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Autore: Moonage Daydreamer    09/06/2012    2 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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A Day in the Life.
 



Un anno dopo potevo vantarmi di essere una delle poche ragazze che avevano conosciuto John Lennon senza cadere preda del suo fascino. Mi sarebbe piaciuto poter dire che dopo quella festa non lo vidi mai più, ma sarebbe mentire; tutti i giorni lui e i suoi amici più grandi venivano davanti alla mia scuola per guardare il culo delle liceali e per tentare di rendermi la vita un inferno.  Come se non bastasse il fatto che io ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in un momento di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.                                                                                   


Mi svegliai con un grido . Ero sudata e ansimavo, come se avessi corso per ore. Tremando, mi alzai dal letto e mi diressi in bagno. Il pigiama mi soffocava, così mi spogliai e mi feci un bagno nell'acqua fredda, tentando di scrollarmi via quel sogno orribile. Respirai profondamente per calmarmi. Perché quell'incubo era tornato? Erano passati quasi dieci anni da quando mia madre era stata arrestata e  prima che incontrassi Lennon mi era capitato di rado di sognare in quel modo una volta superato lo shock dei primi tempi.   
Poi realizzai; era il primo maggio. Non erano quasi dieci anni che mia madre era in prigione, erano esattamente dieci anni.                                                                                                    
Sospirando uscii dalla vasca da bagno e mi avvolsi un asciugamano intorno al corpo e cominciai a prepararmi per andare a scuola. Ci misi parecchio per pettinarmi i capelli ingarbugliati, ma alla fine riuscii ad avere ragione dei nodi. Anche se la moda imponeva alle ragazze capelli che non superassero le spalle, io mi ero rifiutata di tagliare i miei capelli biondi, che ora arrivavano quasi  a metà schiena.              
 - Anna!- mi chiamò la voce di Elisabeth                                                                                                                                    
-Arrivo!- risposi, finendo di prepararmi velocemente. Scesi le scale quasi correndo e andai in cucina; lì c'erano le due persone  che mi avevano  adottata dieci anni prima. La mia madre adottiva mi guardò e mi sorrise.                                                                                                                                                                                   
-Buon compleanno, tesoro!- esclamò, entusiasta.                                                                                                               
- Questo è il nostro regalo per te, piccola!- aggiunse suo marito James, porgendomi un  pacchetto.                             
Io lo presi con un sorriso, ma non potei evitare di reprimere un moto di irritazione: da quando avevo incontrato Lennon, infatti, odiavo la parola "piccola"                                                                  
-Forza, aprilo!- mi incitò James.                                                                                                                                                                     
Strappai la carta colorata e mi trovai tra le mani un quadernetto rilegato in pelle. La copertina di cuoio aveva delle incisioni sul perimetro e  a lato c'era una chiusura con dei laccetti di pelle . Era la cosa più bella che avessi mai visto.                     
-Allora, ti piace?- chiese Elisabeth.                                                                                                                                         
 -E'... meraviglioso!- mormorai rigirandomi tra le mani il quaderno.                                                                                    
-Così non dovrai più scrivere su fogli volanti o sulle mani. - disse James ridendo.                                                           
-Grazie mille.- conclusi - Ora vado, se no arrivo tardi a scuola!-                                                                                     
Diedi ai miei genitori adottivi un bacio, poi uscii di casa. Lungo il tragitto, cercai di pensare soltanto al quaderno e a come l'avrei riempito di parole. Scrivere era la cosa che facevo più volentieri,ancora più del dipingere,  perché era un modo per liberare la mia anima dalle catene che la tenevano intrappolata alla realtà, dalla quale spesso era meglio fuggire. Arrivata a scuola con largo anticipo, sebbene avessi cercato di prendermela con comodo, così ne approfittai per inaugurare il nuovo quadernetto, ma  non riuscivo a concentrarmi e la penna che tenevo a pochi centimetri dalla pagina bianca tracciava delle parole immaginarie nell'aria. Mi morsi un labbro e spostati una ciocca di capelli dietro l'orecchio, come facevo sempre quando ero a disagio: non mi capitava spesso di non riuscire a scrivere.                          
"E' normale che la tua mente sia altrove" mi dissi"Oggi sarebbe strano il contrario."                                                                                                                                                                        
-Ehi, Mitchell.- mi chiamò una voce alle mie spalle. Soltanto una persona poteva usare quel tono di scherno.            
- Lennon. - sibilai mentre riponevo il quaderno ancora bianco.- come mai mi rivolgi la parola? Non hai nessuna che accetti di farsi toccare il culo da te?-                                                                       
Lui ghignò:- Purtroppo sono rimaste solo quelle che ti sei fatta tu; dovevo capirlo che sei lesbica, dal momento che non hai voluto saperne di me. -                                                                                
I suoi amici risero con lui. Io li guardai con disprezzo; erano tutti uguali: vestivano allo stesso modo, avevano lo stesso taglio di capelli, quello con l'imitazione (mal riuscita) del ciuffo di Elvis, e lo stesso atteggiamento da "le ragazze sono lì per aprire le gambe ogni volta che schiocco le dita"                                                          
-O forse sono semplicemente una con un cervello - replicai guardandolo di sbieco. - Ma tu non puoi capire la differenza, vero, Lennon? Più che con il cervello, ragioni con il tuo membro, ma fai male: è del tutto normale che i tuoi ragionamenti siano piuttosto limitati perché, fidati, l'ho visto  e posso assicurarti che è decisamente piccolo.-                                                                                                     
Senza aspettare una risposta, mi voltati e mentre gli amici di Lennon sghignazzavano entrai nel liceo.                                   

Mi trascinai per tutta la giornata da una lezione all'altra, senza che succedesse niente di eclatante. Mi sentivo un uccellino in gabbia, o meglio, un falchetto costretto a vivere come un passerotto, anche se la sua natura gli diceva di fare tutto il contrario. Quando suonò la campanella sospirai e uscii da quell'edificio. Non ne potevo più di sentire i professori parlare a sproposito sul fatto che in futuro avrei dovuto applicarmi di più o non ce l'avrei fatta e stronzate varie; ero del tutto insofferente alla scuola e ci andavo solo perché ero obbligata.              
Non mi fermai davanti al liceo, come invece facevano tante altre ragazze, né mi diressi subito a casa,  ma decisi di gironzolare per un po' per le strade di Liverpool, canticchiando tra me e me una canzoncina improvvisata che non aveva né capo né coda. Passai davanti a un negozio di strumenti musicali e mi fermai  a guardare le chitarre elettriche esposte in vetrina; mi immaginai come doveva essere suonare una di quelle, ma sapevo strimpellare solo qualche accordo per divertirmi e accompagnarmi mentre cantavo.                                    
Elisabeth mi aveva spesso ripetuto che il mio animo si volgeva ad ogni forma d'arte come un fiore cerca il sole. Fin da quando ero bambina infatti avevo trovato nell'arte un modo per sfuggire la realtà troppo difficile perché riuscissi a viverci dentro. Mi ero creata un mio mondo, nel quale nessuno poteva entrare per farmi del male.                                                                                                                       
Mi sedetti su una panchina lì vicino e presi il taccuino che quella mattina avevo cacciato nella cartella. Tirai fuori una penna e mordicchiandone in cappuccio cominciai  a scrivere pensieri a caso e alla fine mi ritrovai a fare delle considerazioni sulla follia.                                                                                                                                      
"Gli uomini sono così necessariamente pazzi, che il non essere pazzo equivarrebbe ad essere soggetto a un altro genere di pazzia." scrissi per concludere.                                                                         
" Mia cara Anna, ti ho beccata!"
pensai ridendo" Non vale fregare gli aforismi al povero Pascal!"   Scuotendo la testa riposi il quadernetto e mi incamminai verso casa.                                                     
-Sei tu Anna?- chiese Elisabeth dalla sala quando mi sentì chiudere la porta  e dopo che ebbi risposto affermativamente mi raggiunse. -Ti aspettavamo prima.-                                                              
-Lo so, scusatemi. Ho fatto un giro. - risposi subito. Non ero abituata al fatto che Elisabeth e James mi chiedessero quello che avevo fatto, perché non erano genitori iperprotettivi e capivano che adesso che ero cresciuta avevo bisogno dei miei spazi.                                                                                                                                              
-Non toglierti la giacca, tesoro.- disse James giungendo nell'ingresso - Spero che tu non abbia molti compiti per domani. Io scrollai le spalle, stupita e mi accorsi che entrambi i miei genitori adottivi erano pronti per uscire.                                                                                                                                                                                   
-Dobbiamo andare da qualche parte?- chiesi corrugando le sopracciglia. James ed Elisabeth sorrisero dolcemente:- C'è un'altra sorpresa per te. -


Qualche ora di treno dopo mi trovano in una stanza all'interno della Drake Hall di Yarnfield, seduta  in attesa. Elisabeth e James stavano aspettando fuori dall'edificio che ospitava il carcere femminile; non potevano neanche immaginare quanto fossi loro grata per avermi portato lì.  Al di là dello spesso vetro antiproiettile comparve Beatrice Mitchell , mia madre.
Non era molto diversa dall'ultima volta che l'avevo vista: i capelli biondi erano tagliati corti e gli occhi verdi erano simili a quelli di una cerbiatta. Dai suoi lineamenti era facile intuire che era nata in Italia.
Era bellissima, sebbene fosse dimagrita ancora; da bambina avevo spesso desiderato assomigliare un po' meno a mio padre e un po' di più a lei, della quale allora mi sembrava aver ereditato solo il colore dei capelli. Tuttavia crescendo mi ero accorta che ero praticamente identica a lei da giovane, se si escludevano gli occhi, che erano dello stesso azzurro intenso di quelli di mio padre.                                      
-Mamma...- mormorai. Erano tre anni che non la vedevo.                                                                                                        
 -Ciao, amore mio.- rispose lei sorridendo dolcemente. -Sei cresciuta tanto che per poco non ti avrei riconosciuta. Sei così bella, Anna. -                                                                                          
Deglutii; morivo dalla voglia di abbracciarla : erano anni che non mi lasciavo stringere dalle sue braccia. Tuttavia  mi limitai a sorridere a mia volta.                                                                                   
 -Auguri, tesoro.- riprese lei - Avrei voluto tanto regalarti qualcosa.-                                                                                 
Io scossi lievemente la testa. -E' così bello vederti, mamma.-                                                                                      
Ero conscia delle lacrime che stavano appannando i miei occhi . Permettermi di stare un po' con lei era il regalo più bello che i miei genitori adottivi avrebbero potuto farmi.                                              
-Mi ero ripromessa che per il tuo sedicesimo compleanno sarei stata fuori di qui.- disse mia madre con una nota di tristezza nella voce che non faticai a cogliere - Mi dispiace,piccola mia.-                     
Io scrollai le spalle:- Non importa. Sono così contenta...-                                                                                                            
-Anche io, Anna. - rispose - Avrei tanto voluto vederti diventare così bella.-                                                                                                                              
Una lacrima mi scivolò sulla guancia.                                                                                                                                   
-No, non piangere tesoro. Non abbiamo molto tempo e voglio vederti sorridere.-                                                                              
-Sei dimagrita ancora, mamma.- dissi per cambiare argomento.                                                                                        
Lei rise:- Fidati se ti dico che anche tu preferiresti il digiuno alla roba che ci rifilano qui! Dimmi piuttosto come stai tu: come va a scuola? James ed Elisabeth sono affettuosi? E non dirmi che non hai ancora un ragazzo perché non ci credo!-                                                                                                                                                                      
Cominciai a raccontarle tutto quello che mi era successo in quei tre anni. Le dissi ogni cosa, poiché non volevo avere dei segreti con mia mamma: non potevo privarla di quel poco che poteva sapere di sua figlia. L'unica cosa su cui sorvolai fu l'incontro con Lennon, perché l'avrebbe fatta stare male e avrebbe risvegliato, come era successo a me, ricordi dolorosi.                                                                      
-E così ho una figlia artista, eh?- rise mia madre quando le descrissi la mia passione per la scrittura, il disegno e la musica. - Lo sapevo : eri una tipetta estrosa già da bambina!-                                         
-Sì, mi ricordo.- replicai io con un sorriso - Una volta aprii  i barattoli di vernice che avevi preso per ridipingere la cucina e li usai per "dipingere"  un'intera parete di casa!-                                                      
-Dicesti che era troppo bianca e che il bianco era il colore degli ospedali e dei morti.-                                                                    
- Be', tutti hanno dei ricordi imbarazzanti di quando erano bambini.- replicai facendole una linguaccia scherzosa.                                                                                                                                         
In quel paio d'ore chiacchierammo ridendo, esattamente come se fosse tutto normale tra di noi; non ero mai stata arrabbiata con mia madre per quello che aveva fatto, né avevo paura di stare con lei: sapevo che aveva fatto quello che aveva fatto solamente per proteggermi e mi sentivo tremendamente in colpa per questo.                                                                                                                              
-Devo andare piccola.- mormorò mia mamma. Io annuii con gli occhi bassi.                                                                       
-Guardami, Anna. Non è stata colpa tua.- disse, intuendo i miei pensieri. - Passerei qui tutto il resto della mia vita se con ciò fossi  certa che tu saresti al sicuro.-                                                                
-Ti voglio bene, mamma.-                                                                                                                                                    
 -Ti amo, piccola mia. Salutami Elisabeth e James.-                                                                                                             
-Va bene. Ciao, mamma.-                                                                                                                                                       
-Ciao, amore.-                                                                                                                                                                          
Quando una delle guardie venne a prenderla, mia mamma si alzò e rivolgendomi un ultimo sorriso si voltò. La guardia mi fece un cenno del capo. Molti  lì a Drake Hall mi conoscevano, almeno di fama: io ero la bambina (solo in seguito ragazza) che continuava a voler bene alla madre che le aveva ucciso il padre.
Guardai mia mamma andare via, poi uscii dal carcere.

Appena fuori l'ingresso trovai James ed Elisabeth; entrambi mi sorrisero con dolcezza.                                                                                                                                    
-Grazie...- mormorai - grazie...-                                                                                                                                            
La mia madre adottiva mi abbracciò senza dire niente e James mi posò una mano sulla spalla. Respirai profondamente, fino a riuscire a ricacciare in dietro le lacrime, poi li presi entrambi per mano e con loro mi diressi di nuovo verso la stazione. Era ormai sera,e arrivammo in tempo per prendere un treno per Liverpool che stava partendo in quel momento, anche se ci mettemmo a correre per paura di perderlo.   
Le luci che illuminavano le città scorrevano al nostro fianco, sovrastate da una luna sempre fissa,che sembrava voler accompagnarci nel nostro viaggio verso Liverpool. Guardandola cominciai a canticchiare sottovoce Blue Moon di Elvis.

 Blue moon,
You saw me standing alone,
Without a dream in my heart,
Without a love of my own. 


Era assurdo da pensare, ma quella era stata la migliore "festa" di compleanno che avessi mai avuto. Con la coda dell'occhio vidi Elisabeth appoggiare la testa sulla spalla di James e socchiudere gli occhi. Sorrisi malinconicamente. Nelle difficoltà loro si sostenevano a vicenda, ma io mi sentivo sola; per quanto fossero affettuosi con me e io volessi loro bene, non riuscivano mai a capire del tutto i sentimenti che portavo dentro di me.
 
Blue moon,
You knew just what I was there for.
You heard me saying a pray for
Someone I really could care for.


-Canti davvero bene, tesoro.- mi disse James - Il signor Presley sarebbe orgoglioso del suo lavoro sentendolo cantare da te. -                                                                                                             
Scossi la testa, sorridendo; soltanto James poteva chiamare Elvis "signor Presley".                                                     
- Si certo, come no... Prima o dopo avermi denunciata per plagio?-                                                                 
Io e il mio padre adottivo ridemmo insieme, poi tornai a guardare fuori dal finestrino. Ero troppo stanca per tornare a cantare, così appoggiai la testa contro lo schienale e socchiusi gli occhi.               
Una volta giunti a Liverpool faticai a tenere gli occhi aperti durante il tragitto in autobus dalla stazione alla fermata più vicina a casa nostra .                                                                                                         Quando entrammo James ed Elisabeth si offrirono di prepararmi qualcosa da mangiare, ma io mi rifiutai. Ero talmente stanca che tutto ciò che desideravo era rifugiarmi nella mia stanza.
Mi buttai stancamente sul letto e affondai il viso nel cuscino, per fare in modo che i miei genitori adottivi non sentissero le lacrime che avevo trattenute tutto il giorno e che adesso erano esplose senza preavviso.                                                       
Nonostante io fossi soltanto una bambina quando mi era stata portata via, ero inspiegabilmente legata a mia mamma e ogni volta che la vedevo nascevano in me emozioni contrastanti.                                         Mi calmai solo a notte fonda, ma non riuscii comunque a prendere sonno. Scacciai le coperte usando esclusivamente i piedi, mentre aprivo la finestra posta sopra il letto. Il freddo sulla pelle mi fece rabbrividire, ma non mi coprii. Mi appoggiai alla parete ricoperta di pannelli di legno, con la testa sul davanzale della finestra, rivolta verso il cielo stellato. Respirai profondamente. Quando avevo bisogno di calmarmi, sapevo che l'unica cosa che funzionava davvero era andare all'aperto e respirare dell'aria fresca, poiché la mia più grande paura erano gli spazi chiusi e la sensazione di soffocare mi coglieva molto spesso.                                                                                                                     
Piano piano sentii gli occhi chiudersi e senza chiudere la finestra mi sdraiai, pregando di cadere in un sonno senza sogni.

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Ciao a tutti! Eccomi con il secondo capitolo ( anche questo era stato pubblicato in precedenza). Spero vi piaccia.
L'inizio della storia non ha molto a che fare con i Beatles, ma mi serve per introdurre la psicologia di Anna, che è decisamente complicata.
Ringrazio tutti i lettori.



Peace n Love

  
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