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Autore: Ariel Winchester    09/06/2012    11 recensioni
[Dal capitolo 19° "Frozen"]
Ma cosa avevo in mano per poterlo riportare indietro? Avevo usato il fuoco, il sangue e la violenza: tutto quello che lui conosceva meglio, ma non era servito.
Cosa avrebbe potuto risvegliarlo allora?
Me.
Quella voce giunse nella mia testa, alleviò la disperazione e assopì improvvisamente tutti i miei pensieri. Forse avevo sbagliato a cercare di svegliare Klaus facendo leva sulla sua forza, forse dovevo puntare su una debolezza. Lui aveva paura di restare solo, se gli avessi fatto capire che non lo era, forse sarebbe tornato.
Allungai la mia mano priva di guanto verso la sua, era fredda e rigida ma intrecciai le mie dita tra le sue, in modo che lui potesse sentirmi vicina a lui.
Non sei solo Klaus, io ci sono.
Quindi torna, ti prego.
Chissà quanto tempo era ancora passato: lui era immobile, io lo ero con lui, ma tutto intorno a noi andava avanti. Solo noi eravamo fermi nel tempo, mentre tutto là fuori continuava a muoversi.
Perché non si svegliava?
Singhiozzai, sentendomi inabilitata a trattenerli troppo a lungo e posai la testa sulla spalla di lui. La colpii con delle piccole testate, sperando che lui mi sentisse.
Ma rimase congelato, non si mosse e non ascoltò le parole che volevo trasmettergli attraverso le nostre mani congiunte. Strinsi più forte la presa, perché avevo ancora l'insano desiderio che lui potesse sentirmi.
Ma non fu così, lentamente il sonno vinse sul mio corpo.
Klaus.
Era finita, ero rimasta sola e probabilmente sarei morta assiderata quella notte. Gli occhi si chiusero sulle mie ultime lacrime, le lasciarono scorrere lungo la mia pelle, mentre lentamente lasciavo la realtà e raggiungevo i miei sogni.
La mia mano però non abbandonò mai quella di Klaus.
[Fic revisionata fino al 9° capitolo]
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elijah, Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Unchain the rain-

Quando Belial terminò di parlare, mi sembrò che il mondo fosse più orribile di quanto mi era fosse mai apparso.

Un altro spiraglio di luce si era spento, un'altra lama aveva affondato nel mio cuore ,altre lacrime bagnarono i miei occhi. La mente venne invasa da tutte le parole che il demone aveva appena finito di pronunciare; prima si presentarono solo come semplici e lontani echi della sua voce poi divennero il tuonare di una nuova verità, appena affiorata inanzi a me. Abbassai gli occhi e iniziai a scuotere la testa, prima lentamente e poi sempre più velocemente.

Non potevo crederci. Non poteva essere....

Le mani salirono a stringere i miei lunghi capelli corvini, diversi ciuffi mi rimasero avvolti tra le dita mentre pregavo il cielo che fosse tutta un'altra menzogna, che Belial mi stesse mentendo quella volta.

Ma il ghigno sul suo viso confermava l'esistenza di un ennesima fiamma dell'inferno pronta a bruciare le vie della mia esistenza. Fece un passo verso me; anche se avevo chiuso gli occhi, avevo captato quel suo movimento attraverso il rumore dei suoi passi che schiacciavano l'umida erba sotto di noi. Non riuscivo ad aprire gli occhi e nemmeno ad alzare lo sguardo nella sua direzione.

Se lo avessi fatto, ero certa che sarei crollata a terra in quel preciso istante.

Puoi fermarlo prima che accada, Irina.” disse lui ancora, la sua voce sempre terribilmente profonda e penetrante.

Tenendo ancora il capo chino, trovai il coraggio di aprire le palpebre e osservare le punte dei nostri piedi che quasi si sfiorarono. La mano di lui si allungò nella mia direzione e mi sfiorò il mento con le dita. Venni obbligata a guardarlo e mi ritrovai ad affondare nelle sue iridi chiare; mi parve di scorgere il buio che avevo colto in quelle di mio padre, anche se in realtà quegli occhi appartenevano al corpo di una sua povera vittima.

Si stava prendendo gioco di me, non poteva essere altrimenti; come poteva pensare che fossi in grado di fare una cosa del genere? Ero solo una disastrosa ragazzina di sedici anni nel cui corpo scorreva del sangue maledetto. Come poteva anche solo farsi beffe di me, facendomi credere di poter fermare una cosa del genere?

Belial mi sorrise, le sue dita solleticarono dolcemente la punta del mio mento.

Io posso aiutarti ad impedirlo.” disse ancora, inclinando leggermente il viso nella mia direzione, tanto che la sua fronte arrivò quasi a sfiorare la mia. Lo guardai confusa, mentre il mio respiro si faceva sempre più irregolare e il petto iniziava ad alzarsi e abbassarsi, appena il cuore percepì l'esistenza di una possibile speranza.

E Belial mi diede il suo aiuto.

* * * *

Ore bagnate di pioggia si susseguirono fin troppo lentamente.

Mi sentivo un involucro vuoto, privo di vita e anima e abbandonato in una realtà senza più spazio e tempo. Intorno a me sembrava non esserci nulla; non vedevo nient'altro che il vuoto, dove le ore, i minuti e i secondi sembravano essersi fermati. Fissavo imbambolata un punto di fronte a me, immerso nel buio che regnava in quella stanza e dove il rumore della pioggia continuava a rompere il silenzio che gravava sul mio corpo oramai privo di forze.

E io ascoltavo in silenzio la furia della tempesta, sperando che in quel modo il tempo riprendesse velocemente il suo corso. Forse il motivo per cui pioveva così tanto in quei giorni era perché c'era fin troppo da pulire su quella terra: troppi misfatti, troppo sangue e troppo dolore da cancellare via. Se tutte le mie lacrime avessero potuto sortire lo stesso effetto, ero certa che quella realtà sarebbe stata ripulita di tutto.

Tieni.” Rebekah allungò il braccio verso me, restandomi seduta accanto.

Non mi mossi, la guardai con la coda dell'occhio e vidi che stava allungando verso me un tozzo di pane. Girai completamente la testa nella sua direzione e incontrai il suo timido sorriso, mentre continuava a tenere il braccio teso verso me.

Mi resi conto solo allora che mi era stata accanto per tutto il tempo, ma era come se il mio sguardo non avesse mai potuto scorgere la sua immagine. Per tutto il tempo, i miei occhi erano stati offuscati dalla nube di pensieri e dolore che si erano impadroniti della mia mente e del mio corpo, piegandoli sotto il suo potere. I miei pensieri non seguivano più una logica, il mio cuore non batteva più a ritmo regolare nel petto e ogni tanto il respiro sembrava fermarsi improvvisamente. Non avevo realmente più controllo del mio corpo, quello era divenuto una marionetta in balia dell'agonia.

Scossi la testa e guardai il tozzo di pane nella mano di Rebekah.

Lo stomaco mi brontolò per la fame, rammentandomi che non mangiavo da troppo tempo e, il fatto che la pancia mi si contraesse in quelle fitte, non fece altro che accrescere il male di cui ero già vittima.Rifiutai l'idea di mangiarlo, poiché il solo pensiero di sentire il suo sapore mi diede il voltastomaco.

Ero troppo nervosa, agitata, impaurita e addolorata per aver forza di mangiare.

Girai la testa verso la finestra; il cielo si era fatto più denso di nuvole e un lampo ne squarciò il manto scuro con la sua improvvisa e violenta luce. La pioggia stava iniziando a cadere più fitta e un forte vento si era alzato, investendo con la sua ferocia la natura.

Rebekah sospirò, arrendendosi all'evidenza che avevo perso lo spirito che animava il mio corpo.

Posò il pane sul tavolo a cui eravamo sedute e sentii il suo sguardo posarsi sulla mia nuca. Anche lei non era poi diversa dai suoi fratelli: i loro occhi erano capaci di farsi sentire anche se non li si guardava direttamente. Erano troppo magnetici ed intensi per non poterne sentire la forza sulla propria pelle. “Senti, devi mangiare.” La vampira assunse il tipico tono di una sorella maggiore che doveva proteggere la più piccola ed indifesa della famiglia. Proprio come faceva Katerina.

Mi posò una mano sulla spalla, come per trasmettermi un po' di calore ma ottene l'effetto contrario. Ricordare mia sorella non fu una buona idea e il dolore dentro me si amplificò.

Vedendo che non rispondevo, la mia mente sembrava rifiutarsi di accettare qualsiasi messaggio proveniente dalla realtà al di fuori di lei, Rebekah sospirò di nuovo e lasciò che il silenzio inondasse la stanza. Poi decise, o capì, che anche lei aveva bisogno di sfogarsi un po', parlandomi e permettendomi così di distrarmi.

Sempre se esisteva un argomento valido per potermi distrarre.

Sai, ti ho odiata...” Iniziò a dire, strappandomi un sorriso dalle labbra nonostante avesse pronunciato quelle parole con gravità. Non era il modo migliore per iniziare un discorso a qualcuno che doveva avere il mio aspetto; mi immaginai pallida e smunta, con gli occhi cerchiati dalle profonde occhiaie scure e i capelli scompigliati che mi circondavano il viso.

Dovevo essere orribile, quanto lo era stato il mondo con me.

Abbassai di nuovo lo sguardo, rendendomi conto che il mio sorriso era fuori luogo e sopratutto non era una cosa che mi ero davvero sentita di fare. Era nato spontaneamente, senza che potessi in alcun modo controllarlo. Corpo, cuore e testa erano così sconnessi tra loro, che prendevano vie differenti e in contrapposizione tra di essi.

Invece che lottare con ciò che ci avrebbe atteso, quegli stolti si facevano guerra tra di loro, malgrado fossero sullo stesso fronte.

Rebekah si umettò le labbra. “Quando ho saputo del bacio con Klaus, ti ho odiata. Perché con la tua debolezza hai ferito entrambi i miei fratelli e vederli soffrire è una cosa che non tollero.” disse, la rabbia crebbe velocemente nelle sue parole, tanto che le ultime vennero pronunciate sotto forma di ringhio.

Rebekah si ricompose, quando mi vide rabbrividire.

Pensò che fosse a causa del sentimento con cui mi aveva rivolto quella parole, ma in realtà mi ero sentita scuotere dentro a causa dei sensi di colpa ma anche dei crampi dovuti alla fame.

Guardai il tozzo di pane con tentazione, poi mi rifiutai di mangiarlo quando avvertii una fitta allo stomaco dovuta al pensiero di doverne sentire il sapore.

Ti avrei presa a schiaffi, ma poi...ora so che non lo meriti.” continuò Rebekah, volse la testa nella mia direzione e io feci lo stesso. Ci guardammo in silenzio mentre la pioggia batteva la sua forza contro il silenzio. In quel preciso istante mi accorsi che anche fuori, nei corridoi della villa, sembrava non esserci anima viva. Avevo saputo che Klaus stava pensando di traslocare e, inevitabilmente, mi domandai quale sarebbe stato il mio destino a quel punto. Anche se poco mi interessava in realtà.

Insomma, guarda.” La vampira si guardò intorno, come se tutto il marcio del mondo potesse essere riassunto nell'oscurità in quella sala. “Guarda che sta succedendo. Era da ipocriti prendersela con te per un bacio, quando c'era tutto questo in gioco, non trovi?”

Rebekah mi guardò con intensità, sembrava non riuscire a trovare le parole più giuste per rivolgermi ciò che realmente sentiva dentro e, perciò, si ritrovò a trasmettermi tutto quello che provava dentro attraverso i suoi bellissimi occhi chiari.

Era combattuta, tra l'affetto che la legava a Klaus e quello che provava per me.

Ricordavo tempo prima, quando eravamo ancora nella casa sulla collina, mi aveva detto che sperava che Elijah trovasse il modo per salvare Katerina. All'epoca non avevo capito fosse quello il vero significato delle sue parole, ma adesso che sapevo la verità, rimisi diversi pezzi a posto.

Sembrava che solo Klaus non fosse d'accordo a prendere parte a quel piano.

Rebekah abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro e lasciando di nuovo che quella fredda quiete scendesse su di noi. Non sapevo se preferire il silenzio o il rumore; mi sembrava che entrambi stessero divertendosi nel vedermi patire quelle insostenibili pene.

Perché sei rimasta?”La sua domanda giunse rapida e, stranamente, inaspettata.

Guardai Rebekah. Il suo volto perfetto si era fatto improvvisamente serio e i suoi occhi scavavano nei miei come se volessero arrivare alla verità.

Una verità che io non le avrei fatto presente, perché non potevo rivelarla.

A quest'ora saresti stata già lontana con tua sorella e non dovresti affrontare...Klaus.” Rebekah mostrò titubanza nel definire suo fratello il mostro della situazione, ma era normale che parlasse in quella maniera. “Non ha senso, perché lo hai fatto?”

Parlò con molto più animo rispetto a poco prima. Aveva girato il busto verso me e spalancato il palmo della mano destra sul tavolo mentre mi fissava con aria interrogativa.

Io l'avevo di nuovo privata dei miei occhi, abbassando la testa e lasciando che i capelli avvolgessero il mio volto.

Pensai di dover piangere, ma in realtà non riuscivo a farlo.

Per la prima volta in vita mia, mi resi conto che era inutile che le lacrime vincessero. Loro non potevano cambiare il passato e né tanto meno potevano cambiare il corso del futuro.

Perciò, presi la saggia e più razionale decisione di non farle scorrere lungo il mio viso.

Vorrei tanto saperlo anche io.”

Alzai di scatto la testa appena riconobbi quella voce; sulla soglia della porta vi era Elijah, con un braccio distese accanto al corpo e lo sguardo puntato nella mia direzione. Definirlo infuriato era ben poco: i suoi occhi nerissimi erano più profondi del solito e sembravano racchiudere in loro tutta la rabbia che quella situazione doveva causargli. Aveva la mano sul pomello della porta semi aperta, da essa riuscivo a scorgere l'esterno, dove il cielo riusciva ad essere persino più nero di quanto sembrasse da oltre il vetro della finestra. Quello scenario devastante faceva da contorno alla sua figura rigida ed immobile.

Mentre lo osservavo, sentivo quasi di potermi lasciare andare e di far sì che la debolezza vincesse su di me. Quasi possedesse lui la forza necessaria per poter impedire al mio corpo e alla mia anima di cadere nel baratro.

Elijah si chiuse lentamente la porta alle spalle, senza mai distogliere l'attenzione da me.

Lanciò poi un'occhiata in direzione di Rebekah, mentre si avvicinava con passo lento a noi.

La sorella restò immobile, aveva compreso in anticipo cosa stava per chiederle il vampiro.

Certi sguardi non erano difficili da tradurre.

Lasciaci soli per favore.” la pregò Elijah, con una combinazione nella voce di freddezza e gentilezza.

Era ghiaccio e fuoco insieme.

Rebekah annuì con prontezza, mi lanciò un'occhiata consolatoria e mi posò una mano sulla spalla per infondermi un po' di coraggio. Sapeva che ne avrei avuto bisogno per affrontare Elijah.

Lei si alzò e io la seguii con lo sguardo, mentre si dirigeva velocemente verso la porta. Non potei fare a meno di notare che Elijah non fece lo stesso; lui, i suoi occhi, li tenne puntati sul mio viso per tutto il tempo e solo quando Rebekah ci lasciò completamente soli, mi decisi a ricambiarli.

Deglutii, mandare giù quel pesante groppo incastrato nella gola mi risultò estremamente difficile vista la gola secca e i brontolii nello stomaco che continuava a reclamare il suo bisogno di cibo.

Elijah fece un altro passo verso me e distolsi lo sguardo, la sua mano posata sulla gamba arrivò quasi a sfiorarmi la spalla e un brivido mi corse lungo la schiena.

Mi domandai se fosse arrabbiato per non essermi fidata abbastanza di lui da lasciarlo mandare avanti il suo piano, anche se non era proprio così che erano andate la cose. Poi pensai che, onorevole com'era, in quel momento non doveva avercela che con suo fratello e con la mia decisione che doveva sembrare parecchio stupida. Mi chiesi come avrebbe reagito, una volta saputa la verità.

Elijah sospirò, come infastidito dal modo in cui stavo evitando il suo sguardo. “Non mi importa nulla di quello che hai in mente.” mi disse, giurai di non aver mai sentito il suo tono così deciso come in quel momento. Se avessi avuto voce, ero certa che non sarei stata capace di replicare.

Io ora ti porto via di qui.”

No.

Scattai in piedi con estrema rapidità e lo guardai, tirandomi leggermente indietro per sfuggire al magnetismo del suo sguardo. Avevo reagito con quella rapidità, perché ero certa che Elijah avrebbe davvero fatto di tutto per portarmi via. Combatterlo sarebbe stato impossibile nella mia condizione. Lui restò sorpreso dalla mia reazione, quasi mi credesse totalmente priva di forza e animo per poter scattare con quella rapidità.

E, effettivamente, forza non ne avevo.

Avevo compiuto quel gesto con tale velocità, che la testa mi vorticò per un istante e fui costretta a chiudere le palpebre per permettere agli occhi di trovare il coraggio necessario per poter guardare il mondo nel suo giusto ordine.

Non seppi dire se Elijah se ne fosse accorto, ma attento com'era, ero certa che il mio evidente stordimento non gli fosse sfuggito.

No?” ripeté, la voce così alta da arrivare ad essere quasi un urlo. “Ma sei impazzita per caso?”

Mentre si muoveva nella mia direzione, mi ritrovai ad arretrare lentamente e la testa riprese a vorticare. Mi sembrava di essere su una barca abbandonata in un mare in tempesta, vedevo tutto distorto e appannato e non avevo forza ed equilibrio per rimanere perfettamente in piedi.

Fui costretta a fermarmi.

Essendo stata seduta per tutto il tempo, non avevo previsto che un singolo e semplice movimento come quello del passo potesse risultarmi così difficoltoso. Non seppi dire se stessi barcollando o meno, ma mi portai una mano alla fronte per fare in modo che la testa smettesse di distorcere il mondo.

Elijah fu più vicino, riuscii a sentire la sua presenza davanti a me e il suo respiro soffiarmi tra i capelli. Non avevo la forza di togliere la mano dalla mia fronte e di aprire gli occhi, rimasi perciò immobile aspettando che lui facesse qualche gesto.

Ti ribadisco che non mi importa ciò che stai tramando o se la tua è semplice idiozia, ma sappi che non mi faccio problemi a caricarti in spalla con la forza e portarti via di qui in questo momento, chiaro?” mi disse, quasi sibilando. In quel momento riaprii gli occhi e li puntai su di lui, il suo volto sembrava il suo stesso riflesso in uno specchio bagnato.

Non riuscivo a scorgere il suo mento, le sue labbra, i suoi zigomi, ma riuscivo a vedere solo l'oscurità dei suoi occhi e capelli scuri.

I crampi per la fame si fecero più intensi e mi fecero quasi piegare in due.

Io non vado da nessuna parte.

Scossi la testa e così lui comprese.

Elijah fece un passo verso me, un altro ancora, e fu tremendamente vicino al mio viso.

Non riuscivo nemmeno ad alzare il mio per incontrare i suoi occhi, tanto mi sembrava di cadere a terra da un momento all'altro.

Mi ero illusa di potermi cibare di dolore e paura, ma in realtà in mio corpo aveva bisogno anche di vero e proprio nutrimento se volevo andare avanti.

Mi serviva anche per il mio piano, a dire il vero.

Elijah si accorse di ciò che stava succedendo e preferì non infierire, o almeno il suo sospiro mi fece intendere questo. Chiusi di nuovo gli occhi, posando la nuca sulla parete dietro me e prendendo dei respiri lunghissimi, confidando nel fatto che potessero farmi stare meglio.

Ma ormai mentivo a me stessa nei modi più assurdi.

Stavo male, l'agonia causata da un mondo che aveva perso tutti quanti i suoi colori mi stava ormai strappando via la vita ed ero così stupida da credere che, senza di essa, potessi lo stesso fronteggiare quel dolore che mi aveva pervasa.

Siediti. Coraggio.” Elijah ammorbidì i toni, ma solo di poco.

Continuai a tenere gli occhi chiusi, sentendolo più vicino. Aveva posato la mano sulla mia spalla,dandomi così il via libera per far cedere le mie ginocchia.

Mi sedetti a terra lentamente, facendo scorrere la schiena lungo la parete su cui mi ero praticamente arresa. Continuai a tenere le palpebre serrate e distesi lentamente le gambe sul pavimento, la cui freddezza attraversò il tessuto della gonna.

Prendevo dei respiri lunghissimi, cercando di placare il tremore che scuoteva il mio corpo. I crampi allo stomaco si erano fatti sempre più opprimenti e le gambe sembravano essere diventate troppo deboli per poter sorreggere il resto del corpo. Elijah si era piegato accanto a me, sentivo il suo respiro caldo soffiarmi sulla guancia destra mentre combattevo quella lotta con il mio corpo.

Tieni. Devi mangiare.”

Aveva allungato il braccio verso il tavolo, stringendo nella mano quel tozzo di pane che stavo iniziando ad odiare con tutta me stessa. Poiché lo desideravo, ma allo stesso tempo lo respingevo; l'idea di mangiare in un momento come quello, con ciò che stava per accadere, mi faceva venire da vomitare.

Riaprii gli occhi, puntandoli verso la mano di Elijah.

Trattenni a lungo il fiato, quando l'acquolina mi salì alla bocca al pensiero di poter mangiare. Il vampiro distese il braccio verso me, con l'altra mano poi mi strinse i polsi con estrema delicatezza e posò il pezzo di pane tra le mie dita.

Non vorrai mica morire di fame, spero?” mi domandò, tornando a posare i gomiti sulle sue ginocchia e rimanendo in perfetto equilibrio sulla punta dei piedi.

Abbozzò un sorriso, in forte contrapposizione con la sua espressione di poco prima, e io presi a far passare da una mano all'altra quel pezzo di pane. Feci scorrere le dita lungo la sua crosta, quasi volessi assaporarla in anticipo, attraverso la pelle delle mie dita.

Elijah si sedette poi accanto a me, sul pavimento umido e sporco.

L'assordante melodia della tempesta faceva da sottofondo al nostro innaturale silenzio, la pioggia prese a cadere più fitta e un fortissimo lampo squarciò il cielo in due parti.

Sobbalzai impaurita per un solo secondo, lanciando uno sguardo veloce verso il cielo, poi mi portai il pane alle labbra. Era duro e di certo doveva risalire a diversi giorni prima ma non importava, lo stomaco iniziò a smettere di contrarsi, rilassandosi sempre più mentre iniziava a sentirsi soddisfatto.

Il corpo iniziò a riprendere vigore. Per l'anima, invece, non c'era nulla da fare.

Restammo ancora in silenzio, ascoltando i suoni del cielo. Gli occhi di Elijah non abbandonarono mai il mio viso, li sentivo scorrere sulla mia pelle e una vampata di calore mi incendiò le gote.

Sei rimasta perché Katerina prendesse tempo...e perché non volevi la colpa della sua fuga ricadesse su di me, non è così?” mi domandò.

A quel punto mi voltai a guardarlo e solo allora riuscii a vedere per davvero il suo viso in quella giornata.

I capelli erano visibilmente umidi, segno che era stato sotto la pioggia fino a poco prima. Lo sguardo era serio, gli occhi socchiusi nel tentativo di scrutare la mia espressione e le labbra erano strette tra loro. Mandai giù un pesante groppo e annuii.

Sì, lui era uno dei motivi per cui ero rimasta là nonostante i pericoli che potevo correre.

Ma, la verità, era che c'era qualcosa di più grande di me e lui messi insieme che stavo per fare. Qualcosa che lui avrebbe certamente provato a impedire, se avesse saputo.

Mentirgli ulteriormente, mi sembrò una cosa oscena ma strettamente necessaria.

Dovevo farlo.

Elijah annuì, serrando la mascella e piegando la testa da un lato.

I suoi occhi scuri si alzarono verso il cielo grigio oltre la finestra e ne riflesse le deboli luci. Fissai meravigliata quello spettacolo di luce e ombra nel suo sguardo, poi abbassai la testa e osservai il pane tra le mie mani. Era quasi finito e la testa aveva smesso finalmente di vorticare.

So difendermi da solo, Irina. E comunque, ora che hai compiuto il tuo folle gesto di coraggio, puoi lasciare che ti porti via da Klaus.” aggiunse Elijah, totalmente intenzionato a cavarmi fuori la verità, malgrado avessi imposto a me stessa di non rivelarla nemmeno sotto tortura.

Anche se sopportare il magnetismo del suo sguardo mi parve quasi impossibile.

Scossi la testa, mostrandomi forte e risoluta come dovevo essere.

Elijah continuò a guardarmi, il mio viso venne completamente nascosto dalla cascata di capelli corvini e pensai fosse meglio così. Almeno, non avrebbe visto il dolore disegnarsi nelle mie iridi.

La sua mano si fece largo tra di essi, le sue dita si posarono delicatamente sotto il mio mento e mi spinsero a voltare il volto nella sua direzione.

Quando lui mi guardò, penetrando nei miei occhi, venni invasa da un profondo senso di calore.

Mi sembrò di non essere più sola, priva di uno scudo in grado di proteggermi da quella oscurità senza nome. Elijah mi infuse forza, semplicemente guardandomi.

Cosa sta succedendo, Irina?” mi chiese, in un sussurro talmente lieve che si unì al silenzio del buio. Le sue parole erano avvolgenti, vennero iniettate nel sangue come un antidoto pronto a guarirmi dal veleno che mi scorreva nelle vene.

Sbattei le palpebre più volte, destandomi da quella sensazione di pace e quiete che mi avvolse in quei pochi attimi. La mano di Elijah salì alla mia guancia, il pollice passò lentamente sul mio zigomo e lo accarezzò con estrema delicatezza, quasi temesse potessi rompermi in quel momento.

Me la dici la verità o no?” mi incalzò, tenendo comunque la voce tanto bassa da essere ancora un sussurro.

Silenzio. Un altro tuono lo squarciò con il suo boato.

E mi resi conto che stavo per dirgli quanta paura avevo riguardo ciò che stava per succedere,riguardo ciò che avevo fatto e che non potevo più cambiare.

Avevo paura e volevo dirglielo, perché sapevo che lui mi avrebbe donato la forza necessaria per affrontarla.

No, no, no, non potevo cedere. Dovevo...dovevo fare in modo che lui non lo scoprisse.

Dovevo smetterla di correre dietro quegli occhi scuri, sperando che potessero proteggermi dal mondo. Ripresi controllo di me, deglutendo e sbattendo le palpebre così tante volte che ne persi il conto.

Alzai lo sguardo su di lui e scossi la testa. Gli feci capire che non potevo dirglielo, perché non avevo modo di spiegargli tutto nemmeno volendo e perché era troppo tardi.

Non doveva preoccuparsi per me, tanto non poteva fare nulla.

La testa mi girò di nuovo e persi il controllo dei suoi movimenti, quella cadde quasi in avanti e mi accorsi di avere terribilmente sonno. Quella notte mi ero rifiutata di chiudere occhio, nonostante fossi stanca e provata, perché avevo paura che, in quel modo, il momento sarebbe arrivato troppo presto.

Ma potevo continuare ad ignorare i bisogni del mio corpo in quel modo?

Elijah posò delicatamente le mani sulle mie spalle, per impedirmi di cadere in avanti come stavo per fare. Le sue dita tremavano, come se stesse reprimendo con estrema fatica la rabbia dovuta alla mia ostinazione. Ma la presa fu comunque delicata, con un pizzico di forza necessaria per non farmi crollare.

Irina, c'è qualcos'altro sotto. Non puoi nasconderlo e lo sai che con me puoi parlare di qualsiasi cosa, no?” Elijah tenne i denti stretti tra loro, reprimendo l'ira nelle sue parole in quella maniera, ma i suoi occhi valsero più di mille parole.

Non volevo mi guardasse in quella maniera, perché così avrebbe potuto abbattere tutte le deboli difese che ero riuscita ad innalzare per difendermi da colpi esterni.

Chiusi gli occhi, portandomi una mano per coprirli quando sentii che stavo per scoppiare in lacrime. Avevo resistito fino ad allora, ma con Elijah che mi guardava e parlava in quel modo non riuscivo proprio ad essere forte.

Che cosa hai in mente di fare? Devi smetterla di combattere da sola questa battaglia, Irina.” insistette Elijah, volendo proteggermi ad ogni costo perché pensava di poterlo fare.

Ma, in realtà, persino lui non ne era in grado. Nessuno poteva farlo.

Dovevo allontanarlo, era il modo migliore per non cedere alla tentazione di sfogare tutto ciò che mi portavo dentro e mandare avanti quel piano che, solo allora, mi resi conto fosse più difficile da sostenere di quanto pensassi. Era lui a farmene rendere conto, standomi vicino.

Ripresi controllo di me, del ruolo di cui mi dovevo rivestire per poter mandare avanti quella scena e deglutii. Puntando poi gli occhi in un punto davanti a me, allontanai le mani dai capelli e ripresi lentamente fiato.

Vattene.

Mi alzai in piedi, stranamente ebbi la forza necessaria per farlo, e lentamente mi mossi verso la finestra, quasi preferissi il cielo in tempesta che rumoreggiava all'esterno, piuttosto che lo sguardo di Elijah.

Lui restò stupito dal mio improvviso ed inspiegabile cambio di umore, ma non si fece prendere in giro. Non era stupido, prenderlo per i fondelli come dovevo fare era davvero difficile.

Chiusi le palpebre, cercai di mettere di nuovo in correlazione il mio corpo con la mente e in questa maniera trovai il vigore necessario per poter rimanere perfettamente in piedi e restare di fronte alla finestra.

L'aria si mosse,venne tagliata da un rapido movimento, e in un secondo compresi che Elijah doveva essere proprio dietro di me. Le sue mani strinsero le mie spalle, mi fece voltare verso di lui e i suoi occhi neri scavarono in profondità nei miei. Erano ricolmi di rabbia e fastidio, perché sapeva benissimo che lui poteva aiutarmi ma io mi stavo comunque rifiutando di accettarlo.

Perché lo volevo davvero, ma non potevo proprio accoglierlo.

Non funziona con me.” Elijah scosse la testa. “Non fare la dura adesso per mandarmi via. Tu nascondi qualcosa che, sicuramente, potrà metterti in pericolo...e io non ti permetterò di rischiare.”

Che cosa dovevo fare per farlo desistere? Ogni sua parola, ogni suo respiro sul mio viso, ogni suo sguardo che affondava sempre più nel mio faceva quasi esplodere il mio desiderio di richiedere aiuto.

Non sapevo come comportarmi, come fargli capire che non doveva insistere perché non poteva vincere su di me...non con ciò che c'era in gioco.

Scossi la testa, Elijah mosse le mie spalle. “Smettila Irina, smettila di mandare avanti qualsiasi cosa tu stia facendo e lascia che ti aiuti!” disse, quasi gridando.

Presa da una cocente rabbia nei confronti di me stessa, della debolezza che con troppa irruenza veniva esternata in sua presenza lo colpii lievemente. Elijah si portò una mano alla fronte, strinse le palpebre e le labbra, come se avesse una violenta emicrania.

Mi fermai subito, appena mi resi conto di aver perso il controllo proprio con lui.

Presa dal panico,arrestai subito il flusso dei miei poteri, per non fargli ulteriormente male. Il cuore martellò nel petto e il respiro scappava frettoloso dalle mie labbra, mentre mi avvicinavo a lui per vedere come stava. Elijah si tirò leggermente indietro, quando sentì le mie mani posarsi sul suo braccio.

Mi guardò a lungo, serrando la mascella e affilando lo sguardo, intanto che riprendeva lentamente fiato.

Mi venne da piangere al pensiero che avevo dovuto ferirlo di nuovo, per mandare avanti tutta quella maledetta storia. Ritrassi le mani, sapendo che non meritavano di posare sulle sue spalle e abbassai gli occhi, velati di lacrime.

Non dovevo sentirmi in colpa. Però il pensiero che lo avevo fatto per mandare avanti il piano non mi consolava. Non lo avevo già ferito abbastanza?

Elijah mi guardò a lungo, quasi attendesse una spiegazione al mio comportamento ma non gliela diedi. “Tu lo sai che questo...atteggiamento non mi incanta, vero?” mi chiese, malgrado fosse ancora lievemente provato dal mio colpo di poco prima.

Soffocai il senso di colpa, mi limitai a indossare di nuovo la maschera per mandare avanti il piano, quella di completa apatia verso il mondo che mi circondava. Lui compreso.

Scossi la testa.

Vai via. Possibile che non riuscissi a dire altro di più credibile?

Tornai a guardare fuori dalla finestra, mentre sentivo gli occhi di Elijah puntare sulla mia schiena. Non avrebbe desistito dal suo intento, dubitavo persino credesse alla mia freddezza, e chiusi gli occhi quando non avvertii più la sua presenza dietro me.

Se n'era andato.

E, ancora una volta, non ero riuscita a dirgli addio.

Forse perché avevo così tante colpe nei suoi confronti, che avevo bisogno di più forza per farlo. Forse perché lui mi era stato sempre vicino, malgrado i miei errori, e non potevo dirgli quella parola.

Guardando il mio riflesso sul vetro, non potendo scorgere su di esso le lacrime che stavano scendendo sul mio viso provai a dirlo.

Addio...le mie labbra si mossero, ma nel silenzio non conclusi nemmeno quel pensiero.

* * * *

Anche Morfeo ebbe la meglio su di me, solo che lui fu un vincitore silenzioso e vinse, senza che potessi nemmeno accorgermene.

Quando riaprii gli occhi, dovetti sbattere più volte le palpebre per rendermi conto di essere viva. Dovevo aver dormito troppo a lungo, tanto che quasi considerai i miei sogni la vera realtà in cui vivevo, un'illusione più dolce di quella in cui, in verità, vivevo.

Il paesaggio apocalittico oltre quella finestra dimostrava che doveva esser passato diverso tempo: il cielo era più nero rispetto a poche ore prima e diversi, sottili lampi di luce squarciavano le nuvole e diversi boati si susseguirono.

Sbadigliai, stropicciandomi gli occhi e alzando la testa.

Mi ero assopita da seduta, con la testa tra le braccia posate sul tavolo e una coperta sulle spalle. Qualcuno doveva averla posta su di me per ripararmi dal profondo freddo che risiedeva tra quelle mura.

Elijah.

Doveva esser stato lui a coprirmi, malgrado quello a cui ero dovuta ricorrere per impedirgli di scoprire la verità. L'accarezzai con le dita e un lieve sorriso di nostalgia si disegnò sulle mie labbra.

Durò relativamente poco,il tempo necessario affinché i pensieri si facessero largo nella nube del sonno e mi rammentassero solo una cosa.

Che il momento era quasi giunto.

I miei pensieri vennero però nuovamente soppressi.

Un respiro si fece largo tra di loro, un profumo che avrei riconosciuto anche tra mille penetrò nelle mie narici e uno sguardo premette sul mio corpo, quasi potesse dolorosamente attraversarlo.

Non ero sola in quella oscurità.

Volsi di scatto la testa verso un preciso punto vicino alla porta e scorsi una figura; aveva la schiena posata sulla parete dietro sé, le braccia strette al petto gli conferivano un aspetto autoritario e i suoi occhi erano chiaramente visibili malgrado l'oscurità regnante tra quelle pareti. Erano più grigi quel giorno, probabilmente a causa del brutto tempo, e brillavano nel buio come piccoli diamanti di luce.

Sporchi di sangue però.

Era Klaus.

Presa dal panico, cercai di scattare in piedi come per voler fuggire, ma il mio corpo e la mia mente non furono abbastanza rapidi per vincere su di lui. Con velocità disumana, il vampiro si parò davanti a me, strinse le mie mani e le posò sui braccioli della sedia. Le dita affusolate circondarono i miei polsi, divenendo catene con cui mi ritrovai immobilizzata su quella sedia. La coperta cadde sul pavimento dietro le mie spalle.

Guardavo Klaus spaventata, sentendomi tremare in tutto il corpo.

Lui mi vedeva: vedeva come stringevo le spalle per nascondere il tremore dovuto alla paura, vedeva come le mie ginocchia, strette tra loro, non la smettevano di vibrare sotto la gonna, vedeva come i miei occhi erano diventati lucidi di fronte alla paura della morte.

Deglutii, distogliendo poi lo sguardo dal suo volto e lasciandolo vagare nell'oscurità.

Klaus sghignazzò, il verso che abbandonò le sue labbra aveva ben poco di umano.

Hai paura, piccola Petrova?” mi domandò, malgrado vedesse la risposta nel mio corpo tremante. Accostò il viso al mio e io mi ritrassi leggermente. “Fai bene ad averne.”

Un sussurro di morte soffiò sul mio orecchio.

Rimasi immobile, chiudendo le palpebre e ordinando al mio corpo di vincere il terrore e di smetterla. Volevo mostrasse un po' di coraggio di fronte al nostro aguzzino, che non gli desse la soddisfazione di avere la meglio. Mi morsi il labbro, quando l'interrogativo per cui Klaus mi avesse tenuta prigioniera balenò nella mia mente. Non che mi importasse, visto quello che stava per succedere, ma non potei fare a meno di avvertire la fiamma di paura bruciare con più insistenza in me.

Uccidermi? Torturarmi? Parlarmi? Che diavolo aveva in mente di fare con me Klaus?

Lui ammorbidì lentamente la sua presa sui miei polsi; le dita sfiorarono delicatamente la pelle e, nel giro di pochi secondi, mi ritrovai libera, ma comunque inchiodata alla sedia dal suo sguardo.

Alzai di nuovo gli occhi nella sua direzione e Klaus si strinse ancora una volta le braccia al petto, piegando la testa da un lato e posando la schiena sul bordo del tavolo dietro di sé.

Era a pochi centimetri dal mio corpo.

Lasciò che il silenzio ci pervadesse di nuovo, anche se ogni tanto un lampo in lontananza decideva di romperlo, e mi ritrovai a guardarlo. Presi a tremare sempre meno, mentre osservavo i suoi occhi magnetici e il cuore mi ricordò quanta rabbia nutrivo nei suoi confronti.

Che cosa vuoi da me?

Gli chiesi con lo sguardo, lui lo seppe prontamente tradurre.

Klaus posò i palmi delle mani sulla superficie dietro di sé. Guardò un punto davanti a sé, fece spallucce e mise un finto broncio sul viso. “Ancora non lo so.” disse, quasi stesse parlando di un normale impegno da programmare per il futuro. “Sono molto impulsivo, sai? Per questo ti ho tenute prigioniera qui, perché in quel momento mi andava. Ma non so ancora come fartela pagare.”

Mi sentii tremare dentro e Klaus sembrava quasi divertirsi nel spaventarmi in quella maniera.

Era diverso da quello che avevo conosciuto, diverso sia dal suo miraggio e sia dal suo vero aspetto: i suoi occhi erano spenti, vuoti, privi di sentimenti ed emozioni. Sembrava non guardare il mondo che lo circondava, quasi non ne sopportasse la vista malgrado ci vivesse.

Qualcosa si era spento in lui.

Mentre studiavo con paura il suo volto, Klaus perse la voglia di giocare con me.

Il sorriso scomparì lentamente dalle sue labbra e i suoi occhi rimasero fissi sul mio viso.

Non avevo la forza per sostenerli troppo a lungo e così mi ritrovai ad abbassarli con estrema rapidità.

Katerina è morta.”

A quelle parole sobbalzai.

Pensai subito che fosse una menzogna, o che avessi udito male, ma Klaus non era in grado di mentire su qualcosa che interessava direttamente anche lui. Voltai la testa nella sua direzione, molto lentamente, sentendo il cuore martellarmi nel petto con sempre più forza.

Lui era serissimo, mi fissava con le labbra schiuse e lo sguardo gelido ed affilato.

Il respiro mi si arrestò in gola e una pesante oscurità parve avvolgermi nel suo abbraccio, quando ripetei le parole da lui pronunciate dentro la mia testa.

No, no, no...Katerina non poteva essere morta. Non doveva esserlo, io non avevo fatto tutto quello per...

Si è trasformata in un vampiro.” Klaus sembrò aver sentito la voce dei miei pensieri e la interruppe prontamente. Trattenni il fiato, ma il cuore non si placò. “La tua cara sorellina si è approfittata di Rose e del suo aiuto per sfuggire ai miei scagnozzi e...ora è una succhia sangue.”

Parlava con evidente fastidio e notai che i pugni nascosti sotto le sue braccia si erano fatti più stretti.

Il fatto che Katerina fosse divenuta un vampiro doveva essere un altro duro colpo per lui, visto che mia sorella serviva umana per essere sacrificata. Sapere che non era propriamente morta mi rincuorava, ma non mi rendeva nemmeno felice il fatto che si fosse trasformata, mettendo in pericolo anche Rose e Trevor. Non volevo che si dannasse ad un'eternità di sangue e dolore, non in quella maniera almeno.

Si era uccisa solo perché impaurita, perché l'immortalità le garantiva di essere un leggero passo avanti a Klaus e perché la vedeva come l'unica possibilità di salvarsi da morte certa.

Niente stava andando come previsto.

Venni quasi presa dallo sconforto nell'immaginare mia sorella che affrontava un tale cambiamento nella sua esistenza da sola, senza che io potessi in alcun modo aiutarla.

Era rimasta senza nessuno su cui contare per colpa mia e io non potevo fare nulla per esserle d'aiuto.

Klaus continuava a fissarmi, mentre mi portavo le mani tra i capelli e chiudevo gli occhi per trattenere le lacrime. Si piegò su di me, posando le mani sullo schienale della mia sedia per farmi avvertire più da vicino la sua collera. “Sai che hai appena condannato a subire la mia ira altre due persone?” disse, la sua voce era vittima di quell'anima nera di odio ed ira che manovrava il suo corpo.

Distorta, quasi irriconoscibile o perlomeno non associabile a nessuno dei Klaus che avevo conosciuto.

Avevo un altro Klaus di fronte a me.

No, ti prego.

Patetica come solo io potevo essere, scattai in piedi e rimasi poi immobile.

Tenni le braccia accanto alle gambe, gli occhi erano velati di lacrime che mi sforzavo in tutti i modi di non lasciarle cadere sul mio viso, le labbra tremavano nel vano tentativo di trattenere i singhiozzi.

Ma che stavo facendo? Imploravo Klaus come se lui conoscesse la pietà verso il prossimo?

Il vampiro, infatti, mi guardò sorpreso; non capivo se perché non si aspettava un simile gesto da parte mia oppure perché, in qualche maniera, la mia supplica riusciva in parte a smuoverlo.

Rimossi subito la seconda opzione, quando lui si mise dritto sulla schiena e si avvicinò a pochi centimetri da me, come per sfidarmi.

Mi pentii prontamente del gesto che avevo compiuto; le lacrime scorsero solitarie lungo la pelle, ma caddero comunque in numero minore rispetto a quelle che gli occhi stavano accogliendo in loro.

Alcune gocce si limitarono a scendere lungo le guance, per poi unirsi all'altezza del mento e cadere sul pavimento. A Klaus, del mio pianto breve e silenzioso, durò ben poco. Lui fu la tempesta sul mio dolore.

Non sei più nella posizione di pretendere qualcosa da me. Dovevi pensarci prima.” mi rimproverò e trovai assurda la sua pretesa nell'aver tanto desiderato che non mettessi i bastoni tra le ruote al suo piano. “Hai mandato a monte qualcosa che ho pianificato da secoli....lo capisci o no?”

Scossi la testa incredula, mordendomi le labbra e avvicinandomi a lui con sfida. Non ero in grado di spiegare perché stessi compiendo un gesto simile, vista la fifa che nutrivo nei suoi riguardi, ma mi ritrovai ad affrontarlo con il coraggio che avrebbe avuto un coniglio nello sfidare un'aquila.

Volevi uccidere Katerina.

E pretendeva che rimanessi ferma e buona in un angolo, a lasciare che lui continuasse il suo giochetto?

Klaus abbozzò un sorrisetto provocatore. “Non è colpa mia se è lei la doppelganger.” disse, quasi quella fosse una scusante. “E non è nemmeno colpa mia se tu hai avuto la sfortuna di averla come sorella.”

Strinsi i pugni, il suo sguardo fomentò la rabbia che continuava a bruciarmi con insistenza sotto pelle.

Potevi salvarla. Poteva comunque accettare il piano di Elijah, perché quindi non farlo?

Klaus mosse gli occhi, seguii il movimento delle sue iridi che sembravano unirsi violentemente alle mie, come incatenate a guardarsi per sempre. La sua espressione mutò un'istante, in qualcosa che non seppi definire, poi ritornò la maschera di rabbia ed odio che fino a poco prima l'aveva animata.

La patetica vita di Katerina per me non contava nulla, è solo un'umana...le avrei strappato il respiro senza pormi il benché minimo problema!” parlò con un tale odio, con un tale disprezzo nei confronti della vita di mia sorella che non riuscii a sopportarlo.

Lo colpii in pieno viso con uno schiaffo.

Il rumore del mio palmo che si scontrava con la sua guancia schernì la voce del silenzio.

Klaus si era stranamente lasciato guidare dal movimento della mia mano e la sua testa venne girata verso un punto alla sua destra,dove fissava il pavimento come sorpreso. Ripresi lentamente fiato, alzando e abbassando rapidamente le spalle e sentendomi incendiare il viso dalla collera.

Quanto lo odiavo.

Odiavo ormai tutto di lui: il suo viso, i suoi occhi, le sue movenze, il modo in cui mi parlava, la maniera in cui mi toccava. Sembrava che quel Klaus che mi ero illusa di aver vissuto non l'avessi mai realmente conosciuto, ma che fino ad allora mi fossi solamente rapportata con il suo demone mascherato da essere umano.

E io odiavo me stessa per aver creduto che fosse diverso.

Klaus si massaggiò la guancia, girò lentamente lo sguardo verso me e fui solo in grado di scorgere i suoi occhi grigiastri che mi fissavano con disprezzo. Il resto del volto venne coperto dal palmo della sua mano e dai capelli biondi scompigliati attorno ad esso.

Ti odio. Ti odio. Ti odio.

Quante volte avrei voluto gridargli quelle parole. Quante volte avrei voluto fargli presente l'astio e il rancore che nutrivo nei suoi confronti. Quante volte avrei voluto ferirlo, ancora e ancora, per fargli provare anche solo un briciolo di quello che stavo sentendo io in quel momento.

Klaus si scricchiolò il collo con un rapido gesto, sembrava stesse sforzandosi di restare calmo e non colpirmi. “So che mi odi.” disse solo, con un filo di voce. Questa era fredda e tagliente come il vento che torturava gli alberi all'esterno. “E non me ne importa più.”

Ed era vero.

Klaus sembrava davvero non curarsi del mio odio; tempo prima mi aveva ferita e colpita più e più volte quando gli avevo rivolto quelle parole, ma in quel momento non gliene importava nulla.

La cosa più importante per lui era solo la mancata riuscita del suo diabolico piano.

Era come se avesse spento la fiamma.

Come se ciò che avevo fatto gli avesse permesso di soffiare su di essa e spegnerla definitamente.

Continuavo a respirare profondamente, ma persino il mio stesso fiato sembrò capace di ferirmi in quel momento. Continuammo a guardarci, lui non sbatteva nemmeno le palpebre pur di non perdere il contatto visivo con i miei occhi, mentre io sembravo non riuscire a sostenerlo.

Più lo guardavo e più volevo colpirlo con tutte le mie forze.

Ma non ti dispiace nemmeno un po'? Non provava nemmeno a scusarsi?

Pensavo che, almeno dopo ciò che mi aveva rivelato il giorno prima, provasse almeno un po' di ribrezzo per se stesso, per quello che avrebbe fatto a mia sorella. Aveva detto di provare qualcosa per me, che avevo risvegliato quel sentimento in lui, eppure voleva portarmi via la persona che tenevo di più al mondo.

Se davvero sentiva, perché non rinunciare al rituale, sapendo che mi avrebbe fatto male?

Come poteva aver anche solo menzionato l'esistenza di quei sentimenti, quando nascondeva un orrore come quello?

Quello non era amore, era solo una pallida illusione di quel sentimento, pronto ad essere soffocato dal suo innato egoismo. A lui non importava nulla di me, non importava nulla del male che mi avrebbe e mi stava facendo. Non capivo come faceva a guardare il riflesso di se stesso senza odiarsi nemmeno un po'.

Klaus fece spallucce. “Niente più conta per me adesso. Ho perso il doppelganger, ho perso te...odiami quanto di pare, non puoi ferire un uomo che non ha più debolezze.” disse solo, senza sorridere e senza mostrare alcuna emozione nella sua voce.

Mi sembrava davvero di trovarmi di fronte ad un mostro. E io non volevo nemmeno essere considerata un qualcosa che lui aveva perso, non mi aveva mai avuta perché non era mai stato sincero.

Lo detestavo.

In un baleno, Klaus mi spinse nuovamente contro la sedia con un gesto violento. Quella quasi si ribaltò nell'impatto in cui finii su di essa, ma lui impedì che si ribaltasse: posò la mani sui braccioli della sedia e si piegò su me, incatenando i miei occhi ai suoi per impedir loro di fuggire a quella prigionia. Il respiro mi si fermò a metà, tra la gola e il petto, serrai le labbra per non permettergli di fuggire dalle mie labbra e incontrare il volto di Klaus.

Per paura, i miei occhi decisero di restare succubi di quella gabbia.

Elijah non è nei dintorni in questo momento.” mi disse, restandomi vicino. Sembrava quasi godesse del fatto che lui non potesse intervenire. “Ora spiegami perché non lo fai, perché non fuggi come lui vuole che tu faccia. Non ti rimane più nulla, Irina, hai perso tutto...vuoi per questo perdere anche la tua vita? Proprio non capisco.”

Il respiro si mutò in tormento, tenni gli occhi fissi su Klaus e sul modo in cui aveva accostato il viso al mio per impedirmi di sfuggirgli.

Il suo discorso avrebbe potuto ferirmi, se non fossi rimasta per mio volere.

In realtà ero là per uno scopo per cui valeva davvero la pena vivere, ma lui non poteva saperlo. Preferii che credesse fossi così sciocca da aver deciso di rimanere per chissà quale decisione.

Sorrise, traducendo la tristezza del mio sguardo, dovuto a ciò che stava per succedere, in malinconia e nostalgia dovuta al fatto che avessi perso tutto in pochissimi giorni.

Se vuoi, potrei essere buono con te e ucciderti in questo istante. Che ne dici?” mi domandò, sadico e bastardo come solo lui poteva essere. Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere che avvicinò lentamente il viso alla base del mio collo e vi soffiò sopra.

Restai immobile e rigida, chiudendo gli occhi quando sentii le sue labbra sfiorarmi quasi la pelle del collo. Avrebbe potuto mordermi in quel preciso istante, eppure sapevo che non lo avrebbe fatto. Non sapevo cosa me lo faceva pensare, ma lo sapevo. Sarebbe stato troppo semplice per lui.

Volsi la testa dall'altra parte quando il suo naso scorse lungo la pelle della guancia, mi costrinse a guardarlo allungando la mano verso la mia guancia destra. Le sue dita premettero con forza sulla pelle e mi ritrovai a pochi centimetri dal suo viso. Ogni tentativo di allontanarlo fu vano ed inutile.

Prima però...ti obbligo a rivelarmi il vero motivo per cui sei rimasta.” mi disse, portando poi il viso all'altezza del mio.

La sua non era una richiesta bensì un'imposizione di volere; voleva davvero capire il motivo per cui non fossi fuggita insieme a Katerina e mi domandai, ingenua come sempre, se sapere il motivo lo avrebbe in qualche modo distolto dai suoi sanguinosi propositi di vendetta.

Le sue dita scesero a stringermi il mento, in una presa leggermente più delicata ma sempre mortale. Socchiusi le palpebre, fissando le sue iridi chiare e ascoltando il rumore della pioggia che continuava a battere sulla realtà all'esterno.

Un tuono si aggiunse a quei suoni.

Sentii le lacrime pungermi gli occhi, mentre lo guardavo e scossi lentamente la testa, arrendendomi a quella debolezza.

L'amore...Iniziai a dire, muovendo lentamente le labbra. Klaus affilò lo sguardo confuso.

Non è solo dolore...non capivo da dove nascessero quelle mute parole; le trovai inappropriate e inutili.

L'amore...e continuavo, continuavo a muovere le labbra mentre Klaus traduceva il mio silenzio, malgrado desiderassi con tutta me stessa che quelle smettessero di muoversi.

È essere disposti a morire per coloro che si ama.

L'amore è un campo di battaglia; molti soldati ne escono con il cuore infranto, altri invece, con un sorriso sulle labbra. Si curano le ferite causate dalla battaglia combattuta per poterlo ottenere e si preparano a vivere l'amore per cui hanno lottato. Che vincano o perdano, i soldati hanno in comune la guerra, la lotta con la vita e con il dolore per far prevalere il loro amore e proteggere a tutti i costi coloro che tenevano a cuore. Klaus non amava, era un soldato che aveva abbandonato la battaglia e aveva preferito nascondersi nel proprio egoismo per paura di poterla perdere.

Quindi non poteva capire una cosa del genere.

Il vampiro sbatté le palpebre, non riuscendo a comprendere il messaggio nascosto nei miei occhi. Ma restò colpito dalle parole che le mie labbra si erano concesse; sospirò e abbassò lo sguardo sul mio corpo ancora in preda ai tremori.

Elijah, Katerina....Vuoi dunque dirmi che sei rimasta solo per loro, giusto?” constatò.

Non risposi in alcuna maniera, il silenzio diceva tutto.

Vuoi farti perdonare il fatto che li hai traditi entrambi per caso?” ridacchiò poi, con l'intento di ferirmi. Chiusi gli occhi e deglutii, mandando giù un pesante groppo che mi bloccava il respiro.

Improvvisamente, Klaus mi guardò di nuovo e qualcosa nei suoi occhi era cambiato. Come se nei miei occhi lucidi, avesse trovato una risposta che cercava da tempo.

Come poteva capire? Non sospettava nulla.

Sei libera di andare.” disse, dopo un po' di silenzio e si allontanò rapidamente verso la porta.

Non compresi subito, quelle parole mi sembrarono troppo inverosimili. Sbattei più volte le palpebre, seguendo la sua figura che si faceva sempre più lontana nell'oscurità e rimasi immobile.

Klaus aprì la porta, inumidendosi le labbra e volgendo lo sguardo verso l'esterno. Si accorse che stavo scuotendo la testa, come per chiedergli a cosa fosse dovuto quel cambiamento d'idea. Era assurdo come cambiasse nel giro di pochi secondi, come un pensiero mutasse in altro in un singolo momento, a causa di qualcosa che poteva risultare una cosa piccola e banale per qualcuno ma non per lui.

A lui bastava una sola parola, un solo gesto, una sola lacrima per passare dall'antipodo di un'emozione all'altra.

Ti stai chiedendo perché ti sto lasciando andare, vero?” mi domandò, traducendo in quella maniera il mio sguardo interrogativo. I nostri sguardi si incontrarono, malgrado l'oscurità sembrava largamente distanziarci. “Semplice; non c'è soddisfazione migliore per me che dare la caccia a te e tua sorella insieme. La trovo più gratificante come punizione da assegnarti.”

L'odio riprese a farmi battere con forza il cuore, strinsi i denti con rabbia e i pugni sopra le ginocchia. Mi feci male, ma poco importava: le parole che Klaus stava pronunciando accrebbero così tanto la mia rabbia che il dolore fisico passò in secondo piano. Ma se non fosse stato così? Se lo stesse facendo perché....no, impossibile.

Klaus abbozzò un sorriso. “Non ti amo più Irina. Non è per quello che lo sto facendo.” aggiunse poi, per donare un epilogo ben peggiore a quelle sue frasi.

Mi morsi il labbro furiosa, ma non ebbi tempo di fare altro che un grido femminile ruppe il silenzio.

Proveniva dal corridoio esterno, ed era così vicino e così familiare che sia io che Klaus ci voltammo a guardare il pavimento oltre la porta per poi lanciarci un'occhiata complice.

Rebekah.

Era iniziato tutto.

Klaus uscì all'esterno, camminando con passi decisi e veloci e io scattai in piedi, pronta a seguirlo. Appena fummo fuori, nel lungo corridoio circondato dalle colonne bagnate della pioggia, la prima cosa che attirò il nostro sguardo fu lui.

Mikael.

Teneva Rebekah tra le sue braccia in una specie di stretta fatale, l'abbraccio che non si donerebbe mai ad una figlia che piangeva in quella maniera. Le teneva i polsi stretti in un palmo, all'altezza della spalla destra di lei, e con l'altra mano teneva un pugnale dalla punta nera puntato contro il cuore di lei.

Pronto a colpirlo in qualsiasi istante per toglierle la vita.

Li aveva di nuovo trovati; compresi che Klaus aveva deciso di abbandonare, insieme ai suoi fratelli, la villa in quei giorni proprio perché temeva quel momento. Ma, ormai, non vi poteva più sfuggire.

Klaus restò immobile; malgrado mi trovassi dietro di lui vidi indistintamente i suoi pugni stringersi, i muscoli irrigidirsi sotto i vestiti e il respiro che soccombeva dentro il suo corpo. La paura s'impossessò del suo spirito, mentre fissava la figura del suo peggiore incubo che teneva tra le mani la vita di sua sorella.

Mikael fece slittare lo sguardo nella mia direzione, un sorriso provocatore gli si disegnò sulle labbra quando i nostri occhi entrarono in contatto. Non doveva aver dimenticato lo scherzetto che gli avevo giocato, sempre se era consapevole che ne fossi io la colpevole.

Felice di rivedervi, ragazzi.” disse Mikael con voce profonda, quasi solenne. “Non vedevo l'ora di vedere dal vivo anche questa bella casetta.”

Alzò il mento in direzione di Klaus e spalancò leggermente gli occhi. Il ragazzo rabbrividì in quel preciso istante e mi immaginai la sua espressione impaurita, mentre affilava lo sguardo e stringeva con forza le labbra tra loro, nel tentativo di farle smettere di tremare. “È passato troppo tempo, non trovate? E l'ultima volta ci siamo lasciati così male...”

Rebekah continuava a piangere, chiuse gli occhi e trattenne a stento i singhiozzi che le scoppiavano nel petto. Sembrava una bambina in balia del mostro che divorava i suoi sogni notturni; il viso di porcellana era solcato da lunghe scie di lacrime che scorrevano più lentamente rispetto alla pioggia.

Ma le gocce che cadevano dai suoi occhi erano certamente più rumorose.

Sentivo il suo panico e il suo terrore persino dal punto lontano in cui mi trovavo.

Klaus s'irrigidì di più, i pugni si serrarono con maggior forza e il corpo venne scosso da un lungo tremore. Mi chiesi se stesse guardando con profondo terrore suo padre, oppure con tenerezza l'immagine di sua sorella in lacrime. Era così spaventato che non credevo fosse capace di muoversi da quella posizione per correre in aiuto di Rebekah.

Lasciala stare.” disse solo, con voce roca che venne sfidata dalla violenza di un tuono in lontananza.

Il vento aveva preso a soffiare con forza e, malgrado ci trovassimo in un punto coperto, trasportò a noi le gocce di pioggia che continuavano incessantemente a bagnare la terra.

Mikael chiuse gli occhi, scosse la testa e assunse la tipica espressione di qualcuno che non poteva soddisfare la richiesta di un altro. Solo che la sua era ovvia finzione per burlarsi di Klaus.

Certo. Se ti consegni a me, la lascerò certamente andare.” gli propose, ma pensai fosse una bugia. Mikael voleva farla pagar loro per essere fuggiti per tutto quel tempo, per aver mantenuto la promessa che si erano fatti secoli prima, quella di rimanere sempre insieme.

Dovevano pagare tutti loro, anche se Elijah e Rebekah non erano nel mirino del suo disprezzo.

Strinsi i pugni.

Rebekah riaprì gli occhi e li puntò sul fratello; la sua espressione addolorata sembrava implorarlo di salvarla ma, al tempo stesso, di non acconsentire al volere del padre.

Non voleva morire, ma non voleva nemmeno restare da sola senza il suo amato fratello.

Vedendo che Klaus rimaneva rigido in un blocco di paura, feci un passo verso Mikael e Rebekah, credendo di poter fermare in qualche modo quella tragedia. Ma Klaus tese il braccio per impedirmi di proseguire e mi fermai prima che il mio volto finisse contro il suo gomito.

Volsi lo sguardo verso lui, confusa. Lui non mi rivolse alcuna occhiata e si limitò a tenere il braccio teso.

Tu torna in sala e non immischiarti.” mi ordinò, con voce dura ma che vibrava leggermente nelle note della paura. Non distolse mai lo sguardo dal volto di suo padre e un altro brivido lo scosse.

Mikael sorrise, mantenni il volto in direzione di Klaus ma volsi lo sguardo verso il suo nemico. “Andiamo Niklaus....” ridacchiò. “Ora che non hai più il tuo prezioso doppelganger sei piccolo, inerme e patetico come lo eri quando il cuore ti batteva nel petto. Ma sono certo che non avresti lo stesso avuto il coraggio di affrontarmi una volta divenuto un ibrido.”

La punta del pugnale affondò maggiormente nel petto di Rebekah, che prese a piangere più intensamente, trattenendo i suoi singhiozzi con fatica. Klaus fece un passo in avanti ma poi si fermò.

Se ami così tanto tua sorella, perché non vieni qui e mi affronti da uomo, eh?” Il tono di Mikael si era fatto autoritario, simile a quello che doveva usare quando era umano e ricordava a suo figlio quanto indegno per il mondo fosse, secondo la sua logica contorta di padre.

Ebbene, Klaus si era adattato fin troppo bene al mondo, facendosi immergere dall'oscurità in cui questo era piombato dall'inizio dei tempi, ma di fronte a Mikael non vi era oscurità che potesse renderlo più forte.

Klaus tacque e io strinsi i pugni rendendomi conto che stava per avere tutto inizio. Avevo aspettato così a lungo quel momento, che sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene, mentre assistevo a quella scena.

Coraggio Niklaus!” Mikael urlò, la sua voce assunse la stessa tonalità e la stessa brutalità di uno dei tuoni che stavano squarciando il cielo nero.

Klaus sobbalzò sul posto, come un bambino spaventato dal rimprovero del padre.

I miei pugni si strinsero con più forza.

Vieni qui e salva tua sorella! Sii uomo per una volta nella tua miserabile esistenza!” Mikael gridò di nuovo, la sua voce riecheggiò tra le pareti spoglie della villa e Rebekah si lasciò sfuggire un singhiozzo.

Klaus non riusciva a muoversi; immobilizzato come una statua, guardava il suo incubo con impotenza.

I miei pugni si strinsero ancora di più, le unghie affondarono nella carne.

Mikael scosse la testa, quando nell'oscurità prese atto del terrore del figlio che lui doveva considerare vigliaccheria.

Non sei disposto a morire per la tua famiglia. Non sei disposto a rinunciare a te stesso per la donna che ami...” Fece un cenno nella mia direzione, il rancore che nutrivo nei suoi confronti mi incendiò il petto e Klaus mi guardò con la coda dell'occhio. “Non hai mai meritato di vivere.”

Volsi lo sguardo verso Klaus, i miei pugni iniziarono a rilassarsi.

Il vampiro stava ancora rabbrividendo, ma ascoltava le parole del padre senza replicare in alcun modo.

Forse perché pensava che una parola avrebbe potuto far scattare il suo nemico, oppure perché, dentro sé, credeva davvero in ciò che lui gli stava dicendo. Non potevo permettermi di rimuginarci su.

Mikael sorrise. “Sarò felice di ucciderti quest'oggi.” concluse. “E con te, magari, la tua bella amata. Magari un po' ti ferisco...chissà!”

Era il momento di agire. Lo capii nel momento in cui vidi Klaus provare a reagire.

Pensai fosse più difficile, invece accadde tutto con estrema rapidità.

Mikael che sbarrava gli occhi per la sorpresa.

Rebekah che lanciava un urlo disperato.

La mia mano che rimaneva tesa verso Klaus.

Il suo corpo che cadeva di schiena a terra, privo di vita.

Seguii il movimento della sua figura che si riversava a terra, con le braccia aperte, la testa che dondolava sul pavimento per l'impatto della caduta e le gambe leggermente piegate.

Sembrava si fosse addormentato, il suo viso assunse un aspetto angelico mentre il sonno della morte lo attanagliava.

Credevo sarebbe stato più difficile usare i miei poteri, invece avevo già imparato a dominarne la forza quasi con maestria. Presi dei lunghi respiri, fissando Klaus a terra e sbarrando lo sguardo.

No! Che cosa hai fatto?!” gridava Rebekah, cercando di dimenarsi dalla stretta del padre, per correre in aiuto di suo fratello.

Avevo ucciso Klaus. Ecco cosa avevo fatto.

Guardai ancora il suo corpo, le palpebre chiuse al mondo e il corpo abbandonato su quelle fredde mattonelle. Avevo proprio io strappato la vita da lui?

Mikael, dopo un lunghissimo attimo di sorpresa, iniziò a ridere come divertito da quello spettacolo. Continuai a fissare Klaus, sentendo una strana sensazione crescere dentro di me mentre guardavo il suo viso, mascherato da una espressione innocente, posta su esso dalla mia mano di morte.

Irina, che cosa hai fatto?!” continuava a gridare Rebekah, con pura isteria nei toni della voce.

Il suo grido, poi, mutò in un rantolo di dolore.

Mi decisi a guardarla; Mikael l'aveva pugnalata al petto con forza, ma la teneva tra le braccia con delicatezza, mentre la vita scorreva via dal suo corpo. Non voleva farla cadere a terra quando sarebbe tutto finito, quasi volesse accompagnarla per mano verso il buio della morte.

Quasi volesse sentirsi padre in quel frangente.

Rebekah mi guardò fino alla fine, boccheggiando nel tentativo di assorbire ossigeno mentre la pelle le diveniva lentamente grigiastra. Il petto sembrava tremarle, scosso nei suoi ultimi respiri, e i suoi occhi divennero lentamente spenti e vitrei.

Ma con una domanda ben riposta in essi, mentre mi fissava nei suoi ultimi attimi di agonia.

Mi stava chiedendo perché lo avessi fatto. E non avrebbe mai potuto avere la risposta.

Abbassai gli occhi, nel momento in cui la vita l'abbandonò e il suo corpo si abbandonò completamente tra le braccia del padre.

Mikael la osservò a lungo, con un velato senso di tristezza nello sguardo mentre lo faceva scorrere lungo il volto della ragazza. L'adagiò poi con delicatezza sul ruvido e freddo pavimento.

Malgrado si trattasse dell'assassino e della sua vittima, quella scenetta mi trasmise una momentanea sensazione di tenerezza, come se mi trovassi di fronte ad un tipico quadretto familiare.

Scacciai quella sbagliata sensazione scuotendo la testa e tornando a guardare Klaus; il suo volto era rivolto verso il cielo, ancora nero di tempesta, e il candore della pelle venne illuminato dalla luce di un lampo. Mentre lo guardavo, mi ritrovai a non avere emozioni né pensieri.

Fissavo indifferente il suo cadavere, rammentando i momenti passati che consideravo bugia e i momenti attuali che invece erano stati segnati da un dolore troppo grande.

Malinconia e dolore.

Avrei dovuto provare quelle due cose, fissando il suo corpo privo di vita, e invece mi ritrovavo a sentire il nulla dentro me.

La mia umanità era appena caduta in un precipizio e da esso non sarebbe più potuto risalire.

Mikael si rivestì della propria perfidia, appena Rebekah fu distesa sul pavimento. Alzai lo sguardo nella loro direzione, il manico del pugnale conficcato nel petto della vampira era esposto in bella vista.

E io che ti facevo stupida, piccola Petrova.” ridacchiò il vampiro, camminando verso me con estrema ed elegante sincronia nei movimenti.

Batteva le mani, il rumore dei suoi palmi che lentamente si scontravano tra loro ruppe l'innaturale silenzio sceso sopra di noi. Persino i tuoni sembravano aver perso la loro voce, in confronto a quel gesto.

Quando ho visto che eri rimasta con loro, credevo lo avessi fatto per qualche stupido motivo di cuore.”

Mi si fermò accanto, nel momento stesso in cui ero tornata a guardare Klaus.

I capelli mi coprivano completamente il volto, li sentivo aderire perfettamente alle guance mentre il mio sguardo fissava intensamente le palpebre chiuse della mia vittima.

E, invece, lo hai preso per i fondelli e vuoi consegnarlo a me? Sei davvero degna di tuo padre, ragazza.” concluse Mikael, con un'ultima risatina gutturale, che venne seguita da un lampo in lontananza. Trattenni il fiato di fronte a quelle parole, poiché la mancanza di sentimenti in me, e il fatto che il mio cuore battesse silenzioso nel petto dopo ciò che avevo fatto, era la prova che non ero poi diversa dal demonio che era mio padre.

Un tempo, sapermi così maligna, mi avrebbe fatto male ma in quel momento non me ne importava.

Mikael si schiarì la voce, mettendosi ad osservare anche lui con indifferenza la morte che si trovava ai nostri piedi. Mi chiesi come si dovesse sentire lo spirito di Klaus, se avesse potuto assistere all'indifferenza in cui stavamo reagendo alla vista del suo cadavere.

Così mi fai sentire in colpa...” parlò ancora il vampiro con fare divertito.

In quel preciso istante, rammentando ciò che Belial mi aveva detto riguardo ciò che Mikael aveva fatto, alzai lo sguardo su di lui e un sentimento riaffiorò in me. Il sentimento più buio e pericoloso che il mio corpo potesse accogliere dentro sé: quello dell'odio e della rabbia più profonda.

Mikael pensò che non sapessi la verità.

Comunque...con i tuoi poteri, hai solo spezzato il collo al tuo fidanzato....ma questo non lo uccide mica!” disse, aprendo i palmi delle mani verso l'alto e lanciandomi un'occhiata, come se pensasse fossi così stupida da non saperlo.

Per tutta risposta, piegai la testa da un lato e tesi il braccio verso Klaus, quasi per dare il permesso a Mikael di prenderne il corpo.

Dai miei occhi dovette trapelare tutta la freddezza che ero capace di ostentare.

Mikael rabbrividì un istante, colpito dalla lentezza dei miei movimenti e dai miei occhi ridotti a due oceani notturni senza fondo. Il suo sguardo si fece inquisitore, scorrendo sul mio viso e sul mio corpo, come se volesse provare la fiducia che aveva nutrito senza difficoltà nei miei confronti poco prima.

C'è qualcosa di strano in te, ragazzina.” disse e fece un passo verso me, allungò la mano verso il mio viso e lasciai le sue dita libere di spostare i capelli che mi coprivano le guance e gli occhi.

Sentire la sua pelle fredda toccare la mia, mi provocò un lungo brivido di paura che mi percorse la spina dorsale.

Ora che ci penso..” Mikael portò i capelli dietro le mie orecchie e inclinò leggermente il viso.“Mi risulta difficile che tu sia davvero capace di una cosa simile, malgrado la vendetta e il sangue che ti scorre nelle vene...”

Un altro brivido. Un altro tuono ruppe il silenzio. E rimase solo il rumore della pioggia.

Quella continuava ancora e ancora a cedere senza sosta oltre le colonne, i fiori e le piante in giardino continuarono a venir mosse dal violento vento che soffiava sulla terra.

Sia io, che Mikael, che il corpo di Klaus venimmo bagnati dalle gocce scagliate da esso contro di noi.

Lo faccio per Katerina.

Gli feci intendere, anche se dubitai fortemente che Mikael fosse stato capace di capirmi. La sua mano restò sui miei capelli, in una presa che poteva divenire mortale da un momento all'altro, e parve capire ciò che stavo trasmettendogli. Uccidendo Klaus, consegnandolo a lui, potevo garantire la salvezza di mia sorella....come poteva dubitare di ciò che avevo appena fatto?

Mikael non disse altro, strinse le labbra e abbassò lo sguardo sul mantello che portava indosso.

Staccò la mano dal mio viso, la fece scorrere sotto il tessuto scuro del mantello e estrasse un altro pugnale, destinato al petto di Klaus. Probabilmente ne aveva anche un terzo, lo guardai con odio.

Beh allora...grazie per l'aiuto, cara.” Mikael provò ad abbassarsi su Klaus, lo vidi inginocchiarsi e osservare a lungo il volto del figlio. Era uno sguardo diverso da quello che aveva usato per guardare Rebekah, era carico di astio, ribrezzo, un odio che non si era spento nemmeno dopo secoli.

Sai di cosa è colpevole?” mi domandò, non degnandomi di un'occhiata.

Rimasi immobile, poiché ne ero già a conoscenza. Belial mi aveva detto di come Klaus aveva strappato il cuore dal petto della madre, una volta scoperta la verità sulla sua natura, ma non era lui l'unico colpevole di quella morte. Lo scontro con Belial l'aveva indebolita quasi a ridurla in fin di vita ed era per colpa del demone se Esther non era stata capace di difendersi dalla furia del figlio.

Distolsi lo sguardo quando Mikael lanciò un'occhiata verso me, quasi avesse captato i miei pensieri.

Mi asciugai le mani sudate sulla gonna.

Coraggio, fallo. Uccidi Klaus. Erano solo quelli i miei pensieri.

Lo vidi alzare le mani, strette attorno al manico del pugnale, pronto a colpire il petto del figlio.

Mi preparai ad agire.

Ma qualcosa andò diversamente da come avevo pianificato.

Un'ombra spinse via Mikael da me e da Klaus; il vampiro perse il pugnale che cadde in un punto vicino ai miei piedi e il suo corpo venne scagliato lontano, in un punto alle mie spalle dove rimase disteso a terra, gemendo di dolore. Lanciai un'occhiata nella sua direzione, per poi tornare a guardare l'ombra che aveva preso forma davanti a me.

Elijah.

Aveva velocemente strappato dal petto di Rebekah il pugnale che l'aveva colpita al cuore e poi si era fiondato su Mikael come una furia, per salvare me e Klaus.

I suoi occhi neri guardarono il corpo di Rebekah alle mie spalle poi mi fissarono intensamente, le spalle si alzavano e abbassavano in preda a profondi respiri, stringeva in una mano il pugnale che aveva infierito su sua sorella mentre guardava il mio volto, scoprendo la maschera di cinismo che lo copriva. Aveva pensato per un attimo che fossi anche io vittima di Mikael; in quel momento invece si rese conto che ero invece carnefice come lui.

Non disse nulla, serrò la mascella e mi superò, parandosi davanti a Mikael che si stava alzando a fatica da terra. Rimasi immobile vicino al corpo di Klaus, il piano stava sfumando.

Mikael si alzò in piedi, perse il tipico sorriso sornione che era solito regalare a chi gli piaceva far tremare. Ma con Elijah era diverso; sembrava quasi che fosse lui quello a tremare di fronte al suo cospetto.

Ci fu un breve momento di intesa tra i loro sguardi, come se i due stessero rivivendo il loro legame affettivo, che doveva essere stato saldo, ma comunque conflittuale, quando erano stati umani.

Elijah aveva sempre protetto Klaus dalle sue angherie.

Elijah doveva essere l'unica vera figura maschile da cui Rebekah doveva essersi sentita davvero protetta.

Elijah doveva essere l'unica figura della sua famiglia, che Mikael doveva temere perché era l'unico a non nutrire davvero paura nei suoi confronti.

Quel momento di sguardi durò pochissimo, strinsi i pugni e abbassai di nuovo gli occhi su Klaus. Dovevo agire, ma come? Guardai il pugnale, non potevo usarlo contro di lui...

Guardai padre e figlio nell'intento di sfidarsi, mentre, immobile, elaboravo un piano nella mia testa.

Non ho mai voluto che arrivassimo a questo punto, Elijah. Non con te, figlio mio.” disse Mikael, stringendo il pugnale nella mano.

Bugiardo, non voleva arrivare a quel punto perché aveva paura di lui.

Elijah non rispose; lo guardò con disprezzo, dovuto al fatto che aveva colpito i propri figli in quella maniera brutale. Erano suoi fratelli, malgrado con Klaus fosse evidentemente in conflitto per la storia di Katerina, ed era normale che li volesse difendere da colui che aveva dato inizio alla distruzione della sua famiglia. Perché Mikael era il vero colpevole dell'oscurità che aleggiava su di loro.

Non ti permetterò di distruggere questa famiglia, padre. Non di nuovo.” rispose Elijah.

Mikael lo guardò in silenzio, quasi infastidito dal tono duro e tagliente che il figlio aveva usato nei suoi confronti. “È stato tuo fratello a distruggere tutto. Te ne accorgerai molto presto.” disse. “Ma visto che avete scelto lui...pagherete entrambi la vostra innata stupidità!”

A quelle parole si scagliò su di lui e la lotta ebbe inizio: erano così rapidi e precisi nei movimenti che non riuscivo nemmeno a dire chi stesse per avere la meglio. Elijah tagliò l'aria più volte con la lama del pugnale, ma Mikael scansò diverse volte il colpo con estrema velocità e rudezza nei movimenti.

Rimasi immobile, assistendo a quella lotta furiosa che stava avendo luogo innanzi ai miei occhi. Strinsi i pugni, lanciai un'occhiata alle mie spalle verso Rebekah e accanto a me su Klaus.

Stava andando tutto a monte. Elijah non doveva essere presente per...

Mi bloccai, quando vidi Mikael riuscire a strappare il pugnale in mano ad Elijah con un colpo basso, per poi colpirlo alle spalle, in un punto vicino al cuore.

No...

Guardai Elijah piegarsi in due per il dolore, portandosi la mano dove la punta del pugnale fuoriusciva dalla sua pelle. Aveva mancato il cuore, ma quell'arma sembrò voler bruciargli in quel punto più in basso nel petto. Mikael lo guardava indifferente, riprendendo fiato mentre il figlio si piegava in due in preda agli spasmi di dolore.

Vigliacco. Mikael lo aveva colpito alle spalle ed Elijah non era stato capace di difendersi.

Strinsi i pugni, volevo agire.

Io...io dovevo assolutamente portare avanti il piano nonostante tutto.

Persa nella poca lucidità dei miei pensieri, rimasi a fissare la scena inebetita, con il respiro improvvisamente troncato quando vidi Elijah cadere a terra. Gemeva continuamente di dolore e si piegò a terra, chiudendo gli occhi e cercando con le braccia tremanti di strapparsi via dal petto quell'arma.

Mi mordicchiai nervosamente un labbro, guardando lui, poi il cadavere di Klaus e il corpo ancora privo di vita di Rebekah. Stavo di nuovo perdendo il controllo della situazione, trovandomi di fronte a tre scene che mi stringevano il cuore in una morsa.

Mikael se ne stava in piedi davanti al figlio, affaticato dalla dura lotta che aveva intrattenuto con lui poco prima. Elijah avrebbe vinto, se lui non fosse ricorso a quell'atto così villano.

Maledetto.

Venni tentata dall'accorrere in suo aiuto, ma la mente ordinò ai piedi di non muoversi perché il piano doveva andare avanti. O sarebbe stata la fine.

Non potevo cedere, non potevo mandare a monte tutto, dovevo portarlo avanti fino alla fine.

Scusami Elijah, sarò subito da te non appena avrò finito con tuo fratello.” gli disse Mikael, con tono ancora affaticato.

Si sistemò il mantello sgualcito e il colletto di stoffa scura che si era piegato sotto il suo mento.

Poi si avvicinò a me lentamente, lanciandomi diverse e veloci occhiate.

Non si curò dello sguardo che tenevo rivolto verso Elijah, della sofferenza che provavo nel vederlo in quello stato agonizzante, del desiderio di correre da lui e togliergli quel pugnale che penava sul suo corpo. Ma non potevo fare nulla.

Mikael si accorse dei miei occhi sgranati quando mi fu accanto e allora mi ricomposi.

Come un'attrice pronta a mandare avanti la sua parte, sbattei più volte le palpebre per riportare sul mio viso l'espressione fredda di cui avevo bisogno.

Mikael riprese il pugnale di poco prima e mi guardò divertito. “Spero non ti dispiaccia.” disse, riferendosi alla figura di Elijah che mi guardava, ancora inginocchiato a terra in preda agli spasmi di dolore.

Sai...affari di famiglia.” ammiccò nella mia direzione e pensai di dovermi sentir invadere dalla rabbia o dal disappunto, ma in realtà non riuscivo a sentire altro se non il dolore nel vedere quello spettacolo.

Lanciai un'occhiata verso Elijah, lui mi guardava incredulo, confuso, stupito, ferito...deluso.

Perché non avrebbe mai pensato che la fine della sua famiglia sarebbe stata segnata proprio per mano mia, di colei che troppe e troppe volte lo aveva colpito in così poco tempo.

La mia mano era brava a ferire sempre più in profondità ormai, abituatasi a stringere nel suo palmo armi pronte a colpire alle spalle. Sopratutto spalle di persone a cui non avrei mai voluto fare del male.

Diavoletto?” Mikael mi richiamò, pronunciando quel nomignolo come se stesse rivolgendosi ad un bambino. Tornai a guardarlo, la maschera mi era di nuovo caduta dal viso.

Scossi la testa, facendogli capire che non m'importava nulla di Elijah.

Quest'ultimo lo capì, continuò a tenere lo sguardo puntato nella mia direzione e pronunciò il mio nome.

Chiusi gli occhi quanto sentii la sua voce chiamarmi, con quel punto interrogativo alla fine di esso. Come se non mi riconoscesse, come se volesse rivedere la persona che pensava di aver conosciuto, come se invocasse un angelo, guardando però un diavolo.

Mikael si chinò su Klaus, riprese il pugnale accanto al suo corpo e quella volta non prese tempo a rammentargli il suo odio attraverso lo sguardo.

Si accinse a colpirlo in pieno petto, condannandolo ad un destino di eterna morte.

I secondi passarono inesorabili.

Le mani di Mikael si innalzarono vero l'alto, pronte a colpire.

Elijah, a diversi passi da noi, combatté con la sua agonia per alzarsi in piedi e fermare il padre.

Io volsi la testa nella sua direzione.

Lo sguardo di Elijah catturò il mio.

Un tuono ruppe il silenzio.

Elijah lesse il dolore sul mio volto, assaporò l'attimo che anticipa la fine di tutto.

E io gli sorrisi.

Il tempo parve fermarsi, ed Elijah guardò quel sorriso sulle mie labbra, senza capirne il significato.

Ma davvero pensava che avrei lasciato morire lui e la sua famiglia? Credeva potessi arrivare a tanto?

Mi fece sorridere il modo in cui ero riuscita ad “imbrogliarlo”, cosa che non ero quasi riuscita a fare quella mattina. Presi atto del fatto che fossi divenuta davvero una brava attrice.

Per confermargli il tutto, gli feci un leggero occhiolino ma dubitai che ne avesse capito il vero significato, visto il dolore che lo faceva piegare in quel momento.

Il pugnale nelle mani di Mikael si abbassò lentamente, la punta arrivò quasi a penetrare nel petto di Klaus.

Ma io lo fermai.

Il vampiro lanciò quasi un grido e si ritrovò con la schiena contro la parete alle mie spalle. Il pugnale che teneva in mano era caduto accanto al corpo del figlio, dopo che lo avevo scaraventato lontano da lui e lo tenni il più possibile contro il muro, con il palmo della mano tesa nella sua direzione. Mi avvicinai lentamente, mantenendo dentro me la forza necessaria per impedirgli di muoversi: spezzare il collo a Klaus con il pensiero risultò più semplice, vista la breve durata di quell'attimo, invece tenere Mikael attaccato alla parete risultò essere molto più difficile, visto che era un gesto in cui dovevo impiegare più energia.

Irina?” Elijah chiamò il mio nome e gli lanciai un'occhiata veloce, volevo rendermi coraggiosa, audace e anche provocatoria, visto che ero riuscita a prendere per i fondelli persino lui.

Ma il dolore che mi stava crescendo dentro mi impediva di fare altro, sentii il sangue colarmi dal naso e lo rimossi con il palmo della mano libera.

Mikael cercava di divincolarsi dalla mia presa invisibile, ma inutilmente. Sentivo l'odore della sua paura.

Tu...piccola sgualdrinella!” ringhiò Mikael, calcando ogni parola con profondo astio. Stava tremando, nel vano tentativo di combattere con il mio potere e io avrei riso di disprezzo, se non mi fossi sentita così male. Mentre mi facevo più vicina, quasi le ginocchia cedettero e vidi Elijah cercare di alzarsi in piedi per accorrere in mio aiuto. “Che stai facendo?!”

Stavo salvando tutti coloro che amavo.

Tossii, cercando di mantenere l'equilibrio sulle gambe e combattendo con la vista offuscata. Mi sentivo svenire, ma non potevo permettermelo visto che ormai ero sul punto di portare a termine il piano. Arrivai vicinissima a Mikael, prendendo lunghi respiri e mantenendo il controllo del mio potere.

Quello andò quasi a farsi benedire, quando lo scorrere del sangue dal naso mi solleticò la pelle e bagnò le mie labbra. Il suo sapore ferroso sembrò strapparmi via ancora di più la forza, tanto che per poco Mikael riuscì quasi a liberarsi della mia presa.

Ne rise. “Sei rimasta perché sapevi li avrei uccisi oggi, vero? Sei rimasta perché sapevi anche che sarei venuto a cercarti per toglierti dalla faccia della terra, abominio?” gridò, quasi divertito da quelle motivazioni.

Sì, ero rimasta per loro.

Perché Belial mi aveva detto che Mikael stava arrivando per sterminare la sua famiglia.

E perché Mikael voleva uccidere anche me, essendo la figlia di colui che era causa della morte di sua moglie ed essendo un demonio capace di ucciderlo. Dovevo morire anche io secondo lui.

Non potevo quindi fuggire con Katerina, mettendola di fronte ad un tale pericolo.

Ecco perché ero rimasta.

Hai ucciso Klaus...solo per distrarmi e salvarli...” continuò a dire Mikael mettendo al giusto posto tutti i frammenti di quello specchio. Il trucchetto con Klaus non nasceva da un mio desiderio di vendetta, ma lo usai per distrarre Mikael e poterlo colpire con più facilità.

Anche se, alla fine, Klaus il collo spezzato lo meritava eccome.

L'arrivo di Elijah aveva mandato quasi a monte il piano, perché non volevo fosse presente. Avrebbe potuto cercare di cambiare il finale del mio piano ma ferito com'era, malgrado la cosa mi facesse male, sentivo che il piano sarebbe andato a buon fine.

Sei davvero patetica, ragazzina! Ti sacrifichi per coloro che volevano uccidere tua sorella su un altare di fuoco!” mi provocò Mikael, scuotendo lievemente la testa.

Forse ero davvero ridicola, forse qualsiasi altra persona razionale sarebbe fuggita via non curandosi del loro destino, forse una qualsiasi persona umana avrebbe potuto lo stesso approfittare di quella situazione per uccidere Klaus, forse una qualsiasi persona razionale non sarebbe stata così sciocca da accettare le condizioni di Belial. Ma, in realtà, io ero fiera di essere patetica, se questo significava fare tutto l'opposto di quello che una persona razionale avrebbe fatto.

Avevo salvato Katerina. Avevo salvato Elijah. Avevo salvato Rebekah. Avevo salvato persino Klaus e mi dispiaceva persino essere ricorsa a metodi così estremi con tutti loro per poterlo fare.

Elijah continuava a lottare con il suo stesso corpo per potersi alzare in piedi e accorrere da me, ma anche per lui il dolore pesava con gravità sulla sua volontà e sulla sua forza fisica.

Giunsi più vicina a Mikael, sforzandomi di non voltarmi in direzione di Elijah.

Non potevo permettermelo. Non ora.

Non puoi farmi troppo male, Irina. Sei umana! Non hai poteri per potermi uccidere!” mi gridò Mikael ,restando contro la parete e ormai preda della paura, mentre il palmo della mia mano continuava ad avvicinarsi al suo petto. “Mi riprenderò, ucciderò tua sorella sotto i tuoi occhi e ti porterò via tutto ciò che ti è rimasto!”

Non ci riuscirai. Ero lì apposta per non permetterglielo, avevo accettato le condizioni di Belial per avere il potere necessario per impedire che lui strappasse la vita a Katerina e ai suoi stessi figli.

Avrei salvato tutti loro.

Fui più vicina a Mikael, la mia mano ormai aderì perfettamente al punto in cui il cuore doveva avergli battuto in vita. Sempre se ne avesse avuto uno, visto tutto il male che aveva portato nella sua famiglia.

Stranamente, comprese ciò che stava per succedere e i suoi occhi si sgranarono, illuminati da un barlume di paura. Un tuono risuonò in lontananza.

T-tu non puoi farlo...non ne hai il potere!”

Mikael l'aveva riconosciuta, la morte.

Gli sorrisi con sfida, perché, in realtà, quel potere io lo avevo. Belial me lo aveva dato.

Lo sguardo di Mikael non mutò, scosse lievemente la testa e trattenne il respiro quando capì che io avevo l'arma per vederlo soccombere. “Ma questo potere...ti ucciderà!” mi disse in un sussurro.

Tentennai nel sentire quelle parole che, fino a poco prima, mi sembrarono prive di significato

Feci lentamente slittare lo sguardo verso Elijah, il cui sguardo era ancora fisso su di noi.

Ci guardammo a lungo, lui doveva aver udito le parole di suo padre e mi fissava con occhi sbarrati, quasi sperasse di aver sentito male.

Un sorriso mi si allargò sulle labbra. In quel preciso istante, mentre il tempo sembrava fermarsi attorno a noi, trovai la forza di pensarlo, di dirglielo guardandolo negli occhi.

Addio Elijah.

Grazie per essermi stato vicino per tutto questo tempo, grazie per essere la magnifica persona che sei.

Scusami per tutto.

Addio.

Lui mi sentì. Udì il mio ultimo saluto, lesse la fine nel mio sguardo e io non ce la feci più a sostenerlo, senza scoppiare in lacrime.

Volsi lo sguardo poi verso Rebekah e infine verso Klaus, i cui corpi giacevano ancora alle mie spalle.

Un altro sorriso mi si allargò sulle labbra mentre li guardavo e, in quel momento, la mano di Klaus si mosse. Pochi attimi dopo, lui volse lentamente la testa verso me. Strizzò gli occhi per un attimo, come stesse destandosi da un lungo sonno, e il suo sguardo perso incontrò il mio.

Sbatté poi più volte le palpebre, prima di riconoscermi.

Lo distolsi prontamente.

Portai la mia attenzione su Mikael, riempendolo di tutto l'odio che avevo nascosto poco prima in me, e presi dal suo volto spaventato la forza necessaria per poter porre fine al mio piano.

Elijah lanciò un grido, implorando di fermarmi.

Mikael rantolò di dolore.

Qualcuno alle mie spalle smise di respirare.

La mia mano premette con forza sul petto del mio nemico.

Ci ero riuscita.


Ciao a tutti ^^

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Mi spiace aver reso anche questo molto lungo, ma spero che non vi abbia annoiato. Mi rendo anche conto che probabilmente potevo fare molto meglio e che probabilmente non ho trasmesso come volevo le emozioni della protagonista. Vabbè, eccetto questo, spero che vi sia comunque piaciuto. :)

Allora, finalmente si è capito il piano che Irina aveva in mente e non era quello di uccidere Klaus come avete pensato tutti (mandandole dei colpi, vero? xD) bensì quello di salvare la famiglia degli Originals e anche Katerina, visto che Belial ha rivelato alla ragazza i propositi di vendetta del vampiro nei confronti della protagonista. Quindi, il suo allontanamento da Katerina dipende anche da questo.

Ci tengo a precisare che Irina è rimasta per salvare Katerina, Elijah, Rebekah e sì, anche Klaus ma questo non vuol dire che abbia dimenticato la faccenda del rituale e che lo abbia perdonato. È normale che sia ancora in collera con lui nonostante tutto, non penso sarebbe stato verosimile perdonarlo così facilmente. Anche quando ha “ferito” lievemente Elijah, lo ha fatto solo per portare avanti il suo piano, non perché voleva fargli davvero del male. Perciò...non abbiatene a male con Irina! XD

Ok, taccio e vi lascio.

Grazie a tutti coloro che leggono questa storia, sia chi lo fa e sia chi recensisce. Sono arrivata a ben 200 recensioni (siete troppo buoni!), e sinceramente un misero grazie per ripagarvi tutti del sostegno che mi avete dimostrato non basta.

Grazie anche di cuore a chi ha inserito questa storia tra le preferite/seguite e ricordate.

Alla prossima e vi auguro un buon fine settimana!

Ciao ^^

  
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