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Autore: nightswimming    11/06/2012    7 recensioni
"Rivestiti".
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: non sono miei, miseriaccia ladra. Non fanno neanche quello che ho scritto, ma oh, in compenso fanno trailer con violini e robot e chitarre dubstep – non mi posso lamentare. Non ci guadagno nulla, se non una buona dose di divertimento.
Ce l’avete presente Stregatta? Beh, è tipo una delle donne più fantastiche dell’universo che noi siamo e che si sta distruggendo da solo, e tra le altre cosucce scrive di un bene da far piangere le ginocchia. Se questa storia è venuta alla luce è solo merito suo, quindi prendetevela con lei amatela, ma tanto. <3
 
 
 
 
 
 
 
Your self-loving soothes
And softens the blows you’ve invented
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non è che Matt davvero non ci avesse mai pensato. Certo, che ci aveva pensato – solo non così tanto, non in maniera seria, non con la dovuta obiettività. Era un’eventualità che gli era passata per la testa due o tre volte, lasciando dietro di sé una scia temporanea e inconsistente come quella degli aerei nel cielo.
“Oi Dom”.
“Ehi, Tom. Chris, Matt…”
Due o tre volte al massimo, sì. Quattro con quella sera, ecco, ma di nuovo, il progressivo aumento delle sue riflessioni al riguardo non le rendeva certo più vere.
“Lui è Paul”.
O no?
“Ciao, Paul”.
“Piacere”.
“Come va?”
L’uomo alle spalle di Dom sorrise timidamente e alzò la mano in segno di saluto, annuendo imbarazzato. Matt vide il batterista guardarlo con una compostezza quasi genitoriale e sentì una fitta di fastidio dritto in mezzo al petto.
Tom e Chris sorridevano sornioni, sdraiati come odalische sui divani del tourbus. Erano le due di notte, avevano bevuto tutti quanti, l’allegria era palpabile; ma qualcosa era cambiato dall’ingresso di Dom e Paul nella stanza. Qualcosa che si metteva a cambiare con puntualità svizzera da quando Dom aveva preso l’abitudine di sparire per un paio d’ore la sera, tornarsene con un uomo (che era sempre un musicista, o un fonico, o un fotografo di una qualche rivista – qualcuno cioè che avesse legami col loro mondo) e rinchiudersi con lui nella sua stanza “a parlare di possibili collaborazioni”.
“Ci facciamo due chiacchiere. Ha delle cose interessanti di cui parlarmi, potrebbe venir fuori qualcosa di buono”.
Appunto.
Matt arricciò un labbro e osservò con crescente irritazione una mano di Dom posare una pacca leggera sulla spalla dell’uomo e poi rimanere lì, languida.
Tom ridacchiò. Paul arrossì. Chris tirò un calcio a Tom, facendo arrossire Paul ancora di più.
“Fantastico, fantastico. Se non ci si rivede buonanotte, Paul”, fece cordiale il bassista. Tom tentò di darsi un tono e lo salutò a sua volta con un movimento frivolo delle dita.
Dominic rise con la migliore delle sue risate da diva, quel genere di versetto del tipo siete-irrecuperabili-ma-vi-voglio-bene. Incrociò il suo sguardo: era fastidiosamente soddisfatto di sé, una luce brillante e maliziosa negli occhi grigi che lui conosceva benissimo – ma di nuovo, non ci voleva pensare.
“A dopo”, disse Dom, lento, continuando a guardarlo negli occhi. Matt emise un grugnito di addio e li osservò nervosamente farsi strada nel corridoio del tourbus.
Non appena si udì il clic della porta che si chiudeva Tom scoppiò a ridere come un pazzo.
Ha delle cose interessanti di cui parlarmi… Ah, Dom, sei un vero spasso”.
Chris si accodò alle risatine, seppur con la placidità che da sempre lo distingueva, e Matt prese ad agitarsi  sul divano.
“Un tempo almeno diceva chiaramente ‘me la scopo e torno’. Eh, ma invecchiando si è raffinato. Il bastardo”, e scoppiò di nuovo a ridere.
Matt aggrottò le sopracciglia e assottigliò le labbra come qualcuno che stia per mordere.
“Che vuoi dire?”, chiese, sempre più teso. Tom gli rivolse uno sguardo tra il condiscendente e l’affettuoso.
“Bells, se non sapessi di certi tuoi trascorsi direi che sei candido come la neve. E pure un po’ ingenuo”, proseguì, sporgendosi in avanti con un ghigno per prendere una bottiglia di birra dal tavolino.
Matt emise uno sbuffo che lo fece assomigliare a un cavallo sul punto di imbizzarrirsi.
“Kirk, piantala con le tue arie da maestrina del cazzo e parla chiaro. Che cazzo succede?”
Tom non parve minimamente impressionato dal suo tono duro – anzi, riprese a ridacchiare deliziato.
“Succede che mentre noi tre siamo qui a chiacchierare come pensionati, quell’altro giustamente indossa i panni della rockstar arrapata che è – e che saresti anche tu, è ovvio, ma si dà il caso che tu sia anche fulminato come una lampadina e che ami passare il tempo ad annoiarci con discorsi sul modo migliore di depurare l’acqua in caso di emergenza ambientale. Dom in fondo è solo un po’ più… attivo, mettiamola in questo modo. Chrissy, tu sei sposato e fedele e ti vogliamo così, niente contro-”
Parla. Chiaro” sibilò infuriato Matt, affondando le unghie nella pelle del divano. Tom sbuffò teatralmente e si tirò su le maniche della camicia per gesticolare in libertà.
“Dominic. Batterista. Biondo. Vestiti leopardati. Uno degli esemplari di sesso maschile con più problemi a tenerselo nelle mutande sulla faccia della terra. Mi segui?”
“Tom, ti sto per prendere a calci in c-”
“Giovani uomini di bella presenza sempre vagamente ubriachi e disposti a parlare di lavoro e di eventuali collaborazioni alle due di notte nella cuccetta del tourbus di un quasi sconosciuto”.
Chris osservava lo scambio con cauto interesse, come se avesse paura di una reazione sconsiderata da parte di Matt.
Chris era un uomo saggio; aveva spesso ragione.
“Tom, mi sto incazzando”.
“Oh, Cristo! Sesso, Bellamy, sesso anale! Rapporto sessuale completo fra due individui provvisti di cazzo! Scopata di una notte a tinte omosessuali! Devo andare avanti?...”
Matt si immobilizzò. Aprì la bocca. Chiuse la bocca. Lo guardò come se lui avesse appena tirato fuori una mazza da baseball dal nulla e l’avesse colpito in faccia con una forza inaudita.
“Stronzate”, esalò, molto pallido.
Tom alzò gli occhi al cielo. Chris prese un lungo respiro e si preparò a inserire la modalità padre-rassicurante.
“È… plausibile, Matt”, cominciò, tentando di mantenere il contatto visivo. “Molto pl-”
“No”.
“Sì, cazzo, Matt! Ti sei rincoglionito? Ma non li senti i rumori che vengono dalla sua cuccetta? Porca puttana, sembra che ci sia un bordello in fondo al tourbus ogni notte!”
“No”.
“Matt, che c’è di male? Dom ha… ampliato lo spettro delle sue possibilità. Tutto qui”.
“No”.
“Se lo fa buttare, Matt”, proclamò Tom pieno di enfasi, con tutta l’intenzione di mettere la parola fine a quella storia. “Se lo fa buttare, e lo butta a sua volta. O almeno spero. Gesù”.
Chris annuì con un’espressione vagamente addolorata in viso, che voleva dire spero-davvero-che-tu-non-lo-stia-venendo-a-sapere-da-noi. Tom lo fissò testardo con occhi che gli urlavano come-cazzo-hai-fatto-a-non-accorgertene-prima?
Matt guardò prima l’uno, poi l’altro, e ripetè:
“No”.
 
*
 
“Matt”.
Si sentiva la testa pesantissima. Doveva essersi addormentato da qualcosa come un misero quarto d’ora.
“Matt, per favore, ho bisogno di aiuto”.
Una luce fastidiosa pulsava dietro le sue palpebre. Ugh, luce. Brutta luce, troppa luce.
“Matt!”
Si tirò su di soprassalto. Dom era inginocchiato accanto alla sua cuccetta in boxer e nient’altro, una scintilla di preoccupazione negli occhi.
“Dom?...”, biascicò, spostando rapidamente gli occhi da lui alla luce insopportabile proveniente dalla lampada del suo comodino. Dom annuì e prese a parlare in tono frenetico.
“Paul si è sentito male. È svenuto, credo, non riesco a capire…”
Matt riguadagnò subito lucidità e fece oscillare le gambe fuori dalla cuccetta. Dom scattò in piedi e lo precedette nella sua stanza, aprendo piano la porta.
La schiena nuda di Paul spuntava dalle lenzuola raccolte intorno ai suoi fianchi, il viso abbandonato sul cuscino innaturalmente pallido.
Matt si abbassò svelto su di lui e tese l’orecchio.
“Respira male”. Dom lo fissò spaventato. “Aiutami a girarlo, ho paura che soffochi”.
Mentre faceva leva sui gomiti per farlo girare su un fianco Matt notò con la coda dell’occhio un ciuffo di peli rossicci fare capolino dalle lenzuola e il profilo molle e roseo di un cazzo afflosciato. Era completamente nudo.
“Paul”, chiamò in tono apprensivo Dom, un braccio sotto al suo collo a sostenergli la testa, “Paul, svegliati, maledizione”.
Matt spostò lo sguardo sull’amico: la pelle abbronzata che diventava color miele sotto la luce della lampada, i tendini delle gambe tesi nello sforzo di stare sui talloni, i capelli scompigliati, una macchia rossa sul collo. Un morso, forse.
Senza pensarci due volte, si sporse oltre la spalla di Dom e tirò uno schiaffo alla guancia bianchissima di Paul.
“Che cazzo fai!”
Il batterista non fece in tempo a continuare la sua urlata perché il ragazzo aprì gli occhi e trasalì.
Matt tirò un sospiro di sollievo.
“Grazie a Dio. Cazzo”.
Si alzò in piedi e fece un passo all’indietro. I due stavano parlando a bassa voce, Dom visibilmente sollevato – ridacchiava, persino, con quella sua risata gioiosa da le-cose-vanno-bene – e l’altro impegnatissimo a profondersi in scuse trafelate per l’imbarazzante accaduto.
Matt prese a grattare una macchia sul muro e vide con la coda dell’occhio Paul rivestirsi, prima le mutande, poi gli shorts color kaki e infine quella ridicola t-shirt.
“Non so come ringraziarti”.
Si voltò. Il ragazzo sorrideva un po’ tremante, le guance rosse.
“Figu-”
“Lo so benissimo che non dovrei bere e fumare così tanto quando fa così caldo … Maledetta bassa pressione. Non appena mi-”
Si interruppe e arrossì se possibile ancora di più. Dom era in piedi immobile a poca distanza da loro, senza fare nulla, un sorriso di circostanza sulle labbra.
Matt sorrise e completò la frase fra sé e sé. Suo fratello Paul aveva lo stesso problema – buffo, avevano persino lo stesso nome.
Non appena ti ecciti, ciao ciao.
“Ehi, tranquillo, è a posto. L’importante è che tu stia bene”.
Gli diede una pacca sulle spalle che voleva dire ora togliti dai piedi. Paul lo ringraziò ancora una volta e Dom gli fece strada fuori dalla stanza, fuori dal tourbus e, come Matt ardentemente sperava, fuori dalle loro vite.
Si avvicinò al letto. Le lenzuole erano sfatte, l’aria era pesante, satura. Udì la porta chiudersi alle sue spalle e si voltò a fronteggiare Dom.
“Ehi”.
“Ehi”.
Si salutarono come una coppia di schermidori, attentissimi, con falsa noncuranza.
Matt notò che Dom non si era preso minimamente la briga di rivestirsi a sua volta. La sua quasi nudità lo disturbava, lo irritava.
Si ritrovò ad attaccare senza nemmeno rendersene conto.
“Si può sapere che diavolo gli hai fatto?” chiese in un falsissimo, aspro tono di divertimento.
Dom si irrigidì subito e strinse le labbra in una piega dura.
“Che vuoi dire?” rispose, lento, minaccioso, con l’aria di chi stava avvertendo di non dire una sola parola di più.
“Vuoi dirmi che è svenuto di punto in bianco, così, mentre parlavate di cose interessanti?
Ridacchiò sgradevolmente. Gli occhi di Dom lampeggiarono infuriati.
“Sputa, Matt. Dimmi che vuoi e lascia da parte le tue provocazioni del cazzo”.
“Te lo sei scopato?”
“No”.
“Sì che te lo sei scopato, fottuto bugiardo”.
“No, era lui che avrebbe dovuto scopare me, e non ha fatto in tempo perché è svenuto. Testa di cazzo”.
Matt strinse i pugni. Dominic aveva un piccolo, giocoso sorriso sulle labbra. La rabbia stava cominciando ad annebbiargli la mente come una droga.
“Allora è vero. Ti fai scopare”.
“Sì”.
Spalancò gli occhi. Si era aspettato che lui negasse, almeno di fronte a un primo attacco diretto, o che gli mentisse. Una parte di lui avrebbe tanto voluto che lui gli avesse propinato una patetica bugia; un’altra parte, più oscura e violenta, gioiva maligna di fronte all’informazione acquisita.
“Non ti basta andare con più donne di quanto ce ne sia bisogno, no, devi pure farti sbattere da perfetti sconosciuti” proseguì, eccitato dalle sue stesse parole, dalla pesantezza sproporzionata e assurda che avevano. Gli era sempre piaciuto tenersi in equilibrio sul limite – quella volta non faceva differenza.  “Altrimenti non sei soddisfatto”.
“Esattamente”.
L’euforia si trasformò in qualcosa di ingovernabile che sorprese persino lui. Lo odiava, in quel momento. Odiava la sua fierezza. Odiava il suo tono lento, provocatorio. Odiava quanto si stesse esponendo, quanto in realtà si fosse reso vulnerabile ai suoi colpi, quanto determinato fosse a buttare il loro rapporto in un baratro talmente buio da non sapere minimanente cosa ci fosse dentro. Quel sorrisino non accennava a scomparire e gli stava facendo perdere le staffe.
Gli diede una spinta, forte, sul petto, e l’impatto risuonò seccò come una fucilata.
“Piantala di prendermi in giro!” ringhiò, spingendolo di nuovo. Dom abbandonò la maschera e trasfigurò il volto in un’espressione di pura collera.
“Che cos’altro posso fare? Dirti quello che vuoi sentirti dire? Eh?!” Lo spintonò a sua volta, con violenza, con l’obiettivo di fare male. “Che cazzo vuoi sentirti dire, Matt? Che non ho vergogna? Che sbaglio? Che ogni volta è vuota e senza significato e dovrei farmi una vita e tutte le tue stronzate ipocrite? Me le faccio dire da Chris queste cose, non da te. Da te non mi faccio dire un cazzo”.
Matt si trattenne all’ultimo da tirargli un pugno, ma l’aborto di quel movimento fu evidente, e Dom fece schioccare la lingua in un moto di disgusto.
“Per carità, adesso che Matthew Bellamy si incazza sono spacciato”. Rise, senza cuore, senza gioia, e Matt sentì lo stomaco contrarsi. “Dai, picchiami, testa di cazzo. Non conosci altro modo di mostrare emozioni, a parte strimpellare quella fottuta chitarra”.
Matt si sforzò di stare calmo, di guardarlo, di accorgersi di qualcosa che Dom gli stava gridando silenziosamente da tempo e che lui a quanto pare non aveva mai voluto ascoltare, portandolo all’esasperazione. Aveva gli occhi lucidi, e uno spasmo alle labbra, e urlava.
“Tutti lo sapevano. Io no”, disse semplicemente, in tono neutro. “Perché?”
“Perché non vedi un cazzo oltre a te stesso, ecco perché”.
Si guardarono. Nessuno dei due sembrava in grado di staccare gli occhi dall’altro.
“Cosa avrei dovuto vedere?”
Dom scosse la testa, incredulo, tornando a sfoggiare quel sorriso perfido.
“Cosa avresti dovuto sentire, anche. Una volta l’ho chiamato Matt, sai? Ho urlato “Matt”, per essere più preciso. Non mi ricordo nemmeno chi fosse. La mattina dopo Tom è venuto da me, mi ha chiesto di stare attento, di essere un po’ più discreto. In tutti i sensi, Dom, mi ha detto, con quella sua aria da mestrina del cazzo, ce l’hai presente, no? Ci sono modi e modi di farglielo sapere”.
Matt sentì il sangue rombargli nelle orecchie. Un flusso spropositato di adrenalina gli riempì il corpo – aveva un doloroso bisogno di fare, di agire, di muoversi. Poteva picchiarlo, stavolta sul serio, e affrontare la sua reazione. Poteva continuare a vomitargli addosso accuse, insinuazioni parole taglienti e sgradevoli che l’avrebbero ferito ben più di un pugno, per poi andarsene in camera sua e prendere a calci il letto.
Poteva costringerlo contro il muro e passare ripetutamente la mano, la lingua, i denti sopra quel segno rosso che spiccava come una pugnalata sul suo collo e tentare di farlo sparire, di cancellarlo, di fargli dimenticare che fosse mai esistito. Questo era quello che avrebbe voluto fare più di ogni altra cosa: eliminare la memoria tangibile di quell’incontro, e di tutti gli altri. Perché Dom pensava a lui mentre si faceva mordere il collo, no? Gliel’aveva detto. Pensava a lui quando si spogliava, pensava a lui quando affondava le unghie nel cuscino, pensava a lui quando veniva. Eppure tutte quelle persone le aveva cercate, e le aveva avute.
E subito prima di portarle in camera sua aveva passato una mano attorno alle loro spalle, si era curato di incontrare i suoi occhi e gli aveva sorriso…
Il suono di un respiro faticoso gli fece alzare lo sguardo.
Dom lo guardava con l’espressione di chi non vuole credere in nulla.
“Di’ qualcosa”. Socchiuse gli occhi – un movimento minuscolo, che però dava l’idea di aver richiesto la forza di un immenso dolore per produrlo – e fece un sorriso tremulo. “Per favore”.
Ti voglio togliere quel segno dal collo, baciare la pelle che sarà tornata immacolata e fartene un altro più profondo e più rosso.
“Rivestiti”. Si passò una mano fra i capelli – l’aveva visto fare in più di un film. “Non so, sono a disagio, non… Davvero, non so dove guardare” concluse, la voce stanca e infastidita, come se stesse troncando una situazione appena sfociata nel cattivo gusto e lo pregasse di collaborare.
Voglio quei muscoli tesi che ho visto poco prima quando ti sei chinato, voglio i capelli spettinati, voglio un tuo braccio attorno alla mia testa.
Dom non fece nulla. A malapena battè le palpebre. Matt, che lo conosceva da anni, lo percepì irrigidirsi e come forzarsi a spegnere qualcosa dentro di sé per restare impassibile.
Voglio dell’altra rabbia, Dom. Voglio agire d’istinto. Fammi agire d’istinto, perché senza quella spinta non riesco a muovere un passo. Incazzati, ti prego. Perdi il controllo. Non sono capace di venirti incontro in nessun altro modo.
“Esci”. Lo guardò con occhi vuoti. “Per favore”, aggiunse, perché almeno l’affettazione che si riserva ai bastardi e ai perfetti sconosciuti voleva scagliargliela contro.
Buttami fuori, mettimi le mani addosso. Toccami. Ti prego.
Matt annuì quasi meccanicamente e si avviò verso la porta. Gli passò accanto, e al posto di cercare i suoi occhi piantò lo sguardo sul morso sul suo collo.
Dom sapeva che mentre gli voltava le spalle, in ogni senso, stava pensando a persone che non avevano nessun significato per nessuno di loro due. Non stava pensando a lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
Breathe in deep
And cleanse away our sins
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: questa storia ha una genesi complicata. *ignora la gente che si mette le mani nei capelli e implora con lo sguardo di tagliarla corta* *MUAHAHAHAHAAH*
Ne ho scritta metà di getto, ed era partita comica. Lo giuro. Era praticamente una parodia, ma poi la sorgente dell’ispirazione si è essiccata, maledetta baldracca, e io ho chiesto aiuto agli Avengers a quella superdonna che è Stregatta. Mezz’ora di chat concentrata e propositiva ha dato alla luce il resto.
Sono abbastanza confusa dal risultato perché di solito io non scrivo storie che finiscono male, o almeno, non hanno mai finali del tutto negativi/personaggi del tutto negativi. Qui Matt per me è l’anticristo, invece XDDD Penso sia tutto quello che odio. Ed è strano, essermelo ritrovato davanti dal nulla. Strano, ma in qualche modo coinvolgente, famigliare. /senso logico /coerenza
Non so cos’altro dire, o meglio sì, e scusate l’autoreferenzialità spaventosa ma non trovo altre parole per descrivere questa storia se non quelle che ho usato su MSN mentre scrivevo, per stracciare le palle a Stregatta  sfogarmi con Stregatta (sono pensieri cretini, badate, perché 1. Sono miei 2. Sono scritti a caldissimo bollente 3. Sono le tre del mattino. XDDD):
Matt è stronzo. Non riesco ad assolverlo in nessun modo. L’ho riletta e mi disgusta. C’è questa vena perbenista, questo suo fastidio nel pensare che qualche modo Dom sia stato “contaminato” da altri…che veramente mi fa schifo. XDDD Sai quando ti si macchia il tuo vestito preferito? O quando vai in frigo e non c’è la cosa che ti piace di più mangiare? O quando ti si riga Absolution e si mette a saltare le tracce (TROLOLOLOL)? Non odi tutte queste cose tutto ad un tratto? Io sì. Le detesto, proprio XDDD
Vi saluto incitandovi a costruire altari, piramidi e copie-carboni di Dominic Howard in onore di Stregatta, e ringraziando tutti quelli che leggeranno in anticipo :***
P.S. La canzone citata è, ça va sans dire, “Fury” dei nostri tre moschettieri del dubstep.
   
 
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