho pensato che doveva leggermisi già abbastanza chiaro in viso ciò che pensavo.

Non uso mai la maschera con me stesso, non avrebbe senso. Non più.

Lui deve aver capito perché la replica esatta dei miei occhi s’è incupita, le labbra hanno curvato a denotare amarezza e forse perfino rimpianto e malinconia.

“Ad ogni modo” ha concluso “A cosa ti ha portato tanto lottare? Guardati. Sei solo, non hai più occupazioni, né sogni, né speranze. Ti limiti a restartene qui a morire dentro. Non sembri nemmeno vivo”

Aveva ragione.

In quel momento davvero ho desiderato farlo sparire.

Non era questo quel che speravo la pazzia mi donasse: volevo oblio, non tentazioni inaccettabili.

Ho scelto, non voglio umane lusinghe che mi riportino indietro.

 

 

- 8 -

 

 

N

egli ultimi giorni ha cominciato ad apparirmi davanti anche di giorno a volte.

Ma con la luce del sole – per quel poco che ne penetra attraverso i vetri sporchi e l’ombra incombente dei vecchi palazzi – non mi rivolge mai la parola.

Compare e scompare rapido, dopo avermi puntato addosso per qualche istante le mie stesse iridi inquisitrici.

Devo proprio essere ammattito, non mi restano molti dubbi al riguardo.

Accoglierei l’evento con soddisfazione, se non fosse per il fatto che esistono degli inconvenienti.

Ad esempio mezz’ora fa ero sicurissimo d’essermi appisolato in poltrona con un pesante tomo istoriato sulle ginocchia e l’ausilio di un paio di calici di rosso vino elfico d’annata (l’unico lusso che ancora mi concedo ben volentieri).

Però, quando ho aperto gli occhi la camera rigurgitava di orribili, pacchianissimi, festoni natalizi.

Ghirlande, coccarde, fiocchi rossi, campanelle d’argento appese in cima ad ogni scaffale.

Mancava soltanto l’usuale abete decorato e l’armamentario sarebbe stato completo.

Ora, io non rammento affatto di aver addobbato il salotto, ma, sia pur ridacchiando con aria compiaciuta, il ritratto mi ha confermato che nessuno oltre me è entrato nella stanza e di sicuro un quadro, per quanto stregato, non è in grado di compiere scherzi così di cattivo gusto.

Ragion per cui, inizio a credere d’essere anche diventato sonnambulo.

Ma non so proprio dire perché il mio lato dormiente abbia un così pessimo gusto.

Non contando che detesto tutta quella paccottiglia natalizia.

Non sono Albus, io.

Ho fatto svanire tutto, con rapidi colpi di bacchetta che tradivano una buona dose di stizza.

Decorazioni, che idiozia!

E non mi accadevano simili stramberie, prima che il mio doppio iniziasse a visitarmi.

Perdere il senno non mi spaventa, ma qui si rasenta il rimbecillimento.

Non ho nessuna intenzione di diventare una stupida testa di legno come tante.

Pazzo, sì, ma con un briciolo di dignità.

Quindi ho bisogno di schiarirmi la mente, di riflettere se ci riesco e, soprattutto, di prendermi una pausa dalle mie ossessioni.

Solo per una notte.

Non mi troverai nel mio letto, caro gemello.

 

   
 
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