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Autore: Moonage Daydreamer    11/06/2012    2 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Chains.



Non riuscivo a vedere niente, nemmeno le mie mani tese di fronte ai miei occhi. L'oscurità era totale intorno a me e perfino i suoni mi giungevano lontani, come se il buio li avesse inghiottiti. Riuscivo a sentire il pianto di un neonato.                                                                                                 
-Mostro!- udii dire ad una voce. Una risata riecheggiò nell'aria, una risata maligna e piena di disprezzo.                                                                                                                                                       Cominciai a percepire un dolore lancinante. Non sapevo dire da quale parte del corpo provenisse, forse ogni fibra del mio essere si stava contorcendo in preda agli spasmi.                                            
-Non ho fatto niente! - gridò una bambina. Di nuovo quella risata. Ghiacciava il sangue nelle vene.                     
Il dolore si fece più acuto, insopportabile. Urlai.                                                                                               
-Non farmi del male, ti prego.- disse un'altra voce, appartenente sempre a una bimba.                                             
Chiusi gli occhi. Non ce la facevo più. Non riuscivo a respirare: il buio mi opprimeva.                                        
-Non sai che cosa si nasconde nel buio finché qualcosa non illumina gli angoli più oscuri. Non è del buio che devi avere paura, ma della luce. E' lei a portare allo scoperto tutti gli orrori che non andrebbero rivelati. - una voce cominciò a recitare quelle parole come se fossero una litania.                                                                      
-Qualcuno mi aiuti!- gridai, ma mi accorsi che dalla mia bocca non usciva nessun suono. Riaprii gli occhi, spalancandoli nel vuoto che mi circondava. Ero terrorizzata.                                                             
-Non dire una parola, piccola mia. - disse un'ennesima voce. - Rimani qui e ricorda che è la luce a rivelare gli orrori che ci circondano quando siamo nell'ombra.- e cominciava con la litania.        
Cominciai a piangere dal terrore.                                                                                                                            
Intorno a me sentivo innumerevoli voci diverse; tutte recitavano le stesse parole, senza mai sovrapporsi l'una con l'altra, interrotte dal pianto di altrettanti bambini.                                                               Provai a muovermi, ma ero bloccata, come se quell'ombra riuscisse a tenermi bloccata. No, non era ombra, erano mani. Diverse paia di mani mi tenevano ancorata... ancorata a cosa? Non riuscivo a distinguere nulla. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Le mani mi stringevano tanto che mi bloccavano la circolazione.                                                                                                                    
-Vi prego!- gemetti.                                                                                                                                                    
-Perché piangi, tesoro?- chiese una voce - sei forse spaventata? Che cosa temi, l'ombra?- e anche quella attaccava con la stessa litania ripetuta all'infinito. Una risata maschile spezzò il susseguirsi di quella sequenza di parole.                                                                                                                                              
Mi guardai intorno, ma riuscii a distinguere soltanto due occhi del colore del ghiaccio, freddi, maligni, spietati. Sembravano essere in grado di capire le mie paure e riprodurle in quella prigione di follia.    
 -Per favore!- piansi - Chi sei? Cosa vuoi da me? Perché mi fai questo?-                                                     
Udii di nuovo la risata maligna. -Perché? Non c'è un perché. Tu sei mia.-                                                                          
Vidi una mano protendersi verso di me, mentre la voce continuava a ripetere:- Tu sei mia.-



Mi svegliai tremando. Ero stata un'ingenua a pensare che sarei riuscita a dormire tranquillamente.
Mi alzai, sebbene faticassi a reggermi in piedi e il mio sguardo si posò sull'orologio a parete. Erano le tre del mattino.
Arrancai fuori dalla mia camera e mi appoggiai al muro del corridoio per arrivare fino al bagno. Lì accesi la luce e aprii il rubinetto sopra il lavandino. Respirando affannosamente mi bagnai i polsi, per cercare di rallentare il battito cardiaco, ma poi mi vidi allo specchio.                                                  
I capelli biondi erano sudati e appiccicati al volto pallido. I miei occhi erano irriconoscibili, come appannati, ed erano circondati da segni violacei, dello stesso colore delle labbra screpolate e tremolanti. Gemetti e riuscii ad inginocchiarmi di fianco al water prima di avere un conato di vomito.                                      
"Che cazzo ti succede?" pensai; mi sentivo soffocare e non riuscivo a calmare il respiro, così mi tolsi il pigiama e lo lanciai da qualche parte.                                                                                   
Non mi era mai capitato di stare così male per un sogno. Ero spaventata da quella reazione, perché sapevo inconsciamente che non significava niente di buono.                                                               
- Anna!- gridò Elisabeth aprendo la porta del bagno. Io spostai lo sguardo su di lei, ma non capivo quello che mi diceva. La mia vista cominciò ad annebbiarsi. Vidi  vagamente che Elisabeth si precipitava al mio fianco.                                                                                                                                      
-E' tornato...- sussurrai con gli occhi sbarrati - E' tornato per farmi di nuovo del male. -                                             
Elisabeth era terrorizzata quanto me da quello che avevo appena detto:- Chi, Anna? Nessuno vuole farti del male, qui. Sei a casa. -                                                                                                           
La guardai, poi persi i sensi.                                                                                                           
Riacquistai conoscenza pochi secondi dopo.  Sbattei le palpebre cercando invano di fare chiarezza nella mia mente. Ricordavo davvero poco di quello che era successo. Vidi al mio fianco sia Elisabeth che James e li chiamai entrambi.                                                                                                         
-Oh, cara!- esclamò Elisabeth.-Stai meglio? James stava per chiamare un'ambulanza!-                                  
 -No!- risposi, forse con troppa veemenza; l' ultima cosa che mi serviva era passare la notte in un ospedale. -Sto meglio, davvero.-                                                                                                
Cercai di sfoderare il mio sorriso più rassicurante e la mia madre adottiva annuì, sebbene sia lei che il marito fossero scettici.                                                                                                               
-Devo solo riposare un po' in pace. - aggiunsi, forse più per convincere me che loro.                                                                                                            
-Ti accompagno in camera?- si offrì Elisabeth.                                                                                                    
-Non ce n'è bisogno. Mi faccio una doccia, poi torno a dormire.- risposi recuperando i due pezzi del pigiama e coprendomi con essi, poiché solo in quel momento avevo dato peso al fatto di essere in biancheria intima davanti ai miei genitori adottivi.                                                                                                              
Aspettai che fossero usciti, poi feci un bagno e il tepore dell'acqua contribuì a riscaldarmi le ossa. Mi asciugai con calma, massaggiando la pelle con un asciugamano, sebbene questa fosse tornata al suo colore naturale. Mi rimisi il pigiama e sgattaiolai fuori dal bagno. Con la coda dell'occhio scorsi la mia figura riflessa nello specchio e con grande sollievo mi accorsi che, capelli bagnati a parte, era tornato tutto alla normalità.                                                                                                                              

Tornai in camera mia senza fare rumore, anche se la porta sbatté appena quando la richiusi alle mie spalle per via della finestra ancora spalancata. Nonostante ci fossero parecchie nuvole, la luna era ben visibile e illuminava con un fascio di luce chiara buona parte della stanza. Non ero abbastanza calma per stendermi a letto.
Senza accedere la luce, presi il quadernetto che mi era stato regalato per compleanno e  mi accomodati su una sedia in modo da essere illuminata completamente dalla luna. Accavallai le gambe, cominciando a dondolarle. Dei tanti pensieri che mi turbavano la mente, non riuscivo a intrappolarne neanche uno nella carta. Continuavo a scrivere parole e a tracciarci delle righe sopra per cancellarle. Socchiusi gli occhi e provi a non pensare a niente.                                                                                                               
"Non sai mai cosa si nasconde nel buio finché qualcosa non illumina gli angoli più oscuri. Non è del buio che devi avere paura, ma della luce. E' lei a portare allo scoperto tutti gli orrori." riportai le parole del sogno, interrogandomi sul loro significato." Finché sei nell'oscurità puoi fare finta che non esista niente di oscuro, ma quando giunge la luce sei obbligato a guardare in faccia gli orrori che cercavi di ignorare." scrissi lentamente.  Mi sfiorai con la punta delle dita la piccola cicatrice bianca sopra il sopracciglio sinistro, una delle tante cicatrici che mi sfiguravano il corpo da tempo immemore.
Cominciavo a capire che, al contrario di quanto avevo pensato fino ad allora, non mi ero liberata affatto delle catene che mi tenevano imprigionata al mio passato.              
Chiusi il taccuino dentro cui avevo infilato la penna e lo lanciai dall'altra parte della stanza, imprecando.                                                                                                                             
Mi alzai e rimisi la sedia a posto, vicino alla scrivania da un lato della stanza, sbuffando.                                  
Poco dopo, però sentii crescere il senso di colpa nei confronti del mio povero quadernetto, così cominciai a cercarlo al buio, sbattendo più volte contro una delle tante cose che riempivano la mia stanza.
Non si poteva certo dire che fossi una ragazza ordinata. La mia camera era una delle più grandi della casa e quella con più finestre, per far fronte al problema della claustrofobia, tuttavia a volte era difficile persino per me muovermi lì dentro. Il letto era posto sotto la finestra più grande, esattamente di fronte alla porta, mentre vicino alla parete destra c'era la scrivania sulla quale, quando ero dell'umore adatto, facevo i compiti. Il pavimento era cosparso dei cuscini su cui mi piaceva sedermi per pensare e scrivere. Dall'altro lato rispetto alla scrivania c'erano due cavalletti con sopra appoggiate due tele, una bianca, una completa a metà;  i cavalletti erano affiancati da due tavolini con sopra appoggiati i pennelli, i colori, disegni e schizzi incompiuti che non meritavano di essere appesi alle pareti. Accanto al letto,  c'era una piccola libreria piena di libri all'inverosimile, tanto che parecchi volumi non ci stavano ed erano impilati in equilibrio precario, con il rischio che mi crollassero addosso, mentre in un angolo avevo buttato una vecchia chitarra scassata, circondata da  spartiti e testi di canzoni che mi piaceva suonare. Quello era il problema della mia stanza: ovunque erano sparsi fogli volanti con annotazioni e appunti di idee da sviluppare, pennelli e tubetti di colore, che spesso venivano pestati ed esplodevano sul parquet di legno chiaro.                                                                              
-Povero libricino dei sogni...- mormorai quando trovai il quadernetto accarezzandone la copertina in cuoio - Tu non c'entri niente con i miei sbalzi d'umore. Stai tranquillo, non ti farò mai più del male.-    
Con delicatezza lo appoggiai sulla scrivania.                                                                                                      
Mi guardai intorno, con la testa reclinata da un lato, poi mi venne l'ispirazione e prese da un lampo di follia corsi ad aprire le tende delle due finestre della stanza rimaste chiuse e spalancai la finestra. La brezza della notte fece volare in giro qualche foglio. Mi tolsi il pigiama e lo buttai sul letto; rabbrividii al primo contatto con l'aria fresca, ma poi scoppiai a ridere. Mi portai le mani alla bocca quando realizzai che Elisabeth e James stavano probabilmente cercando di dormire e rimanendo lì mezza nuda con tre finestre spalancate capii che quella risata non era stata affatto spontanea e rabbrividii, ma non per il freddo.
"Sapevi già di avere qualcosa che non andava, tesoro mio" mi dissi, ma il tono del mio pensiero era molto meno ironico di quanto avessi programmato. " Okay, bella, al lavoro!"                          
Cercai di smorzare la tensione che mi aveva colto canticchiando una delle mie canzoni senza senso e mi avvicinai al cavalletto con la tela mezza fatta. Era un'accozzaglia di colori sgargianti messi in modo da sembrare messi a caso (che ragionamenti contorti che facevo allora); nella mia immaginazione, il disegno finito  essere un'immagine psichedelica senza senso, così che l'osservatore non riuscisse a distinguere i confini delle varie pennellate e dei colori stessi. Ma era ancora a metà. Così cominciai a stappare i tubetti e a intingervi i pennelli, perdendomi nel dipingere. Ero talmente soprappensiero che non mi accorsi che piano piano i colori che stavo usando stavano diventando sempre più cupi, finché arrivai ad usare quasi esclusivamente il nero e il grigio, con i quali cominciai a macchiare i colori brillanti che avevo usato in precedenza. Quando posai il pennello guardai la tela e trattenni un grido: ciò che c'era disegnato, ciò che io  avevo disegnato era simile a un enorme mostro d'ombra che inghiottiva la bellezza e l'allegria del precedente dipinto.                                                                                                                                               
Accesi la luce e cercai disperatamente un paio di forbici spargendo ulteriore caos nella mia già disordinata camera. Quando finalmente trovai ciò che cercavo mi precipitai davanti alla tela che avevo dipinto e cominciai a tagliarla. Praticai delle incisioni sempre più profonde, finché non l'ebbi ridotta a brandelli.
Gettai le forbici a terra, poi mi rifugiai nel letto, stringendo le gambe al petto e chiudendo gli occhi.                                                                                                                                                           

C'era qualcosa che non andava in me, qualcosa di grande.


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Ciao a tutti! Sono tornata con un nuovo entusiasmante capitolo grazie al quale probabilmente finirò in un ospedale psichiatrico.
Be', come vi avevo già anticipato, la psicologia di Anna è decisamente complicata, e questo breve capitolo ne è la prova. ( Siate clementi con questo pezzo partorito dalla mia mente malata: è stato scritto tra l'una e mezza e le quattro e mezza dell'altra notte!)
Ringrazio tutti quelli che stanno leggendo la mia ff e vi assicuro che nei prossimi capitoli si parlerà un po' di più anche di John & co.


Peace n Love 





 


 
  
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