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Autore: avalon9    29/12/2006    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 21

CAPITOLO 21

CONVALESCENZA

 

 

Whiteout.

Le riflessioni, forti e diffuse, della luce del sole s’intrufolavano sulla neve fresca appena posata. Nella nebbia leggera tutti i contorni e le ombre si perdevano. Luce. Luce. Solo quello. Bianca. Accecante. Luce nuova, completamente sconosciuta.

 

Alessandra fissò lo sguardo azzurro su quello spettacolo che toglieva il fiato. Lo vedeva ogni mattina. Quando apriva gli occhi. E sempre era capace di emozionarla. Di rapirla in un’estasi pura e sovrumana. La bocca della caverna sembrava aprirsi sul nulla. Un vuoto rilassante e invitante.

 

Aveva il suo colore. Il colore dei suoi capelli. Lunare. Era capace di stordirla come solo lui era riuscito a fare. Capace di affascinare, di far arrabbiare, di sedurre. Era un fenomeno tipico delle regioni artiche. Delle terre delle nevi eterne. Una meraviglia del ghiaccio. E lui…Lui non era forse di ghiaccio? Non lo aveva visto forse impassibile e freddo?

 

Sì. Aveva un carattere forte e determinato. L’aveva assorbita, e in un certo modo la dominava, anche. All’inizio, era stato la controparte forte del suo carattere debole, ferito. L’aveva aiutata a rimettersi in piedi. Senza neanche rendersene conto. Le aveva lanciato una sfida che lei inconsciamente aveva accettato.

 

E il risultato, era quel sentimento che Alessandra non riusciva più a ignorare. Non voleva neanche farlo, ormai. Aveva faticato, ad accettarlo. A sentire di nuovo il cuore sussultare e battere senza venir travolta dal rimorso. Rimorso di essere viva. Di respirare. Di amare. Alla fine, però, aveva dovuto capitolare. Anche se ancora non sapeva se lo avrebbe cullato dentro di sé come una gemma preziosa, o lo avrebbe vissuto alla luce del sole.

 

In quei giorni, aveva scordato di essere una ningen. Aveva scordato di avere una casa, in un altro mondo. Aveva scordato se stessa. E soprattutto, aveva dimenticato chi era lui. Niente sangue, niente morte, né titoli o differenze. Lo aveva visto solo come un ragazzo. Il ragazzo cui avrebbe voluto stare al fianco.

 

Lo aveva amato.

 

In quei giorni, lo aveva amato continuamente. In silenzio. Con lo sguardo. Gli era stata accanto per aiutarlo a ritrovare un po’ dell’equilibrio che la cecità gli aveva strappato. Per cercare di rivedere sul suo viso perfetto la sicurezza quasi strafottente della prima volta. Amava quella sicurezza. La presunzione che gli veniva dalla sua età ancora giovane.

 

Distolse lo sguardo dall’apertura della caverna e si girò, appoggiandosi al suo petto. Aveva dormito con lui. Stretta a lui. Come ormai capitava spasso. Un’abitudine che non aveva significato, o il cui vero valore nessuno dei due voleva saperlo. Un’abitudine, iniziata per caso.

 

Una sera…Lo aveva visto più cupo del solito, con gli occhi vuoti fissi sul nulla, concentrati a mettere a fuoco solo il buio che vedevano. Le faceva male vederlo così, vedere la sua sofferenza e non sapere come alleviarla. Sapere che non c’era rimedio.

 

Aveva rovistato nello zaino e aveva iniziato a leggere un passo da un libro che aveva sempre con sé. Un regalo di suo fratello. Una raccolta di poesie greche. Non aveva neanche scelto il componimento. Aveva semplicemente aperto il libro e letto a voce alta le prime parole che era riuscita a distinguere.

 

 

Simile agli dei mi sembra

colui che ti siede accanto

e ascolta te

che parli con dolcezza

e desiderabilmente sorridi…

 

 

Saffo. Aveva letto Saffo. Un canto di gelosia. Non molto lungo, anche incompleto, ma bellissimo. Un’analisi approfondita della sua stessa situazione psichica. Perché lei si sentiva ancora bloccata. Avrebbe voluto potergli stare accanto come in quei giorni, ma sapeva benissimo che una vola tornato in forze lui si sarebbe diretto al suo palazzo e lì lei avrebbe avuto solo il ruolo dell’amante. E questo non riusciva ad accettarlo. Non sopportava il pensiero che se fosse rimasta con lui, un giorno, lo avrebbe dovuto dividere con un’altra donna. Con la legittima sposa. Che lo avrebbe perso.

 

Sesshomaru l’aveva ascoltata impassibile recitare quei versi. Aveva sentito la sua voce incrinarsi nel tentativo di trattenere le lacrime. L’aveva sentita avvicinarsi e sedersi accanto a lui. Stava cercando di distrarlo. Di fargli ignorare la cecità che gli impediva di leggere le sue emozioni.

 

Non aveva mai sentito una poesia simile. Le uniche che ricordava erano degli haiku. Componimenti brevi, anche se non meno intrisi di saggezza e sentimento. Ma erano parole lontane nella memoria. Pronunciate da una donna di cui non ricordava neanche il volto, se non vagamente. Sua madre.

 

Dopo che si era fermata, lui le aveva passato il braccio attorno alla vita e l’aveva fatta stendere accanto a sé. L’aveva sentita abbandonarsi tranquilla contro il suo petto e si era lasciato inebriare dal suo odore. La voleva. La voleva lì accanto a sé. Perché era la fonte di qualcosa di nuovo che aveva sentito nascere in lui lentamente.

 

Un desiderio strano, diverso da quello per il potere, che non si esauriva nella semplice volontà di averla. Anzi, quel pensiero lo disgustava. Perché, anche se non lo ammetteva ancora, non voleva il corpo di Alessandra, ma la sua anima. Il suo cuore.

 

“Continua…”

 

Ordini. Ordini. Possibile che sapesse solo dare ordini? Anche in quel momento, mentre l’aveva stretta a sé, il suo tono non era cambiato. Solo più basso. Ma sempre imperioso. E seducente. Dannatamente seducente. Come la mano che le aveva accarezzato la testa, che si era intrecciata ai suoi capelli ramati, per scendere ogni tanto a sfiorarle la gola, la nuca, le guance, le labbra.

 

L’aveva ascoltata, mentre cercava con il tatto di richiamare il suo volto. Di delinearlo chiaro nella sua mente. Un viso arrossato per il caldo del vapore, bagnato di lacrime, baciato dalla luna. Con le labbra rosse e carnose. Invitanti. Con due labbra dal sapore ancora sconosciuto.

 

Aveva provato un impulso irrefrenabile. La voleva. A ogni costo. Anche se era umana. Anche se avrebbe potuto compromettere la sua reputazione. La sua stirpe pura. In quell’istante, non gli importava nulla di tutto quello che gli era stato insegnato. Solo voci lontane e sfumate. La voleva.

 

Si era voltato verso di lei. Deciso. Questa volta, lo avrebbe fatto. Nulla avrebbe potuto interromperlo. La voleva baciare e l’avrebbe baciata. Si era piegato su di lei, un po’ stupito di non avvertire alcuna reazione. Alcun fremito. Nessun movimento. Nel silenzio, aveva percepito solo un respiro calmo e regolare. Si era addormentata.

 

Stupendo. Ancora più facile. Gli sarebbe stato estremamente semplice avere quel bacio che sentiva reclamare da ogni parte del suo essere. Gli avrebbe impedito di sottrarsi e l’avrebbe avuto. Si era piegato ancora, ormai poteva sentire il respiro della ragazza su di sé, sul suo viso.

 

Un istante e…

 

Si era ritratto. Impaurito. Non era accaduto nulla, ma lui aveva avvertito un fremito che lo aveva fatto allontanare. Dubbio. Di essere respinto. Di nuovo. Di essere rifiutato. Quel bacio avrebbe anche potuto rubarglielo, ma forse avrebbe perso lei. Non aveva voluto rischiare. L’aveva attirata di più a sé, facendole poggiare la testa alla stola, e l’aveva coperta. Il suo corpo contro il suo. Il suo viso sul suo petto.

 

Da quella sera, Alessandra dormiva fra le braccia del demone, dopo avergli letto qualche altra poesia o avergli descritto quello che vedeva oltre l’apertura della grotta.

Sesshomaru non aveva più provato a baciarla. Non che non lo desiderasse, ma farlo nel sonno per lui sarebbe equivalso a violarla contro sua volontà. No. Quel bacio glielo voleva dare alla luce del sole, con la ragazza che si avvicinava a lui.

 

Un’abitudine…bellissima…

 

Alessandra fissò Sesshomaru senza imbarazzo. Certo, il primo giorno, svegliasi accanto a lui l’aveva letteralmente scioccata. Aveva dormito con un uomo. Un uomo con cui non aveva alcun legame di sangue. Non era certo come dormire con suo fratello per placare gli incubi notturni. Dormire con un uomo…con un ragazzo…Con lui…Quello per cui nutriva qualcosa di forte…Ma poi, con i giorni, le era venuto naturale. Si sentiva protetta fra quelle braccia, vicina a quel corpo saldo e muscoloso. Sentiva il suo calore, il profumo della sua pelle, l’odore di muschio dei suoi abiti.

 

L’youkai percepì che si era svegliata e che lo stava fissando. Abbassò gli occhi vuoti e rispose al suo saluto con una carezza gentile. Presto, l’incanto si sarebbe rotto. Lui avrebbe dovuto tornare al suo palazzo e lei…cosa avrebbe fatto lei?

 

Tre settimane prima gli aveva dato una risposta. Ora, il bel demone si chiedeva se quella risposta fosse mutata. Intimamente, ci sperava benché fosse pienamente cosciente del fatto che a palazzo lei sarebbe stata trattata da tutti come un’amante. Rispettata, d’accordo. Ma sempre un’amante. Umana per di più. Lo stesso errore. Quell’errore che lui aveva giurato di non commettere.

 

Cosa sei per me?...

 

Non voleva darsi risposta, benché la sapesse bene. Continuava a tormentarsi con le domande, nella folle illusione di imbattersi in una risposta diversa da quella che il suo animo gridava. Perché la voleva. Per sé. Per sempre. Voleva stare con lei. Per scoprire se quello che provava era amore, desiderio o qualcos’altro. Per scoprire se stesso.

 

“Verrai con me a palazzo”

 

Questa volta non le avrebbe lasciato scegliere. Aveva deciso lui. E se si fosse rifiutata, l’avrebbe costretta con la forza. Per impedirle di andarsene. Non gli importava come sarebbe potuta essere accolta a palazzo. All’inizio l’avrebbe guardata con sufficienza, ma poi avrebbero dovuto farsene tutti una ragione. Come avevano fatto con Rin.

 

In fondo, portarla a palazzo non significava nulla. Non era l’ammissione di un qualche sentimento per lei.

 

La sentì scostarsi dal suo tocco. Arrabbiata. Imbronciata. Possibile che Sesshomaru sapesse solo dare ordini? Alessandra proprio non sopportava quel tono. Lei non era un oggetto. Le sembrava di averglielo già spiegato. Ma forse era così sicuro di sé da tralasciare volutamente il fatto che lei non era ai suoi comandi.

 

“E se non volessi?”

 

Come avrebbe reagito? Sesshomaru non si aspettava di certo una risposta simile. Probabilmente, credeva ormai che fosse ai suoi piedi. Ed era vero, accidenti a lei. Ma aveva ancora un orgoglio. E questo le impediva di acconsentire a chi la trattava come se lei non avesse un proprio cervello pensante.

 

“Saprò obbligarti”

 

Alessandra si voltò a guardarlo con gli occhi blu sbarrati. Sorpresa. Sconcerto. Una risposta seria. Pronunciata con voce piatta e incolore. Obbligarla? In che senso, obbligarla? Come? Si allontanò di alcuni passi, gattonando.

 

Sesshomaru percepì il corpo di Alessandra allontanarsi da lui, come se ne avesse ricevuto una scossa. Reazione calcolata. Sapeva di essere stato troppo diretto. Troppo brusco. Ma non era riuscito a trovare null’altro da rispondere. Perché se davvero lei non lo avesse voluto, il bel demone sapeva di non aver forza per trattenerla. Allora, aveva preferito giocare d’astuzia, e cercare di spaventarla.

 

“Cosa vorresti farmi?”

 

Voce strascicata. E ferma al tempo stesso. Non ne aveva paura. Neanche in quel momento, con nella mente lo spauracchio di una forza che le si sarebbe potuta scagliare contro. Sesshomaru sospirò mentalmente. Niente sembrava riuscire a piegarla. Niente. Nessuna minaccia. Quella ragazza era ribelle nella sua volontà di non essere domata. Una ribellione dolce e delicata, ma anche estremamente determinata.

 

“Nulla…”. Con lei, non riusciva a mentire. Nessuna strategia di persuasione aveva presa su di lei. “Vorrei solo che tu venissi con me”

 

Alessandra si rilassò. Non era stato un ordine, anche se gli era uscito dalle labbra con quel tono. Voleva essere una domanda. Una richiesta. Non voleva nulla da lei che non fosse la sua presenza. O almeno, se voleva qualcos’altro, in quel momento lo nascondeva bene. Aveva reagito così perché si era sentito scoperto. Toccato forse in qualcosa di nuovo. Aveva reagito così perché non era abituato a sentirsi rispondere a tono.

 

Lo fissò nelle iridi vuote. Vi lesse una tristezza antica che probabilmente neanche lo youkai sapeva di mostrare a volte. Un dolore che aveva sempre celato dentro di sé. Come un disonore.

 

Sesshomaru sentì il respiro della ragazza sul collo. Caldo e inebriante. Sensuale. Aveva caldo e il cuore accelerò i suoi battiti, quando sentì la risposta che gli fu data. In un respiro.

 

“Se me lo chiedi i questo modo…allora verrò”

 

 

 

 

Due settimane.

C’erano volute due settimane perché Sesshomaru si riprendesse completamente, se non nello spirito almeno nel corpo. Giorni che erano nati pigri, all’ombra di notti passate tra l’insonnia e lo scoramento e che morivano stancamente.

 

Sesshomaru aveva reagito bene alle cure di Alessandra, ma per il suo animo ferito e offeso non esistevano rimedi se non il tempo. Non era mai uscito dalla caverna. Alessandra non glielo aveva impedito; anzi, a volte, aveva cercato di convincerlo, ma lui aveva sempre rifiutato. Sedeva sul futon, vicino al fuoco, e fissava il buio davanti ai suoi occhi, mentre riverberi rossi si liquefacevano nelle sue iridi vuote.

 

Alessandra lo aveva guardato rinvigorirsi nel corpo e spegnersi lentamente. Aveva percepito il suo disorientamento, ma non glielo aveva fatto pesare. Con lui, si era comportata normalmente. Gli aveva parlato di sé, del suo mondo, di cose futili o importanti. Alla sera, gli aveva letto poesie e narrato storie antiche, prima di addormentarsi fra le sue braccia. Aveva cercato di distrarlo, ma si era accorta della quasi costante assenza spirituale dell’youkai.

 

Quando poi le giornate si erano ulteriormente accorciate e le ore di luce erano grigie e spente, come il sole che non scaldava, Sesshomaru finalmente aveva deciso che era tempo di ripartire. Le sue ferite erano scomparse, e anche il viso era tornato perfetto. L’unica traccia rimasta del combattimento erano gli occhi spenti e ciechi.

 

Una traccia pressoché invisibile, perché il bel demone aveva mantenuto immutato il suo portamento fiero ed eretto. Camminava affidandosi all’olfatto e all’udito, con gli occhi fissi davanti a sé e la ragazza al suo fianco. Alessandra aveva creduto di doverlo guidare per mano, e invece aveva scoperto con sorpresa che lui si era abituato in fretta a quella nuova situazione, ed era perfettamente in grado di destreggiarsi in ogni situazione.

 

Aveva accettato. Sarebbe andata con lui a palazzo. Senza una vera ragione; solo perché non lo voleva ancora lasciare. Non sapeva bene come l’avrebbero accolta, ma sperò che Sesshomaru le sarebbe stato accanto. Sperava di riuscire a leggere in quel cuore freddo e solitario.

 

Era riuscita ad avvicinarlo, ma ancora restava un mistero. Intoccabile. Ora era lei a voler sapere, a voler sciogliere i nastri che chiudevano il suo cuore e i suoi ricordi. Per provare a capirlo, a confortarlo come lui aveva fatto con lei.

 

Ma nonostante Alessandra dormisse sempre con lui, l’youkai sembrava mantenere fra loro una certa distanza. Anche se non fisica. Che la desiderasse, Alessandra lo aveva capito. Da come la fissava, da come seguiva i suoi movimenti e piegava la testa di lato quando lei parlava. L’aveva capito da mille piccole cose. Ma non sapeva esattamente cosa volesse di lei. Se fosse solo il suo corpo ad attrarlo. Se la volesse per poter dimenticare per un attimo il vuoto che sentiva dentro. Per affogare nel piacere dei sensi. Per ritrovarsi forte e dominatore.

 

Cosa sono per te?...

 

 

 

 

A terra.

Era sdraiato a terra, con il peso della ragazza sopra di sé. Con il suo corpo caldo e sodo che premeva sul suo, facendolo sprofondare leggermente nell’abbraccio gelido della neve.

 

Gli era venuta addosso. Non sapeva neanche perché. E lui non se ne era neanche accorto fino all’ultimo. Si era voltato per afferrarla, ma era stato investito all’improvviso dalla sua persona. L’aveva sbilanciato e si era trovato a rotolare nella neve soffice, con lei contro al suo petto.

 

E ora, si trovava in quella situazione. Poteva avvertire il corpo di Alessandra irrigidirsi al contatto con il suo; tremare impercettibilmente per l’emozione e l’imbarazzo. Sentì il suo cuore cominciare ad accelerare il suo ritmo, mentre percepiva il respiro della ragazza vicino al suo viso e i suoi capelli di rame solleticargli il collo. Dovevano essersi sciolti, mentre rotolavano. E lui avrebbe tanto voluto vederli. Perdersi nei suoi occhi.

 

Lo capì. Per la prima volta, capì cosa l’aveva sostenuto nei giorni passati, nei momenti di disperazione totale, quando, anche sforzandosi e ripetendosi che tutto sarebbe passato e che la cecità non aveva minimamente intaccato la sua potenza e forza offensiva, che nulla sarebbe cambiato per lui, sentiva che avrebbe potuto cedere. C’era ancora spazio nel suo cuore indurito per i sentimenti. Per Alessandra.

 

Aveva parlato poco con lei, aveva sempre preferito ascoltarla. L’aveva sempre fatto. Ma aveva sentito costantemente gli occhi della ragazza addosso. Inizialmente ne era rimasto turbato, perché si sentiva osservato da vicino, come se la ragazza volesse scoprire i suoi segreti più intimi e nascosti. Una vicinanza e una confidenza cui non era più abituato. Da secoli ormai. Neanche con Rin. Ma quegli occhi, penetranti e avvolgenti, non erano indagatori; lo avevano tacitamente sostenuto in quei giorni. Alessandra lo aveva amato con lo sguardo ogni giorno di più e sempre con intensità crescente. Senza mai chiedere nulla. Lo aveva capito. E lui, in cambio di occhiate tristi e vuote, aveva ricevuto sempre parole di conforto o carezze delicate.

 

Tese l’orecchio e sentì, nel silenzio riempito dal frusciare del vento, il respiro un po’ accelerato della ragazza. Avvertì una strana sensazione di piacere al pensiero di cosa lo stesse producendo. Il calore dei loro corpi, vicini come la notte, ma in modo diverso. Una smania improvvisa lo colse e volle sfiorarla, per verificare se fosse veramente lì con lui. O se la stesse immaginando. Perché c’erano momenti, come quello, in cui il non poterla vedere lo faceva impazzire.

 

Allungò una mano fino al suo viso, accarezzandolo lentamente. Avvertiva la pelle morbida sotto gli artigli, il tremore sommesso dato dal piacere e dall’imbarazzo. Lui non avrebbe mai tremato per così poco, ma quella sensazione gli piaceva molto.

 

Intensificò un po’ la pressione della mano. Ora non era più una carezza leggera, a fior di pelle, ma un contatto forte, anche se ancora delicato. Possessivo. Ardente.

 

“Vorrei poterti vedere…”

 

Alessandra non volle capire esattamente cosa significassero quelle parole. Percepì solo una punta di rimpianto in quella voce solitamente così fredda e inespressiva. Sovrappose la sua mano a quella dell’youkai e chiuse gli occhi. Stava bene con lui. Troppo bene.

 

Rimasero fermi per un momento lunghissimo. Finalmente Alessandra si mosse per alzarsi, ma Sesshomaru la trattenne, passandole la mano fra i capelli sciolti, attorno al collo, spingendola lentamente verso di lui. Verso il suo viso.

 

Alessandra non oppose resistenza, come se le sue forze se ne andassero rispondendo ad un ordine del bel demone. Si lasciò attirare dalle sue labbra sottili e rosate. In quel momento, i suoi dubbi non significavano niente, erano solo brutti ricordi. Incubi privi di valore.

 

Sentirono i propri respiri accelerare, confondersi. Alessandra chiuse gli occhi. Voleva sentire il sapore di Sesshomaru, e anche lui lo voleva. Volevano quel bacio. Entrambi.

 

“Allora è vero!”

  
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