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Autore: Ray    10/05/2004    2 recensioni
Un crossover tra Evangelion e Warhammer 40.000 (ma scritto in modo da essere comprensibile anche per chi non conosce quest'ultima ambientazione). Su di un pianeta ai confini della Galassia cade un artefatto di un'epoca remota. Ma qual è la sua natura? E chi sono i misteriosi individui che se ne vogliono impossessare? Mentre infuria la guerra, emergono echi di un remoto passato e la condanna della vecchia umanità potrebbe diventare la speranza della nuova. O forse è solo un diabolico scherzo degli Dei del Caos....
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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‘Quando apro il mio Occhio del Warp, guardo il volto dell’Empireo e vedo l’inferno stesso che guarda me. Sovrapposti al mondo materiale, vedo gli squali del Warp che nuotano attorno a ogni persona a me cara. Chi ha la Vista, come gli Astropati, gli psyker e la mia gente, i Navigatori, brilla di un fuoco spirituale talmente ardente da offuscare completamente le piccole fiammelle di chi sta loro vicino. Costoro attraggono i più voraci predatori del Warp, che ringhiano, schioccano le mascelle e sbavano dal proprio reame. Se questi individui non fossero protetti dai propri poteri o dal legame con l’Imperatore, queste creature del Warp trapasserebbero le loro menti e si farebbero strada con gli artigli nell’universo materiale. È per questo che non posso scoprire il mio Occhio del Warp in presenza di chi non è protetto. Incontrare lo Sguardo del Warp di un Navigatore significa vedervi riflessa la più orribile verità: l’anima umana non è che un granello di polvere alla deriva nell’oceano del Warp, circondata da orrori sbavanti che sembrano usciti dai nostri peggiori incubi’.

Barone des Champ, Principio della Casata des Champ della Navilis Nobilite.

 

Episodio 40: Evoluzione

 

CIRCA 225 MILIONI DI ANNI FA

L’animale uscì dalla sua tana e si guardò attorno circospetto. Era un animale piccolo: non misurava nemmeno dodici centimetri. Era una bestiola quadrupede e pelosa, una sorta di lucertola coperta da un fitto crine bruno. Le sue zampe erano un po’ diverse da quelle di una lucertola, però: erano in poste in posizione perpendicolare rispetto al corpo, il che permetteva una maggiore velocità. Di fatto, quella creatura faceva dell’agilità di movimento la sua arma migliore: la usava per catturare gli insetti di cui si nutriva e la usava per sfuggire ai predatori che le davano la caccia, troppo lenti per tenere il passo. Fiutò l’aria, alla ricerca dell’odore di qualche altro animale pericoloso; poi, non avvertendone alcuno, scivolò rapidamente fuori dalla piccola intercapedine tra due pietre che le faceva da tana. Il deserto roccioso che si estendeva per chilometri attorno a quelle pietre era tutto ciò che la bestia aveva visto nella sua vita: era nata lì e, in qualche modo, sapeva che sarebbe morta lì. Ma non le importava: l’unico suo interesse era trovare cibo. L’esplorazione di terre sconosciute era una possibilità semplicemente non contemplata dal suo cervello. La lucertola pelosa corse rapida sul suolo rovente: la temperatura massacrante delle ore più calde della giornata non la infastidiva più di tanto: contrariamente agli altri animali che conosceva, quella creatura era capace di regolare internamente il proprio calore corporeo, quindi poteva permettersi di muoversi anche quando una bestia sprovvista di questa capacità doveva rifugiarsi all’ombra. E lo sapeva. Per questo cercava di saziare la propria fame, molto superiore a quella di un animale delle stesse dimensioni, quando riteneva di incontrare meno pericoli uscendo dalla tana. La lucertola pelosa si fermò nuovamente a fiutare l’aria, alzando il suo muso, dal quale uscivano dei sottili baffi vibranti. Nessun pericolo, registrarono i suoi organi sensoriali.

Circa un secondo dopo che il suo cervello ebbe elaborato quell’informazione, la lucertola pelosa fu inchiodata al suolo da un paio di zampe artigliate. Un attimo più tardi, il morso di una fila di denti aguzzi le affondò nel collo, uccidendola quasi sul colpo.

Un lucertolone bipede sollevò la sua preda con le zampe anteriori; ne prese in bocca la testa e cominciò a inghiottirla, facendola scivolare lentamente per il suo lungo collo. L’operazione richiese qualche minuto, durante il quale il lucertolone non fece altro che aiutarsi con delle contrazioni dei muscoli del collo. Poi, cominciò a saltellare agilmente verso le pietre poco distanti: chissà che non vi si nascondesse qualche altra preda. L’animale, con la sua lunga coda rigida proiettata all’indietro, si muoveva con destrezza sulle sue zampe posteriori, sottili ma muscolose. Era lungo trentanove centimetri e sei millimetri e pesava ottantotto grammi. Molti milioni di anni più tardi, una razza discendente della lucertola pelosa che aveva appena mangiato lo avrebbe chiamato Lagosuchus lilloensis. Ma all’animale non importava dei nomi: erano una di quelle cose che il suo cervello non concepiva. Quello che invece capiva perfettamente era di essere una delle poche creature in grado di muoversi anche nel caldo massacrante del mezzogiorno e nel fresco vento del crepuscolo, quando molti altri predatori che gli facevano concorrenza dovevano ripararsi. Perché regolava internamente la propria temperatura. Come le lucertole pelose. Però aveva un vantaggio anche rispetto a loro: quando si fermava per riposarsi, il suo metabolismo diminuiva moltissimo rispetto ai suoi periodi di attività. E questo gli consentiva di vivere mangiando molto meno di una lucertola pelosa, sopportando lunghi periodi di digiuno. Il lucertolone non lo sapeva, ma sarebbe stata proprio questa caratteristica che avrebbe permesso ai suoi discendenti di dominare il pianeta Terra per i successivi centocinquanta milioni di anni, mentre la discendenza delle lucertole pelose avrebbe dovuto nascondersi alla loro ombra.

Il lagosuco non si chiedeva perché le cose stessero così: questa era la realtà, e tanto gli bastava.

 

ANNO 2015

Il Termnal Dogma era il posto più sicuro del Geo Front. Le persone che erano autorizzate ad accedervi erano pochissime; quelle che potevano entrare nella sua zona più segreta si contavano sulle dita di una mano. Perché il Terminal Dogma era il posto in cui era tenuta prigioniera Lilith, il posto in cui l’inizio e la fine dell’umanità di incontravano, il posto in cui si sarebbe deciso il destino del mondo. Era raro che una persona scendesse fin nel Terminal Dogma, e ancora più insolito che si spingesse fin nell’area in cui si trovava Lilith; il fatto che in quel momento ce ne fossero ben due, quindi, era quasi unico. Gendo Ikari alzò lo sguardo sul titano crocifisso: quella vista rappresentava ciò per cui aveva lavorato negli ultimi anni, ciò a cui aveva dedicato tutto se stesso. Dietro di lui, Kozo Fuyutsuki, cupo in volto, sospirò: "Gli esseri umani hanno una dentatura adatta a mangiare vegetali", disse, "eppure, per poter sopravvivere, si sono evoluti in modo da poter mangiare anche la carne. Mi chiedo cosa altro dovremo abituarci a mangiare per sopravvivere ulteriormente". "Non sarà necessario adattarci", replicò Ikari senza distogliere lo sguardo dal titano bianco. "Basterà lasciare che altri compiano l’evoluzione in vece nostra". Fuyutsuki avanzò, fino a portarsi di fianco al suo interlocutore: "Penso che dovremmo essere noi a decidere cosa significhi evolversi, ed eventualmente sopportarne le conseguenze".

"Non tutti possono permettersi questo lusso".

"Vorresti che ci assumessimo noi questa responsabilità anche per gli altri?".

"Preferisci che sia la Seele a farlo?".

"No di certo. Ma non stiamo parlando di inezie… Guidare l’evoluzione è un’impresa mai tentata prima. Come possiamo essere sicuri che le cose andranno come vogliamo?".

"Non possiamo. Ma fare questo tentativo è l’unica alternativa alla falsa soluzione che dovremmo accettare incondizionatamente".

Lo sguardo di Fuyutsuki si incupì. C’erano dei momenti in cui Gendo Ikari riusciva a trasmettergli quella stessa sgradevole sensazione che aveva avuto in occasione del loro primo incontro. "Come se fosse solo questo il motivo per cui vuoi correre un rischio simile!".

Passò qualche secondo prima che arrivasse una risposta: "Lo stesso si può dire di te, no?". Il vice comandante tacque. Ikari giudicò che il suo silenzio fosse un invito a continuare: "Comunque sia, ormai abbiamo preso la nostra decisione". Prima ancora di finire la frase, il comandante della Nerv fu sfiorato da un pensiero che non ricordava di avere mai contemplato. ‘Abbiamo preso la nostra decisione’? Chi l’aveva presa? Lui e Fuyutsuki? Strappare Yui allo 01? Era una follia, indubbiamente. Yui era morta. Il tentativo di riportarla indietro fatto da Naoko Akagi era fallito. Per quanto innamorato, nessun uomo penserebbe di poter fare risorgere una morta. Ma lui, Gendo Ikari, aveva a disposizione Lilith e i cloni di Adam. Aveva un potere che nessuno uomo aveva avuto prima. Le porte della divinità erano spalancate di fronte a lui. E aveva avuto quell’intuizione geniale, folle e blasfema al tempo stesso, per creare un intermediario tra se stesso e Lilith. Era stata senza dubbio un’idea sua, di chi altri? E, per quanto lo riguardava, serviva essenzialmente per riavere Yui. Che altra ragione poteva esserci? Il resto dell’umanità ne avrebbe beneficiato? Possibile, ma questo non gli importava più di tanto. Aveva passato troppi anni a desiderare di vedere Yui. Tutto il resto, soprattutto ora che il momento tanto atteso era a portata di mano, passava in secondo piano. La presenza di Rei, sempre al suo fianco, lo aveva aiutato a tenere Yui sempre al centro dei propri pensieri, una sfida della determinazione di un uomo alla tendenza umana a dimenticare. C’erano dei momenti in cui Gendo Ikari si guardava allo specchio. Vedeva un uomo stanco, spossato da un lavoro che, per il suo obiettivo finale, aveva messo davanti a qualsiasi altra considerazione. Non aveva mai sentito di altre persone che avessero affrontato un’impresa tanto incerta ed enorme con una tale determinazione. Forse, lui ci era riuscito perché, contrariamente a chiunque altro volesse rivedere un morto, aveva concrete possibilità di successo. O forse, scherzava talvolta fra sé e sé (chiedendosi cosa avrebbero pensato i suoi sottoposti se avessero saputo che anche Gendo Ikari era capace di scherzare), aveva subito il lavaggio del cervello da parte di qualcuno che era interessato al progetto.

Ikari si voltò verso Fuyutsuki: "Ormai abbiamo preso la nostra decisione", ripeté, "ed è ovvio che non possiamo più tornare indietro. Secondo i vecchi della Seele, manca pochissimo prima che il tempo promesso cominci. È per questo che dobbiamo prepararci".

"Alludi all’arrivo del Third Children?".

"Esatto. Dovrebbe essere qui entro domani. Ho incaricato Katsuragi di occuparsene personalmente, visto che sarà il suo diretto superiore. Se non riusciremo a recuperare Rei e lo 00 in tempo, potrà farci da pilota di riserva".

 

ANNO 2036

"Grazie", disse Ryoma restituendo a sua madre la borraccia, dopo averne tratto un profondo sorso. "Ti ricordi cosa ha detto Van Richten?" domandò Asuka, mentre accompagnava suo figlio lungo la scogliera. Mentre le onde del mare si infrangevano sulle rocce sotto di loro, il ragazzo in plug suit nera e viola e la donna camminavano con passo deciso verso la fine della cresta rocciosa, in direzione delle acque che si estendevano a perdita d’occhio. "Ma sì, ma sì", replicò il giovane con un cenno seccato della mano. "Gli Evangelion della serie definitiva sono equipaggiati di motore S^2, quindi hanno una resistenza fisica pressoché infinita e sono in grado di rigenerare praticamente qualsiasi danno subiscano. Anche farli a pezzi servirebbe solo a rallentarli". "Appunto", confermò la madre, "quindi cerca di non buttarti a testa bassa contro qualsiasi pericolo come fai di solito".

"Sai, papà dice che lo facevi anche tu quando combattevi contro gli Angeli".

Asuka afferrò suo figlio per un polso, bloccandolo sul posto. "Non sto scherzando", disse togliendosi gli occhiali da sole e fissando Ryoma con il suo vitreo occhio sinistro. "Vedi cosa mi hanno fatto quei mostri? Vuoi finire così anche tu?".

Ryo si divincolò dalla stretta e riprese a camminare verso la fine della scogliera: "La situazione è completamente diversa. Tu eri da sola contro… Quanti…? Sette Eva?".

"Nove".

"Ecco, nove. Io li affronterò uno per volta e verrà con me anche Miller. E poi, tu non conoscevi il loro punto debole, io sì, perché me l’ha spiegato Van Richten".

"Non li sottovalutare! A parte il fatto che la teoria di Van Richten non può essere confermata, mi piacerebbe proprio sapere come hai intenzione di fare una cosa del genere!".

"Massacrandoli, ovviamente. Van Richten dice che l’Evangelion non è un essere vivente completo e si muove solo grazie alla sincronia tra gli schemi mentali impostati nel nucleo e quelli del pilota. Negli Eva bianchi non c’è un pilota, ma solo un entry plug che contiene degli impulsi psichici preimpostati, copiati dalla personalità di chissà chi. Basterà spezzare loro la schiena ed estrarre l’entry plug, così smetteranno di muoversi".

"Lo dici come se fosse facile!". Asuka quasi non si accorse che erano ormai arrivati al termine della scogliera.

"Mamma…", disse Ryo fermandosi e girandosi verso la donna. La guardò in viso e aggrottò la fronte. Era sempre così quando doveva parlare con sua madre fissandola in volto. Non avrebbe saputo dire nemmeno lui perché. Non le aveva mai detto ‘ti voglio bene’ in vita sua. Non gli era mai venuto spontaneo. Sua madre era una persona importante, questo lo sapeva. O almeno, sapeva che sarebbe dovuto essere così. Eppure… C’era qualcosa dentro di lui che gli impediva di esprimersi con lei come avrebbe voluto. Lanciò un’occhiata alle onde sotto di lui. Che fosse quello il motivo?

"Sì?", chiese Asuka, quasi pendendo dalle labbra del figlio. Era una situazione che la seccava molto, ma si ripeteva piuttosto spesso. Asuka non aveva mai faticato a notare l’incomunicabilità tra sé e Ryoma. Fra di loro c’era qualcosa che nessuno dei due riusciva a mettere a fuoco, qualcosa che li legava e li divideva con un vuoto incolmabile al tempo stesso. Per qualche motivo, non riuscivano a parlare come volevano l’uno con l’altra. A volte, la donna pensava che, almeno da parte propria, ci fosse qualcosa di simile a un senso di colpa…

Ryoma sospirò: "Hai presente Daniele Coppi, quell’italiano che vive al villaggio?".

"Che c’entra adesso Coppi?".

"Sai, lui dice sempre che faceva il calciatore prima del Third Impact. Mi ha anche raccontato di avere vinto i Mondiali nel 2014".

"Sì, ricordo che l’Italia ha vinto i Mondiali di quell’anno, ma cosa c’entra adesso?".

Ryo abbassò lo sguardo, cercando di trovare le parole. "Quei suoi racconti mi sono sempre piaciuti. Mi piace starlo a sentire che mi riporta per filo e per segno le partite a cui ha preso parte. Ha giocato in Brasile e in Spagna, prima di tornare in Italia. Quando mi parla di tutti i giocatori che ha affrontato, penso che anche a me sarebbe piaciuto fare il calciatore, se fossi nato prima del Third Impact. Però sono nato dopo… E sono figlio tuo e di papà. E sono nato dentro allo 04. Quindi, non è che abbia potuto scegliere veramente cosa volessi essere… Nonostante questo…".

"Basta, per favore". Stavolta fu Asuka a distogliere lo sguardo. Sì, quello era decisamente senso di colpa. "Non è necessario che tu vada avanti, ho capito dove vuoi arrivare. Non credere che io sia contenta di come stanno le cose. Non c’era alternativa. Al momento, io e tuo padre abbiamo pensato che fosse l’unica possibilità. E ha funzionato, anche se… Ryo, tu non devi pensare nemmeno per un momento che noi due volessimo…".

Ryo si girò e si mise in piedi sul bordo della scogliera. "Lo so, mamma. Volevo dirti solo che non vi odio. Ci vediamo".

Accovacciato sul fondo marino, l’Eva 04 attendeva. Anzi, la sua attesa era terminata. I suoi occhi brillarono di una inquietante luce scarlatta, mentre si sollevava in piedi e spiccava un balzo verso l’alto.

Ryo saltò dalla scogliera. Chiunque l’avesse visto in quel momento l’avrebbe interpretato come un tentato suicidio. Ma Asuka sapeva bene quello che stava succedendo. Sollevando un’enorme ondata di acqua salmastra, scagliando sugli scogli pesci e alghe, l’Eva 04, l’entry plug che gli sporgeva sgocciolante dalla schiena, schizzò fuori dal mare. Con una precisione che aveva del disumano, Ryo atterrò proprio sul boccaporto aperto del cilindro di pilotaggio. Mentre l’umanoide nero, lanciato dal salto, si proiettava in cielo, l’entry plug gli rientrò nel corpo con un sibilo. L’Evangelion atterrò pesantemente sulla scogliera, mentre delle crepe si aprivano sotto i suoi piedi; un attimo dopo, cominciò a correre velocissimo verso l’entroterra. Asuka, caduta a terra per le vibrazioni provocate da quella corsa innaturale, lanciò uno sguardo all’enorme creatura e sospirò.

 

Episode 40: Black Moon

 

ANNO 992M41

"Ke figata!" esclamò Gutzmaak, mentre guardava l’imponente sagoma dell’Evangelion 01 che si stagliava davanti a lui, ringhiando e gemendo, come a voler gridare una muta sfida al cielo. Sogghignò felice, incurante delle nubi di polvere che l’aura della creatura, che si sprigionava incessante, stava sollevando.

Alexandra si morse un labbro e sbuffò seccata: possibile che quella missione diventasse sempre più difficile a ogni minuto che passava? Perché continuavano a verificarsi questi imprevisti indesiderati? Non fece in tempo a porsi un’ulteriore domanda: l’Evangelion smise di ringhiare e si chinò su se stesso, assumendo una posizione ingobbita quasi grottesca, eppure sorprendentemente naturale. Sembrava che l’Eva fosse nato per questo istante, sembrava che tutto ciò che era successo fino ad allora fosse stato solo un preludio a un accadimento più grande.

Mentre i suoi bianchi denti perlacei si chiudevano lentamente e ritmicamente, l’Eva avvicinò ulteriormente i palmi delle mani, che aveva sempre tenuti rivolti gli uni verso gli altri, fin da quando si era alzato in piedi. Un lieve bagliore brillò tra le dita della creatura; poi, il bagliore divenne oscurità, divenne una goccia di tenebra che sembrava allargarsi in una pozzanghera, espandendo la notte tra le mani del titano. Alexandra non impiegò nemmeno un secondo a capire di cosa si trattasse.

 

"Un Warp gate!", esclamò Zdansky, mettendo un piede sul cadavere del Marine del Caos che aveva appena ucciso e facendo leva per estrarre la Force sword dal cadavere. "È stato aperto un Warp gate a pochi chilometri da qui!". L’Inquisitore si guardò attorno. Sette Marine del Caos dall’armatura nera giacevano a terra morti, le Power armour trapassate da colpi di laser accuratamente mirati o dalla lama mistica che lui stesso aveva mosso. Accanto a lui, visibilmente scossi e provati, tre soldati della Guardia Imperiale di Novet sembravano aspettare ordini, mentre una dozzina e più di loro compagni giaceva, insanguinata e infranta, sulla strada secondaria della capitale dove avevano teso un’imboscata alla squadra di Space Marine.

Poco dopo essere entrato in città per raggiungere lo spazioporto, Zdansky aveva incontrato alcune squadre della Guardia intente a cercare di fermare l’avanzata degli attaccanti; incurante delle sorti della capitale, l’Inquisitore li aveva presi ai propri ordini, scavalcando l’autorità planetaria, e aveva pensato di utilizzarli come scorta personale per raggiungere la propria astronave. La battaglia contro i Marine del Caos in cui si erano imbattuti li aveva visti vincitori, ma era costata moltissimo in termini di vite e adesso il gruppo era praticamente decimato.

"Signore,", domandò uno dei soldati "cosa succede?". "Un Warp gate", ripeté Zdansky, come se questo avesse potuto spiegare tutto. "Riesco a percepire chiaramente la presenza di un Warp gate non lontano da qui, in direzione del deserto…. Là ci sono anche le mie apprendiste…. Ma che diavolo stanno facendo?". I soldati non ebbero bisogno di chiedere cosa fosse un Warp gate: era ben noto che si trattava di varchi aperti sul Warp, solitamente creati dalle astronavi dotate di dispositivi apposito, per entrare nell’Immaterium e compiere i viaggi da un capo all’altro della Galassia. Nessuno di loro aveva mai visto quegli Warp gate che talvolta gli psyker aprivano sul campo di battaglia per spostare velocemente se stessi e i propri compagni; tutti, però, sapevano che i meccanismi di teletrasporto usati sia dall’Imperium che dalle altre razze si basavano proprio su degli Warp gate. E che, essendo collegati direttamente con l’Empireo, gli Warp gate erano estremamente pericolosi: per quanto bene potesse essere calcolato il punto d’arrivo, c’era sempre il rischio che chi vi si avventurava si perdesse per sempre, o che giungesse a destinazione secoli dopo, senza essere invecchiato di un secondo. Anche se era un viaggio di una decina di metri. Ma chi poteva avere aperto un Warp gate proprio nel deserto? E per quale motivo? La situazione si stava facendo sempre più difficile a ogni secondo. Zdansky cercò di ragionare velocemente. La priorità restava quella di guadagnare l’accesso allo spazioporto: se lui si fosse salvato, magari non sarebbe riuscito a recuperare l’umanoide, ma sicuramente avrebbe avuto modo di invocare l’Exterminatus, e avrebbe almeno cancellato ogni traccia di pericolo da Novet. L’Inquisitore sogghignò: non è che usare l’Exterminatus gli piacesse, ma aveva perso il conto di quanti pianeti aveva già sistemato in quel modo e trovava ironico che la reputazione che si portava dietro lui, un Inquisitore incaricato di proteggere l’umanità, venisse più da quanti stermini aveva compiuto che da quante vite aveva salvato.

Perché l’Exterminatus era uno sterminio. Ci si poteva girare intorno finché si voleva, ma un bombardamento su scala planetaria con missili che portavano agenti patogeni in grado di annientare qualsiasi forma di vita conosciuta (o, a seconda dei casi, esplosivi abbastanza potenti da distruggere ogni materiale noto) era uno sterminio. Una tale estrema risorsa veniva utilizzata solo quando un mondo era giudicato troppo contaminato dal Caos per essere recuperabile, o quando bisognava nascondere qualcosa di pericoloso anche a costo di gravi perdite. Tipicamente, l’Exterminatus calava anche su quei mondi che avevano appena respinto un’invasione di demoni o Marine del Caos: le popolazioni venivano generalmente considerate contaminate e si riteneva più prudente sterminarle, Guardia Imperiale compresa. Era per questo motivo che ben pochi pianeti chiedevano l’aiuto dell’Inquisizione: le voci di mondi annientati per motivi non meglio precisati (perché l’esistenza dei demoni era tenuta segreta) circolavano per tutto l’Imperium e nessuno aveva voglia di essere ucciso solo per avere fatto un incontro sbagliato. Dopo qualche secolo, i pianeti colpiti dall’Exterminatus venivano tipicamente ripopolati e si faceva il possibile per farvi rinascere la vita animale e vegetale, importandola da altri mondi. I processi di terraforming utilizzati in tempi antichissimi dalla razza umana erano ormai perduti, ma i Tecnopreti dell’Adeptus Mechanicus avevano cercato di ricrearli, seppure con alterne fortune.

Zdansky sospirò: a questo punto, non poteva fare altro che lasciare perdere e prepararsi al peggio. C’era solo una cosa che lo preoccupava: che fine avevano fatto Megan e Alexandra? L’idea di abbandonarle lì lo seccava profondamente. Non poteva perdere due subordinate tanto valide. E, ma questo si rifiutò di formularlo come un pensiero coerente, aveva la sgradevole impressione che si sarebbe sentito solo senza di loro.

 

Logan sospirò e si sedette di nuovo al posto di guida. Si girò verso Erin: "Credo proprio che la missione sia definitivamente saltata", disse incupendosi. "Ho lasciato la mia astronave a poca distanza da qui e la situazione si sta facendo un po’ troppo pericolosa. Mi sa che faccio bene ad andarmene di qui finché sono in tempo". "Aspetta un attimo!", protestò la ragazza "E l’Evangelion?". "A questo punto, non può fregarmene di meno", replicò il giovane psyker. "L’aura che sto percependo viene proprio da dove dovrebbe trovarsi, quindi è altamente probabile che sia la sua, o che comunque sia coinvolto in questo casino. Anzi, mi stupirei del contrario. Mi secca non vedere i soldi di Bile, ma tengo di più alla mia pelle".

Prima ancora che Logan finisse di parlare, un rumore sferragliante riempì la strada e una scalcagnata auto scoperchiata fece la propria comparsa dalla direzione in cui la jeep stava andando. Le braccia meccaniche che spuntavano dai sedili e la forma di un uomo in Power armour che sedeva al posto di guida non lasciavano molti dubbi su chi fosse il conducente.

"Signor Bile!" esclamò Erin saltando giù dal sedile e correndo verso la macchina. L’auto si fermò e il Marine del Caos ne scese goffamente. Un uomo alto più di due metri, con addosso un’armatura che lo rendeva ancora più grosso, era evidentemente impacciato in un mezzo che non era stato costruito per qualcuno della sua taglia. "Che è successo?", domandò Bile alla ragazza. "Perché siete qui?". "È successo un bel casino!" rispose Logan scendendo a propria volta dalla jeep. Stavamo venendo a informarti che l’Evangelion si è messo in piedi, quindi il recupero del mezzo è impossibile. Bene che vada, l’Orketto riuscirà a portarti un campione della sua carne, come da accordi iniziali. Facciamo che ci paghi la cifra che avevi promesso in origine e chiudiamo qui l’incarico, va bene?".

Fabius Bile non era uno stupido. C’erano dei momenti in cui la sua brama di conoscenza e la sua voglia di ottenere qualcosa che desiderava ardentemente annebbiavano il suo giudizio, questo sì. Ma non era tipo da lasciarsi fregare in maniera tanto plateale. E Logan stava palesemente cercando di tirarsi fuori dalla faccenda guadagnandoci qualcosa. "Un campione della sua carne?" domandò il Signore dei Cloni, mentre sul suo viso si dipingeva un sogghigno a metà tra l’amareggiato e l’entusiasta. "E perché dovrei accontentarmi di così poco? Hai idea del motivo per cui sono uscito dalla città, quando invece mi sarebbe stato più utile cercare di recuperare la mia astronave?".

Logan aggrottò la fronte. Bile giudicò che quell’atteggiamento valesse come un ‘no’ e si rispose da solo. Frugò tra le pesanti vesti che portava sopra il pettorale della Power armour e ne estrasse un bizzarro oggetto, un corto manico con una sorta di piccolo schermo piatto a un’estremità. "Ho scoperto che questo affare funziona", disse allargando il ghigno. "È un particolare tipo di scanner che ho rubato anni fa in una base segreta degli Illuminati, la stessa in cui ho ritrovato le informazioni riguardo l’Evangelion. A quanto ho capito, questo coso è stato costruito prendendo a modello alcune strumentazioni risalenti a trentotto millenni fa, più o meno il periodo in cui gli Eva combattevano contro i demoni, lo stesso in cui ci fu quel cataclisma…. Gli Illuminati sanno esattamente cosa è successo, ma dubito che lo dicano anche alla loro manovalanza. Se ci sono degli Illuminati su questo pianeta, è altamente probabile che abbiano solo una vaga idea di come siano andate realmente le cose". "E nemmeno tu hai detto tutto alla manovalanza", aggiunse Logan. "E anche tu sai esattamente cosa è successo, giusto?".

"Certo che lo so. Ma non credo proprio che avresti accettato la missione, se l’avessi saputo anche tu"

"È così terribile?"

"Oh, molto più di quanto pensi…. Non ci fu un’esplosione che spazzò via il genere umano. Gli Evangelion non distrussero il mondo…. Gli Evangelion diedero all’uomo quello che l’uomo voleva. Gli esseri umani passano la vita nel vano tentativo di trovare qualcuno che possa capirli appieno. Gli Evangelion tolsero all’uomo questa necessità. Ma le cose vanno ben oltre".

"Che diavolo stai dicendo?"

"Aura superficiale!", esclamò Bile, come se questa parola avesse potuto spiegare tutto. "Quando un organismo si forma in questo universo, a un certo punto l’anima entra dal Warp nel corpo e lo pervade con la propria aura. È questa aura che conferisce al corpo la sua forma e lo tiene insieme. Si potrebbe dire che sia la forma più basilare di consapevolezza di sé. Si può vedere una cosa simile anche nei demoni: dato che i loro corpi sono composti di energia spirituale, necessitano di un’aura superficiale più salda per restare integri, al punto che spesso si manifesta come un campo di forza. Solo pochi demoni riescono a materializzarsi con concretezza sufficiente da farne a meno"

"Finiscila con questi giri di parole, non mi stai spiegando niente!"

Bile sghignazzò: "Ma come, non ci sei ancora arrivato? Gli Evangelion furono usati come parte di un rituale, che aveva Lilith come proprio fulcro: questo rituale privò gli esseri umani della propria aura superficiale. Riesci a immaginare cosa accadde? L’intera umanità si trasformò in un mare di brodo primordiale, diventando un tutt’uno con se stessa. Gli Evangelion e Lilith, per la precisione. Fu un rituale che avrebbe potuto portare alla creazione di una nuova divinità, esattamente come è già accaduto con gli Dei del Caos che conosciamo, con l’unica differenza che il procedimento sarebbe avvenuto su di un pianeta nell’universo reale e non nel Warp"

"Gli Dei del Caos?"

"Eh, già, suppongo che tu non sappia nemmeno questo….. Quando una creatura muore e la sua anima torna nel Warp, si associa spontaneamente con anime di esseri di natura affine. Le anime dei violenti si uniscono ad anime di altri violenti. Le anime dei caritatevoli ricercano quelle di altri caritatevoli. Con il passare dei millenni, queste anime si concentrano in un unico punto del non-spazio che è l’Empireo e danno luogo a tempeste del Warp. Alcune di queste tempeste possono acquisire coscienza propria, diventando la quinta essenza del carattere comune che ha portato insieme le anime che le compongono. Questo è un dio, niente di più, niente di meno. Il mare di brodo primordiale formatosi su Terra durante il rituale degli Evangelion era praticamente equivalente a una tempesta del Warp nell’universo reale. Essendo nell’universo reale, però, le anime che la abitavano non erano morte e la memorie dei corpi disciolti che la formavano fisicamente era ancora impressa in esse. Questo significa che un tale fenomeno era possibile solo con il consenso dei diretti interessati, ovvero gli esseri umani. E sai perché noi adesso siamo qui, che possiamo parlare? Perché ci furono esseri umani che decisero di non fare parte di quella divinità artificiale, che decisero di tornare a essere quello che erano, esattamente come era stato previsto!"

Logan sbuffò: "Riesci a essere insopportabile, sai? Ogni tua spiegazione non fa altro che complicare le cose! Previsto da chi? Qualcuno ha voluto una cosa del genere?"

"È ovvio", sbottò Bile, mentre il suo sogghigno si contraeva sempre più nella smorfia di chi volesse creare aspettativa nel proprio interlocutore. "Certe cose non capitano per caso. A quel tempo c’era un’organizzazione che possiamo pensare fosse composta dai predecessori degli Illuminati: loro volevano che l’umanità diventasse divinità di se stessa. Avevano trovato Adam e Lilith e progettavano di usarli a questo scopo. O almeno, così credevano. Quello era un tempo in cui l’Imperatore, seppure sotto mentite spoglie, camminava ancora tra gli esseri umani. Sapendo dell’esistenza delle Oscure Potenze, concepì un metodo tale da permettere all’umanità di combatterle. Manovrò gli eventi affinché i vecchi Illuminati decidessero di portare avanti questo folle piano, ma, al tempo stesso, si accertò che altri lo facessero fallire. Voleva che il rituale avesse luogo ma si concludesse con un fallimento. In realtà, non so bene nemmeno io in che modo agì. È possibile che si sia limitato a controllare mentalmente le azioni di alcune persone, o forse aveva concertato le cose ancora meglio. Forse non aveva fatto ricorso ai propri poteri psichici, si era limitato a regolare quel dettaglio che avrebbe fatto quadrare l’insieme…. Fatto sta che le cose andarono proprio come aveva previsto: a rito già iniziato, ci fu un’interruzione, o forse intervenne un elemento estraneo e non programmato dagli Illuminati fin dall’inizio. E alcuni esseri umani poterono tornare alla loro forma materiale. Pare che la stragrande maggioranza dell’umanità abbia preferito restare nell’oceano di brodo primordiale, ma, a quanto ne so, non c’è niente di simile su Terra. Non saprei dirti dove questo oceano sia finito, perché, dalle informazioni in mio possesso, sembra che sia sparito poco tempo dopo la fine del rituale. È possibile che le anime che lo componevano si siano istintivamente ritirate nel Warp"

"C’è un’ultima cosa che non mi quadra: hai detto che l’Imperatore voleva che il rituale cominciasse e fallisse per permettere all’umanità di combattere contro gli Dei del Caos…. Ma in che modo? Cosa è cambiato? Perché adesso gli esseri umani sarebbero migliori di prima?"

Il volto del Signore dei Cloni si aprì in un sorriso di soddisfazione: "E me lo chiedi proprio tu? Tu sei la risposta vivente a questa domanda. Tu sei quello che l’Imperatore voleva. Perché tu sei…."

"Uno psyker!". Logan capì all’improvviso. "L’Imperatore voleva che l’umanità fosse sottoposta a un rituale che coinvolgeva dei cloni di un demone, cioè una creatura del Warp. La vicinanza con il Warp ha alterato il codice genetico degli esseri umani tornati dal brodo primordiale e ha dato il via all’evoluzione della specie come razza psichica!"

"Se ti impegni ci arrivi, eh? Ovviamente, l’evoluzione è stata lenta e non è certo terminata…. Le prime generazioni di umani post-rituale non erano certo composte di psyker. Però, con il passare dei millenni, con l’influenza dell’Immaterium derivata dai viaggi spaziali, i geni alterati eredità degli Evangelion si sono risvegliati a poco a poco. E così, negli ultimi secoli, gli psyker sono aumentati moltissimo, anche se restano una percentuale minima della razza umana. Era decisamente un progetto a lungo termine. Se l’Imperatore non avesse dovuto affrontare Horus, probabilmente starebbe seguendo anche ora questa evoluzione". Bile alzò nuovamente lo scanner, mettendolo sotto gli occhi del proprio interlocutore. "Secondo questo affare, l’evento si sta ripetendo, più o meno. Ha appena rilevato una fonte di energia molto simile a quella che si attivò ai tempi della catastrofe. Un Warp gate e un’emanazione psichica che amplia a dismisura l’aura superficiale di un singolo essere estremamente potente, permettendole di cancellare quelle delle creature inferiori che si trovano entro il proprio raggio…. Non pensavo che fosse possibile, ma l’Evangelion 01, il figlio illegittimo di Lilith, ha creato a propria volta una Luna Nera…."

Logan pestò rabbiosamente un piede per terra: "Ti diverti a farti chiedere spiegazioni, eh? Dovrei chiederti cosa cazzo è ‘sta Luna Nera, no?".

"Se proprio insisti". Sul volto di Bile danzò un ghigno beffardo: "L’esatta natura della Luna Nera è ignota, ma si tratta fondamentalmente di un Warp gate. Il Principe Demoniaco Lilith aveva una caratteristica fondamentale: alterava la vita. La trasformazione degli esseri viventi in un mare di brodo primordiale non era che una parte di un procedimento di generazione e rinnovamento. Attraverso il Warp gate che è la Luna Nera, Lilith dovrebbe richiamare l’energia spirituale necessaria alla trasformazione e, in un secondo tempo, le anime delle nuove creature che nasceranno dal liquido da lei stessa generato. Non sono riuscito a capire granché dei dettagli, ma sembra che Lilith abbia dato vita ad Adam in questo modo e che lo stesso Adam abbia utilizzato un procedimento simile per generare i demoni contro i quali gli Evangelion combattevano… Isolare una gran quantità di creature, addirittura su scala planetaria, trasformarle in brodo primordiale e poi dare a questo liquido una nuova forma, usando delle anime richiamate dall’Immaterium per animarla. Forse ci sono Lilith e Adam dietro le estinzioni di massa che hanno sconvolto la storia di Terra nel corso di molti milioni di anni".

Logan sbuffò istintivamente: che cazzo stava succedendo? Aura superficiale? Allora era destinato anche lui a sciogliersi in una pozza di brodo primordiale? "Va bene,", disse spingendo Erin giù dalla jeep, "facciamo che io lascio la missione, tu non mi paghi e siamo pari. Saluti". La jeep ingranò la marcia indietro e si mosse di qualche metro, mentre Logan si apprestava a fare manovra. "Non risolverai niente", gridò il Signore dei Cloni, mentre il ragazzo, la fronte imperlata di sudore, cercava di dirigere nuovamente il mezzo verso il deserto. "Se scappi adesso, non hai alcuna possibilità di salvarti: l’azione di Lilith si è verificata su scala planetaria, quindi è verosimile che sarà così anche per lo 01. Che io sappia, esiste un solo modo per resistere al procedimento di scioglimento". Logan bloccò improvvisamente la jeep, che ormai stava dando le spalle a Bile, e lanciò un’occhiata arcigna al Marine del Caos. Bile giudicò che fosse un invito a proseguire: "Secondo i dati che ho raccolto, Lilith creò delle illusioni in grado di creare forti emozioni nelle persone. Generalmente sollievo, affezione o sicurezza, in modo da stimolare lo scioglimento dell’aura superficiale dell’individuo. Probabilmente, in qualche caso, anche paura, per fare crollare le difese psicologiche. Se non ci sono emozioni di fondo, è possibile che il procedimento non funzioni. Per evitare di diventare brodo primordiale, devi essere completamente impassibile. Non provare emozioni di alcun tipo, è l’unico modo per non essere coinvolto nella ripetizione del rituale". Senza nemmeno rispondere, Logan ingranò la prima e partì verso le distese desertiche.

Fabius Bile si avvicinò a Erin e le mise una mano sulla spalla, seguendo con lo sguardo il giovane wyrd che si allontanava, apparentemente dimentico che lo stava facendo su di una jeep che lui stesso gli aveva fornito. Il fatto che Logan avesse voluto chiamarsi fuori dalla missione non lo disturbava più di tanto: se l’Evangelion si era animato, un suo recupero era ormai impossibile. Lo Squartauomini scosse il capo sogghignando. In realtà, non era proprio sicuro che fosse possibile resistere all’azione della Luna Nera con il sistema che aveva descritto. Era più che altro una sua teoria. Sapeva che fuggire da Novet in quel momento sarebbe stato inutile: raggiungere lo spazioporto presidiato dalla Nera Legione era praticamente impossibile e questo significava restare coinvolti nel rituale. Però… Se avesse giocato bene le sue carte, pensò Bile, forse si sarebbe salvato e avrebbe anche guadagnato qualche informazione interessante…

 

La capitale di Novet era in fiamme. Ormai da qualche ora i Marine in armatura nera l’avevano messa a ferro e fuoco; il piccolo gruppo di Emperor’s Children guidato da Derketo aveva già raggiunto la zona di guerra e aveva cominciato a divertirsi. Con la parola ‘divertimento’, i seguaci di Slaanesh intendevano esperienze nuove e sensazioni forti. E questo era un problema, perché alcuni di loro erano in vita da millenni. Nell’Occhio del Terrore, dove lo spazio reale e la materia dell’Empireo si mescolavano in un amalgama di follia e irrazionalità, il tempo non aveva alcun significato, con il risultato che una vita poteva essere prolungata quasi all’infinito. Ne conseguiva che alcuni Emperor’s Children avevano provato praticamente di tutto e questo li aveva sprofondati in una noia mortale e implacabile. Si narravano storie di membri di questa Legione che, sentendosi ormai impossibilitati a trovare un’esperienza mai provata, si suicidavano per provare qualcosa di nuovo. Non Derketo. Lui era un veterano dell’Eresia di Horus, aveva più di diecimila anni, aveva servito sotto il Primarca Fulgrim in persona, aveva viaggiato per la Galassia combattendo la Grande Crociata, aveva ceduto al richiamo di Slaanesh insieme ai suoi fratelli Marine ed era stato uno dei seguaci più zelanti. Ai tempi, quando Fabius Bile era stato ancora parte della Legione, Derketo aveva trovato in lui e nei suoi continui esperimenti una fonte di esperienze interessanti quasi inesauribile. Per questo era sempre ben disposto a seguire il suo vecchio compagno d’arme nelle sue imprese. Ma non era un suo subordinato. Non era un suo servo.

Quando aveva saputo dell’attacco alla capitale, aveva immediatamente lasciato il fronte del deserto per andarsi a divertire. Mentre avanzava tra le macerie e gli edifici sventrati, si guardava attorno ammirato. L’efficienza degli attaccanti era stata ammirevole: schierando l’armata tramite i drop pod, avevano portato sul posto rapidamente numerosi soldati e armi d’appoggio, con il risultato che la città era stata ridotta all’ombra di se stessa nel giro di poche ore. Ma gli Emperor’s Children avevano trovato comunque qualcosa da fare, o almeno ci avevano provato. Avevano catturato una ventina di fuggiaschi, civili che avevano cercato di lasciare il complesso urbano in rovina, nella speranza di trovare rifugio tra le dune e le rocce ventose del deserto, ma adesso non sapevano cosa farci. Da più di venti minuti, i Marine stavano discutendo se fosse il caso di trovare un modo nuovo di ucciderli o se bisognasse riservare loro qualche trattamento meno scontato. Derketo trovava queste situazioni terribilmente noiose. Ne aveva già sentite a migliaia e aveva capito ormai da secoli che l’atto di uccidere in sé non era poi così divertente e che le varianti erano piuttosto limitate. Molti seguaci di Slaanesh di primo pelo diventavano assassini efferati, perché infrangere le convenzioni del vivere comune era la via più logica verso il nuovo e l’inesplorato. Ma il semplice omicidio non era particolarmente esaltante e si impiegava poco tempo a capire quanto poco valesse una morte rispetto a un vita. Con un morto si poteva fare ben poco, con un vivo si poteva fare molto di più.

Il gruppo di Emperor’s Children si era accampato all’interno di una piccola abitazione semidistrutta dalle cannonate: Derketo aveva lasciato il grosso dei suoi soldati libero di andarsi a divertire per le vie della città, limitandosi a imporre un orario per riunirsi e portando con sé solo la sua guardia del corpo personale. Mentre si sedeva mollemente tra i detriti e guardava i suoi commilitoni litigare, si chiese se entrare nella capitale fosse stata una mossa prudente. La risposta era indubbiamente no, e questo lo convinse di avere fatto la scelta giusta. Sbadigliò sonoramente e cominciò a picchiare distrattamente tre le macerie la sua lunga spada dalla larga lama ricurva. Anche vedere saltare dei frammenti di casa era qualcosa che aveva già provato in più di un’occasione.

Sarebbe potuto restare lì, a fare niente, per ore. Il tempo non gli mancava di certo. Improvvisamente, notò del movimento tra i suoi commilitoni. Non impiegò molto a capire cosa fosse successo: Fabius Bile era appena entrato nell’abitazione semidistrutta, accompagnato da quella ragazzina che si portava dietro ogni tanto. Derketo sbuffò: aveva già una mezza idea di quello che il suo ex commilitone voleva dirgli. Lo avrebbe rimproverato per avere lasciato la propria posizione e gli avrebbe negato il divertimento che gli aveva promesso. Che noia.

"Ti diverti?", domandò Bile mettendosi dritto davanti a Derketo e lanciandogli un’occhiata beffarda. "No", ammise senza problemi il Signore del Caos. "Questo posto è una noia. Ma è comunque meglio del deserto in cui mi hai spedito tu, quindi risparmiami la menata, d’accordo?". Il Signore dei Cloni scosse il capo: "In effetti, se la situazione fosse diversa, credo che mi sarei preso una qualche vendetta per questo tuo comportamento sconsiderato. Ma si dà il caso che tu sia venuto in città proprio quando avevo bisogno di parlarti. Avevi detto di non avere ancora giocato le tue carte migliori, no? Forse so dove potresti calarle. Sta per succedere qualcosa che non hai mai visto, ne sono certo!".

 

Gutzmaak stava gongolando. Aveva passato molto tempo tra gli umani, quindi non era più definibile come un tipico Orketto. Ormai aveva perso o smussato alcuni tratti tipici della sua razza. Non sempre era incosciente, per esempio. Ma c’era una caratteristica tipicamente orkettesca che gli era rimasta: subiva senza riserve il fascino delle cose strane, grosse, rumorose e/o veloci. Mentre guardava dal basso in alto l’imponente sagoma dello 01, pensò che fosse una delle viste più esaltanti che gli fossero mai capitate sotto gli occhi.

Alexandra era di tutt’altro avviso. Percepiva l’aura dell’Evangelion crescere di minuto in minuto, mentre enormi nubi di polvere e sabbia di si sollevavano attorno ai piedi del gigantesco umanoide. Valutò rapidamente che la missione fosse ormai fallita: a questo punto, non le restava che raggiungere Zdansky e Megan e lasciare quel pianeta il prima possibile. Stava decisamente succedendo qualcosa di strano. La ragazza alzò gli occhi al cielo, dove si stavano cominciando a radunare delle nubi nere, che turbinavano direttamente sopra la testa dell’Eva, come a formare un mulinello veloce e travolgente, che sembrava voler risucchiare tutta l’aria dentro di sé e che contrastava violentemente con la luce rosata del mattino. Lanciò un’occhiata all’Orketto. Non c’era tempo di pensare a lui. Sorrise tristemente tra sé e sé: sembrava fosse destino che qualcosa le impedisse di uccidere quel pelleverde e i suoi compagni ogni volta che li incontrava. Personalmente, la cosa non le dispiaceva più di tanto: l’idea di ammazzare qualcuno al fianco del quale aveva combattuto non era certo entusiasmante per lei. Le sembrava di tradire la lealtà. Non tanto quella altrui, ma la propria. Professionalmente, invece, si rendeva conto che lasciare in vita qualcuno che conosceva la sua identità era un grosso problema per un Inquisitore. Ma, almeno per ora, non aveva scelta.

Si girò e espanse la propria aura, preparandosi a usarla per alzarsi da terra e levitare verso la città alla massima velocità possibile; prima che potesse esprimere il pensiero cosciente di volare, però, qualcosa la fermò. Un concerto. Una musica stridente e fastidiosa si stava espandendo nell’aria. Sembrava un concerto di mille organi. Contrariamente a quella degli organi, però, questa musica non era lenta e solenne: era veloce e ritmata, potente e vibrante. Sembrava venire da un’altra dimensione, ma era più verosimile che la sua provenienza fosse il confine tra la capitale e il deserto. Aumentava sempre più di ritmo e intensità, come a raggiungere un crescendo intollerabile che spaccava i timpani e non solo: si insinuava nell’anima, scavava nel profondo, tirava fuori gli istinti più nascosti. Era un monito alla fragilità della carne umana e al tempo stesso un inno al piacere che permetteva di provare.

Alexandra cadde a terra ansimante, mentre sentiva il sangue affluirle alla faccia, scaldandogliela innaturalmente. Cadde in ginocchio e vide i suoi stessi capelli che le ricadevano davanti agli occhi. Poi, all’improvviso, i suoi capezzoli avvamparono di una sensazione piacevole ma terribile, perché non aveva alcuna ragione di esserci. Era successo così, senza motivo apparente. Gemette involontariamente e, un secondo dopo, si vergognò con se stessa, perché stava cominciando a capire quello che stava accadendo. Il suo respiro si stava facendo pesante, il suo corpo vibrava come in preda a scatti incontrollabili. Si piegò ulteriormente, picchiando la fronte sul terreno e scoprendo di essere bagnata tra le gambe. Aveva già provato qualcosa di simile, e non tra le braccia di un uomo. L’odore di vaniglia che le riempì le narici subito dopo le diede la conferma definitiva di quello che stava succedendo. Tirando un profondo respiro, alzò la testa e guardò in direzione della città.

Sembrava una massa informe, ma non lo era. Guardando meglio, era possibile distinguere delle sagome abbastanza ben definite nell’orda che stava avanzando verso la pianura. Le creature erano piuttosto varie fra di loro, ma erano tutte ugualmente belle e orribili. Orribili nell’aspetto, bellissime per il conturbante fastidio che la loro presenza suscitava. Erano una schiera, un esercito. Alexandra valutà che fossero più di mille, ma forse non aveva visto bene: la sua testa era ancora annebbiata da spasmi di doloroso piacere. Distinse abbastanza chiaramente le creature di forma umanoide, perché le aveva già incontrate. Alcune erano glabre, altre avevano una folta chioma. Alcune somigliavano molto a degli esseri umani, altre avevano delle gambe da uccello, sulle quali saltellavano agilmente. Tutte avevano delle grosse chele al posto delle mani.

C’erano degli altri esseri là in mezzo. Ad Alexandra sembrò di vedere dei mostri simili a centauri, con un muso allungato da rettile, delle zampe equine ridicolmente corte e tozze e le solite che alle braccia. Le parve anche di cogliere con lo sguardo dei serpenti che correvano veloci su lunghe e snelle zampe artigliate, mentre una viscida lingua guizzava fuori dalle loro bocche. Alcuni di questi ultimi erano cavalcati dai mostri umanoidi. E poi, Alexandra vide anche delle enormi bestie dalla testa bovina, dotate di quattro braccia e rivestite di pelle e d’argento.

Non c’era dubbio: mentre la musica si faceva sempre più fastidiosa e incalzante, Alexandra capì di trovarsi di fronte un’orda di demoni di Slaanesh.

  
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