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Autore: ShadoWalker    10/06/2012    2 recensioni
Risvegliarsi ai cancelli di un Garden dopo una notte della quale non si ha memoria non sarebbe poi del tutto inusuale...se non si avessero un paio di orecchie e una morbida coda da lupo.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Dici che è ancora vivo?». Una prima voce rompe il silenzio del giorno. Vibrazioni acute. Sono quasi sicuro che sia una femmina.
«Per muoversi, non si muove».  La seconda è diversa: più bassa e profonda. Ha delle vibrazioni e dei toni più bassi anche se ogni tanto si incrina e schizza incontrollabile verso modulazioni ben più alte. Riconducibile a un maschio in piena pubertà.
Qualcosa passa vicino al naso. Mi fa il solletico ma ha un odore nuovo, estraneo. Sa di pane. Pane bruciato. Paura e Rabbia agitano il mio Istinto. Non reagisco. Non ancora.
«Però per respirare respira». è ancora il maschio a parlare e sento il suo odore allontanarsi leggermente. Deve aver levato probabilmente il dito o la mano dalle mie narici. Il rumore di qualcosa che scricchiola sotto i suoi piedi oltre a quello della stoffa che si distende: si era chinato su...me? L'ho presa come una minaccia ma non è ancora il momento buono. Avrebbe potuto già uccidermi ma non l'ha fatto. Anche perché...cosa ci stanno facendo qua?
«Dici che dovremmo farlo presente?» domanda il maschio che sa di pane.
«Effettivamente non mi sembra il caso di mollarlo qui. Voglio dire» attacca la femmina «Non sappiamo come ci sia finito qui ma a me inquieta. Chi lascerebbe un...beh...qualcuno avvolto in un lenzuolo in mezzo a una strada?».
Il maschio la interrompe e le dice qualcosa del genere "forse qualcuno che non lo vuole tra i piedi per qualche buona ragione". Dalla sua voce traspare diffidenza: lo capisco da come la varia. Parlottano ancora un poco dicendosi cose che non capisco fino a quando uno dei due non fa scattare il mio Istinto: sento la sua mano sul costato che afferra un lembo della mia protezione. Ed è un attimo: per quanto malferme, le gambe mi reggono e scatto in piedi tendendo le zampe anteriori in avanti come a voler afferrare con forza il fautore di quella malaugurata azione; scopro i denti e fisso con forza chi mi si para davanti. Il maschio paradossalmente è balzato indietro, incespicando in un oggetto metallico appeso a due concrezioni dopo aver emesso un segnale di difesa mentre la femmina, ferma sulle zampe posteriori, mi punta qualcosa al collo.
«Fermo o te la pianto in gola!».
Non perdo il contatto visivo. Nemmeno lei. Il maschio nel contempo sta fermo a terra, forse consapevole che movimenti bruschi potrebbero far scattare Istinto ancora una volta ma la femmina mi tiene in stallo.
Poi succede ancora qualcosa che non comprendo: la femmina cambia colore e lascia la presa dalla bacchetta che ha una punta acuminata all'estremità e volta lo sguardo. Sta comunicando col maschio.
«Ryan per l'amor del cielo! Fallo coprire!»
Per tutta risposta, quello si tiene il ventre e allarga la bocca, emettendo uno strano suono.
«Piantala!». Percepisco dei segnali di rabbia.
«Non dirmi che non hai mai visto un ragazzo nudo».
Questo genere di scambio mi giunge del tutto nuovo.
«Amico, rimettiti il lenzuolo in vita».  E continua con un gorgheggio inusuale.
Non so cosa fare. Sembra che vogliano cessare le ostilità ma Istinto mi dice ancora di non abbassare la guardia. Poi il maschio fa un passo verso di me. Arretro. Raccoglie il telo bianco che ha il mio odore e si allunga verso di me. Non so che fare ma a questo punto è lui a fare la prima mossa: mi si avvicina cauto e, mentre la ragazza riprende un colorito normale e non reagisce più in quello strano modo e torna a guardarmi, mi lega il telo in vita. Sente che sono teso ma lo lascio fare.
«Ok, sembra andare meglio, no?» dice, fissando lo sguardo negli occhi. Lo vedo fermarsi un secondo e non vuole perdere il contatto visivo: chiama a sé la femmina e anche lei comincia a piantare i suoi occhi castani nei miei. Inclino la testa da un lato. Sento che il pericolo è svanito e posso distendere i muscoli, abbandonare la posizione di guardia e rilassare le spalle. Il respiro si fa più calmo.
«Non so quanto sia normale avere gli occhi di quel colore. Escludendo qualche attrice famosa, non ho mai visto nessuno con l’iride viola» si domanda la ragazza.
«Domandarsi il perché degli occhi viola sembra davvero avere un senso se vuoi ignorare che abbia delle orecchie pelose e una folta coda scura» ribatte lui.
«Grazie per averlo sottolineato con enfasi, nonostante sia abbastanza strano vedersi una sorta di…ragazzo-lupo? Davanti all’ingresso del Garden, Ryan»
«Non c’è di che Elenor ma la questione rimane. Dici che dovremmo portarlo dentro?».
La ragazza mi osserva ancora qualche momento e sul suo muso si dipinge un’espressione strana.
«Dagli un’occhiata: non può avere più di quindici anni e sembra perso in una giungla di cemento. Che dici?».
«Non è esattamente nello spirito dei SeeD comportarsi da buoni samaritani. Ci scommetto le palle che non appena il Vice preside lo vedrà, cercherà di assoldarlo in qualche maniera.»
Eleanor lo guarda storto quasi a voler porre l’accento sull’ovvio.
«Cosa ti aspetti? Siamo mercenari. Più braccia ci sono meglio è.»
«Più carne da macello c’è meglio è» lo corregge Ryan «E non provare a convincermi del contrario: sarò qui da meno di te ma certe cose sarebbero chiare a chiunque.»
Lei sembra infastidita dal suo atteggiamento. Non dalle sue parole.
«Nessuno ti chiede di entrare in un corpo militare senza che si consideri la possibilità di mettere in gioco la tua vita.»
«Ellie, basta con le stronzate.» la interrompe Ryan «Avrò anche diciassette anni ma non sono cretino. Si sono riempiti per bene la bocca con idee di sacrificio e combattere per uno scopo più alto che non so che farmene delle loro belle parole. Seriamente, chiudiamola qui.»
«La questione rimane: che ne facciamo di lui?»
Le loro comunicazioni mandano segnali confusi. Sembra che non siano decisi su una singola cosa da fare e sembra che si sia bloccati in un limbo in cui nessuno ha la minima idea di che fare, cosa che a Istinto comincia a dare fastidio. Se nei paraggi ci fosse una potenziale minaccia, avrebbe attaccato adesso capendo che è il momento opportuno.
«E’ un ragazzino» ribadisce Eleanor
«Non è quello che hai pensato quando l’hai visto senza lenzuolo addosso»
«Non sei divertente, Ryan» ribatte lei scocciata «Credi che non abbia mai visto un ragazzo nudo in vita mia?»
Lui allarga le braccia e sorride. «Complimenti per le tue esperienze. Chi sono io per mettere in discussione una ventenne?».
«Sei un cretino. Facciamola finita e portiamolo dentro».
Dopo l’ultima comunicazione, entrambi si avvicinano e istintivamente faccio un passo indietro. Mi dicono qualcosa ma sembra che le loro intenzioni siano ben diverse da quando la femmina mi ha puntato quell’oggetto alla gola. Il rischio è grosso ma l’indecisione è più pericolosa: lascio che si avvicinino e li sento spingermi verso un rifugio che non ricorda nulla che abbia mai visto in vita mia.
Una donna mi punta una luce diretta negli occhi mentre con l’altra mano mi costringe a fissarla. Brucia e mi da fastidio ma non riesco a opporre resistenza: la notte all’addiaccio ha prosciugato le mie ultime energie e lo scatto verso i due esemplari di prima ha dato fondo alla mia ultima riserva; per di più la schiena fa male a causa del terreno duro su cui ho dormito.
«Pare che tu sia a posto» dice la donna spegnando la luce. Finalmente gli occhi smettono di lacrimare. «Tuttavia credo che sia meglio che tu rimanga in osservazione ancora un paio di giorni». Si volta verso un tavolo di metallo sul quale sono appoggiati degli strumenti che non conosco. Si sfila una prima pelle dalle mani e recupera un oggetto che cerca di infilarmi nell’orecchio. Le sue orecchie, noto, non sono come le mie: sono molto più piccole, completamente rosate e senza un filo di peluria. Ora che ci faccio caso non ha nemmeno la coda. Nemmeno i due ragazzi prima l’avevano. Mi allontano man mano che quello strumento si avvicina ma la donna trova il modo di infilarmelo comunque nell’orecchio. Mi da fastidio ma non più di tanto. Quel che è certo è che detesto che qualcuno con cui non ho confidenza possa avvicinarsi così tanto e toccarmi con tanta facilità. Anche ringhiare di disapprovazione non serve: mi ignora.
«So che è una domanda un po’ difficile ma ti ricordi il tuo nome?»
Al momento guardo da tutt’altra parte: osservo quel luogo strano, quasi completamente bianco con degli oggetti di cui non ho memoria; ha un odore forte, pungente, di un pulito forzato, non come quello che c’è al di fuori. Mi fa storcere in naso, mi penetra nella gola e mi mette un’inquietudine addosso che ho già sentito da qualche altra parte.
«Ti ricordi il tuo nome?» mi replica, stavolta portandosi direttamente davanti ai miei occhi e capisco che si sta rivolgendo a me. Capisco dal tono che mi sta chiedendo qualcosa ma non conosco quel linguaggio così mi limito a fissarla e inclinare leggermente la testa di lato.
«Sembra che tu non sia registrato nelle zone limitrofe alla struttura» prosegue, ignorando la mia non-risposta e aprendo una cartelletta di un verde simile a quello delle pareti. Poi posa nuovamente lo sguardo su di me e tende la destra verso il mio collo: scatto indietro, scopro i denti ma cado dal lettino finendo schiena a terra e arretro spingendo anche con le gambe posteriori.
«Calmo. Calmo. Calmo.» ripete quella litania tre volte ma non smetto di tenere i denti allo scoperto. La donna si china verso di me e tende la sua mano col palmo rivolto verso l’alto in segno di pace, ma la diffidenza persiste. Una volta spalle al muro però la diffidenza deve lasciare spazio alla rassegnazione: non voglio aggredirla ma detesto che invada il mio spazio.
Afferra con delicatezza qualcosa che è poco sotto il mio collo. Tintinna.
«Pawkee».
Come fa a conoscere…è qualcosa che ho già sentito ma…io?
«Puoi alzarti adesso» dice, rimettendosi in piedi a sua volta «Almeno adesso so come ti chiami».
Mi reggo in piedi a malapena perché le ginocchia non reggono ma riesco a riprendere il controllo di me stesso. La donna mi porge degli abiti leggeri e profumati e mi aiuta a cambiarmi. Glielo lascio fare, tenendo sempre gli occhi puntati su di lei. Le ho già permesso di lavarmi quindi, nonostante alcuni segnali di senso opposto, decido di fidarmi. Mi fa cenno di seguirla verso una stanzina attigua a quella degli strumenti strani e, dopo aver aperto la porta bianca, mi fa strada verso un giaciglio decisamente più comodo. Poco distante dal giaciglio, mi fa vedere una piccola luce artificiale e come fare ad accenderla e spegnerla; sopra una piccola fonte d’acqua che funziona a comando c’è uno strano oggetto rotondo in cui ritrovo un essere tale e quale a me! Faccio per toccarlo ma lo vedo fare la stessa cosa. Poi, al momento del contatto, sento freddo e non riesco a percepire il suo calore.
«Quello sei tu».
La donna si avvicina e vedo comparire nella finestra rotonda un’altra lei. Mi posa la mano sulla spalle e vedo che l’altra fa lo stesso. Capisco che quelle sono delle copie di noi stessi ma non sembrano essere vive.
«Credo che tu debba riprendere famigliarità con il mondo contemporaneo e che tu abbia bisogno di dormire» dice prima di lasciarmi nella stanza. In fondo la sua compagnia non mi spiace più di tanto. Per quanto, non ho incontrato alcun pericolo in sua presenza. Mi avvicino al giaciglio e scopro con sollievo che è morbido e che c’è un piccolo fagotto altrettanto morbido appoggiato all’estremità di esso. Ci gioco qualche istante ma in breve tempo, il sonno prende il sopravvento una seconda volta e mi addormento in questa tana temporanea che odora di disinfettante.
  
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