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Autore: Darik    10/05/2004    1 recensioni
Qualcuno emerge dal nulla.
Genere: Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Kaname Chidori, Sousuke Sagara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La fine e l'inizio.'
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4° CAPITOLO

La testa le faceva molto male.

Non riusciva a vedere niente.

Non riusciva a sentire niente.

Provò a muoversi, ma qualcosa le bloccava gambe e braccia.

Sotto di lei sentiva qualcosa di morbido, forse un materasso.

Poi sentì dei rumori, una porta che si apriva, passi, ma erano tutti suoni che avevano un qualcosa di strano.

Quei rumori dovevano provenire da un punto che stava vicino a lei, eppure, sembravano… lontani.

Altri rumori, gemiti, un mugugno strozzato e…. una specie di musica in sottofondo.

Alla fine decise di aprire gli occhi, vide tutto appannato, scosse la testa, strabuzzò gli occhi e finalmente la vista riprese a funzionare a dovere.

Si guardò attorno, era in una stanza, la sua stanza.

Le luci erano spente.

E lei era legata mani e piedi al letto, con delle manette.

E come se non bastasse, era mezza nuda, o meglio, indossava solo la biancheria intima.

Sarebbe arrossita per l’imbarazzo, se non fosse stata troppo nervosa per la sua situazione.

Come ci era finita poi in quella situazione?

Provando ad andare a ritroso nel tempo, ricordò che era appena rientrata a casa dalla scuola quando qualcuno le aveva messo un panno sul viso, un panno che aveva un forte odore, poi il buio.

Cercò di svincolarsi dalle manette, senza riuscirci.

“Inutile che ci provi” le disse con calma una voce femminile molto familiare.

Proveniva da un’altra stanza vicino alla sua.

“C…chi sei?”

“Lo scoprirai subito. Speravo che ti risvegliassi una volta finito il film, ma mi costringi ad apportare dei cambiamenti. Aspetta che vengo lì”.

Si sforzò di ricordare dove avesse sentito quella voce, mentre dall’altra stanza arrivavano strani rumori di qualcuno che armeggiava con cavi e un mobiletto.

Poi capì perché quella voce le era familiare: era la sua!

E proprio in quel momento, una ragazza bellissima vestita con una tuta nera e un giubbotto, e con lunghi e fluenti capelli, entrò nella stanza, portando un mobile con sopra una televisione e un videoregistratore.

E Kaname Chidori si sentì mancare il respiro, quando vide che quella ragazza era la sua gemella.

Le squadre di emergenza, prontamente avvertite da Fudo e dagli abitanti delle case vicine, erano accorse al magazzino esploso, e avevano cominciato a spegnere le fiamme.

La polizia invece si organizzava per trovare eventuali testimoni.

Uno dei pompieri, mentre spegneva il fuoco sprigionato da quelle che una volta sembravano delle casse accatastate l’una sull’altra, notò qualcosa che spuntava dal legno in fiamme.

Pensò che fosse un qualche pezzo di metallo, ma se fosse stato metallo, non avrebbe potuto bruciare.

Lo investì con un getto d’acqua, si avvicinò con cautela per osservare meglio, poi indietreggiò inorridito.

“Oh mio Dio…. è… è un braccio umano!”

Kaname non riusciva a credere ai propri occhi.

E per un momento pensò che fosse solo un sogno, cioè, lei, ammanettata seminuda al suo letto, davanti ad una sua sosia.

“Scommetto che stai pensando di sognare. Be, mi dispiace ma non è cosi. Te lo dimostro”.

La sosia si mise una mano sul volto, e sembrò quasi strapparselo, anzi, se lo strappò.

Era una maschera, che la ragazza gettò a terra, liberando una lunga chioma di capelli corvini.

Tuttavia era un viso di donna che non conosceva.

“So che questo mio viso non ti dice niente, ma credo che quest’altro viso lo faccia eccome”.

Tirò fuori una seconda maschera, se la mise, e Kaname per la seconda volta non credette ai suoi occhi.

“M… Michiru?!”

“Ahah, anche se non è il mio vero nome. Se ti interessa saperlo, il mio vero nome è Sadako” rispose la ragazza togliendosi anche quella maschera.

“Sa… Sadako?! E c..cosa vuoi da me?”

“Oh, è vero, non te l’ho ancora detto, che sbadata. Voglio farti tanto, ma tanto, tanto, tanto, tanto male!” spiegò con voce dolce e accarezzandole una gamba.

Kaname cercò di spostare la gamba senza riuscirci, rabbrividendo al suo tocco.

La ragazza prigioniera deglutì: “E… e perché?”

“Una sola parola: Gauron!”

E Kaname sentì ogni muscolo del suo corpo rabbrividire notevolmente.

Quel nome maledetto, sembrava perseguitarla in continuazione.

Ma che poteva c’entrare ancora Gauron con lei?

Era morto da cinque mesi ormai.

“Cosa… c..centri tu con Gauron?”

“Oh, ma non ci arrivi? Pensavo che voi Whisper foste superintelligenti. Dai, di solito perché qualcuno vuole vendicare qualcun altro?”

“Eerr… sei sua figlia?”

“No”.

“La sorella?”

“No”.

“La sua compagna?”

“Bingo. La sua fedelissima compagna!”

“N…non sei un po’ troppo giovane?”

“Oh, l’amore non ha età. Lui non si è mai fatto problemi, io poi ero solita andare a letto con uomini più grandi di me per poi divertirmi a ucciderli. Avevo sviluppato tante di quelle tecniche. Ero una killer professionista, la migliore. La mia tecnica preferita consisteva nel legarli ai letti e poi nel prenderli a rasoiate. Ah, come ero brava con gli schizzi di sangue, dipingevo le pareti col gusto dell’arte. Poi un giorno mi incaricarono di uccidere proprio lui, Gauron, ma sopravvisse, anzi, reagì liberandosi e combattendo con me. Che serata fantastica. Dai calci e dai pugni nacque l’amore!”

Sadako si perse in quelli che erano, per lei, dolci ricordi, assumendo un’aria sognante.

Kaname sorrise nervosamente, capendo di avere a che fare con una pazza.

Ma la paura restava, anzi, aumentò, visto che era prigioniera di una pazza che chissà cosa le avrebbe fatto.

Dov’era Sosuke?

Perché non veniva ad aiutarla come aveva fatto tante altre volte?

Che lo avesse….

No, impossibile!

Lui era il professionista dei professionisti.

“Il mio bellissimo Gauron… ah…. Che nostalgia se penso a lui… e se penso che gli avete fatto una cosa molto brutta…”

Sadako estrasse da dietro la schiena un pugnale con una lama che brillava in modo sinistro.

Kaname si irrigidì.

Sadako se ne accorse: “Oh, non temere, questo. Non voglio usarlo su di te. Ti ho detto che ti farò molto male, ma non sarò io a infliggertelo direttamente. No, perché il cuore è il cuore, ma gli affari sono affari. E tu vali molto di più da viva e in buone condizioni.

Ti consegnerò a qualche gruppo terroristico di quelli ipertecnologici, che ben conoscono le potenzialità della Black Tecnology. E ti assicuro, che per convincerti a collaborare ed estorcere dalla tua bellissima testolina tutte le informazioni che gli servono, ti provocheranno più dolore loro di quanto potrebbe qualunque tortura convenzionale.

Ti riempiranno di aghi, per esempio, te li ficcheranno anche nel cervello, e magari troverai anche qualche tecnico un po’ sadico che te li ficcherà nei genitali”.

Kaname sussultò.

Già sapeva che i metodi usati per sfruttare la Black Tecnology erano orrendi, non perché glieli avevano descritti, ma perché Sosuke si era sempre rifiutato di rispondere alle sue domande sull’argomento.

Un rifiuto più eloquente di qualunque spiegazione.

“E io sarò lì per godermi la scena, e per allietare il tuo soggiorno…”

Sadako accese il televisore, saltò agilmente sul letto mettendosi dietro Kaname, e le cinse la testa incrociando le gambe, per costringerla a guardare in avanti.

Invano Chidori cercò di svincolarsi.

“Tranquilla. Ora vedrai un bello spettacolo. Sai che io adoro i film? In particolare i film di arti marziali cinesi in costume, che contengono delle trovate veramente geniali per mostrare come si può assassinare la gente.

Guarda”.

Sadako prese un telecomando ed attivò il videoregistratore.

E allora Kaname capì che quelli strani rumori che aveva sentito prima, vicini e insieme lontani, erano i rumori di un film.

“Vedi? Quelli sono due esperti di arti marziali, appartengono ad una setta formata da cinque guerrieri, e loro sono conosciuti come il Centopiedi, quello vestito di rosso, e il Serpente, quello vestito di bianco. Utilizzano due modi particolari per uccidere dei testimoni scomodi, osserva”.

Sadako mostrò a Kaname una scena in cui il Centopiedi e il Serpente bloccavano un uomo prendendolo per il collo, e gli ficcavano un uncino giù per la gola.

“Va infilato giù per l’esofago e poi, una volta artigliato quest’ultimo, si tira fuori l’uncino che si porta dietro tutto” spiegò estasiata Sadako

Una scena piuttosto raccapricciante, e non potendo distogliere lo sguardo, Kaname chiuse gli occhi, ma Sadako glieli riaprì a forza.

“E adesso viene un’altra bella scena. Guarda”.

Nella scena successiva, i due personaggi del film bloccavano un'altra persona e la uccidevano ficcandogli un ago sottilissimo e lunghissimo su per il naso, in modo da colpire direttamente il cervello.

“Che cosa fantastica. Attraversa la cartilagine e zak, punzecchia un bel po’ la materia grigia.

Spero che tu abbia potuto gustarti la magnificenza di tali tecniche assassine. E poi gli assassini… li hai visti? Che grazia, che precisione, che mancanza di scrupoli ammirabile. Ci sarebbero anche altri esempi, ma non ho qui tutta la mia videoteca”.

“E’ orribile…” mormorò Kaname.

“Tu non sai apprezzare l’arte. Ma te la farò apprezzare io, mostrandoti dal vivo gli effetti di tali tecniche”.

“Ma… ma hai detto… che… non volevi torturarmi tu…”

“Mmm, sarai pure una whisper, ma ti dimostri piuttosto dura di comprendonio. Da quanto tempo mi sono trasferita sotto falso nome nella tua classe? Da quattro mesi. Perché secondo te? Per far trascorrere molto tempo e impedire che la tua guardia del corpo sospettasse qualcosa? Si. Ma anche per conoscere tutte le tue amicizie, da quelle leggere a quelle veramente importanti”.

Kaname sbarrò gli occhi.

“Tu… tu vorresti…. No… non puoi…”

“Oh si che posso. Mentre tu sarai legata ad un tavolo da laboratorio e circondata di macchinari peggio del mostro di Frankenstein, io mi divertirò a mostrarti le foto dei tuoi amici morti… Kyouko, Mizuki, Mikihara, Kazama, magari anche la professoressa Eri. Potrei anche usare delle foto scattate dopo l’autopsia, con i loro corpi paonazzi, rigidi, il ventre con sopra una bella sutura di quelle lunghe, che dal collo arrivano fino al ventre”.

Di fronte ad una intenzione del genere, Kaname sentì aumentare la sua disperazione e anche la sua rabbia.

Piangendo, ringhiò a denti stretti: “Non puoi fare una cosa del genere! Maledetta psicopatica!”

“Posso, posso. Guarda qui”.

Sadako si scoprì la pancia, piena di cicatrici molto lunghe, e alcune sembravano piuttosto recenti.

“Io godo nel infliggere dolore a me stessa, quindi figurati quanto godo nel infliggere dolore agli altri”.

Come se volesse dimostrarlo ulteriormente, prese il pugnale e si infilzò da parte a parte il palmo sinistro, rigirando la lama nella ferita e facendo uscire molto sangue.

“Soffro, faccio soffrire e godo. E’ questa la mia ricetta di vita” spiegò sogghignando.

“Bastarda! Se non sarò io, allora sarà Sosuke che te la farà pagare!”

“Sosuke Sagara?”

Sadako fece un largo sorriso.

Finalmente il fuoco era stato quasi del tutto domato, e del magazzino ormai non era rimasto più niente, solo qualche grossa trave di metallo.

“Uff, non capitano tutti i giorni incendi simili” si lamentò uno dei pompieri.

“Già, ma non credo che questo sia stato un semplice incendio, visto che hanno trovato due cadaveri carbonizzati dentro quell’inferno”.

La polizia scattava molte foto dei due cadaveri, che erano stati trovati vicini.

Ad un primissimo esame, sembravano i cadaveri di due uomini.

“B…b…bruciato?!”

“Si. Saltato in aria come un palloncino, insieme a quello stronzo che mi ha costretto ad anticipare l’esecuzione del mio piano. Altrimenti avrei aspettato che venissero qui anche quella cagna di Melissa Mao e quell’idiota di Kurtz Weber! Invece dovrò ucciderli in un secondo momento. Peccato. Ah, lo avessi visto quando mi ha abbracciato. E magari è pure andato incontro alla morte credendoti al sicuro grazie alla Mithril. Peccato che io sia ventriloqua, e che lui per la fretta abbia lasciato la radio che tiene in casa accesa”.

Kaname non riusciva a crederci, non voleva crederci.

Cercò di convincersi con tutte le sue forze che quello doveva per forza essere un sogno, anzi, un incubo, assolutamente.

Perché Sosuke non poteva essere morto.

Quello stupido aveva tanti difetti, ma era impossibile ucciderlo.

Era un professionista, anzi, il professionista dei professionisti.

Non poteva essere caduto in nessuna trappola.

Non poteva.

Le venne in mente che se quello era un incubo, allora per svegliarsi doveva usare il metodo che le aveva insegnato sua madre quando Kaname era ancora una bambina.

Contare fino a tre e poi dire ‘mi sveglio’,

Kaname chiuse gli occhi e cominciò a sussurrare in continuazione.

“Uno, due, tre, mi sveglio!”

“Cosa fai! E’inutile, i miei uomini mi hanno riferito che lui e Iassem sono saltati in aria, come avevo programmato. Questa è la realtà, e nella realtà non ci sono i principi azzurri che salvano le principesse!”

La giovane si sforzò di ignorarla e continuò a mormorare le parole della madre.

Doveva svegliarsi!

Svegliati!

Svegliati!

Ti prego…

Un nuovo rumore, di vetri infranti, altri passi, affrettati, uno strano sobbalzo del letto e di nuovo, altri rumori di passi, di qualcuno che corre.

Una pausa interminabile di alcuni secondi.

Mani che le prendono il viso.

Cos’altro voleva farle quella psicopatica?

“Chidori, stai bene?”

Kaname aprì gli occhi.

Era ancora ammanettata al letto, però Sadako non c’era più.

E chi le teneva il viso era…

“S… Sosuke!”

Il ragazzo, con la faccia annerita dal fumo e i vestiti bruciacchiati, la fissava, con la sua solita espressione impenetrabile.

Però nei suoi occhi si leggeva la preoccupazione, l’ansia, per la ragazza.

Kaname non disse nulla.

“Aspetta che ti libero” disse il ragazzo, che usando un piccolo ago, aprì le manette che bloccavano la ragazza.

“Come stai?” le domandò ancora Sosuke.

Kaname ancora non disse niente, e lo abbracciò solamente, facendosi scappare qualche singhiozzo.

Si stringeva forte a lui, come se volesse sincerarsi che non fosse un sogno.

“Sono caduto in una trappola, molto ben congegnata tra l’altro, e riuscire a salvarsi è stata soprattutto una questione di fortuna” spiegò Sosuke.

Kaname però non prestò attenzione alla parole del ragazzo, voleva solo abbracciarlo.

Sosuke, inizialmente imbarazzato, un po’ tentennante rispose all’abbraccio.

Poi Kaname si ricordò: “Un momento… quella pazza assassina… Sadako, è ancora qui!”

“Si, ma di lei si sta occupando qualcun altro”.

Sadako, saltando giù da una finestra del bagno, era riuscita a raggiungere la strada, e ora si era infilata nel parcheggio sotterraneo di un altro condominio, per trovare una macchina che le permettesse di fuggire.

“Idioti! Idioti! Lo sapevo, chi fa da se, fa per tre! Non avrei mai dovuto affidarmi a quei due imbecilli!”

Si avvicinò ad una macchina rossa, sfondò il finestrino facendo scattare l’antifurto, entrò, disattivò l’allarme e collegò i fili per accendere il motore.

Ci riuscì al primo tentativo.

“Si! E adesso via, più veloce della luce!”

“Sadako!” gridò una voce maschile.

Iassem, anche lui con la faccia leggermente annerita dal fumo e i vestiti bruciacchiati, era davanti alla rampa d’ingresso del parcheggio, che brandiva la sua spada, fissando con occhi di ghiaccio la sua preda.

Ghignando Sadako allungò un braccio fuori dal finestrino, chiuse il pugno e tirò fuori il dito medio.

Poi premette l’acceleratore a tavoletta e la macchina partì a razzo facendo sgommare le ruote posteriori.

Sadakò puntò dritto contro Iassem, che due secondi prima dell’impatto saltò verso l’alto e atterrò sul tetto della macchina reggendosi ai bordi.

“Abbiamo una piattola a quanto pare” commentò Sadako, che cominciò a far muovere la macchina a zig zag andando a sbattere contro le pareti della rampa.

L’auto sbucò fuori dal parcheggio sotterraneo, sfondò il cancello che chiudeva il piazzale del condominio e finì in strada.

Le strade in quella zona erano per la maggior parte molto strette, non adatte per correre, ma alla folle guidatrice dell’auto rossa non importava, correva alla velocità massima spostandosi da destra a sinistra, andando a sbattere contro i muri della case e facendo sprizzare scintille e andando addosso ai bidoni delle immondizie facendoli volare per aria.

“Ti diverti, Iassem?” gridò in preda all’euforia la donna, mentre Iassem stringeva i denti e cercava di tenersi il più stretto possibile.

Ma non avrebbe resistito a lungo, quindi si sporse e attraverso il finestrino rotto cercò di afferrare Sadako.

“Fermò lì!” esclamò la ragazza estraendo una pistola da una tasca segreta del suo giubotto e sparando numerosi colpi verso l’alto.

Per un pelo Iassem non fu colpito e si spostò verso l’altro lato.

Ma il tetto si riempiva sempre più di buchi, e con un solo secondo per decidere, Iassem si spostò sopra il portabagagli, Sadako lo vide nello specchietto retrovisore e sterzò bruscamente, facendo perdere l’equilibrio all’uomo.

Iassem cadde dalla macchina, ma riuscì a infilare la sua spada nel bagagliaio, e cosi si ritrovò trascinato dalla macchina, con le gambe che strisciavano sull’asfalto.

“Ah si? Be, vediamo chi è più duro” disse allora Sadako, frenando di botto e inserendo la retromarcia.

La macchina ripartì a razzo andando all’indietro, e Iassem rischiava ora di essere travolto dalla macchina o di finire con le gambe sotto le ruote.

Sadako sembrò contrariata per l’ostinazione del suo nemico, poi vide qualcosa che faceva al caso suo.

“Gli insetti vanno schiacciati!”

E puntò dritto contro il muro di cinta di una casa.

Pochi secondi dopo la macchina si scontrò violentemente col muro, ritrovandosi con tutta la parte posteriore distrutta.

Il sobbalzo fu molto violento, Sadako andò anche a sbattere contro il volante con la fronte, ferendosi.

Scosse la testa per schiarirsi le idee, si guardò la fronte che cominciava a sanguinare e un sorriso di felicità le apparve sul viso.

Improvvisamente Iassem rotolò fuori da sotto la macchina, e attraverso il finestrino rotto, attaccò con la sua spada Sadako.

La ragazza fece in tempo a vederlo, usò la mano sana per bloccare la lama, ma riuscì solo a deviarla e la colpì alla spalla destra.

Sadako gridò, un grido di dolore e di gioia, afferrò la sua pistola che le era caduta sul sedile affianco al suo, Iassem prontamente le balzò addosso attraverso il finestrino per disarmarla, Sadako premette l’acceleratore, la macchina partì acquistando sempre più velocità, e trascinandosi dietro Iassem che ancora strisciava con le gambe sull’asfalto, mentre con una mano reggeva la spada infilata ancora nella spalla della donna, e con l’altra lottava per strappare alla sua nemica la pistola.

Sadako guidava con difficoltà, ferita e usando un braccio solo, ma non se ne preoccupava, anzi, sembrava esaltata da quella situazione.

“Ti schiaccio! Ti schiaccio!” gridò con una voce stridula, l’espressione pazzoide.

Cominciò nuovamente a spingere la macchina contro uno dei muri che costeggiavano la strada, e Iassem si spinse il più possibile dentro l’abitacolo, lasciò la spada, afferrò il volante e lo girò verso l’altro lato.

Un istante dopo l’auto strisciò contro il muro, pochi metri più avanti c’era un palo della luce, Iassem si allontanò dalla macchina facendo leva con entrambe le braccia contro lo sportello.

La macchina si schiantò fragorosamente contro il palo, Sadako venne proiettata fuori dall’abitacolo sfondando il parabrezza e finendo sull’asfalto, dove rotolò su se stessa per una decina di metri prima di fermarsi e restare immobile.

Iassem si rialzò, e un po’ barcollante, si avvicinò alla macchina per recuperare la sua spada.

Sadako giaceva ancora immobile sull’asfalto, con la faccia rivolta verso il basso.

Sembrava morta, ma Iassem per sicurezza le avrebbe dato lo stesso il colpo di grazia con la sua spada.

Guardò dentro il finestrino, vide la spada e la pistola, e prese la prima.

Le pistole non gli piacevano, anche se sapeva usarle benissimo.

Poi un rumore, e un’ombra gli si lanciò contro.

Sadako gli si avvinghiò addosso e tentò di strozzarlo.

La sua presa era simile ad una morsa d’acciaio, ma Iassem si liberò dandole una gomitata nello stomaco e scaraventandola a terra.

Sadako però reagì dando un calcio in piena faccia all’uomo e facendolo indietreggiare.

La ragazza si rimise in piedi: “Ti sembra questo il modo di trattare una fanciulla?”

“Avrai anche il corpo di un essere umano, ma dentro sei solo un demone!”

“See, see!”

Sadako estrasse due lame retrattili dai polsi, e attaccò Iassem, che parò tutti i colpi con la sua spada.

E Sadako faceva altrettanto con i fendenti dell’uomo, dimostrandosi molto agile nonostante le ferite.

Poi, ad un fendente laterale di Iassem, Sadako lo afferrò per un braccio e approfittando dello slancio dell’uomo, riuscì a scagliarlo sopra il tetto della macchina.

Ma Iassem atterrò su un braccio, girò su se stesso e scagliò la sua spada contro Sadako, infilzandola stavolta in pieno petto e passandola da parte a parte.

Sadako indietreggiò, chinò la testa, poi la rialzò, con il viso quasi stravolto dalla follia, cominciò a sghignazzare, con il sangue che iniziava copioso a uscirle dalla bocca.

Sembrava davvero una creatura infernale.

E si rilanciò all’attacco con i pugnali in avanti.

Iassem scese dal tetto dell’auto, la bloccò allungando una gamba, estrasse la spada dal suo petto, ruotò su se stesso e decapitò quella psicopatica.

Il corpo decapitato stramazzò al suolo, percorso da alcuni spasmi muscolari, mentre la testa rotolava dall’altro lato della strada e il sangue sprizzava dal collo.

“E cosi la mia vendetta è compiuta” esclamò impassibile l’uomo.

Tirò fuori da una tasca un ciondolo di legno e lo strinse.

Sentendo poi in lontananza le sirene della polizia, sicuramente avvertita dagli abitanti delle case vicine, l’uomo si allontanò da lì con passo veloce.

  
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