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Autore: Aliens    07/06/2012    3 recensioni
In fondo, tuttni noi nascondiamo piccoli segreti...
una racoclta di One-Shot incentrate su una strana coppia, quella formata da Leni e Tom, due figure conosciutesi in una palestra di arti marziali che, con competizione, odio-amore reciproco, trasferte ecc, danno inizio a simpatiche avventure...
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giù le mani!

Non sono innamorato, sono possessivo, è diverso.

 

 

 

 

 

Vi è mai capitato di sentirvi dire, con la costranza di un mantra indiano, “sei innamorato”?

No.

Bene, vi invidio.

Mio fratello è da ieri che me lo ripete, con la costanza di tre volte al secondo. Me lo ripete così tante volte che anche adesso che fisso il soffitto bianco della mia camera, sento la sua vocina infilarsi nelle orecchie fino a farmi venire i nervi. Mio fratello ha la capacità di farmi saltare i nervi con un non nulla.

Il mio cellulare suona appena e io lo afferro con la mano pesante. Chiunque sia ha già rotto il cazzo in parteza.

Me lo porto all’orecchio «Pronto?»

«Sei innamorato!»

Aggrotto le sopracciglia e sbuffo «Bill» esasperato.

Anche per via cellulare mi deve scassare i coglioni. Mi alzo dal mio letto facendolo cigolare e apro la porta, dove trovo il suddetto, il telefono premuto all’orecchio e un vassoglio di Wafflen nella mano libera.

Ridacchio mentre sporge verso di me il vassoglio e trilla un «Offerta di pace?» e lo lascio entrare.

Che cosa sta scatenando la furia di mio fratello, o, per meglio dire, la mia?

Oh, beh, facciamo un passo indietro, precisamente a ieri sera.

 

C’è qualcuno che dice che appena sei sicuro di saper far a botte puoi camminare a testa alta in ogni posto. Questo cazzone, evidentemente, non ha mai messo piede in un Dojo con i contro cazzi come questo. La lezione è semplice, se il colore della tua cintura non è nera beh, stai pur sicuro che a botte non sai fare e, in ogni caso, nemmeno quando stringi tra le mani quel pezzo di raso del colore delle tenebre hai la convinzione di essere il migliore. Solo i coglioni che credono di averlo solo loro possono pensare, davvero, di poter entrare in palestra e fare come se fossero loro i padroni. Solo gli incoscenti si metterebbero contro un pluricampione del mondo quale io sono.

Il divertente, però, sta anche nel fargli chiudere quella boccaccia egocentrica e sempre aperta.

Scesi, come sempre, verso lo spogliatoio spegnendo, nel passaggio, la luce alle ragazze. Un “Ti stacco le palle Tom” venne dall’interno accompagnanto dalla porta che si apriva e sbatteva contro la parete. Il perché l’interruttore fosse fuori dagli spogliatoio rimaneva uno dei grandi misteri del Dojo. Mi voltai appena e notai Leni sbucare dalla porta come una furia e spingere l’interruttore con una tale forza che ebbi paura che l’intero impianto elettrico saltasse.

Seguii, senza ritegno, il suo corpo fasciato dal kimono nero –identico al mio- e le curve leggere e ben evidenziato da quel tessuto lucido. Le gambe lunghe e snelle erano coperte da quel pantalone largo e comodo che le dava il fascino della Guerriera. La sua chioma color fiamma, poi, era il tocco finale. Le piccole onde dei capelli le ricadevano intorno al viso quasi fossero senza peso e le davano l’aria da bambina. Di solito, almeno in palestra, quell’indomata chioma color rubino era intrecciata in una sofisticata crocchia che le dava la miglior visuale possibile: ergo, le dava maggior possibilità di fare a pezzi qualcosa. La sua era la bellezza più letale che avessi visto. Le sue mani, fine ed eleganti, sembravano martelli quando ti colpivano. Mi scoccò un’occhiataccia con quegli enormi occhioni blu «Non cresci mai, vero?»

«Perché dovrei? Sei sexy quando scleri» la rimbeccai scoccandole un’occhiata maliziosa.

La vidi tremare appena mentre alzava il dito medio per mandarmi, gentilmente, a farmi fottere. Ridacchiai e mi avvicinai a lei con la mia solita camminata dinoccolata. Mi abbassai verso il suo viso e le stampai un bacio sulle labbra, facendola pietrificare. Le morsi lentamente mentre lei cercava di spingermi via.

«Ma sei matto?!?!» esclamò tenendo la voce bassa.

«Non dirmi che ti è dispiaciuto» la presi in giro «Avresti voluto infilarmi la lingua in bocca»

«Sta’ zitto» si allontanò da me come presa da una scarica elettrica mentre sentivano dei passi avvicinarsi «Non mi sembra il caso di farci scoprire» mormorò mentre notavo un paio di Air Max bianche fare il loro scintillante ingresso.

«Ah Ah la storiella la so» mormorai a mia volta «Va bene scopare ma non sotto gli occhi degli altri».

«Bravo bambino» sorrise lei dandomi una spinta «Vatti a preparare» mi disse prima di scomparire di nuovo nello spoiatoio. Non potei fare a meno di guardare il suo culetto sodo mentre spariva dietro la porta e me lo figurai nudo, in tutte le angolazioni in cui l’avevo presa.

Era abbastanza da porci ricordare le posizioni in cui ti eri fatto una ragazza, ma, quando ce l’avevi sotto gli occhi tutti i giorni, non potevi fare a meno di figurartela sotto di te che ti manda a fare in culo quando gli sussurri frasi sporche alle orecchie –perché solo Leni Beck può mandarti all’inferno durante l’amplesso- o che urla il tuo nome durante l’orgasmo.

Ho sempre detto di avere il cervello nelle mutande.

Gongolando mi girai verso la porta degli spoiatoi.

«Ehi, amico» mi sentii chiamare dalla voce di uno sconosciuto.

Mi girai e mi ritrovai al cospetto di un ragazzino biondo che sembrava conciato come un culturista in decadenza. I capelli biondi ricci ed indomabili gli circondano il viso dall’espressione tronfia. Indossava una t-shirt bianca –nonostante fosse novembre- attillata che mostra un accenno di pettorali. L “amico” ne deve andare fiero. Stringe una borsa tra le mani e mi guarda come se fossi IO il novellino.

«Si, amico?» calcai la parola come se fosse un insulto.

Mi stava già sulle palle quel tizio.

«Sono questi gli spogliatoi?» chiese indicando la porta in cui era sparita Leni.

Fui tentato, lì su due piedi, di assentire e farlo picchiare, subito dopo, dalla “furia rossa”. Nello spogliatoio maschile era quello il modo di chiamare Leni. Ma, in fondo, avevo pietà di quel piccolo pallone gonfiato.

«No, quello è quello delle ragazze e se non vuoi trovarti con il culo sfondanto il primo giorno di allenamento, amico, è meglio che non provi mai ad entrarci senza permesso esplicito» gli sorrisi maligno «La furia rossa non potrebbe avere pietà di te».

Detto quello abbassai finalmente la maniglia del mio regno.

«Tom» esclamarono appena entrai e, senza volerlo, lanciai un’occhiata al tizio dietro di me.

Cocco, un ragazzino tronfio non mi scavalcherà.

 

Le ragazze, come sempre, erano già dentro quando arrivammo. C’era una qualche legge, inversa, che donava alle ragazze delle Arti Marziali la velocità nel prepararsi che non avevano nella vita fuori di Dojo.

Leni stava già saltellando e –come ho detto il mio cervello risiede tra i miei boxer- rimasi a guardare i suoi seni piccolini muoversi al tempo del suo esercizio.

Eravamo quelle due macchie nere nel mare bianco degli allievi.

«Perché quella figa lì porta la divisa nera?» chiese il coso nuovo mentre entrava sul tatami.

«Ci sono un paio di cose che devi sapere» lo informò Bill inchiandosi «uno, prima di entrare sul tatami devi inchinarti, due la divisa si chiama kimono e tre…»

«Il kimono nero è solo per le cinture nere» interruppi mio fratello «Leni ha iniziato con me»

Ed è mia, ma questo mi tengo bene dal non dirlo.

«Quindi è forte?» chiese il coso.

«C’è da chiederlo?» intervenne Luc sistemandosi la cintura giallo arancio «è la Furia Rossa, picchia come un fabbro»

«Già» piagnucolò David guardandola «Specialmente quando decide che farti volare è il suo obbiettivo dell’allenamento»

Guardai i miei compagni che, incosciamente, mi stavano aiutando a demolirlo.

«Leni è in nazionale da circa cinque anni» spiegò Alex con calma «Come Tom, entrambi hanno vinto cinque campionati mondiali su cinque» mi guardò e gli sorrisi.

Non è una leccata di culo. Nelle Arti Marziali ognungo riconosce il merito dell’altro.

Mi battè una mano sulla spalla e sorrise «Il nostro Tom diventerà un grande»

Il tizio mi guardò attentamente «Non deve volerci tanto a vincere un campionato mondiale in questo sport se lo hai vinto tu»

Fu un attimo.

Mi voltai verso di lui e aprii gli occhi «Come, prego?»

«Cazzo» Bill fece un passo indietro tirando anche Antony che se la ridacchiava «Vai a dire ad Anne di preparare il ghiaccio secco, Tom gli stacca le palle a quello»

E aveva ragione. Lo avrei fatto se non fosse apparsa Leni alle mie spalle e non mi avesse guardato sorridendo «Che succede?»

Sorrisi «Il tizio nuovo dice che potrebbe battermi…»

Notai appena lo sguardo di quel tizio posarsi sulla ragazza. Sembrava volerla spogliare con lo sguardo.

Digrignai i denti mentre lei mi guardava come a rimproverarmi e sibilava appena «Non buono»

«Senti, tizio, è meglio per te che tu abbia un paradenti, o davvero, oggi ti faccio saltare i denti»

«Lo sanno tutti che voi che fate arti marziali, al dunque, non sapete fare un cazzo» annunciò con sicurezza.

«Oh, vuole morire… bene» mormorò Simon «Io non lo calmo Tom, l’ultima volta mi ha fatto un occhio nero»

Beh, anche io sono soprannominato “Furia Nera”.

Siamo sempre stati gli innarrivabili nel gruppo, io e Leni, le Furie. Ricordo che quando Bill cominciò ci chiava il “Binomio del Male” perché, in realtà, nonostante la nostra antipatia reciproca, quando facevamo squadra potevamo creare l’inferno.

Leni, al mio fianco, sorrise «Se la pensi così, perché sei qua?»

«Per primeggiare anche qui» le rispose «E perché alle ragazze piace il ragazzo che fa Arti Marziali».

Lei inclinò la testa e posò un braccio sulla mia spalla, sorridendo «Benvenuto allora, io sono Leni Beck, comincia a metterti in fondo la fila».

 

Leni è sempre stata la mia alleata contro i novellini tronfi e quella volta non faceva eccezione.

Lui, in fondo alla fila, dietro Meg, aspettava il suo turno. Il corpo libero poteva essere una condanna per molti, per svariato tempo lo fu anche per me.

«Leni e Tom, iniziate voi, verticale base, spaccata, poi tornate indietro e vi fate la sala con la passeggiata in verticale» ordinò il Sensei mentre la rossa si posizionava al mio fianco «Vi voglio in equilibrio alla verticale base, almeno un minuto ok?»

Annuimmo mentre il nuovo arrivato guardava.

«Voi iniziate a correre sul posto» disse al resto della fila «Andreas, tu guarda, poi proveremo a fare la verticale»

«La so fare» sputò quasi con disprezzo.

Lo guardai e sorrisi mentre Alfred annuiva «Sarà più semplice allora» ci guardò «Forza, andate»

Guardai il profilo della ragazze che, con uno slancio perfetto, si issò sulle braccia. Feci altrettanto e sapevo perfettamente che chi ci guardava non notava lo sforzo. Non lo notava perché non c’era.

«Su una mano» ordinò il Sensei e noi eseguimmo restando perfettamente in equilibrio «Vedete come tengono contratti gli addominali? È questo il segreto, e se qualcuno si sta chiedendo perché riescano –sempre-» sono sicuro che ci ha dato un’occhiataccia «A rompere i colpitori con i pugni, beh, avete la risposta. Se riescono a stare in equlibrio è perché hanno forza nelle mani» spiegò «Giù, spaccata»

Completammo il circuito senza problemi.

«Hai già preso in antipatia quello nuovo?» mi domandò la rossa mentre ci rimettevamo in fila.

La guardai «Potrebbe stare simpatico a qualcuno, è un tale pallone gonfiato»

«Mi ricorda qualcuno in Russia» ridacchiò lei dietro di me «Sono il migliore, cocchi, non provate a fottermi il titolo» mi scimmiottò.

«Era il mio primo mondiale, cazzo» la fulminai «E parla lei»

Lei scosse la testa «Non lo traumatizzare solo perché non ti piace, fallo tornare a casa»

«Va bene…» mormoro «Ma questa sera devi…» mi appoggiai al suo orecchio e le sussurrai qualcosa sorridendo.

Sgranò gli occhi e mi diede una spinta «Tu sei matto»

«Tanto lo so che lo vuoi fare pure tu»

Mi diede un’occhiata indecifrabile prima di ridere e spingermi appena.

Il tizio, però, ha già guardato troppo.

 

Ero un tipo paziente, lo sono sempre stato, basti pensare che Bill era ancora vivo.

Ma quel tizio stava iniziando davvero a minare la mia forte pazienza. E non era un bene. Atterrai Ali con una mossa fin troppo precisa per l’attenzione che gli stavo rivolgendo –cioè nulla- e fissai gli occhi sulla coppia che mi stava irritando.

Lotta in ginocchio terzo livello: la prima volta che toccai davvero Leni fu durante l’esecuzione di questa.

Lavevo atterrata e mi stavo prestando a sottometterla salendole sopra e, come per magia, la mia mano era tra le sue gambe. Pochi sanno che se diventi un maniaco è anche per lo sport che pratichi.

Avevo appena tredici anni e lei dodici quando successe quel fatto e –neanche a dirlo- all’epoca mi presi uno schiaffo in faccia con i controfiocchi. Adesso non ci fa nemmeno caso.

E vorrei vedere, visto i nostri rapporti.

Fatto sta che, anche quel giorni, ci toccava la tortura cinese per eccellenza.

Il coso, poi, capitò proprio con Leni Beck, non mi sorprese nemmeno più di tanto vederlo soffocare sotto le manine fatate della Furia Rossa, a malapena riuscivo a darle corda io.

Ali provò un attacco che si rivelò essere fallimentare quando lo sbattei a terra e lo impringionai per la testa «Batti» sbuffai.

Annaspò appena e seguì il mio consiglio, battendo una mano sul tatami.

Lo liberai e mi tirai su, lo sguardo sempre puntato sui due. Il coso fece una smorfia quando Leni provò una blanda presa articolare. Che cazzone, non stava nemmeno mettendo un millesimo della sua forza.

Notai che allargava le gambe mentre lei continuava la presa articolare sulle braccia prima di arrotolarsi e provare un’altra presa di sottomissione.

Fu in quel momento che il tizio –Andreas- mise una mano dove non doveva.

Strinse il sedere di Leni tra le mani mentre lei si rialzava. Lei non se ne accorse nemmeno ma il suo sorriso tronfio mi fece salire il sangue al cervello.

Quello non lo doveva fare.

«Tom… cacchio… mi stai strozzando» balbettò Ali battendo freneticamente la mano sul tatami. Lo guardai e mi scusai subito dopo.

Lo liberai mentre lui tossiva toccandosi la gola.

Il coso lo rifece ancora, con più spudoratezza e mi sorrise, voltandosi.

Il suo sguardo alla “questa me la scopo”, mi irritò al tal punto da farmi rizzare in piedi e attirare l’attenzione del Sensei. «Sensei?»

«Sì, Tom?» rispose lui cordiale.

«Stavo notando che non sono mai stati con quello nuovo oggi, mi chiedevo se al prossimo giro potessi fare con lui» domandai angelico attirando l’attenzione di tutti, specialmente quella di Leni.

Mi guardò con evidente confusione e io le sorrisi, malizioso, come sempre. Un modo come l’altro per farle capire che andava tutto bene.

«Sì, non vedo cosa ci sia di male» assentì il Sensei «Voi cambiate, due minuti e vi preparate per il combattimento»

Mentre le persone sfilavano dietro di me mi avvicinai ad Andreas con passo tranquillo.

Mi inchinai davanti a lui e mi lascai ricadere sul pavimento in ginocchio. Il coso mi guardò e sorrise «Devi avere dimestichezza nel stare in ginocchio eh?»

Lo guardai. Aveva voglia di provocare eh?

Lo afferrai per una mano e lo sbattei aterra senza preavviso, facendogli sbattere la testa contro il tatami «In posizione» ordinai mettendo le mani sulle sue spalle.

Lo fissai dritto in quegli schifosissimi occhi blu e, con durezza, gli diedi una leggera spinta, solo per vedere la sua reazione.

Il Sensei, di fatti, ci stava guardando.

Solo quando si sarebbe girato avrei potuto vendicarmi.

Lui sorrise –come sempre tronfio- e mi diede una spinta che lui reputò forte e che io assecondai spostandomi appena.

«Solo questo sai fare?» mi domandò spingedomi in avanti.

Io lo osservavo neutro. Il Sensei, intanto, si stava voltando verso gli altri. Quando fu completamente di spalle sorrisi satanico. Il ragazzino non sapeva davvero contro chi si stava mettendo.

Lo afferrai per un braccio con entrambe le mani e, caricandomelo sulle spalle, senza muovere le ginocchia, lo sbattei a terra provocando un rumore assurdo che si propogò per la palestra e fermò molte persone.

Il rumore sfumò nel mugugno del ragazzo. Si voltò sulla schiena mentre, con un balzo felino arpionavo la sua testa con le braccia e lo spingevo sotto di me, quasi a soffocarlo.

Leni scosse la testa divertita mentre il ragazzo cercava di liberarsi.

«Batti» gli dissi con superiorità «Solo lo stupido crede di aver affossato qualcuno con una spinta, solo un coglione preserva la sua dignità soffocando».

Era una frase che spesso ci diceva il Sensei, certo, meno volgare, ma diretta.

La rabbia, la superiorità, rende ciechi ed inetti, preda di sentimenti paralizzanti e fatali. Non si saliva mai su un tatami con l’idea di surclassare l’avversario, si perdeva se la rabbia prendeva il posto della ragione.

«Mai».

Lo sbattei a terra una seconda volta e quasta volta afferrai una delle sue gambe torcendola in una posizione innaturale. Annaspò e sorrisi satanico.

Aumentai la forza, restando, comunque, ad sotto il limite della forze minime necessarie, e gli feci sgranare gli occhi «Fossi in te, batterei quella cazzo di mano».

«Ti ho detto che non lo farò mai».

Tirai ancora di più quella povera gamba e lui urlò facendomi sorridere.

«Tom, smettila» mi rimproverò il Sensei girandosi «Lo so che per te quello è piano, ma è alla prima lezione!»

Lo mollai –perché al Sensei non potevi mai dir di no- e mi alzai dalla mia postazione guardandolo da sopra «Ricorda, novellino, una mente arrabbiata e tronfia è solo una fottutissima mente limitata! Tieni a mente le mie parole»

E con un sorriso compiaciuto mi diressi verso il mio borsone.

E non avevo nemmeno iniziato a divertirmi.

 

Io e Leni eravamo solito non usare protezioni.

Indossavamo guanti da Wushu (o da MMA) e, in tempo di gara, anche un paradenti.

Quel giorno indossavamo solo i guantoni.

Iniziavamo noi ogni sessione di combattimento e la finevamo. Con un inchino all’inizio dle combattimento dammo il via alle danze. Battemmo tra noi i pugni in segno di rispetto (come se l’inchino non bastasse) e iniziammo a combattere.

Combattere con Leni era come fare sesso con lei, una lotta per la supremazia che ci sfiniva.

Lei iniziò con un calcio cincolare basso alla tibia che rimbombò per il Dojo e un circolare girato che mi colpì al viso. Fui veloce, con una spazzata la feci barcollare –ma non cadere- e la colpii con un montante al mento.

Era solo l’inizio.

Io ero forte, lei scattante, io ero preciso, lei era atletica. Eravamo come una sola entità sdoppiata.

«Lo stavi ammazzando quello lì» mi disse mentre mi anticipava un pungno diretto con un calcio frontale con la gamba avanti sugli addominali.

«Ti ha toccata» le dissi mentre le afferravo la gamba e la spingevo verso di me per farla cadere.

Fu veloce a divincolarsi «Quando?»

«Fidati, lo ha fatto» le spifferai mentre il Sensei ci urlava di fermarci e fare il saluto «Ti ha palpato il sedere e mi stava guardando con tronfia soddisfazione, era mio compito punirlo visto che posso toccarti solo io»

«Non stiamo insieme» ci tenne a precisare «Ma apprezzo il tuo gesto»

«Non ho finito di punirlo, tranquilla» le riferii mentre tornavo sul tatami e facevo gesto a quel coso di mettersi davanti a me «Goditi lo spettacolo».

Leni mi fece una smorfia e scosse la testa.

E mi vendicai alla grande facendolgi più di un ematoma e buttandolo a terra così tante volte che persi il conto.

Mi divertii a vederlo scappare via appena il Sensei decretava la fine dell’incontro. E mi divertii ancora di più quando Leni lo prese a calci nel culo.

E fu lì che Bill, gattonando, diede inizio al suo mantra.

«Sei innamorato di lei» mi sussurrò in un orecchio.

«No Bill» lo guardai «Non sono innamorato, sono possessivo, è diverso».

 

   
 
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