Ciao a tutti!
Per prima cosa: tanti auguri a
tutti, anche se in ritardo!
Grazie per i commenti! Ho
recepito il messaggio: Sesshomaru
cieco non vi piace. Rassicuro tutti: NON è una condizione permanente!
Ma adesso bisogna andare a vanti.
Cosa accadrà? Per un po' Sesshomaru
e Alessandra non ci saranno, ma non disperate. Spero che la storia vi piaccia
lo stesso.
Visto che siamo sotto le feste, e
che non ho molto tempo, posto due capitoli, fatemi sapere.
Buona lettura!
CAPITOLO 18
RABBIA
Fatica.
Aveva faticato non poco a
raggiungere il suo palazzo. Una spossatezza che poche volte aveva provato. Si era
materializzato in una delle innumerevoli stanze buie. In una nube di miasma
velenoso. Lo aveva respirato. A fondo. Per cercare di recuperare un po’ di
forza. Come se fosse ossigeno. Il suo veleno…la sua vita
Chiuse gli occhi, digrignando i
denti. Quel maledetto…C’era andato vicino, questa volta. Vicino a vincere. A
ucciderlo. Lui: il mezzo-demone che vantava lo youki di un youkai
puro. Lui. Naraku.
Sconfitto. E vincitore al tempo
stesso. In uno scontro che non era andato secondo le previsioni. Che aveva
avuto una piega del tutto inaspettata. Un atteggiamento strano, nel suo
avversario. Non era morto. Non era riuscito a farlo uccidere. Ma almeno lo
aveva ferito. Gravemente. L’oni
era riuscito fargli entrare in circolo quel composto alchemico.
Sarebbe morto. Nel giro di poche
ore. Non avrebbe avuto nessuna possibilità di salvezza. Il suo youki sarebbe stato prosciugato e
il suo corpo non avrebbe avuto energia sufficiente per rimarginare le ferite.
Morto soffrendo come un cane. Senza neanche la possibilità di capire
esattamente cosa gli stesse
succedendo.
Lo aveva perso. Non avrebbe
potuto assorbirlo. Avere la sua forza. E in più, rischiava di veder compromessa
anche la sua recente alleanza. Rilassò i muscoli. No. Non sarebbe successo
nulla. Sesshomaru era stato
ferito, certo; prima dall’oni
e poi da lui. Il composto preso in pieno viso e poi lui era riuscito a
trapassarlo a un fianco. Ma non sarebbe morto. Quello era un dato di fatto. Ci
voleva altro per fermarlo. Forse, se il ritrovato fosse penetrato direttamente
da una ferita, allora…Ma non
era successo. E lui stesso non aveva avuto direttamente l’intenzione di
ucciderlo. Gli serviva vivo. Per assorbirne la potenza.
Riuscì a mettersi seduto. Si
guardò con compassione. Quasi tutto il suo corpo era andato distrutto nello
scontro. E ora si stava lentamente riformando. A fatica. Perché il veleno di Sesshomaru era potente. Letale.
Se non avesse ricevuto i colpi dopo che l’youkai era stato colpito dal suo oni, probabilmente, a quest’ora, sarebbe lui a
rantolare gli ultimi respiri.
Non lo aveva mai visto così.
Nella sua vera forma. Si era trasformato. Per un attimo, lo aveva perso di
vista, poi…un enorme cane bianco rabbioso lo aveva assalito. Con follia. Senza
neanche cercare di mettere in pratica una strategia. Lasciandosi guidare
dall’istinto. Meglio, dall’irrazionalità. Era irriconoscibile. Grondava sangue
in tutto il corpo, il volto doveva bruciargli terribilmente eppure continuava
incurante ad attaccarlo.
Era stato costretto a mutarsi
anche lui. Ad assumere la sua forma animale. Per non soccombere. E aveva
lottato per sopravvivere. Per la prima volta, la sicurezza di riuscire a
fuggire era inesistente. Aveva avuto paura. Di quel mostro bianco che gli si
avventava contro strappandogli la carne, incurante del suo miasma.
Alla fine, era riuscito a
trapassarlo ad un fianco. Lo aveva costretto a indietreggiare. E lui era potuto
andarsene. Fuggire. Per non cadere all’assalto successivo.
E tutto per quell’umana…
Naraku sorrise, subdolo. Si portò una mano al viso, sfiorando il sangue che colava
dal taglio sottile sulla guancia. Lo aveva ferito. Di striscio; nulla di
preoccupante. Ma aveva osato alzare il pugnale su di lui. Mentre stava per
baciarla. Aveva strozzato un grido. Di sorpresa, più che di dolore. E l’aveva
colpita. Uno schiocco secco. Era caduta a terra, perdendo i sensi.
Poi, si era ritrovato davanti Sesshomaru ed era stato costretto
ad andarsene lasciando lì la sua preda. Il suo omaggio.
Quella ragazza…Una pedina
preziosa, almeno in apparenza. Era riuscita ad avvicinare il demone, e avrebbe
potuto usarla suo piacimento se l’avesse avuta nelle sue mani. Una perfetta
arma di ricatto. Per ferire la superiorità di Sesshomaru. Per farlo strisciare nella polvere. Lui.
Il demone puro.
Il sorriso si allargò in un
ghigno. Lo avrebbe fatto soffrire. Come aveva fatto soffrire suo fratello. Non
c’era differenza fra loro. Si sarebbero contorti dal dolore. Ma questa volta
non sarebbe stato lui ad agire.
Allungò la mano verso la schiena
del ragazzo che gli era inginocchiato davanti. Occhi spenti e vuoti. Un
involucro che combatte contro qualcosa
che non conosce. Che si dispera per la volontà di ribellarsi e il desiderio di
soggiacere. Che desidera ricordare e non vuole sapere.
Un luccichio sommesso, e il
ragazzo si accasciò senza un gemito. Morto.
Naraku
avvicinò il frammento alla sfera e ve lo congiunse, sprigionando una luce
accecante. Stava imparando. Iniziava a capire come usare quel prezioso oggetto,
anche se incompleto.
Ancora per poco…
Il suo corpo si rigenerò
totalmente, e nuova forza e vigore scorrevano nelle sue vene. Era tornato
potente. Molto potente. E pericoloso.
Poco dopo, un respiro. Nell’aria
immobile.
Il ragazzo si svegliò. E fissò
assente gli occhi rossi del suo signore. Non aveva esitato a togliergli la vita
e a ridargliela. Non era nulla. Solo un oggetto. Da usare, buttare e riprendere
secondo le necessità. Solo un oggetto. Senz’anima e senza cuore.
“Kohaku…Conduci l’esercito al castello ad Est. Vi
raggiungerò a breve… È ora di far smuovere le cose…”
Kagura entrò
svogliatamente nella stanza buia.
Tutto in quel castello sembrava
immobile. Sapeva di morte. Di stantio.
L’aveva chiamata. Il suo signore.
Pensare a lui le faceva disgusto. Era nata da Naraku, ma non gli era fedele. Lei era il vento, e
non sopportava di essere rinchiusa. Di essere costretta a comando. Non lo aveva
mai sopportato.
Ma, ora, forse sarebbe riuscita a
liberarsi di lui. Quel nuovo alleato…Shin,
le sembrava si chiamasse…Lo avrebbe avuto. Sarebbe riuscita a piegarlo. A farlo
suo. E l’avrebbe liberata.
Sospirò chiudendo gli occhi
rossi. Quanto odiava i suoi occhi. Lo stesso colore. Quel colore che vedeva
sempre uguale nel suo schiavista. Odio. Odio.
Aveva già provato a ribellarsi. E
aveva fallito. Ma non per colpa sua. Ma di lui. Di quel demone dannatamente
orgoglioso.
Sesshomaru… Lo desiderava. Perché aveva la possibilità di liberarla.
Perché era potente e fiero. Perché era libero. Un figlio della notte. Come lei.
Due lati oscuri che dovevano cercarsi. Dovevano. Se lei fosse stata libera, lui
non avrebbe potuto respingerla. Non avrebbe più provato ribrezzo per lei.
Un trofeo. Magnifico. Importante.
Il primo, dopo la sua liberazione. Avrebbe piegato l’acciaio dei suoi occhi. Lo
avrebbe reso folle per lei. Succube. Lo avrebbe fatto. Con la sua bellezza e il
suo fascino. Lo avrebbe umiliato per non averla voluta aiutare.
Dove sarà Naraku?
Spaziò con lo sguardo per la
stanza vuota. Solo uno specchio. Quello di Kanna. Strano. La sorella non se ne separava mai.
Era la sua arma. Di difesa e offesa. Chiuse il ventaglio con un gesto elegante
e afferrò l’oggetto.
Nulla. Dapprima, la superficie
restituì solo la sua immagine. La sua bellezza fiera e altera. Poi, il nero si
increspò. Acqua. Immagini sbiadite, all’iniziò.
Ma sempre più nitide. Kagura
le fissò inizialmente con sufficienza, senza coglierne il significato, ma più
le immagini aumentavano più lei sentiva crescere dentro la rabbia. L’odio. Il
disprezzo.
Scaraventò lo specchiò a terra.
Mille schegge di vetro restituirono un viso trasfigurato. Irriconoscibile.
Umiliata. L’aveva umiliata. Ma si sarebbe vendicata. Aprì la finestra e sparì,
silenziosa come il vento.
Naraku uscì
allora dal suo nascondiglio. Compiaciuto.
Da dietro il paravento, aveva
spiato ogni cambiamento della yasha.
Aveva visto il suo viso impassibile contorcersi, digrignare i denti,
abbandonare la solita compostezza per trasformarsi in una maschera furiosa.
Un’espressione allucinata, quasi pazza. L’aveva vista tremare. Brividi
percorrerle tutto il corpo. Assottigliare gli occhi sempre più ipnotizzati da
quella danza onirica.
Sapeva cosa aveva visto. E sapeva
che ormai non l’avrebbe delusa. Avrebbe fatto il suo gioco. Senza saperlo.
Altrimenti, non si sarebbe espressa al meglio di sé. Per questo era ricorso a
quello stratagemma.
Perfettamente riuscito.
Correva. Il cuore in gola.
Incredulo.
Non gli sembrava possibile che
fosse la verità. Doveva esserci uno sbaglio. Doveva! Perché non riusciva a capacitarsi
di quello che aveva letto.
Koji irruppe
nella sala delle guardie. Il viso stravolto. Sudato. Tutto si congelò per un
istante, mentre i suoi occhi azzurri frugavano in ogni angolo dell’immensa
sala. Dov’era? Dove diavolo si era andato a cacciare?
Agguantò il primo soldato che gli
fu vicino e lo avvicinò pericolosamente al suo viso. Era furioso. Non sembrava
neanche più lui. Il volto era completamente distorto.
“Dov’è il comandante?”. Voce
roca. Gutturale. Per lo sforzo e la difficoltà di controllarsi. Il soldato,
spaventato, non ce la fece a rispondergli. Riuscì solo a indicargli con la mano
tremante una scala. Koji lo
lasciò cadere con mala grazia e si precipitò al piano superiore. Sentì qualcuno
gridargli qualcosa relativo a disturbo o simili, ma non se ne curò. Non era
quello il momento di andare tanto per il sottile.
Entrò senza neanche bussare.
Nella stanza c’era solo un braciere a illuminare l’ambiente. E un futon. Dalla confusione delle
coperte, emerse la testa di una donna che rise non appena vide Koji.
“Penso che cerchino te, Yashi”.
Il giovane si mise a sedere,
stiracchiandosi. Era pronto a farla pagare a chi lo aveva importunato, quando
vide il volto del fratello. Irriconoscibile.
“Vattene, donna”.
L’youkai si era fatto scuro in volto. La ragazza si
vestì e uscì scambiando un’occhiata truce con Koji, ma lui non la vide neanche. Era addolorato,
dispiaciuto, sdegnato. Come poteva, suo fratello, pensare alle donne in un
momento come quello? Quando loro stessi erano minacciati? Usurpati?
“Cos’è successo?”. La voce di Yashi lo riscosse. Si stava
rivestendo, ravvivando la lunga chioma bionda. Possibile che loro fossero
fratelli? Avevano così poco in comune, certe volte. Lo fissò negli occhi. Occhi
viola. Velluto scuro. Profondo. Come quelli di Shin. Come quelli della loro madre.
Non rispose alla domanda. Gli
porse solo il dispaccio che aveva in mano. Non aveva più neanche la forza di
parlare. Voleva che lo leggesse e poi gli battesse una mano sulla spalla,
dicendogli che era tutto normale, che lui si era sbagliato. Che aveva sognato.
Yashi
afferrò il foglio con mani nervose. Il silenzio cupo del fratello lo metteva in
agitazione. Lesse avidamente le poche righe. E sbiancò. Lesse un’altra volta.
Una seconda. E una terza. Come se le parole potessero cambiare da sotto i suoi
occhi.
Infine, sollevò uno sguardo
allibito su Koji.
“Se è uno scherzo, non mi piace
per niente”
Koji
sospirò, scuotendo la testa. Magari fosse stato uno scherzo. Invece, era la
realtà. Lo stemma impresso sulla ceralacca non lasciava adito a dubbi.
Shin non si
mosse. Continuò a fissare la luna piena anche quando li sentì irrompere nella
sua stanza. Dovevano aver saputo. E non erano contenti, almeno giudicare dal
silenzio carico di tensione.
Alla fine, decise di voltarsi.
Erano di fronte a lui. Vestiti delle loro armature. Fieri. E arrabbiati.
Dannatamente inferociti. Se era loro abitudine perdere la pazienza facilmente,
la rabbia che leggeva nei loro occhi era diversa. Era un fuoco sordo che bruciava.
“Dimmi che non è vero”
Shin scosse
la testa. Purtroppo era vero. Verissimo. E bruciava anche a lui. Terribilmente.
“Io lo uccido”. Un ringhiò, che fece allarmare Shin. Perché sapeva che Yashi era capace di farlo. Di
mettere subito in pratica quella minaccia. Senza pensare alle conseguenze. Solo
per vendetta.
“Vedi di calmarti”.
“Calmarmi?! Dovrei calmarmi e
starmene a guardare mentre un dannato bastardo occupa un posto che non gli
spetta? Il tuo posto?!”
Shin
sospirò, passandosi una mano sugli occhi. Suo fratello aveva ragione. Quel
posto spettava a lui. Come erede. E invece, suo padre gli aveva preferito il
suo nuovo alleato. Quell’essere
rivoltante. Naraku.
Ancora non riusciva crederci.
Aveva letto il dispaccio decine di volte prima di sprofondare nei cuscini. Lo
aveva atteso a lungo, e adesso avrebbe voluto che non fosse mai arrivato. Erano
le nomine dei capitani e dei generali. Un solo generale supremo. Suo padre.
Poi, quattro capitani. Due sarebbero stati i suoi fratelli, come sempre. Gli
altri, membri scelti della guardia stretta. E poi, quella carica…quella più
ambita e invidiata. Quella di luogotenente del generale. La carica che avrebbe
dovuto essere sua. Come era sempre stato. E che invece ricopriva lui. Naraku.
E l’erede doveva piegarsi a
essere un semplice comandante. A soggiacere a quel lurido hanyou. Un’offesa. Imperdonabile.
“Nostro padre ha deciso così”.
Voce spenta. Disillusa. Non aveva più neanche la forza di ribellarsi.
“Col cavolo! Me ne infischio di
ciò che può aver deciso! Io non accetto ordini da qualcuno che non sia tu! Mi hai sentito?! O mi guidi tu in battaglia, o io
diserto! E non tirar fuori il discorso sull’onore, la giustizia delle scelte,
le strategie…Non attacca! Ha esagerato!”
Shin era
allibito. Il loro patto era così forte che loro avrebbe sfidato il padre?
Davvero erano pronti a questo? Per lui? Guardò Koji. Lo sguardo azzurro era duro e risoluto come
l’acciaio. La pensava allo stesso modo.
“Shin…Yashi
ha ragione. O con te al comando, o non ci sarà nessuna guerra. Basta una tua
parola. E noi solleveremo l’esercito e ti insedieremo sul trono. La punta è con
noi. Con te. Lo è sempre stata. Il tuo battaglio non ti abbandonerà mai. E se
anche fossimo soli, siamo in
un centinaio, e ti siamo fedeli. Lo sai”
“Altro che centinaio! Fossimo anche noi tre soli, quell’odioso bastardo non avrà
mai il tuo posto! Piuttosto…piuttosto…” non riuscì neanche a terminare la
frase, tanta era la rabbia e la frustrazione.
Shin li guardò.
Li fissò. Lesse nei loro occhi una determinazione folle. Per lui, sarebbero
scesi all’inferno. Sarebbero andati contro loro
padre. Contro il loro stesso sangue.
Non posso chiedervelo…
L’youkai raddrizzò la spalle. Era maestoso, incuteva timore. Giovane, ma
sul viso una durezza antica. Di una promessa fatta col sangue.
“Io ho accettato. E voi farete
altrettanto. Questo è ciò che vi ordino”
Si fissarono. Non si capirono.
Per la prima volta. Qualcosa fra loro si era incrinato. Qualcosa che solo Shin sapeva. Conosceva. Un dolore
nuovo per evitare loro la sua stessa sorte. La sua infelicità.
Li vide chinare la testa e
andarsene senza aggiungere nulla. Lo disprezzavano. Lo credevano un debole. Uno
che si era arreso. In realtà, la sua battaglia iniziava in quel momento. E
doveva intraprenderla da solo. Anche a costo di rinnegare se stesso, la sua
dignità.
Si lasciò investire dal vento
gelido e dall’oscurità che calò improvvisa nella stanza. Ora era solo. Per
davvero. Portava il peso dell’eredità cui la sua primogenitura lo chiamava.
Perdonatemi…Un giorno capirete…