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Autore: Nykyo    24/12/2006    2 recensioni
La guerra è finita, Voldemort è caduto e Piton è sopravvissuto, ma vivere sul serio è un altro paio di maniche. Un'eredità particolare, un "gemello" inquietante, un regalo di Natale.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: "Ding Dong".

Beta: Questa volta ho avuto un betaggio un pò fuori dal comune e per lo più telefonico e parziale (speriamo che non mi siano sfuggiti troppi errori) di cui ringrazio Astry che è sempre un tesoro molto paziente.

Dedica Ad Alexia, Astry e Ida con immenso affetto come dono di Natale, vi voglio bene. Il racconto è stato scritto per loro, ma ne approfitto per fare omaggio a tutte le fans del più ombroso dei Potion Master.

Buona lettura e auguri.

Ny

 

“Ding Dong”

 

I. Olio su tela – Hogwarts 1996 - 97.

 

 

S

o che parlerà.

Dirà qualcosa di terribilmente suo; inconfondibile nel timbro e nello stile.

Lo farà scuotendo vigorosamente il capo, cosicché la lunga barba candida si agiterà sul petto, a malapena trattenuta dalla cintura d’argento ritorto.

Aprirà la bocca da un momento all’altro a motteggiarmi come ha sempre fatto.

Sarà lui e insieme non lo sarà.

Questo mi ferisce anticipatamente.

Succede ogni volta.

Dannatissimo ritratto animato!

Non avrei mai dovuto accettarlo in eredità, né sciogliere lo spago che lo tratteneva rinchiuso nella rugosa carta grezza color canna da zucchero.

Tantomeno avrei dovuto appenderlo a troneggiare sull’unica parete del salotto libera da scaffali e libri.

Ma fin dal primo momento in cui l’ho tenuto tra le dita - appena depositato sulle mie ginocchia da un grasso gufo reale planato a tradimento dalle imposte aperte della cucina - ha cominciato il suo vivace consueto chiacchiericcio.

“Severus? Sei tu vero? Oh, finalmente! Tirami fuori, inizio ad avere a noia tutto questo buio… Certo che mi hai fatto aspettare… ”

Ho dovuto posarlo sul tavolino dinnanzi a me e ricordarmi di respirare.

La sua voce.

Il tono dolce e autoritario, solennemente scanzonato.

Ho sfregato una manica sugli occhi ad asciugare lacrime che non aspettavo davvero e che, infatti, non sono giunte a soccorrermi.

Rabbioso le ho invocate e ricacciate in gola allo stesso tempo.

Il mio vecchio vizio di azzannarmi le labbra e l’interno delle guance è ricomparso al seguito di quell’orribile sensazione di commozione asciutta.

Automatismi.

Servono a sopravvivere; anche a se stessi.

Ne avevo bisogno, per ricompormi.

Mi sono alzato, ho scrollato le spalle; ho odiato ferocemente lui e me, finchè non ho ritrovato il gelo necessario a scartare il pacco.

Lo sguardo è caduto su una sciocca etichetta apposta in alto a destra, sfregiata dal timbro di un notaio.

Figure che appartengono tanto alla mitologia babbana quanto a quella dei maghi: mezzi umani e mezzi vampiri li definiscono i malevoli di entrambe le razze.

Inventariato da…

Recitano gli svolazzi aulici del cartellino, il nome perduto sotto l’inchiostro più scuro del bollo.

Oggetto: Ritratto di Albus Percival Wulfric Brian Silente.

Caratteristiche dell’opera: Dimensioni – 50 x 40; Olio su tela – artista sconosciuto (possibile autoritratto).

Data stimata d’esecuzione: 1996 - 97 (Hogwarts).

Un lascito ereditario.

Solo Albus possedeva un concetto d’affetto così tagliente e folle.

Solo a lui poteva attraversare il cervello l’idea di lasciarmi in dono un suo ritratto.

Vecchio pazzo!

E io che non ho mai nemmeno trovato la forza di inginocchiarmi dinnanzi al marmo bianco della sua ultima dimora.

Ho socchiuso gli occhi, un attimo prima di togliere anche l’ultimo schermo che ci separava: me e l’effige della mia vittima più illustre.

Cornice dorata, tutta riccioli incisi nel legno tenero di ciliegio, niente vetro, nessun passepartout, vivide pennellate fin troppo realistiche.

Mi fissava, con le bianche sopracciglia aggrottate e le mezzelune delle lenti un po’ storte sul naso secco e imponente.

La veste azzurra come gli occhi, colti perfettamente nella loro cristallina profondità.

La sua veste preferita, quella arabescata d’argento al margine di orlo e maniche. Effigiato solo fino alla vita, ma non potrei confondere quella tunica con nessun’altra al mondo.

Capelli e barba sciolti, sorriso aperto.

Era lui.

Merlino e Salazar, no, è solo un quadro animato.

“Quanto tempo, Severus. E’ un piacere rivederti!”

Allora perché torturarmi?

“Io la vedo ogni notte nei miei sogni” m’è rimasto incastrato nella chiostra dei denti, mentre provavo a capire come mai qualcosa dietro la gabbia delle costole aveva ricominciato a battere.

Straniante.

Ero proprio convinto di non avere più un cuore al di là di quella complessa pompa idraulica che smista il mio sangue a intervalli regolari.

Non ho risposto.

Un colpo deciso di bacchetta è più che sufficiente per piantare un chiodo.

La parete grigia ha ceduto all’acuminato metallo contemporaneamente alla mia anima.

L’ho sentita forarsi da parte a parte e ho scrollato le spalle.

Era già sciupata e lacera, uno strappo in più non fa differenza.

“Oh, andiamo, Severus, vuoi tenermi il broncio in eterno?” ha domandato sfacciato, galleggiando nell’aria al mio comando fino a trovare il suo posto sulla parete.

Prepotente la rabbia ha preso a bussare perché le spalancassi la porta.

S’è crogiolata ancor più nel pensiero che possa davvero averlo dipinto Albus.

Non mi stupirebbe scoprire che sapeva fare anche questo.

Tra il 1996 e il 97. Mentre tutto crollava, lui perdeva anche il tempo in quest’idiozia?

Lo smalto dei denti ha scricchiolato pericolosamente.

Mi è sempre piaciuta l’idea di poter incenerire qualcosa con lo sguardo: peccato che è una magia che riesce solo ad alcune stupide creature decerebrate come quelle tanto care a Hagrid, mentre è impossibile per un mago intelligente e raziocinante, perfino se s’impegnasse per una vita.

Sfortunatamente, non sono un drago.

Nessun puzzo di tinta carbonizzata ha invaso la stanza.

Meglio deglutire via l’ira.

Dopo quella notte sulla Torre è facile; non ho più fiamme, mi sono rimaste solo ceneri e brace.

Ho riso delle sue parole e della mia reazione. Da lui in fondo me l’aspettavo una simile battuta.

Maledettamente realistico quell’insieme di pennellate e tela.

M’è rimasto un retrogusto amaro, ma non ce l’ho fatta a ribellarmi.

Una sola smorfia di disapprovazione, il minimo lampo di rimprovero in quelle iridi chiare, mentre lo rinchiudevo nelle tenebre d’un cassetto, o lo voltavo a faccia in giù a far compagnia alla polvere, sarebbe bastata a sbriciolarmi.

Il ghiaccio ha il difetto di essere più fragile di quel che sembra.

Così se ne sta lì, da più di un anno ormai.

Mi parla.

E’ sempre stato ciarliero, salvo che sulle cose realmente importanti.

Lui parla e io solitamente gli rispondo, perché forse sono finalmente sulla buona strada per impazzire, o perché è un ottimo esercizio di punizione.

Magari un giorno riuscirò a scordare che è solo un ritratto.

Ora aspetto perché da un momento all’altro dirà la sua.

Non ha fatto che osservarmi di sottecchi mentre rispondevo alla posta, arricciando appena le labbra e talvolta scuotendo il capo in un’aperta disapprovazione.

Quindi, finalmente, eccolo: “Non ti sembra di esagerare con questa mania dell’isolamento, Severus? Da quando è finito il processo e ti hanno assolto e rimandato a casa non fai che startene qui a ciondolare. Non leggi i giornali, non esci mai. Non è da te, sei sempre stato così operoso. Comprendo le tue motivazioni, ma è passato tanto tempo… Secondo me, dovresti rispondere di sì almeno ad uno dei due inviti”

Comprende le mie motivazioni.

Certo che le comprende.

Ma non ne abbiamo mai parlato e non intendo cominciare adesso.

Probabilmente potremo farlo; ho idea che abbia stregato lui stesso il ritratto.

E’ leggermente differente da qualunque altro quadro animato io abbia mai visto. Sembra più consapevole, meno precostruito.

Pare sentire davvero, pensare davvero.

Non è vivo, non è realmente Albus, ma ci va così vicino che a volte ho voglia di urlare.

Prima o poi gli domanderò se ho ragione.

Per questa volta mi limito a replicare sarcastico.

“Quale dei due inviti? Quello assolutamente sentito e sincero di Molly Weasley? Trasuda affetto e buone intenzioni” lo pizzico eloquente fra pollice e indice, sollevandolo come farei con un panno unto o un’erba urticante “Non ho mai sognato di meglio che un Natale alla Tana, con tutti quei deliziosi ragazzi, i dolcetti e i sorrisi d’imbarazzo e circostanza”

Ridacchia, ma subito si ricompone, accarezzandosi distrattamente la barba.

“E’ evidente che intendevo l’altro invito. Non che Molly non sia stata gentile ad inviarti il suo… So che hai delle prevenzioni e… Beh, ad ogni modo ritengo che lei sia più sincera di quanto tu non creda. Tutti hanno dovuto riconsiderare la tua persona; immagino cerchino soltanto di farti capire che… ”

“Hanno la coda di paglia e pur di non aver sensi di colpa sono disposti ad essere ipocriti e farsi sciupare la cena della vigilia dalla mia sgradevole e comunque sgradita presenza” annuisco.

Mi diverte punzecchiarlo a volte.

Lui affonda la lama qualunque cosa dice, anche solo perché ha quella voce.

Se lo merita.

Non gli renderò mai le cose più facili.

Incrocia le braccia sul petto e annuisce grave.

“Però alla Tana potrebbe esserci anche Minerva” bofonchia poi, ritrovando un incoraggiante sorriso.

Bel tentativo, Albus!

“Oh, certo” fingo di assecondarlo “E Remus Lupin con la sua strampalata sposina, ma soprattutto Harry Potter… Immagino la sua gioia nel vedermi arrivare… Scordatelo! Ho dovuto sorbirmi Mr. Eroica Celebrità per amor tuo più di quanto normalmente non avrei mai tollerato. Intendo se possibile disintossicarmi pienamente da Potter”

Senza contare che se c’era uno che sapeva perfettamente perché detestavo trovarmi il “Prescelto” sotto il naso questo era proprio Albus; non vedo perché dovrei pretendere meno comprensione al riguardo dal suo sciocco succedaneo di tela.

“Va bene” mi accorda “Ma dell’invito dei Malfoy che mi dici? Draco è il tuo pupillo, perché hai risposto di no anche a lui? E’ tanto di quel tempo che non ti vede, sentirà la tua mancanza”

Draco e Narcissa.

Hanno ottimi motivi per estendermi un invito sincero e altrettanti per odiarmi.

Il traditore di Lucius, Rodulphus e Bellatrix al loro stesso tavolo per Natale?

“No” rispondo “Detesto il Natale, le cene, l’albero, i regali e tutto il resto. Non è che una farsa”

A te piacevano Albus, lo so. A Natale tornavi fanciullo in mezzo a tutti quegli effetti scenici, alle luci, alle decorazioni.

Ti divertivi sempre al gioco infantile di predisporre le magie delle feste, perché Hogwarts risplendesse di candele, e festoni.

Tu e Hagrid discutevate sulla preparazione dell’abete già settimane prima, come bimbi infervorati che fingano di tramare grandi cose.

Non mi va di ripensarci.

Lo scorso Natale ne abbiamo già discusso a sufficienza io e la tua effige.

Canticchiava irritante una vecchia carola famosa sia fra i Maghi sia fra i Babbani.

Non faceva che sorridermi come si fa con un discolo e canterellare quelle strofette tintinnanti:

 

To young and old, meek and the bold

Ding, dong, ding, dong, that is their song,

With joyful ring, all caroling

One seems to hear words of good cheer

From everywhere, filling the air

Oh, how they pound, raising the sound

O'er hill and dale, telling their tale

 

E ancora, ogni volta che m’ostinavo a troncare il discorso, riprendeva col ritornello, tanto da sfinirmi.

 

 

Gaily they ring, while people sing

Songs of good cheer, Christmas is here!

Merry, merry, merry, merry Christmas!

Merry, merry, merry, merry Christmas!

On, on they send, on without end

Their joyful tone to every home.

Ding Dong Ding Dong[i]

 

Insistente. Piccato perchè rifiutavo di parlare del Natale e di far progetti per non so quale avvenire.

E’ andato avanti per una settimana intera, fino al 25 dicembre.

Ho quasi creduto che finalmente avrei trovato la forza sufficiente per piangere o strapparlo via dal muro e gettarlo nel fuoco.

Magari per entrambe le cose.

Non ho mai sentito un canto di Natale altrettanto straziante.

Gioiose campane a festa. Salazar! Che voglia di farli rimangiare tutti quegli sciocchi ding dong.

Se dovesse ricominciare dubito che saprei trattenermi.

 

- 8 -

I

nvece, pianta la lama molto più in profondità.

“Possibile, Severus, che nulla e nessuno conti più per te? Non esiste qualcuno a cui tieni, con cui vorresti condividere il Natale, per il quale valga la pena vivere?”

L’ira scorre rapida lungo la mia spina dorsale.

Formicola, saetta fino ai pugni richiudendoli intorno ai pomoli della poltrona, spinge le unghie fin nel cuore dell’imbottitura.

Si porta via il sangue delle vene, richiamandolo tutto al viso.

Merlino! Albus, come puoi…

Respiro.

Il legno geme ancora nella mia stretta, ma stiro le labbra a imitare un sorriso di superiorità.

Taci, Severus.

Lascia entrare l’aria.

Buttala fuori.

Morditi la lingua; è solo una tela imbrattata di vernice.

Non è lui, non ha senso gridare.

Ma non riesco a trattenere l’atra sensazione che mi risale dalle viscere.

Mancanza? Nostalgia? Rimorso?

Qual è più potente tra le tre?

Non ce la faccio a tacere; non ho mai saputo tenere la bocca chiusa.

“C’era una persona per la quale valeva la pena di vivere, morire, perfino di uccidere. Ti somigliava. Non sei Albus, sei solo una sua immagine senz’anima, ma questo lo sai già. Non azzardarti mai più a dirmi come devo vivere! Non sei Albus e anche se lo fossi non ne avresti più il diritto”

Mi osserva chinando appena la testa da un lato, con aria critica.

Scuote il capo e gli occhi prendono quell’espressione paternamente comprensiva che mi ha sempre fatto sentire uno stupido.

Decide di ignorare il concetto che gli ho appena ribadito: è solo un disegno.

“Non ti ho dato la mia vita perché tu la sprecassi così” sentenzia severo e implacabile “L’ho fatto perché ritenevo… ”

“Sta zitto!” strillo, odiandomi per il modo patetico con cui sono scattato in piedi; occhi socchiusi e pugni levati.

Sono sempre il solito incapace che non sa tenere a bada le proprie emozioni quanto vorrebbe.

Il tono piagnucoloso con cui ho urlato mi disgusta.

“Ti odio” mormoro in un filo di voce al tappeto verso cui ho puntato gli occhi, serrati a imprigionare lacrime e rabbia.

Ma questo l’ho sentito soltanto io.

I muscoli tesi del viso tremano ribellandosi al tentativo di renderli maschera come un tempo.

“Se volevi restarmi accanto, se tenevi davvero a me avresti dovuto vivere Albus” mi sfugge nell’ultimo singulto d’insopportabile umanità ferita, prima che io riesca a spegnermi come desidero.

“Non me ne faccio niente di una cornice e quattro tratti di pennello”

E’ di te che avevo bisogno; di poter morire al tuo posto.

Placare il tuo rimorso lasciandomi un’ombra di te non basta.

Forse è sufficiente per lavare la tua colpa, le mie non si cancellano ricoprendole con pochi strati di colore ed elargendo belle parole.

T’ho visto cadere quella notte, ora è il tuo turno di guardarmi morire giorno per giorno.

Spero che tu ti senta orribile e impotente quanto me.

Goditi lo spettacolo, Albus, ovunque tu sia.

La sferzata del gelo è diversa da quella della collera, non mi lascia intorpidito; solo vuoto.

Raddrizzo il capo e gli mostro il buio delle mie iridi.

Sprezzante.

La mia condanna la sconto come voglio.

Su chi abbia gettato via la vita dell’altro forse ci sarebbe da discutere, anche se non cambierebbe ciò che sono.

“Ad ogni modo, Albus, no: non c’è nessuno con cui ci terrei a passare il Natale, o qualunque altro giorno dell’anno. Natale è solo una sciocca convenzione. Ho fatto la mia parte, finchè serviva, non devo più niente a nessuno. Ho saldato il conto. E ora vorrei finire il mio libro”

Non parla più.

Se mi concentro sulle righe del volume che ho appena ripescato dalle pieghe del divano posso perfino fingere che non sia lì.

Tace.

Niente carole ipocrite.

Nessuna campana a spandere il suo suono gioioso in questa casa.

Spinner’s End non è una casa come le altre: e la mia Azkaban e il mio Dissennatore, evidentemente, sa quando è il caso di serbare un dignitoso mutismo.

Puoi ricominciare a torturarmi da domani, Albus, va bene?

Oggi non ce la faccio.

Domani. Da domani posso tornare al rimpianto, adesso credo che, malgrado tutto, fingerò di non essere mai nato.

“Mi dispiace, ragazzo” mi è sembrato che sussurrasse.

Ma non ci credo. Non l’ha detto.

Non è lui.

Albus è morto e io sono solo, come sempre, com’è giusto, come voglio che sia.

“Mi dispiace. Ma ho ancora fiducia in te, Severus. Un giorno… ”

E’ solamente un quadro.

Non devo ascoltarlo.

Prima o poi imparerà a restarsene zitto.



[i] Il testo riportato è parte della bellissima “Christmas Carol of the Bells” (Cioè: Carola Natalizia delle Campane), canzone natalizia anglosassone ma famosa in tutto il mondo (che vi consiglio vivamente di ascoltare, perché è stupenda). Questo canto di Natale ha la particolarità di abbinare un testo decisamente gioioso e allegro, con una musica a suo modo malinconica e dolce. Io lo trovo struggente in alcune sue versioni, e ringrazio di cuore Mary per avermelo fatto conoscere. Dal momento che non tutti conoscono l’inglese, eccovi una traduzione, poco letterale e molto all’impronta: Al giovane e al vecchio, al mite e all’audace, ding dong, ding dong, questo è il loro suono (delle campane N.d.A). Con trilli gioiosi tutte intonano un canto natalizio. E ti pare di sentire parole di buon augurio riempire l’aria, provenienti da ogni dove. Oh! Tintinnano forte, con suono crescente, oltre le colline e le (? Chi sa dirmi cosa è “dale” avrà in premio un bacio sotto il vischio) raccontando la loro storia. Gaie rintoccano, mentre la gente canta canzoni d’auguri: Natale è qui! Buon, buon, buon Natale! Ancora e ancora le campane inviano, senza fine, la loro gioiosa voce ad ogni casa. Ding dong, ding dong. Ovviamente, il titolo del racconto è ispirato all’ultima strofa della canzone e, se l’avete letto tutto, ora sapete perché ^_-


   
 
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