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Autore: Hyarviel    26/12/2006    0 recensioni
Inizia con il racconto di un Sogno, poi proseguo a sognare a puntate, e riporto i miei sogni su carta, giusto per fare più chiarezza. Ho cercato di ricreare l'atmosfera onirica, spero d'esserci riuscita.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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zero zero zero zero zero, zero zero

Dolcezze

Qualcosa di dolce da gettare ai cani.
Che magari lo mangiano, aprendo e spalancando le fauci a forza di colpi e morsi forti – tanti canini e denti di vario tipo nelle mele candite, le stecche di cioccolato e tutte quelle sbarre a forma di bastone, bianche e rosse, che gli americani chiamano “candy bars”.
Noise of the beautiful one
Il mio unicorno (pezzi di cenere si staccano dal soffitto / che bello sembra neve)
saltella speranzoso ai piedi del letto, strofina il muso bianco secco contro i miei piedi, le gambe lisce e il lenzuolo stropicciato
«dai, alzati
mi dice leccandosi quel che un unicorno può avere come labbra
non lo considero e mi rigiro dall’altra parte

Aaron è di plastica, ma più che plastica sembra creta o vetro, più pietra che altro.
Aaron è bello e non sembra lui, mi guarda dall’alto della sua generica aria da statua.
Greco adone scolpito nel marmo, un culo perfetto che non saprei aggiungere altro.
E’ appoggiato ad un muretto con del prato, cristallizzato nella sua posa plastica di attenzione, fermo, e con una farfalla ferma sulla spalla.
Mi ci avvicino, a lui, sciogliendo il mantello e quantaltro mi ricopra
sembrano galleggiare i versi che sussurra e canta senza la cetra di orfeo, o era la lira.
Voglio ricoprirti di the / annullare il tuo profumo
mentre bevo dal tuo seno, il nettare caldo della tua psiche
sei un coglione / penso io. Io penso e lui no – dev’essere questo il punto
mentre mi avvicino perde il suo colore, marmo grigio e si fa sempre più carne, muovendo le dita
la farfalla scappa, ma io non so precisamente perchè.
«dov’eri?
«da quando in qua sono cazzi tuoi?
«avvicinati ancora
mi avvicino, debole e gentile, appoggiando le labbra sulle sue
sono completamente spogliata da ogni difesa, da ogni costume e vestito, e pure lui – la carnepietra che lo compone è dura e grezza.
la mia pelle gentile cozza contro la sua ruvida e secca / olio, olio in abbondanza
mi chino su di lui e le mie dita e le mie labbra lo sfiorano ovunque mentre scuote la chioma corta inarcando la schiena / strano Aaron che si morde la lingua – strano Aaron che non dice cazzate, che sgorga veleno e sudore dalla fronte greca, cola sul mento e la barba sfatta, gocciola un po’ a terra.
Semplicemente strano, direi, in bilico sul cornicione di un edificio bianco
ora scuola, ora guardo giù, è proprio una scuola, ci sono le aule vuote dentro / speriamo che non entri nessuno, se no siamo finiti, o se no me ne frego direi, anche, basta che non si appiattiscano tutti contro l’espositore, basta che non puntino le dita grassocce e unte contro il vetro, additando chissà cosa di mio, o di suo, o di nostro, o il movimento. basta che non parlino.
Si trattiene dall’urlare o forse dallo svenire, non lo capisco, la sua pelle è colorata e ormai quasi abbronzata, poco i gomiti ancora grigi, e le mani resistono contro il bianco latteo del muro, le piante dei miei piedi spingono contro la parete e lo guardo fisso negli occhi, struscio le ginocchia, i talloni e le caviglie, suscitandogli altre smorfie incomprese.
Si trattiene dall’urlare o forse dallo svenire.
Trattiene il respiro.
E poi sputa. Tutta l’aria che aveva nei polmoni, in una sola volta. come se stesse vomitando roba dalla bocca solo che non esce niente. ricomincia a respirare affannoso. e poi si calma.
E’ solo a quel punto, a quello soltanto che guardo giù, dietro le mie spalle, e vedo un asilo.
asilo cioè bambini di massimo cinque sei anni che giocano in giardino, alcuni distratti, alcuni attenti alla mia schiena.
Una maestra bionda mi guarda.
Con gran poca approvazione.

  
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