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Autore: RoseScorpius    10/06/2012    62 recensioni
Hermione Granger, nonostante i suoi quarant’anni, era ancora una bella donna. E per quanto schifo potesse farmi l’idea di mia madre che si rotolava su un letto con un uomo che non fosse mio padre (bhe, anche con lui… insomma, credo che a tutti i figli farebbe piacere credere alla storia della cicogna), avrei dovuto immaginare che dopo il divorzio non avrebbe preso un voto di castità. A volte capitava addirittura che mi parlasse dei tizi con cui usciva, e generalmente sopportavo l’idea di lei e un altro piuttosto bene, a patto che non portasse nessuno dei suoi ammiratori a casa. Dio, magari li portava comunque, ma come si dice, occhio non vede, cuore non duole. E figlia non s’incazza.
Di una cosa, comunque, ero sempre stata sicura: mia madre non si sarebbe mai risposata.
… E quando mai io avevo avuto ragione su qualcosa?

STORIA IN REVISIONE
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita è un biscotto ma se piove si scioglie'
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27.

Come imparare a voler bene a Draco Malfoy in tre semplici passi

 

È curioso come nella vita le cose riescano ad andare secondo i piani e, allo stesso tempo, prendere strade totalmente imprevedibili. È curioso come mi guardi allo specchio e non riconosca gli occhi che restituiscono il mio sguardo. È curioso che io non li voglia riconoscere.

Silente è morto. L'assassinio del Ministro della Magia è stato pianificato nei minimi dettagli. Piton è stato designato come nuovo preside di Hogwarts. I Mangiamorte sono tornati al potere.

Se c'è un momento per essere orgoglioso di quello che sono – quello che mi hanno costretto ad essere – e di quello che ho fatto – quello che mi hanno costretto a fare – allora il momento è questo. Ed è proprio questo che mi fa riflettere. È proprio il fatto che io, orgoglioso, non lo sono nemmeno un po'. 

Non mi sono sporcato le mani con il sangue di Silente. Ma la verità è che le mani si puliscono, la coscienza no. La verità è che qua non si tratta più di uccidere i Babbani e far salire al potere i Purosangue. La verità è che questa è una guerra civile, di maghi contro altri maghi. La verità è che sono tutti dei fottuti assassini.

E io sono solo un fottuto codardo.

 

***

 

« Mamma? » 

La linea era parecchio disturbata. Mi chiesi se fossero all'estero e di colpo realizzai di non avere la più pallida idea di dove fossero andati in viaggio di nozze. 

« Mamma? » ripetei, a voce più alta. 

La cornetta del telefono crepitò come se la stesse per friggersi. Poi la voce di mia madre, distorta e quasi irriconoscibile, mi risuonò nell'orecchio. 

« Rose, che succede? »

Non avrei saputo dirlo con certezza, visto il rumore da sciame di vespe inferocite che copriva la conversazione, ma sembrava parecchio preoccupata. Se avevo rotto il mio solenne voto di non rivolgerle mai più la parola doveva immaginare che fosse una cosa piuttosto grave. 

Lanciai uno sguardo a Scorpius, che si contorceva sul divano, tenendosi la pancia. Hugo, accucciato accanto al bracciolo su cui era appoggiata la sua testa, gli batté una pacca compassionevole sulla spalla. 

« È stata una gran bastardata, in effetti. » ammise « Su, vedrai che passa. Ora ti portiamo al San Mungo. »

Scorpius sibilò un paio di parolacce che non avrei mai sospettato conoscesse. Calvin, nella mia testa, me ne rivolse anche di peggiori. Ignorai entrambi i biondini, facendo del mio meglio per ignorare anche gli enormi sensi di colpa che mi imbrattavano la coscienza. Fu un po' più difficile, con questi ultimi.

« Mamma, è... è successa una cosa. » balbettai, sfoderando le mie insospettate qualità di attrice « Io e Hugo volevamo fare uno scherzo a Scorpius con una Merendina Marinara non ancora messa in commercio e... beh, ecco... forse non era ancora stata testata su esseri umani... »

Feci una pausa, mentre una voce di sottofondo – probabilmente quella di Draco, a giudicare dal tono aristocratico – diceva. « Ah, ora si degna di parlarti. Gentile da parte sua. » 

Lo squittio atterrito di mia madre mi perforò il timpano. 

« D'accordo, d'accordo, non faceva ridere. » ritrattò Draco « Avanti, non fare quella faccia. Sembra che sia morto qualcuno. »

Dopo una pausa, in cui immaginai che la faccia di mia madre si fosse fatta ancora più apocalittica, la voce di Draco apparve assai meno gioconda. 

« Ma... ma non è morto nessuno, vero? »

Mamma parve ritrovare la voce solo in quel momento. « Dimmi che stai scherzando. » sibilò. 

Il suo tono era così minaccioso che per un attimo ventilai seriamente l'ipotesi di dirle che sì, era tutto uno scherzo, mettere giù la cornetta e fiondarmi a preparare l'antidoto. Ma poi raccolsi il poco coraggio che mi restava e mi preparai a firmare la mia condanna a morte.

« Ehm... in realtà no... ma... ma è tutto sotto controllo, comunque. » balbettai « Abbiamo avvertito papà e ha detto che sta venendo a portarci al San Mungo... q-quando avete la Passaporta? »

Al posto della risposta mi giunse un urlo belluino, seguito da una sequela confusa di insulti alle mie facoltà mentali, minacce di morte ed invettive contro i più grandi maghi della storia. Rimasi seriamente colpita dal vocabolario di mia madre, in quella circostanza. 

Per fortuna, in quel momento, Merlino doveva essere così offeso che decise di intervenire in mio favore, facendo cadere la linea. Allontanai il telefono dall'orecchio, sospirando di sollievo. 

Hugo inarcò un sopracciglio. « Che ha detto? » chiese. 

« Accidenti a quel frocio di Merlino. » risposi, non sapendo bene se scoppiare a ridere o iniziare a piangere per la morte ormai certa che mi attendeva « Ha detto accidenti a quel frocio di Merlino. »

 

***

 

Un paio di minuti più tardi mio padre si materializzò in soggiorno, scarmigliato e con l'aria di non aver ancora ben capito cosa stava succedendo. Dal camino di casa sua, quando lo avevamo avvisato con la Metropolvere, era parso ancora troppo assonnato per connettere a dovere tutti i punti di quello che gli stavamo dicendo. La sua prima reazione era stata corrugare le sopracciglia e domandare: « E io che c'entro? ». In effetti era sembrato molto più seccato all'idea di doversi svegliare a quell'ora di domenica mattina che a quella di Scorpius piegato in due dai crampi allo stomaco. Non che il suo stato attuale si potesse definire come “svegliato”, in ogni caso. Squadrai la camicia rosa, la giacca verde e l'orrenda cravatta viola a pois che era stata annodata al contrario e pendeva mollemente sul suo petto, chiedendomi se si fosse accorto di indossare ancora i pantaloni del pigiama sotto l'improbabile abbinamento di vestiti che gli copriva la parte superiore del corpo. Immaginavo che non fosse il momento migliore per porre una domanda del genere, comunque, perciò preferii tenermela per me. 

Mio padre si grattò la nuca e lanciò uno sguardo enormemente perplesso a Scorpius, che era rotolato giù dal divano ed ora si stava contorcendo sul tappeto, piagnucolando. Non era un gran duro né tantomeno uno abituato a sopportare il dolore senza metter su un melodramma (vedi Malfoy Senior), ma vederlo in quello stato mi fece comunque sentire uno schifo. 

« Ragazzi, che è successo qua? » chiese papà, squadrandoci con l'aria imbarazzata di chi non sa bene come comportarsi con il suo interlocutore. Nella fattispecie, se battergli il cinque o rimproverarlo. « Io... ehm... lo sapete che il tentato omicidio è punibile per legge, vero? »

« Tentato un corno! » intervenne la voce strozzata di Scorpius, da un punto non meglio precisato ai nostri piedi « È riuscito benissimo! »

Papà sollevò la gamba sinistra e scavalcò il suo corpo con un lungo passo cauto, come un cane scavalcherebbe i cocci di un vaso che ha appena distrutto, fingendo di non averlo visto. Magari poi ci farebbe pure sopra la pipì, non era da escludersi a priori. 

« Certo, » meditò, ignorando i gemiti strozzati di Scorpius con perfetta nonchalance « possiamo dire che è stato un incidente... non vi sbatterebbero dentro, ma potreste sempre avere dei problemi con la scuola e vostra madre non lo gradirebbe molto... a meno che non diciate che ha fatto tutto lui, certo... in queste condizioni, un Confundus, quasi quasi... o un Oblivion, perché no... lo scambierebbero per un effetto collaterale del... » si bloccò, staccando il dito indice dalle labbra e levandolo in aria davanti alla sua espressione corrucciata « A proposito, cosa gli avete fatto? »

Scorpius tossì e disse qualcosa, ma Hugo si affrettò a parlargli sopra. « Una Merendina Marinara difettosa. » 

Scorpius sembrò sul punto si protestare, ma prima che potesse smentirlo Hugo lo afferrò da sotto le ascelle e lo costrinse ad alzarsi. Non una gran strategia da usare con un malato, a conti fatti, ma se non altro da quel momento Scorpius fu troppo impegnato a grugnire di dolore per ricordarsi di smascherare la bugia di Hugo. 

Mio fratello si voltò verso me e papà con un sorrisetto vagamente imbarazzato, come se si stesse scusando per il disturbo arrecato da Scorpius, e lo trascinò di peso fuori dal soggiorno. « Vieni, ti porto in bagno. » disse « Magari se ti liberi un po' dopo stai meglio. »

« Se mi libero di voi sto meglio! » sbottò Scorpius, divincolandosi « Dannati Weasley, aveva ragione mio nonno a dire che… »

Ma non avemmo mai l'onore di scoprire su cos'aveva ragione suo nonno, perché Hugo gli assestò una gomitata tra le costole e lo trascinò su per le scale tra un concerto di urla dolore e promesse di vendetta. Scossi la testa e lanciai un'occhiata molto significativa a papà. 

« Dovremmo davvero portarlo al San Mungo. »

Papà, per tutta risposta, inarcò un sopracciglio. « Merendina Marinara, eh? »

Non sembrava per nulla dispiaciuto all'idea che avessimo avvelenato Scorpius. O che, come avevamo raccontato, gli avessimo fatto mangiare per sbaglio una Merendina Marinara “difettosa”. 

Che credesse o meno alla nostra versione dei fatti, comunque, dieci minuti dopo ci trovavamo nel grande atrio del San Mungo, in fila dietro ad una vecchietta con un paio di enormi ali di farfalla al posto delle orecchie ed un impiegato di mezz'età che continuava a sputare palle di pelo. Mamma, in quel lasso di tempo, mi aveva scritto la bellezza di undici messaggi: dieci per informarmi che ero un babbuino sottosviluppato e che per tale ragione sarei stata scuoiata e vivisezionata al più presto, l'ultimo per farmi sapere che lei e Draco sarebbero arrivati al San Mungo nel giro di mezz'ora. 

Scorpius era accovacciato su una sedia a rotelle che Hugo aveva trovato abbandonata in un angolo e si teneva una mano premuta sullo stomaco. Di tanto in tanto le sue interiora emettevano dei brontolii inquietanti e lui stringeva i denti e piagnucolava parole sconnesse. Approfittando della temporanea distrazione di mio padre, mi chinai vicino al suo orecchio e bisbigliai. 

« Come stai? »

In risposta ottenni uno sguardo assassino. « Come dovrei stare? » sibilò. 

Calvin, dall'angolino che aveva ormai acquisito per usucapione all'interno del mio cervello, mi lanciò uno sguardo di rimprovero. Notai che, sotto ai pochi vestiti che indossava, appariva più piccolo e magro del solito, come un bambino affamato e bisognoso di cure. Quando sbatté gli occhioni verdi e mi lanciò uno sguardo da bestiolina bastonata, mi resi conto del suo subdolo piano. 

Non ci provare.” pensai, irritata. 

Calvin sbatté le palpebre un paio di volte e si portò l'indice al mento, socchiudendo appena le labbra in un'espressione adorabilmente confusa. “Provare a fare cosa?” chiese, con una vocina insolitamente candida per un modello/spogliarellista. 

Decisi di lasciar perdere e lo costrinsi a ficcarsi addosso un paio di pantaloni. Intanto Scorpius – quello vero – mugolò. 

« Siete degli stronzi... »

Immaginai che il mal di pancia fosse l'unico motivo per cui aveva momentaneamente rinunciato ai suoi propositi di vendetta. Ma quel pensiero non contribuì per niente ad alleviare i miei sensi di colpa, perciò lo scacciai prima che Calvin potesse spogliarsi di nuovo. 

« Anche tu mi hai lanciato una fattura della diarrea, una volta. » gli ricordai, rifiutandomi categoricamente di sentirmi in colpa per avergli restituito il favore « E sono rimasta in infermeria per una settimana. »

Ok, forse non era proprio una settimana, ma poco via. Diciamo cinque o sei giorni. Forse quattro... d'accordo, tre. Ma, beh, il concetto era lo stesso. 

Scorpius inarcò un sopracciglio, in un'espressione che, senza la smorfia di dolore che la deturpava, sarebbe risultata di sarcasmo allo stato puro. « Al secondo anno? E te ne ricordi adesso? »

Incrociai le braccia attorno al petto, con aria di sfida. « Sì, e allora? »

Scorpius aprì la bocca per protestare – o, presumibilmente, per mandarmi a quel paese – ma le sue parole furono troncate sul nascere dal sopraggiungere di un'infermiera. Lasciai che fosse Hugo a spiegare, per l'ennesima volta, la versione ufficiale dei fatti e nel mentre mi assicurai che Scorpius non spiattellasse quella ufficiosa. Quando la donna si voltò verso papà e gli chiese « Lei è il padre? » vidi i suoi capelli rossi rizzarsi sulla nuca e le sue labbra storcersi in una smorfia disgustata. 

« No, no, Merlino, no. » rispose, come se fosse appena stato accusato di aver compiuto un rito satanico « Sono qui solo in veste di... ehm... » esitò, scrutando Scorpius alla ricerca di un motivo onorevole per cui avrebbe potuto accompagnare il figlio di Draco Malfoy all'ospedale. Alla fine, non trovandone nessuno, risolse di sbottare. « Miseriaccia, ma i Medimaghi arrivano? »

L'infermiera si concesse appena il tempo di lanciargli un'occhiata dubbiosa, poi prese il comando della carrozzella e la spinse in un corridoio laterale, facendoci cenno di seguirla. Papà per un attimo sembrò valutare seriamente la possibilità di darsi alla fuga ed abbandonare Scorpius al suo destino, ora che lo aveva smaterializzato al San Mungo e si era sottratto ad ogni possibile accusa di mancato soccorso, ma alla fine la seguì, riluttante. In teoria, visto che eravamo entrambi minorenni, in quella settimana io avrei dovuto andare a stare da papà e Scorpius da i suoi nonni. Se fosse venuto fuori che Scorpius era rimasto a casa da solo poi si sarebbe saputo che io avevo fatto lo stesso, perciò papà era più o meno costretto a coprire le spalle a Malfoy Senior, per quanto la cosa lo disgustasse palesemente. Mentre camminava, con la cravatta annodata al contrario ed i polpacci ricoperti di peluria rossiccia che spuntavano dai calzoncini del pigiama, lo sentii borbottare un paio di oscenità irripetibili. 

Quando fu certo che nessuno ci stesse guardando, Hugo mi sfiorò la mano con la sua e poi m'infilò in tasca la boccetta di filtro d'amore. 

« Pronta per l'operazione LSD? » sussurrò. 

Annuii, mentre l'adrenalina cominciava a scorrermi nelle vene e spazzava via tutti i sensi di colpa e le incertezze. Nella mia mente, al posto di Scorpius piegato in due dal mal di pancia e dello sguardo accusatorio di Calvin, comparve un'immagine di noi quattro: io, Hugo, mamma e papà. Come ai vecchi tempi. 

Feci scivolare la mano in tasca e la serrai sulla boccetta. « Pronta. »

 

***

 

Fu molto più facile del previsto. 

Quando mamma e Draco arrivarono al San Mungo, i Medimaghi si stavano ancora dando da fare per trovare un rimedio al mal di pancia di Scorpius. Io e Hugo avevamo aggiunto molta più acqua del previsto alla pozione, in modo da rendere i suoi effetti più deboli, ma anche da renderla più difficile da individuare. Al sarebbe stato fiero di noi. Se solo non avessimo usato la nostra abilità di pozionisti per separare la coppietta dell'anno ed avvelenare il suo migliore amico, certo.

Fui molto colpita dalla reazione di Draco: appena messo piede nella stanza si fiondò al capezzale do Scorpius, bombardando i Medimaghi di domande isteriche. Per un attimo i miei sensi di colpa si alleviarono: quando Draco posò la mano sulla spalla di Scorpius e mandò a quel paese un infermiere che gli aveva suggerito di non saltare addosso a suo figlio in quelle condizioni, vidi il volto di Scorpius aprirsi in un mezzo sorriso. Erano secoli che suo padre non gli dedicava così tante attenzioni: forse, in fondo, qualcosa di buono lo avevo anche fatto. Mia madre, ovviamente, non la pensava allo stesso modo: appena accertato che Scorpius non sarebbe morto nei prossimi cinque minuti, afferrò me e Hugo per la collottola e ci trascinò in corridoio, urlando a papà di seguirci. Lui sobbalzò, spaventato dall'imminente ramanzina quanto e forse più di me e Hugo messi assieme. 

« No, davvero, io non c'entro... » balbettò. 

« Tu c'entri eccome! » sbraitò mamma, strattonando la mia maglietta come se la colpa fosse stata tutta del povero indumento « Sono o non sono i tuoi figli?! »

Papà chinò il capo e la seguì mestamente in corridoio, borbottando frasi sconnesse sul fatto che in un modo o nell'altro ci finiva sempre di mezzo lui e, miseriaccia, ma guarda un po' se gli toccava farsi cazziare in questo modo anche dopo il divorzio. Mamma ci spinse in un angolo, rischiando di travolgere un'infermiera che stava percorrendo il corridoio con una tazza di pozione in mano. 

« Allora. » iniziò, senza nemmeno fermarsi a chiedere scusa all'infermiera « Cosa.Cavolo.È.Successo? »

Finalmente si accorse che mi stava strozzando e lasciò andare la mia maglia. Boccheggiai, grata di poter finalmente riempire i polmoni d'aria. Hugo mi lanciò un breve sguardo d'intesa, poi si fece avanti e disse. « Mamma, papà, lasciate stare Rose. Lei non c'entra: è stata colpa mia. Pensavo di fare lo spiritoso e invece... »

Mentre mamma e papà cominciavano a litigare sulle reciproche responsabilità nella cattiva educazione di Hugo, occasionalmente rivolgendosi a Hugo per dirgli che era un idiota (questo solo mamma), sgattaiolai via. Al primo distributore di bevande presi due tazze di tè e ci versai dentro un paio di gocce di filtro d'amore, poi feci dietrofront e tornai da mamma, papà e Hugo. Mamma stava ancora sbraitando, sotto gli sguardi infastiditi dei Medimaghi e degli infermieri, che presumibilmente avrebbero gradito un po' più di silenzio, sia per loro che per i pazienti. 

« Mamma, » intervenni, porgendole una tazza « calmati per favore. È vietato fare rumore nei corridoi. I pazienti hanno bisogno di silenzio. »

L'unica cosa che ottenni fu uno sguardo truce. « Non pensare di essertela cavata così facilmente, tu. » sibilò « So benissimo che ci sei dentro come uno Snaso nel fango. »

Ma poi si guardò attorno con aria colpevole, terrorizzata dalla prospettiva di venir ripresa da un infermiere, e svuotò la pazza di tè in pochi sorsi. Porsi l'altra tazza a papà. 

« Pensavo che magari ne volevi un po' anche tu. » spiegai « Non ti abbiamo nemmeno lasciato il tempo di fare colazione, stamattina. »

Papà annuì e mugolò una specie di ringraziamento. Era mortalmente pallido e la sua espressione diceva chiaramente che avremmo dovuto impegnarci molto di più per risarcirlo dei danni psicologici causatigli da nostra madre, ma bevve anche lui. 

Ci vollero un paio di secondi prima che il filtro facesse effetto. Poi, di colpo, entrambi cominciarono a sbattere le ciglia con aria confusa, guardandosi come se fosse la prima volta che si vedevano nella loro vita. Io e Hugo ci scambiammo un sorriso trionfante e andammo ad appostarci dietro l'angolo, da dove avremmo comodamente potuto spiarli senza invadere la neonata intimità che si era instaurata tra di loro. 

Devo dire che Draco ebbe davvero un tempismo perfetto: aprì la porta della stanza di Scorpius proprio mentre le labbra di mamma e Ron si toccavano. 

« I Medimaghi hanno detto che... » iniziò, ma trovandosi davanti alla sua fidanzata che baciava il suo ex marito non poté far altro che ammutolire. Mamma e papà non si accorsero nemmeno della sua presenza o forse, semplicemente, erano troppo presi dalla loro “attività” per curarsi di un ex Mangiamorte biondo che li fissava dal vano della porta con l'aria di voler svenire. 

In favore di Draco, bisogna dire che non tentò di schiantarli, ma si limitò ad annuire con l'aria sconfitta di chi riconosce di star combattendo una battaglia persa dall'inizio. La sua espressione, prima che si chiudesse la porta alle spalle, esprimeva un dolore così grande che per un attimo mi chiesi se non avesse ingerito anche lui un po' della pozione della diarrea. 

Fu il primo passo. 

 

***

 

Mi sedetti sul bordo del materasso, nella piccola mansarda in cui avevo dormito per gli ultimi due mesi. Fuori aveva cominciato a piovere ed il vento spazzava la brughiera, piegando e poi risollevando i lunghi steli d'erba giallastra ed i cespugli incolti che costeggiavano il recinto del giardino. Faceva freddo. Mi sfregai le mani sulle braccia, trovandole ruvide per la pelle d'oca. 

Mamma e papà erano andati assieme da qualche parte, probabilmente a Diagon Alley. Io e Hugo li avevamo lasciati soli: ci sarebbe stato tempo per stare di nuovo tutti e quattro assieme. O forse, semplicemente, vederli che si tenevano per mano e si baciavano era così strano che avevamo preferito lasciare che lo facessero per conto loro. Eravamo tornati al piano terra dell'ospedale ed avevamo chiesto di poter usare la Metropolvere per tornare a casa. Hugo mi aveva chiesto se mi andava di fare un giro per la Londra babbana assieme a lui, ma avevo scosso la testa e mi ero giustificata dicendo che dovevo studiare Trasfigurazione per l'esame. Forse avrei dovuto farlo davvero. 

Mi alzai dal letto, rabbrividendo, e andai a prendere una felpa dall'armadio. Me la infilai dalla testa, senza aprire la zip, e tornai a sedermi sul letto. Pensavo che, una volta portato a termine il piano, sarei stata felice. Pensavo che sarei stata risucchiata in una di quelle vecchie foto in famiglia in bianco e nero, in cui io e Hugo ci rincorrevamo per il soggiorno e mamma e papà ridevano, seduti uno accanto all'altra sul divano. Pensavo che... 

No, in realtà non sapevo nemmeno più cosa avevo pensato. Sapevo solo che ero nella mansarda di una casa deserta, che fuori pioveva a catinelle e dentro di me anche. Continuavo a rivedere mamma e papà che si baciavano e poi Draco che apriva la porta e la sua espressione quando li vedeva e il dolore nei suoi occhi grigi... 

Ficcai le mani in tasca, cercando in vano di scaldarmi un po'. Sotto la mia mano destra sentii il crepitare di una pergamena che si spiegazzava. La estrassi e me la aprii sulle ginocchia: era la lettera di mia madre, quella che avevo trovato sul divano la mattina che lei e Draco erano partiti. 

 

14 agosto 2024

 

Cara Rose,

non so bene da dove cominciare questa lettera. Forse da quando mi hai fatta diventare mamma, da quando ti ho tenuta tra le braccia per la prima volta, al San Mungo. Sapevo che non sarebbe stato un compito facile, quello di fare la madre, eppure ti ho accolta con tutto l'amore che avevo da donare.

Ma sarebbe una storia lunga, se partissi da quando sei nata, e so che la tua pazienza non è altrettanto duratura. Probabilmente, conoscendoti, stai già meditando di stracciare questa lettera, sempre che tu non lo abbia già fatto. Cercherò di essere breve, nella speranza che tu la legga fino all'ultima riga. 

Sono tua madre, Rose, e come tale non posso non amarti con tutta me stessa. E questo mi ha procurato tante gioie quanti sono stati i dolori derivati dai tuoi fallimenti nella vita e, soprattutto, dai miei fallimenti come madre. In ogni tuo errore vedo un mio fallimento: il fallimento della famiglia perfetta che avevo sognato, il fallimento dei miei progetti per un futuro in cui i miei figli non avrebbero dovuto affrontare le stesse difficoltà che ho affrontato io da giovane. Ogni volta che ti vedo cadere e provo a rialzarti e tu mi mandi via, mi si apre una ferita nel petto. E penso: è colpa mia. È colpa mia, che non le sono stata abbastanza vicina quando aveva bisogno di me. O che le sono stata troppo vicina e l'ho soffocata con le mie attenzioni ossessive. È colpa mia che voglio dalla sua vita quello che lei non vuole, che voglio il meglio per lei e senza rendermene conto faccio il peggio. 

Abbiamo litigato tante volte, Rose, ed altrettante volte ti ho detto delle cose orribili, che non pensavo. Spero tu sappia che non pensavo nessuna delle brutte cose che ti ho detto negli ultimi anni. Vorrei anche che sapessi che, nonostante io sia una persona adulta ed abbia molti anni più di te, non so sempre cosa fare e come affrontare le situazioni. Anzi, non lo so quasi mai. A volte ho addirittura l'impressione di aver sbagliato tutto con te, fin dall'inizio. A volte, quando cerco di starti vicino e vengo respinta dal muro che ti sei costruita attorno, vorrei piangere e gridare e scuoterti forte per costringerti a lasciarmi entrare. Vedo che, pian piano, anche solo per poco, lasci entrare tutti dentro al tuo muro: tutti trovano uno spiraglio per insinuarsi al suo interno. Tutti. Ho guardato Scorpius diventare pian piano tuo amico, poi un tuo confidente, forse quasi un fratello. O qualcosa di diverso. Ho visto le tue barriere abbassarsi, il tuo orgoglio cedere ed i tuoi pregiudizi svanire. Lo hai fatto entrare. E hai fatto entrare anche Draco: gli hai aperto appena uno spiraglio, grande appena quanto serviva per vedere cosa c'era dentro il muro. Ma ti sei aperta anche a lui. E a me no. A me no. 

Ci sono giorni in cui ti vedo confabulare con Scorpius in giardino, in cui ti vedo rispondere ai commenti sarcastici di Draco nel vostro strano gioco di insulti e sorrisi nascosti, e poi, quando cerco di avvicinarmi e parlarti, di colpo ti ricordi che devi studiare o che devi farti la doccia e scappi via come si fuggirebbe il Demonio. In quei giorni mi sembra che tu mi odii davvero e mi montano dentro una rabbia ed una disperazione tali che devo per forza evitarti, fingere che tu non esista, per sfuggire al dolore che mi dilania da dentro. Sono davvero stata così cattiva con te? Ho davvero fallito fino a questo punto?

Me lo chiedo, Rose, me lo chiedo ogni giorno. E non so darmi una risposta. 

Poi, a volte, la risposta arriva e mi colpisce in pieno petto. Ho fallito in tutto, Rose, in tutta la mia vita. Non solo con te. Ho fallito con la nostra famiglia, ho fallito con Hugo, ho fallito con Ron. E non voglio fallire anche con Draco. Io lo amo. 

Penso che tu sia abbastanza grande per capire queste parole, ormai. Spero che tu sia abbastanza saggia e matura da accettarle. Ho voluto credere che tu lo potessi fare. Pensane quello che vuoi, ma davanti ai miei occhi tu sei sempre stata una ragazza intelligente e capace di comprendere le cose. Forse non intelligente nel modo che avrei voluto, forse non una studentessa modello. Ma questo non può impedirmi di nutrire una grandissima stima ed una fiducia ancora maggiore nei tuoi confronti. E so che sono entrambe ben riposte.

Ti scrivo questa lettera e nel farlo ti confesso tutte le mie paure più profonde, Rose. Abbine cura, sono cose che per me hanno una grande importanza. Ti confesso i miei fallimenti e le mie insicurezze, alcuni dei quali non ho mai avuto il coraggio – o l'umiltà – di confessare a nessun altro. 

Ho paura anche per Draco, Rose. Ho paura che sparisca, che da un giorno all'altro torni il Draco Malfoy che a Hogwarts mi insultava e mi disprezzava. Ho paura che l'uomo che ho conosciuto con tanta fatica e al prezzo di tante sofferenze se ne vada e mi spezzi il cuore. 

Lui mi capisce, Rose. Sa cosa voglia dire aver fallito con la propria vita, con la propria famiglia, con i propri figli. Ha fatto errori molto peggiori dei miei; errori che lo hanno marchiato a fuoco per sempre. Eppure ha avuto il coraggio e la forza di risollevarsi e riscattarsi, proprio quando tutto sembrava perduto. Ha avuto il coraggio di presentarsi un giorno al corso Auror e chiedere di essere accettato. Ha avuto il coraggio di prendere in mano vent'anni della sua vita e gettarli via. Ha avuto il coraggio di perdere tutto, per poter ricominciare. 

Non giudicarlo, Rose. Il suo passato è difficile e pieno di ombre; non ne parla facilmente e so di non poterti chiedere di capirlo, quando lui è il primo a nascondersi come un animale ferito e fare di tutto per non essere capito in quella che è la sua essenza più intima e sincera. Non pretendo nemmeno che tu gli voglia bene. Ma ti chiedo, almeno, di non odiarlo. Ti chiedo di dargli una possibilità. Gliela stavi dando, fino a qualche giorno fa, e per quei pochi giorni mi hai – mi avete –  resa la donna più felice del mondo. Poi è arrivato il fidanzamento e tutto quello che si era faticosamente costruito in questi mesi è saltato nuovamente in aria. 

Un altro fallimento, l'ennesimo. Ed ora sto per partire per il mio viaggio di nozze e non ti ho nemmeno salutata. Dovrei essere fuori di me dalla gioia ed invece non faccio che pensare a te e a come non mi vuoi parlare. Mi stai chiedendo di scegliere tra te e Draco, è questo quello che vuoi?

Cerco di non pensarci, perché sarebbe il fallimento peggiore della mia vita. 

 

Ti voglio bene.

Molto più di quanto immagini.

Molto più di quanto si possa esprimere a parole.

 

Mamma

 

Una porta, al piano di sotto, sbatté con forza. 

Piegai la lettera e la infilai nuovamente nella tasca della felpa. Avevo la testa completamente vuota, incapace di formulare dei pensieri su quello che avevo appena letto. E probabilmente era meglio così. Molto meglio. 

Mi alzai e scesi al piano di sotto. Scorpius stava aprendo la porta di camera sua in quel momento. 

« Scorpius. » lo chiamai. 

Non sapevo cosa volevo da lui. Forse volevo solo che mi consolasse, che facesse qualcosa per riempire la voragine che avevo dentro, prima che la riempissero i sensi di colpa e le parole di mia madre. 

Ho visto le tue barriere abbassarsi, il tuo orgoglio cedere ed i tuoi pregiudizi svanire. Lo hai fatto entrare. E hai fatto entrare anche Draco: gli hai aperto appena uno spiraglio, grande appena quanto serviva per vedere cosa c'era dentro il muro. Ma ti sei aperta anche a lui. E a me no.

Tirai su con il naso. Scorpius mi lanciò un'occhiata indecifrabile. 

« Che vuoi? » chiese, con voce brusca. 

Scossi la testa. Aveva ragione: cosa volevo ancora da lui? 

« Non lo so... » balbettai « Mi dispiace... »

Scorpius rise. Non lo avevo mai sentito ridere così: una risata fredda, ironica, tagliente. La risata di chi vuole fare male. 

« Ti dispiace di avermi avvelenato? » chiese, con quell'odioso sorriso cattivo ancora stampato sulle labbra « Carino che tu scelga di dispiacerti per questo, con tutte le cose di cui potresti dispiacerti. »

Entrò in camera sua e si tirò la porta alle spalle, ma scattai dietro di lui e gli impedii di chiuderla.

« Scorpius... » ripetei, e suonò tanto come una supplica. 

Non sapevo cosa dire per far sparire quell'espressione dura dal suo volto. Probabilmente non c'era niente che potessi dire. Eppure ero dentro la sua stanza, ostinata, senza scuse e senza parole per chiedergliene. Me ne stavo là, nonostante lui volesse chiaramente sbattermi fuori, semplicemente rifiutandomi, con la mia stessa presenza fisica, di accettarlo. 

Scorpius scosse la testa. « No, Scorpius un cazzo. » disse. 

La sua voce era perfettamente calma. Perfettamente fredda. Perfettamente Serpeverde. Perfettamente dolorosa. 

Afferrai il suo braccio e lo strinsi forte, strattonandolo: non poteva dire quelle cose. Non poteva. Doveva capire.... capire cosa? Non lo capivo nemmeno io. Ma era proprio per questo che avevo bisogno che almeno lui capisse. 

« Non voglio aver rovinato tutto... » sussurrai « Non voglio che vada così... »

Nella mia testa, la parola vada fu sostituita da una ben peggiore: finisca. Non  poteva finire così. Non potevamo tornare ad essere due estranei. Scorpius non poteva tornare a odiarmi, perché io non sarei mai più riuscita a odiarlo. 

Scorpius si liberò dalla mia presa con uno strattone così forte che mi fece quasi perdere l'equilibrio. Così forte che, mi resi conto, era abbastanza più grosso e più forte di me da potersi benissimo difendere da tutte le mie mosse di Karate, se solo avesse voluto farlo. Quel pensiero mi serrò lo stomaco in una morsa dolorosa. 

« Sai, certe volte le cose non basta volerle. » disse Scorpius « Certe volte vuoi una cosa per cinque anni e poi quando la ottieni ti rendi conto che è tutto il contrario di quello che avresti voluto. » 

Il suo sguardo era carico di disprezzo, ma nella sua cattiveria era più sincero di quanto non fosse mai stato. Il suo viso era aperto ora: non temeva di dire la verità. Non la temeva: voleva dirla. 

E non c'erano dubbi, non c'era modo di fraintendere: ero io la cosa che aveva voluto per cinque anni. Ero io la cosa che lo aveva profondamente deluso. 

« Certe volte » continuò Scorpius, senza la minima pietà « certe volte ti fai un'idea delle cose ed ami quell'idea e fai di tutto per non abbandonarla. Chiudi un occhio, li chiudi anche tutti e due per non vedere la verità. Per non vedere che la tua idea non esiste, per non vedere che quello che hai tanto amato è solo un parto della tua mente. E poi, quando finalmente hai quello che volevi, sei costretto a rendertene conto. E fa male. Ti fa piangere da quanto fa male. »

E intanto i suoi occhi parlavano per lui e dicevano che lo avevo fatto stare male, che lo avevo fatto soffrire molto più di quanto avrei potuto anche solo immaginare. 

Scorpius fece un passo indietro e poi scrollò le spalle, come a dire che comunque ormai se n'era fatto una ragione. « Ma alla fine le persone mature lo accettano e vanno avanti. È l'unica cosa da fare: lasciar perdere. »

Ed era fin troppo ovvio quello che stava dicendo. Stava dicendo tutte le cose che non ci eravamo detti in quei mesi, tutte in quelle poche parole cattive: stava dicendo che lo sapeva, che mi piaceva, e che gli ero piaciuta anch'io. Che gli ero piaciuta tanto, per tanto tempo. E stava anche dicendo che era finita, finita definitivamente. Che non era un litigio come gli altri, quello. 

Stava dicendo che avemmo potuto fare pace, diventare amici, tutto quello che volevo. Ma che tutto il resto era finito per sempre. E lo avevo distrutto io. 

Le lacrime cominciarono a scorrermi sul viso, ma Scorpius ancora non ne aveva avuto abbastanza. E la sua voce mi riempì le orecchie di nuovo, aprendomi una nuova ferita nel petto. 

« Ma tu proprio non te ne rendi conto, vero? Continui a comportarti come una bambina, ad agire prima e pensare poi. Pensi che si possa aggiustare tutto, che tutti debbano capirti e perdonarti quando ti penti dei tuoi errori. Ma non è così, Rose. Ci sono cose che non si aggiustano. »

Ed era chiaro, una vota di più, fin troppo. Era chiaro che io non ero quello che Scorpius aveva pensato che fossi almeno quanto lui non era quello per cui io l'avevo scambiato. Scorpius non era il secchioncello sfigato incapace di far male ad una mosca. Scorpius poteva fare male e poteva farne tanto, molto più di quello che potevo fargliene io, se si arrabbiava. Scorpius poteva prendersi il mio cuore e calpestarlo e disintegrarlo sotto i suoi piedi. Poteva fare tutto quello che gli avevo fatto io in quei mesi, e poteva farlo molto meglio. Io avevo solo giocato con lui, avevo giocato ad arrabbiarmi e tenergli il muso, ad ingelosirmi e a farmi desiderare. Quello che non sapevo era che anche lui stava giocando: stava giocando a lasciarmi fare, a lasciarmi pensare che lui era troppo buono per reagire, che era troppo buono per non perdonarmi sempre, che potevo fare quello che volevo di lui. 

Scorpius mi aprì la porta, facendomi un cenno molto eloquente. « Grazie, comunque. Mi hai insegnato un sacco di cose interessanti. »

Uscii, senza dire niente, e lui mi chiuse la porta alle spalle. Mi accasciai là, nel corridoio davanti alla sua porta, in preda ai singhiozzi. Non mi curai nemmeno di piangere in silenzio: che mi sentisse pure. Che mi sentisse chi voleva. Non me ne importava più niente. 

Scorpius era un Serpeverde. E i serpenti non si lasciano ferire senza contrattaccare. Aspettano solo il momento giusto per dare il colpo letale. 

Come avevo fatto a capire così poco di lui in tutto quel tempo?

 

***

 

Era mattina inoltrata. Forse era già ora di pranzo, non lo sapevo. Draco era stato fuori tutta la notte: era tornato solo quella mattina presto, barcollando. Lo avevo sentito inciampare sui gradini della veranda e bestemmiare. Non si era più rialzato, tranne un paio di volte per andare a vomitare nell'erba, e da quel momento avevo sentito solo i suoi singhiozzi. La mia notte non era stata molto migliore. Solo, non avevo vomitato: quella sensazione orribile di nausea mi era rimasta incastrata nelle viscere e non ero più riuscita a liberarmi di lei. 

Mamma non era tornata a casa e senza di lei nessuno si era preoccupato di alzarsi e preparare la colazione. Ora anche Draco taceva: era seduto sui gradini della veranda e guardava fisso davanti a sé. Non sembrava che stesse piangendo. L'unico rumore era stato il suono del pianoforte per una ventina di minuti, di mattina presto, poco dopo l'alba. Avevo pensato che due mesi prima mi sarei fiondata di sotto e avrei minacciato Scorpius di morte per un tale affronto. Lui mi avrebbe mandata a quel paese, cogliendo magari l'occasione per precisare che quello che stava suonando era Bach e non Beethoven, e poi ci saremmo guardati in cagnesco per tutta la mattina, fingendo di non essere attratti l'uno dall'altra. Dopo quel pensiero avevo ricominciato a piangere. 

Calvin non aveva avuto il cuore di trattarmi male: si era limitato a battermi delle gentili pacche sulla spalla finché non avevo finito le lacrime. Non aveva nemmeno proposto di fare uno spogliarello. 

Mi rotolai sul materasso, chiedendomi dove fossero e cosa stessero facendo mamma e papà in quel momento. Il pensiero che almeno loro due fossero felici non mi fece sentire meglio. Anzi, l'idea di avere la mia famiglia riunita mi fece tornare la nausea. Sul comodino giaceva ancora il diario di Draco. Allungai la mano e lo presi. Lo aprii e sfogliai la pergamena ingiallita finché non ritrovai l'ultima data a cui ero arrivata: mancavano una manciata di pagine alla fine del quadernetto. Decisi che avrei finito di leggerlo. 

 

18 marzo 1997

 

Ieri ho chiesto ad Astoria Greengrass di uscire con me. 

Non so bene perché l'ho fatto: stavo andando nella Stanza delle Necessità, come al solito, e l'ho incontrata in un corridoio deserto. Se ne stava accanto ad una finestra, a guardare il parco fuori con aria imbronciata. Non triste, nemmeno arrabbiata: sembrava solo accigliata, come una bambina viziata che mette il muso per abitudine, anche se non le importa davvero di ottenere quello per cui si sta lagnando. Una bellissima bambina viziata, come una di quelle bamboline di porcellana, con il viso infantile e rotondo ed i boccoli morbidamente raccolti in una coda fermata da un nastro nero. Ero incuriosito da quegli occhi chiari, oscurati da un'ombra d'insoddisfazione, così mi sono avvicinato e le ho chiesto cosa avesse. Non mi importava davvero saperlo, come non mi importava un granché del suo sguardo serio o della sua boccuccia serrata. Credo che più che altro stessi cercando una scusa per non andare nella Stanza delle Necessità. 

Astoria sulle prime è sembrata stupita dall'attenzione che le stavo dedicando, ma poi ha scrollato le spalle e ha risposto. « Corin Leighton, di Corvonero, mi ha detto che ho le gambe storte. »

A me non sembrava che avesse le gambe storte. Gliel'ho detto e lei ha sorriso, poi ha alzato le spalle di nuovo. « Non importa. Margaret Dawson dice che è solo geloso perché ho passato il pomeriggio al Lago Nero con il suo migliore amico. E Margaret la sa sempre lunga, con la sua mania di ficcare il naso negli affari altrui... in effetti ogni tanto è piuttosto seccante... l'altro giorno l'ho beccata a ficcanasare nel mio baule e me la sono presa parecchio...  »

E poi non so cosa mi è preso, ma sentirla blaterare dei suoi futili problemi da adolescente, con quel tono vagamente distaccato, come se in fondo anche lei li trovasse stupidi, mi ha fatto venir voglia di... di normalità, credo. 

Lei mi sembrava così normale, una qualunque ragazzina purosangue, troppo egocentrica per rendersi conto che al mondo esistono problemi più grandi di quello che dice Corin Leighton delle sue gambe, troppo viziata per non pensare che, comunque, qualcun altro penserà a risolverli. E per un attimo ci ho quasi creduto anch'io, che il più grande problema del mondo fosse quello che diceva Corin Leighton delle sue gambe. 

Allora gliel'ho chiesto, senza neanche pensarci. Le ho chiesto se le andava di venire a Hogsmeade con me, questo sabato.

Non so perché l'ho fatto. Forse ho solo un disperato bisogno di normalità. 

 

4 aprile 1997

 

Oggi sono stato a Hogsmeade con Astoria. È la seconda volta che ci andiamo, solo che questa sera eravamo in incognito.

Astoria era eccitata come una bambina alla vigilia di Natale... Merlino, Astoria è una bambina. Abbiamo comprato un sacchetto di dolci da Mielandia e poi siamo andati a mangiarli in una radura deserta, vicino alla Stamberga Strillante. Anche qui, ovviamente, Astoria è partita: si è messa a raccontarmi tutte le storie allucinanti che circolano su quella vecchia catapecchia, succhiando la sua piuma di zucchero tra le labbra a cuore, a volte rabbrividendo un po', non so se per il freddo o per i fantasmi di cui parlava. 

È bella, Astoria. Di una bellezza pura, infantile. A volte mi sorprendo a pensare che abbia solo due anni e mezzo meno di me: sembrano molti di più. Alla sua età Daphne era quasi più alta di me, come se i centimetri che rubava alla gonna dell'uniforme si aggiungessero alla sua statura, e aveva parecchia mercanzia da sollevare con il push-up. Astoria, invece, supera a stento il metro e sessanta e sembra non rendersi conto del suo esser donna. Forse perché una donna, in fondo, non lo è ancora.

Non so quanto tempo siamo stati in quella radura. Lei a parlare ed io a guardare la neve, con la sua voce infantile, ma non fastidiosa, che faceva da sottofondo ai miei pensieri. E di pensieri non ne avevo poi molti: Margaret Dawson che l'aveva fatta arrabbiare ed ora pareva che avessero litigato e che Astoria non avesse la minima intenzione di scusarsi per prima; il tizio di Corvonero, che aveva trovato qualcosa da ridire anche sul suo naso; l'amico, che aveva detto o fatto qualcos'altro, anche se forse ero troppo distratto per capire cosa. 

Non so come, non so perché, e a dirla tutta nemmeno me ne frega, ma quando sono con lei mi sembra che la Stanza delle Necessità sia solo un miraggio, solo un sogno che appare come uno sgabuzzino, la notte, mentre scappi da Gazza, e poi non esiste più. Mi sembra che il Marchio Nero, sulla pelle del mio avambraccio sinistro, bruci di meno. Mi sembra che il Signore Oscuro sia solo un'ombra, nascosta da qualche parte, troppo lontana e troppo impegnata a tramare oscuri piani di vendetta per curarsi delle persone normali. E io mi sento avvolto dalla normalità che si sprigiona dall'esile figura di questa ragazzina, come se anche io di colpo facessi parte del suo mondo perfettamente normale, quello in cui i Serpeverde devono preoccuparsi solo di farla in barba ai Grifondoro, in una guerra che nasce e si estingue negli insulti che volano nei corridoi, talvolta accompagnati da qualche scintilla. 

Astoria non ha paura di Lui, forse non ha nemmeno realizzato che esiste davvero. Lo considera come una malattia rara, una di quelle che colpiscono una persona su centomila e lei, da ragazzina fortunata quale è sempre stata, ritiene a buon diritto di essere una delle novantanovemilanovecentonovantanove che della malattia conosceranno solo il nome... forse nemmeno quello. 

Forse io sono malato, forse dovrei starle lontano, prima di contagiarla.

Astoria parla, ride, s'imbroncia e raramente tace, con quel suo strano modo di raccontare le cose come se l'annoiassero a morte, offendendosi però se gli altri non la prendono sul serio. 

E mi sono chiesto se ha mai baciato qualcuno, questa sera, mentre la stringevo a me in un angolo buio del castello, respirando piano per non farmi sentire da Mr Purr.

Mi sono chiesto se l'avessi baciata io, cosa sarebbe successo. 

 

17 aprile 1997

 

Mi viene da ridere. Immagino che in questo momento anche Astoria sia in camera sua, nel dormitorio del terzo anno di Corvonero, a scrivere sul diario che ci siamo baciati. Starà scrivendo le solite osservazioni su come si sente felice – spero – su come bacio bene – ritengo – e altre cose di questo genere, riempiendo il margine di cuoricini. 

Io i cuoricini eviterei di metterli, giusto perché ho ancora una parvenza di dignità e virilità da difendere, eppure sono anche io qui a scrivere di come avevo le farfalle nello stomaco, di come le sue mani piccole e delicate sul mio collo mi hanno fatto venire i brividi, di come le sue labbra erano morbide e di come i suoi capelli profumavano di fiori e spensieratezza. Merlino, ho voglia di ridere, giuro. Di ridere e sporcarmi la camicia nuova rotolando nell'erba del parco. 

Devo essere impazzito, ma me ne frego altamente. Come sono giorni che me ne frego dei commenti di Theo e Blaise, che dicono che sono cotto e sghignazzano e mi tirano gomitate ogni volta che vedono Astoria in giro per i corridoi. 

 

19 aprile 1997

 

Mi sento un po' idiota. Stamattina ho incrociato Potter nel corridoio e l'ho pure salutato. Lui ovviamente mi ha guardato come a dire “guarda che non ci casco nei tuoi giochetti, Malfoy” e mi ha mandato a cagare. Non gli ho nemmeno lanciato dietro uno Schiantesimo. 

 

27 aprile 1997

 

Ieri è stata una delle prime giornate tiepide dell'anno. Astoria ha insistito per trascinarmi a prendere il sole – per quanto poco ce ne fosse – in riva al Lago Nero. Dice che sono pallido come un fantasma e che dovrei uscire un po' di più. Io annuisco sempre e le rispondo che ho molto da studiare. Una volta ha insistito e mi ha chiesto più nel dettaglio cosa faccio in tutti quei pomeriggi che passo rintanato chissà dove: è stata l'unica volta che ho alzato la voce con lei, e da allora non mi ha più fatto domande. 

Gran parte del pomeriggio, oggi, è passata come al solito, con lei che parlava senza sosta dei suoi problemi da ragazzina ordinaria ed io che la ascoltavo – o fingevo di farlo, mentre il suono della sua voce argentina mi cullava. Poi, però, ha cambiato argomento di colpo. Ha detto che ha visto Corin Leighton baciare una ragazza di Tassorosso. 

« Una ragazza di Tassorosso brutta. » ci ha tenuto a precisare « E un anno più piccola di me. »

« E allora? » le ho chiesto « Ti ha dato fastidio? »

A me non ne dava: non pretendo di essere per lei quello che è per me. Anche perché, poi, cos'è lei per me? 

Astoria ha detto che no, non le dava fastidio, e ha messo il broncio. Non molto credibile. 

Stava facendo buio, così l'ho riaccompagnata alla Torre di Corvonero. Quando siamo arrivati davanti all'ingresso del Dormitorio, Astoria mi ha chiesto se mi andava di andarla a trovare in camera sua, dopo cena. 

« Margaret e le mie amiche saranno a un pigiama party nel dormitorio delle ragazze del quarto anno. » Mi ha detto. Immagino che Margaret e le sue amiche le avessero anche spiegato che biancheria indossare e come fare un pompino. 

Le ho risposto che dovevo studiare. 

Lei ci è rimasta un po' male, ma ha fatto cenno di sì con la testa ed è sparita dietro la porta. 

Stamattina, Theo mi ha chiesto perché non me la sono scopata. Ho scrollato le spalle e non gli ho risposto: non sapevo neanche cosa dire. Non mi andava di scoparmi una tredicenne. O forse non mi andava di scoparmi Astoria e basta. 

 

3 maggio 1997 

 

Il Marchio brucia. Stanotte non sono riuscito a chiudere occhio. 

Mi sono alzato presto, prima delle quattro, e sono andato nella Stanza delle Necessità. Ho saltato tutte le lezioni della mattina, per lavorare. Credo che manchi poco. 

Zia Bella dice che mi saranno tributati grandi onori se riuscirò a portare a termine la missione; è molto fiera di me. Io non credo di esserlo tanto. 

Non voglio essere questo. Non ho mai chiesto di esserlo. 

Facile per Potter guardarmi con disprezzo ed andarsene in giro a farsi osannare dai “buoni”. Ma se fosse nato lui al mio posto ed io al suo, crede che sarebbe stato diverso da quello che sono io adesso? Crede che avrebbe potuto opporsi al suo destino?

Nessuno può opporsi al suo destino. Siamo tutti segnati dalla nascita: i fortunati da una cicatrice, gli altri da un teschio sul braccio. 

 

7 maggio 1997 

 

Ho piantato Astoria. Non che fossimo mai stati assieme ma... beh, comunque le ho detto che è infantile. Se l'è presa molto, ovviamente: è parecchio permalosa. 

Mi ha detto che sono uno stronzo. Non avevo nessuna obiezione in merito. 

Theo e Blaise, quando l'hanno saputo, erano parecchio stupiti. Ho spiegato loro che non volevo tirarla in mezzo a qualsiasi cosa succederà dopo. In realtà non ho mai davvero pensato al dopo: nemmeno so se ci arriverò, al dopo. Blaise e Theo però si sono convinti: era una risposta ragionevole, la mia. 

Ma la verità è semplicemente che mi ero stufato di lei. Mi ero stufato di far finta che la mia vita fosse normale, di fingere e di prendermi per il culo da solo. Il tempo che ho passato con Astoria non è mai appartenuto davvero alla mia vita: era il tempo di un altro Draco, in una vita parallela. Un tempo che potrei pagare per avere, forse, ma che semplicemente non mi appartiene. 

Non si può cambiare il proprio destino. 

 

3 giugno 1997

 

Ho pensato, se devo andarmene all'Inferno, almeno voglio farlo con stile. Se devo crepare, voglio crepare da uomo. Se devo essere il cattivo, allora voglio essere il cattivo affascinante e trasgressivo. 

Non possiamo scegliere quale e quando sarà la nostra fine, ma possiamo pur sempre scegliere come andarle incontro. E se devo, voglio andarle incontro da dio. 

Se questa doveva essere la mia ultima notte, volevo passarla sveglio. Non hai tempo per dormire, quando sai che presto potresti faro per sempre. 

Così sono andato in camera di Pansy. C'era anche una sua amica bionda, del quinto anno. 

Volevo passarla in paradiso, questa mia ultima notte prima della grande prova. 

Come l'addio di un eroe, no? 

No, forse non sono un eroe. Sono solo un Mangiamorte. 

Neanche: sono una pedina. 

Ma non mi interessa il realismo, in questo momento. Lasciami illudere. 

Forse ce la faccio, forse lo ammazzo. 

 

29 luglio 1997

 

È curioso come nella vita le cose riescano ad andare secondo i piani e, allo stesso tempo, prendere strade totalmente imprevedibili. È curioso come mi guardi allo specchio e non riconosca gli occhi che restituiscono il mio sguardo. È curioso che io non li voglia riconoscere.

Silente è morto. L'assassinio del Ministro della Magia è stato pianificato nei minimi dettagli. Piton è stato designato come nuovo preside di Hogwarts. I Mangiamorte sono tornati al potere.

Se c'è un momento per essere orgoglioso di quello che sono – quello che mi hanno costretto ad essere – e di quello che ho fatto – quello che mi hanno costretto a fare – allora il momento è questo. Ed è proprio questo che mi fa riflettere. È proprio il fatto che io, orgoglioso, non lo sono nemmeno un po'. 

Non mi sono sporcato le mani con il sangue di Silente. Ma la verità è che le mani si puliscono, la coscienza no. La verità è che qua non si tratta più di uccidere i Babbani e far salire al potere i Purosangue. La verità è che questa è una guerra civile, di maghi contro altri maghi. La verità è che sono tutti dei fottuti assassini.

E io sono solo un fottuto codardo. Perché se avessi un minimo di coraggio me ne sarei già andato da tempo. Sarei già passato dall'altra parte. 

L'ho sognato... quante notti? Inforco la mia scopa e volo via, lontano. Volo da Potter – questo lo faccio solo di notte, quando il mio orgoglio dorme – volo da Potter e lui cerca di ammazzarmi e io lo schianto. Weasley urla, la Granger piange. E io punto la bacchetta contro di loro e dico tutto, tutto, tutto quello che so. Tutti i piani dei Mangiamorte, tutti i loro segreti, tutti i loro punti deboli. Poi me ne vado. 

No, in certi sogni resto. Mi chiedono di restare. Si fidano. E io resto. 

Sono i sogni più umilianti, quelli che mi fanno svegliare e correre in bagno a lavarmi il viso e schiaffeggiarmi le guance con forza. Quelli che mi fanno piangere e mordere le labbra dall'umiliazione. Quelli che rimpiango di più quando mi sveglio, perché da sveglio non posso permettermi di sognarli. Solo di notte posso perdonarmelo, perché i sogni non hanno senso.

Solo di notte Voldemort muore e sulla Gazzetta del Profeta, accanto al volto di Potter e dei suoi amici, compare il mio. E per una volta la gente mi acclama come un eroe. E per una volta non guardo Potter da un angolo buio, nutrendomi della mia stessa invidia. Per una volta sono sotto la luce del sole come lui. Per una volta sono uno dei buoni anche io. 

Solo di notte. 

Poi fa giorno e so che non lo farò mai. Fa giorno e odio Potter ancora di più, perché è sempre lui l'eroe e io non lo sarò mai. Fa giorno e odio me stesso, perché il Marchio brucia ed io obbedisco agli ordini. Mi dico: è per la mia famiglia. 

No, è perché non ho il coraggio. 

 

E quello fu il secondo passo. 

 

***

 

L'orologio del soggiorno segnava le quattro del pomeriggio. Draco era ancora seduto nella veranda, immobile come una statua di cera. Quando mi sedetti accanto a lui l'odore acre di Whisky e vestiti indossati per troppo tempo mi riempì le narici. 

Draco mosse la testa di qualche millimetro e mi lanciò uno sguardo vacuo. Non c'era più alcuna traccia di superbia nel suo volto. Non disse niente ed io feci lo stesso: mi limitai a posargli in grembo il suo diario. Draco abbassò lo sguardo sul quadernetto nero e sfogliò le prime pagine: in condizioni un po' meno catastrofiche mi avrebbe sicuramente impalata sull'antenna della tv per aver osato leggere il suo diario, ma quella mattina si limitò a scrollare le spalle e continuò a non dire niente. 

Restammo seduti fianco a fianco per una manciata di minuti. Poi glielo chiesi. 

« Come hai sposato Astoria? »

Draco alzò lentamente lo sguardo su di me: i suoi occhi grigi erano ancora annebbiati dal dolore, ma capii subito che quel dolore non era per Astoria. Non più. Non in quel momento. 

Ma alla fine le persone mature lo accettano e vanno avanti. È l'unica cosa da fare: lasciar perdere.

Per un attimo pensai che Draco non avrebbe risposto, che non avesse la forza di aprire la bocca e parlare, ma poi le parole iniziarono ad uscire dalle sue labbra una dopo l'altra, appena sussurrate.

« Avevo ventuno anni. Avevo finito la scuola da due anni, ma non avevo ancora trovato un lavoro. Certo, avrei potuto impegnarmi un po' di più ed accettare un impiego umile, ma non è il genere di cosa che un Malfoy farebbe. E per quanto riguarda il lavoro importante che mio padre voleva per me... beh, dopo la guerra non ero esattamente in cima alla lista per ottenere un posto del genere. Il risarcimento che avevamo dovuto pagare per i danni di guerra aveva impoverito sostanzialmente il patrimonio di famiglia, così mio padre decise di organizzarmi un matrimonio vantaggioso. I Greengrass non avevano origini nobili quanto le nostre, ma negli anni avevano accumulato un patrimonio enorme, perciò le nostre famiglie si accordarono e un giorno mio padre entrò in camera mia e mi disse che avrei sposato Astoria. Si era appena diplomata, all'epoca. Non protestai: per essere un matrimonio combinato mi era andata molto meglio di quanto avrei potuto ragionevolmente sperare. Solo che Astoria non mi aveva mai perdonato per come l'avevo piantata a scuola. Ero stato stronzo, le avevo lasciato intendere che avevo solo giocato con lei. E Astoria era una delle persone più orgogliose e permalose che mi sia mai capitato di conoscere. » un sorriso malinconico gli increspò le labbra « La prima volta che ci incontrammo da soli, dopo il fidanzamento, cercai di essere gentile con lei. Non la vedevo da secoli e non mi importava se anche non ci saremmo amati. Non mi importava più di un sacco di cose, in quel periodo. Ma volevo almeno che avessimo un buon rapporto: non volevo che il mio matrimonio finisse come quello dei miei genitori, con mio padre che dava gli ordini e mia madre che obbediva e lo odiava in silenzio. Ma Astoria mi odiava. E non era più la tredicenne viziata ed egocentrica che avevo conosciuto a scuola: era una donna, ormai, e le sue parole non erano quelle di una ragazzina offesa. Per quello che era successo tra noi anni prima, mi trovava sinceramente antipatico. Ma mi odiava perché era stata costretta a sposarmi, mentre sua sorella Daphne avrebbe avuto un matrimonio d'amore con Blaise. Quando le proposi di uscire e cominciare a conoscerci un po', prima del matrimonio, mi disse che aveva un uomo e che non l'avrebbe lasciato per me. Mi avrebbe sposato perché era costretta a farlo, avrebbe dormito nel mio stesso letto perché doveva, ma non mi avrebbe mai amato. E non sarebbe mai stata mia. A dispetto di tutto, non mi offesi più di tanto. Al contrario, la ammirai molto: avendo passato tutta la vita ad obbedire passivamente a mio padre, trovai in quella diplomata ribelle tutto quello che io non ero mai riuscito ad essere. Passò il tempo, ed io e Astoria non ci vedemmo più se non nelle occasioni formali in cui le nostre famiglie richiedevano che fossimo presenti. Incontrai anche il suo uomo, in un paio di occasioni: era un bel ragazzo moro, ex Corvonero, ex giocatore di Quidditch. Faceva solo il quarto anno all'epoca della Battaglia di Hogwarts, ma era rimasto a scuola a combattere. All'inizio non me ne importava. Così come non mi importava che Potter fosse diventato Auror in un tempo record e che tutto il Mondo Magico lo osannasse. Mi scivolava tutto addosso, nulla riusciva più a ferirmi. Ci avevo messo anni per imparare, ma ormai nulla poteva scalfire la mia apatia. Poi, però, Astoria cominciò a far breccia nel mio muro: era bella, intelligente, ribelle e coraggiosa. Anche dolce, sospettavo, nonostante la sua dolcezza non fosse mai riservata a me. E cominciai a detestare il suo amante. Inizialmente provai un senso d'inferiorità e pensai che un ex Mangiamorte, che si era macchiato sia di tradimento che di codardia, non avrebbe mai potuto competere con lui. Poi scoprii che aveva passato i MAGO con i voti migliori del suo anno e di colpo i voti del tutto normali del mio diploma mi fecero vergognare. Lui aveva proseguito i suoi studi a Londra e mentre studiava Magisprudenza lavorava in un pub. Non onorevole, ma rispettabile. Io invece non facevo niente: non lavoravo, non studiavo, non uscivo. Passavo le mie giornate chiuso nella mia stanza, disteso sul mio letto a guardare il soffitto. Una volta sentii Astoria parlare di me con delle sue amiche: dissero delle cose orribili. Una di loro disse che a scuola ero tanto carino, com'era possibile che mi fossi ridotto in quello stato? Barba non fatta, occhiaie, magro da far paura. Dissero che sembravo un vecchio. Un'altra disse che non avevo una donna da cinque anni e, ridacchiando, aggiunse che probabilmente Astoria non sarebbe nemmeno stata costretta a fare sesso con me. Mi scivolò tutto addosso. Tutto, tranne quello che disse Astoria. Perché a lei non importava che mi fossi ridotto ad uno straccio. Non le importava che mi interessasse o non mi interessasse di avere un figlio. Che volessi o non volessi consumare il nostro matrimonio. Ricordo le sue parole come se fosse qui a sussurrarmele all'orecchio, ancora oggi. “Non era così, quando uscivo con lui, a scuola. Era silenzioso, cupo, chiuso ne suo mondo, ma non era rassegnato. Ora, invece, è come un morto. Non voglio sposare una persona del genere: non fa niente, dalla mattina alla sera. Non combatte, non gliene importa nulla. La gente parla di lui, dice cosa infamanti, e a lui non importa. Gli ho detto che ho un amante, speravo che si arrabbiasse, che reagisse in qualche modo, ma niente. Non gli importava. E io non voglio sposare un uomo del genere. Un uomo che non combatte, che se ne sta chiuso in una stanza ed aspetta e si fa comandare come un burattino da suo padre.” Fu in quel momento che decisi, credo. Decisi che sarei cambiato. » Draco scosse la testa e si passò una mano sul viso, come se le sue dita stessero sfiorando le tracce di un antico dolore « Mi ferì così tanto... Il giorno dopo mi presentai a casa sua ed annullai il matrimonio. Credevo che così l'avrei fatta felice, invece Astoria mi chiese perché lo stavo facendo, mi chiese se me ne fregava così poco di lei da volerla anche piantare in asso, mettendola in ridicolo davanti a tutta la società. Mi chiese se mio padre aveva cambiato idea e di colpo aveva deciso che lei non era abbastanza per me. Ed io le risposi che non avevo ancora detto a mio padre che avrei annullato il matrimonio e le dissi che mi dispiaceva metterla in ridicolo, ma non volevo sposare una persona che evidentemente non provava per me quello che io provavo per lei. Le dissi che speravo che fosse felice con il suo Corvonero e che quello era tutto ciò che era in mio potere di fare per renderla felice. Poi me ne andai. Quella sera parlai con mio padre – litigai, a dire il vero – e me ne andai anche da lì. Le nostre fortune non erano del tutto dissestate, così affittai un appartamento a Diagon Alley. Due settimane dopo andai al Ministero della Magia e feci domanda per iscrivermi al corso di formazione per Auror. »

« E la accettarono? » chiesi.

Draco scosse la testa. « Naturalmente no. Non si fidavano di me. All'inizio pensai di lasciar perdere, che evidentemente non era destino che io prendessi in mano la mia vita e riparassi ai miei errori. Ma poi decisi che non potevo arrendermi così in fretta, come avevo sempre fatto. Decisi che avrei trovato un altro lavoro e che avrei continuato a vivere nell'appartamento di Diagon Alley. Un paio di giorni dopo qualcuno venne a trovarmi: era Astoria. Mi disse che aveva lasciato il suo Corvonero. Annuii e le risposi “Mi fa piacere. Mi stava sulle palle.” Astoria sorrise e disse. “Speravo che lo dicessi.” Poi disse che aveva saputo che avevo chiesto di entrare nel corso per Auror e che mi avevano rifiutato. Disse che secondo lei avrei dovuto riprovare e che prima o poi li avrei convinti della mia buona fede. Poi aggiunse. “Dovresti anche farti la barba e andare un po' in palestra. Oh, e farti una doccia, decisamente.” Rise, e scoppiai a ridere anch'io. Erano anni che non ridevo in quel modo. »

Draco tacque e seppi che la storia finiva lì. Fu probabilmente quello, il terzo passo. 

E mi chiesi come potesse una persona soffrire come aveva sofferto lui e ancora sopportare un nuovo dolore e sopravvivere. Mi chiesi come dovesse essere stato orrendo per lui perdere Astoria ed ora anche mia madre. Per colpa mia. 

Mi accorsi che stavo piangendo di nuovo solo quando la mano di Draco di posò sulla mia spalla. 

« È una storia tanto deprimente? » chiese. 

Le sue labbra erano stese in un sorriso forzato, il sorriso della persona più triste del mondo che cerca invano di consolare il suo contendente al titolo. Scossi la testa, ma non riuscii a scacciare le parole di Scorpius, che mi rimbombavano impietose tra le orecchie. 

Ma tu proprio non te ne rendi conto, vero? Continui a comportarti come una bambina, ad agire prima e pensare poi. Pensi che si possa aggiustare tutto, che tutti debbano capirti e perdonarti quando ti penti dei tuoi errori. Ma non è così, Rose. Ci sono cose che non si aggiustano.

Già, c'erano cose che non si potevano aggiustare. Io e Scorpius, per esempio. Quel noi vacillante che era caduto in pezzi ancora prima di diventare realtà. Ma in quel momento realizzai che Scorpius non intendeva solo quello, con le sue parole: c'erano altre cose che non si potevano aggiustare. Le famiglie, per esempio. Astoria e Draco, perché nulla gli avrebbe più restituito la sua Astoria. E poi la mia famiglia. Io e Hugo potevamo tramare quanto volevamo, somministrare filtri d'amore ai nostri genitori e farli baciare davanti a Draco Malfoy, ma la nostra famiglia non sarebbe mai stata riparata. Non si poteva. Era semplicemente troppo tardi, ammesso che fosse mai esistito un tempo in cui non lo era. 

Lui mi capisce, Rose. Sa cosa voglia dire aver fallito con la propria vita, con la propria famiglia, con i propri figli. Ha fatto errori molto peggiori dei miei; errori che lo hanno marchiato a fuoco per sempre. Eppure ha avuto il coraggio e la forza di risollevarsi e riscattarsi, proprio quando tutto sembrava perduto. Ha avuto il coraggio di presentarsi un giorno al corso Auror e chiedere di essere accettato. Ha avuto il coraggio di prendere in mano vent'anni della sua vita e gettarli via. Ha avuto il coraggio di perdere tutto, per poter ricominciare.

Guardai il volto di Draco attraverso lo strato di lacrime che mi offuscava la vista. Avrei voluto chiedergli come si faceva a cancellare tutto e cambiare. A dimenticare una vita e fabbricarsene una nuova. A rimediare ai propri errori. Avrei voluto chiederglielo, perché io non sapevo come fare. 

Calvin mi lanciò uno sguardo molto intenso. Mi accorsi con un brivido che i suoi occhi erano diventati grigi, i suoi capelli quasi albini ed il suo mento più lungo ed affilato. “Sì che lo sai.” disse, con una voce strascicata. Ed aveva ragione: lo sapevo. 

Mi asciugai le lacrime e cominciai a parlare, senza fretta: non avevo paura di cambiare idea e fermarmi prima di aver detto tutto. Non questa volta. 

« Mamma non amava papà. » dissi, e quelle parole mi dilaniarono il petto con la forza di un'ammissione che avrei dovuto fare a me stessa molto tempo prima « Non lo amava e basta. Non lo so da quando non lo amava più, ma non ho un solo ricordo in cui loro due assieme sembrassero una coppia davvero innamorata. Stavano assieme per noi, credo. Per me e Hugo, perché eravamo troppo piccoli. Quando si sono lasciati, mamma ha pianto per mesi. Ma non perché lo amava. Ha pianto perché aveva fallito. E lei odia fallire. È Hermione Granger. »

Parlavo e dicevo cose che non avevo mai capito prima, eppure mentre pronunciavo quelle parole mi rendevo conto di aver sempre saputo che era così, da qualche parte nei meandri del mio subconscio. Le lacrime mi solcavano le guance e scivolavano sul collo e sotto la felpa, il cuore mi faceva male ad ogni battito, come se qualcuno avesse davvero lacerato la sua carne con un coltello. Faceva male ammetterlo, dopo tutti quei mesi. Dopo tutti quegli anni. 

Scossi la testa. « Era solo un filtro d'amore. Poi l'effetto finirà e lei tornerà da te. Perché ama te, non lui. »

L'ultima frase fu soffocata da un singhiozzo e poi non fui più in grado di parlare. Nascosi il viso nelle braccia e piansi più forte, tremando tutta, perché ora anche Draco mi avrebbe odiata e sarei rimasta sola su quella veranda. Sola con i miei sensi di colpa e con tutte quelle verità dolorose che non ero mai riuscita ad ammettere a me stessa. 

Ma Draco non se ne andò. Di colpo le sue braccia si serrarono attorno al mio corpo e mi strinse forte, tanto forte che quasi mi incrinò un paio di costole. Lo strinsi anch'io e pregai che quell'abbraccio durasse per sempre, perché ne avevo bisogno. Sì, avevo bisogno delle braccia di Draco Malfoy che mi stringessero e mi consolassero, perché gli volevo bene. 

Gli volevo bene. 

Non mi stupii nemmeno per quella nuova verità che fino a quel momento mi ero così energicamente ostinata a negare. Ne avevo ammesse tante, di verità orrende, in quelle poche ore. Messa a confronto con le altre, questa era quasi una verità accettabile. 

Affondai le dita nella stoffa della sua camicia, aggrappandomi al suo corpo. Volevo che restasse lì con me, che non se ne andasse più. Ma poi, con un tuffo al cuore, realizzai che non poteva restare. Che io non potevo lasciarlo restare. 

Strinsi le dita sulla sua camicia in un ultimo spasmo, poi la lasciai andare e mi allontanai da lui. 

« Devi andare da Scorpius. » dissi. « Ha bisogno di te. »

E Draco annuì e se ne andò in fretta. Forse sapeva che se non si fosse sbrigato la mia determinazione avrebbe ceduto e gli avrei chiesto di restare con me ancora un po'. 

Appoggiai la schiena al muro e ricominciai a piangere. 

Poi fa giorno e so che non lo farò mai. Fa giorno e odio Potter ancora di più, perché è sempre lui l'eroe e io non lo sarò mai. Fa giorno e odio me stesso, perché il Marchio brucia ed io obbedisco agli ordini. Mi dico: è per la mia famiglia. No, è perché non ho il coraggio.

Faceva male, faceva dannatamente male, quel coraggio Grifondoro che avrei dovuto trovare tanto tempo prima. 

Avevo perso la mia famiglia e avevo perso Scorpius. Per sempre.

Mi dissi che non importava. Avevo fatto la cosa giusta. 

   
 
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