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Autore: Justanotherpsycho    11/06/2012    1 recensioni
Può l'orgoglio di un Dio e la sua sete di gloria e potere aizzarlo contro suo Padre? Verrà l'Olimpo scosso dall'ultima e più grande delle Tre Guerre Divine, quella mai narrata?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualche giorno dopo, il Distruttore di Uomini, Ares, Dio della Guerra, si trovava ancora nel suo tempio sulla cima dell’Olimpo. Con aria annoiata sta sul suo trono dorato nel mezzo del naos, con il gomito appoggiato su una gamba e la testa appoggiata su quella mano. Osserva il suo solito intrattenimento: due dei più grandi combattenti dell'Ellade si sfidano al suo cospetto. Per loro è uno dei più grandi onori immaginabili, mentre in realtà è solo un crudele e frivolo passatempo del Dio, che spesso ordina al vincitore di uccidere lo sconfitto, per puro divertimento. Ma oggi nemmeno questo gioco attira la sua attenzione.
Ad un tratto Polemos irrompe nel tempio proclamando:
«Ares, Signore… alcuni anziani riferiscono di un antico Tempio di Gea proprio dove ora si trova l’Oracolo di Delfi…»
«Proprio come sospettavo… sapevo che Apollo mi nascondeva qualcosa… Prepara i miei cavalli e raduna gli altri, si parte per Delfi… e voi, chi vi ha ordinato di fermarvi?» sbraita contro i due eroi che avevano smesso di darsi battaglia quando erano stati interrotti.
Quel giorno stesso, Ares, sulla sua biga, accompagnato dai Makhai al completo sulle loro cavalcature, giunge sulle pendici del monte Parnaso. Ma nessuno di loro è consapevole di essere spiato.
Apollo, notato lo strano comportamento di Ares e il movimento intorno al suo tempio sull’Olimpo, si era recato da Zeus in persona, il Padre degli Dei. Egli, seduto sul suo divino trono sulla cima dell’Olimpo, il Monte più alto del Mondo, scruta tutto il suo regno usando i suoi poteri per guardare attraverso le nuvole.
«Vedete padre, avevo ragione! Ares non è più lo stesso da quando è tornato da quel villaggio barbaro. Sta tramando qualcosa. Perché dovrebbe viaggiare verso il mio oracolo con il suo contingente da guerra? Solo questo è già un enorme sacrilegio!»
Ma l’Onnipotente Zeus non si pronuncia, piuttosto rimane fisso a guardare suo figlio mentre si avvicina al Santuario. Il corpo muscoloso da giovane guerriero, accarezzato dalle vesti bianche e splendenti, ornate qua e là da tocchi d’oro, contrasta con il volto inciso da numerose rughe che trasmettono quel senso di saggezza, e con la lunga barba e i capelli bianchi, che sembrano della stessa consistenza delle nuvole, mentre degli stracci di nuvole vere e proprie gli cingono le braccia poco sotto le ascelle e le gambe poco sopra le ginocchia.
Nel frattempo, Ares e i suoi sono giunti davanti al Santuario, un magnifico edificio costruito su un lembo di terra che dalle altezze del monte Parnaso si protrae sul vuoto.
Nell’anticamera dell’Oracolo i sacerdoti fermano i visitatori.
«Ares – fa uno di loro – che piacere ospitare nel nostro santuario una divinità dell’Olimpo. Cosa vi porta qui?»
«Devo vedere la Pizia» fa bruscamente l’Enialo.
«Mi dispiace, questo è concesso solo ai Sacerdoti di Apollo»
«Ahahahah, starete scherzando!? Io sono un Dio! Nonché fratello di Apollo. Non basta questo?» detto ciò Ares scosta violentemente il sacerdote dirigendosi a passo deciso verso la sala dell’Oracolo, seguito dai suoi accompagnatori, quando una mano gli si posa sulla spalla.
Di scatto il Dio estrae la daga e voltandosi la punta alla gola di colui che ha osato fermarlo.
«A-almeno lascia qui i tuoi soldati – fa spaventato il sacerdote – è già un grande sacrilegio entrare qui con le armi, figuriamoci presentarsi alla Pizia con un intero esercito… da cosa vorreste difendervi?»
«Non parlarmi di sacrilegi, mortale» sbotta Ares rimettendo a posto l’arma e facendo poi segno ai suoi di restare lì.
Apre dolcemente le possenti ed eleganti porte della sala, intarsiate delle più raffinate trame floreali. Davanti a lui si presenta una stanza circolare, aperta per la maggior parte del perimetro sulla splendida vista delle valli ai piedi del monte, intercalate ogni tanto da splendide colonne decorate. L’arredamento è scarso, se non si considerano gli innumerevoli veli e teli di preziosi tessuti. Su uno di questi, per terra, più o meno al centro della sala è distesa, di spalle una graziosa fanciulla, tra lei e Ares un enorme focolare, anch'esso interamente fatto d’oro intarsiato, che ospita un possente fuoco. Mentre le porte dietro Ares si chiudono, come da sole, la fanciulla lentamente e leggiadra si solleva da terra; è vestita degli stessi tessuti che decorano tutta la stanza.
La prima cosa che risalta agli occhi sono i lunghissimi capelli dorati, che sembrano impregnati di un’ipnotica bellezza. Il profumo soave che proviene da quell’esile corpicino riesce a fare brezza perfino nel cuore del Dio della Guerra. Lentamente la giovane si volta mostrando il bellissimo viso, degno delle più alte bellezze dell’Olimpo. I lineamenti delicati accompagnavano la vista dalla bocca rossa e carnosa al piccolo e fine naso fino agli splendenti occhi azzurro oceano. I veli semitrasparenti le scendevano lungo i femminei fianchi giù per le eleganti e affascinanti lunghe gambe, fino a rimanere come strascichi per terra, donandole allo stesso tempo l’ingenua grazia di una ragazzina e il prorompente fascino di una Ninfa.
Pochi, persino fra gli Dei, sono quelli che hanno avuto la fortuna di osservare quella bellezza ai limiti del conoscibile umano.
«Cosa ti porta qui, Dio della Guerra?» chiede dolcemente la Pizia, con una voce forse più soave di quella della Musa Erato.
«Dovresti saperlo, Oracolo» fa Ares cercando di rimanere austero sia nella voce che nel comportamento. «Perché non me lo dici tu? Mi piace sentire la tua voce…» risponde la Pizia con fare provocante avanzando verso il suo interlocutore, aggirando il grande focolare… Ares indugia qualche istante, rapito ormai dalla seducente bellezza della sacerdotessa, mentre questa gli è ormai vicina e giocherella disegnando con un dito sottile ed elegante, spensierati ghirigori sull’armatura del Dio.
«Sai, io sto sempre qui dentro, rinchiusa tra queste mura, da sola… il massimo esempio di virilità che io abbia mai visto sono quei sacerdoti là fuori… e non sono granchè… non in tuo confronto, mio possente Dio…» ne approfitta lei per incalzare.
Ormai è praticamente appoggiata sulla sua armatura; la sua testa non arriva al mento di lui, è un fuscello al confronto del Dio, ma Ares, in questo istante, non può niente contro l’incantesimo che lo ha fatto prigioniero, un incantesimo senza formule e pozioni. «Sono qui per visitare il tempio di Gea, la Titanessa» continua Ares cercando di darsi un tono e ignorando le provocazioni della Pizia.
«Oh, mi dispiace, devi essere stato informato male, mio Dio, perché quel tempio non esiste più da molto tempo…» mentre dice questo, i suoi profondi occhi azzurri ingoiano quelli del Dio come fa l’oceano in tempesta con le navi dei malcapitati avventurieri e Ares nemmeno se ne rendeva conto.
Mentre il suo sguardo lo distraeva, per una qualche strana magia una consistente ciocca dei suoi dorati capelli strisciava come un serpente, dotata di vita propria, risalendo le spalle del Dio.
«So che menti, Sacerdotessa di Apollo! Dimmi come si accede all’Oracolo di Gea!»
«Come mai questa ottusa ostinazione?» i capelli striscianti sono ormai arrivati al collo.
«Non sono cose che ti riguardano! E bada a come…» ma non fa in tempo a finire la frase che i capelli cingono il suo collo strozzandolo.
D’un tratto, mentre Ares si porta le mani al collo, anche il resto dei capelli della Sacerdotessa si animano, dividendosi in altre ciocche, come tanti tentacoli.
Alcuni di questi si impuntano al suolo sollevando il leggero corpo della Pizia fino a più o meno 8 cubiti, lasciandolo ciondolare in una inquietante sospensione, accentuata dallo strascico che ora pende dolcemente. Nello stesso istante i bellissimi occhi ruotarono all’indietro lasciando in vista solo il bianco vitreo della sclera, più o meno come nel vecchio barbaro, ma in questo caso il volto non era per niente inespressivo.
«Pensavi veramente che saresti venuto qui e avresti fatto i tuoi comodi nel MIO tempio!?!?» non è più la Pizia che parla: anche se la sua dolce voce esce ancora dalla sua gola, una seconda più potente e autoritaria la surclassa, sebbene non si capisce di preciso da dove venga, allo stesso modo che aveva già visto in quel villaggio barbaro, ma questa volta conosce bene quella seconda voce:
«Apollo, fratello mio…» boccheggia soffocando Ares, mentre la Pizia, o meglio Apollo per lei, lo aveva sollevato da terra con quel tentacolo di capelli.
Ma con un veloce movimento il Dio della Guerra afferra un pugnale che aveva nascosto nella cintura dietro la schiena e in un attimo trancia la ciocca che lo attanagliava, atterrando alla perfetta maniera di un guerriero.
«Come hai osato!?!?» ruggisce Apollo, e sferra un paio di affondi con altri tentacoli, che Ares evita agilmente e che si conficcano nel pavimento aprendo delle crepe.
«Non costringermi a uccidere la tua sacerdotessa, Apollo» avverte minaccioso il Distruttore di Uomini.
«Non lo farai! Un oltraggio del genere ti farebbe disconoscere come Olimpico!»
Altri terribili affondi dalla chioma della Pizia, ancora abilmente aggirati da Ares, che non si è ancora sbilanciato a rispondere agli attacchi.
«Tu non capisci Apollo! Non sai quello che so io!»
«E illuminami allora, fratello!»
«Non posso, non capiresti lo stesso. Tu sei solo capace di servire nostro padre e pensi solo a guadagnarti le sue grazie mandando giù qualsiasi suo ordine, senza mai farti qualche domanda… Ad esempio: perché vuoi impedirmi di realizzare il mio destino?»
«Il tuo destino? Stai farneticando, Ares! Il tuo destino è sull’Olimpo, come Dio della Guerra, quello è il tuo posto.»
«Il mio posto è si sull’Olimpo, ma sul trono di Zeus!»
Lo scambio di battute era stato accompagnato da altri attacchi andati a vuoto, che avevano ridotto la sala in un campo di battaglia ricoperto da enormi crepe.
Sfruttando la sorpresa che aveva colto il fratello alla risposta di Ares, questi scatta verso uno dei tentacoli “portanti” e lo trancia di netto, facendo precipitare la Pizia. Con una velocità e coordinazione degne del solo Dio della Guerra, Ares si volta infilzando al volo il ventre dell’Oracolo col pugnale mentre cadeva.
La forza del Dio è tanta, che riesce anche a sorreggere facilmente il corpo della Pizia, impalata in quello strano modo, con un solo braccio.
All’istante tutti i capelli si afflosciano tornando normali, così come i suoi occhi.
Quando il sangue caldo inizia a colare sulla mano e lungo il braccio di Ares e questi avverte i singhiozzi di dolore della donna, la posa delicatamente per terra.
La sacerdotessa rivolge l’ammaliante sguardo, ora pieno di paura e tristezza, verso il volto del suo carnefice. Non dice niente, forse perché incapace, dato il sangue che ora sgorga anche dalla sua bocca, forse perché sarebbe inutile, dato che tutto ciò che avrebbe potuto dire viene espresso e amplificato dal suo sguardo.
Ares sarebbe stato l’ultimo ad ammirare quella bellezza, pensa mentre guarda la vita abbandonarla. Che peccato che la bellezza sia mortale come il corpo che la ospita, cosicché l’anima, immortale, non possa portarla con sé nell’oltretomba. Sarebbe rimasta lì, immortalata su quel delicato viso, sfigurato dalla morte, ma ancora memore della beltà della vita, finché non fosse stato sepolto e divorato del tempo, più velocemente che avrebbe fatto invecchiando.
Qualche istante dopo irrompono nella sala i sacerdoti allertati dal frastuono, ma prima che possano emettere anche solo un urlo, i Makhai alle loro spalle li trafiggono con le loro spade eliminandoli in un batter d’occhio.
Kratos lancia l’arma al suo comandante che la afferra al volo, mentre Kydoimos chiede se avesse scoperto qualcosa.
«Purtroppo niente… diciamo che l’Oracolo e mio fratello non si sono dimostrati molto collaborativi… anzi, ora avremo tutte le forze dell’Olimpo contro, quindi dobbiamo sbrigarci a…» ma non fa in tempo a finire la frase che il pavimento martoriato dallo scontro cede completamente crollando sotto i piedi di Ares, facendolo sprofondare in un baratro oscuro.
  
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