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Autore: Sparrowhawk    11/06/2012    1 recensioni
«Sai bene cosa sto cercando di fare.»
«Per saperlo lo so, ma purtroppo non lo stai facendo come si deve ed io non ti capisco.»
Bisognava sempre spingerlo contro il muro, a quello, altrimenti col cavolo che diceva addio alla sua corazza di robot senza cuore cercando di venire incontro a quelle che erano le tue di esigenze.
Emise un altro piccolo sbuffo e poi, appoggiandosi allo stipite della porta, mise le mani in tasca prima di ricominciare a parlare. Iridi grigie incontrarono iridi marroni e allora, solo allora, percepii con distinzione il peso dei miei sentimenti verso di lui.
Pur non meritandoselo affatto, avrei continuato a perdonargli ogni torto, sempre, rimanendogli accanto come l’amica che mi vantavo di essere ma che, nella realtà dei fatti, risultava essere la peggiore delle mie mascherate. Questo non perché non fossi brava a mentire a me stessa e agli altri, fingendomi totalmente disinteressata nei suoi confronti, piuttosto perché vivere vicino a quel ragazzo come semplice amica mi metteva sempre nella condizione di doverlo vedere mentre se ne andava con un’altra.
Una persona che non ero io.
Una persona che non sarei mai stata io.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Cinque: Sesso


C’è poco da dire, chiunque sogna la propria prima volta.

Al mondo, anche adesso, ci saranno almeno un migliaio di adolescenti – equamente divisi fra maschi e femmine – che stanno cercando di figurarsi quel dato momento: immaginano forse la loro stanza piena di candele profumate, il salotto di una casa libera da sguardi indiscreti o, molto meno romanticamente, anche il retro di un’automobile; pensano di farlo con la persona amata, per gioco, per curiosità forse; sognano mille situazioni diverse e, in ognuna, quando con l’occhio della mente arrivano al fatidico momento, rimangono confusi ed inebriati dalla strana sensazione di non essere mai abbastanza vicini alla verità per poter fantasticare su qualcosa come il sesso anche solo con un briciolo di serietà.

Io non ero da meno, ai tempi dei miei diciotto anni.

Non potevo considerarmi fissata su un simile argomento come altri, questo no, però alle volte mi capitava di lasciarmi andare a simili congetture. Nella mia testa era sempre tutto perfetto, impeccabile, così romantico da lasciarmi senza fiato nonostante fosse solo un sogno ordito dal mio subconscio. Di complesso non c’era nulla, ma io lo trovavo comunque magnifico. C’era lui e c’ero io. Niente di più. Era la cosa più semplice del mondo, eppure la più bella.

Le domande che più spesso mi affollavano la mente erano le solite, quelle che probabilmente tutti si sono chiesti presto o tardi durante la propria govinezza.

Sarò capace di non tirarmi indietro, quando finalmente accadrà?

Sarò in grado di non dimostrarmi per la ragazzina impacciata che, a conti fatti, in realtà sono?

Sarà piacevole o, magari, troppo doloroso?

Ogni volta, poi, riuscivo a trovare diverse risposte. Nulla di sensato o di basato su verità assolute, ma che riuscivano a non farmi incaponire su quei quesiti che, se ancora non mi avevano rimbambita, lo avrebbero fatto presto come molte altre mie piccole fissazioni.

Il fatto era che mi conoscevo bene e sapevo che, arrovellandomi su problemi ancora da affrontare, mi sarei infine rovinata il tutto, una volta che fossi stata in grado di testare sulla mia pelle una nuova simile avventura.

Io, ad ogni modo, non avrei mai creduto che la mia prima volta con un ragazzo si sarebbe svolta come, in seguito, avvenne.

Tutto ciò che quel giorno mi travolse peggio di un treno in corsa mi apparve del tutto inaspettato… Anche se, forse, la persona cui donai la parte più importante di me era quella che, da sempre, aveva stregato i miei sogni e le mie speranze.



***



Quella mattina mi era stata mossa una pesante accusa da parte di qualcuno che, almeno a mio avviso, non avrebbe neanche dovuto avere dubbi su chi fosse l’indiscusso sovrano che dominava il mio povero cuore malaticcio e malfunzionante. Emanuele si era dimostrato un idiota – come sempre – e questo non solo perché aveva tratto conclusioni troppo affrettate come suo solito, ma anche perché aveva avuto la malsana idea di esporle in una maniera a dir poco barbara.

Additandomi lì, di fronte a tutta la classe, che per altro si era goduta uno spettacolo impagabile mentre io diventavo più rossa di un pomodoro e Sebastiano tentava di fracassarsi la testa contro al muro per l’imbarazzo, mi aveva messa nuovamente di fronte alla necessità di contemplare la sua innata, stupida, inconcludente gelosia. Già da semplici amici ne ero stata vittima. Il concerto era un chiaro esempio del livello cui quel ragazzo poteva giungere se mosso da un simile sentimento. Era arrivato a giocarmi un simile tiro mancino per una convinzione senza fondamenta, e ora che mi ero dichiarata a lui, concedendogli forse un certo controllo su tutto ciò che mi riguardava, cominciai a temere che quel suo problemino sarebbe solo peggiorato.

Prima ero la sua amica. Sua e di nessun altro, lo aveva ripetuto innumerevoli volte.

Adesso invece, adesso che ero diventata qualcosa di più, ci sarebbero stati ancora più problemi.

Mi poggiai sbuffando al muro esterno del cinema, guardandomi la punta dei piedi mentre attendevo l’arrivo dei miei compagni di banda e del professore. Non avevo alcuna voglia di pensare a certe cose, se davanti avevo la possibilità di divertirmi e di dimenticare, anche se per poco, i miei soliti crucci. La serata sarebbe dovuta essere all’insegna dell’allegria e io, con il muso che mi ritrovavo, avrei di certo portato tutt’altre emozioni all’interno del gruppo se non fossi stata capace di lasciarmi alle spalle quelle preoccupazioni.

Per cosa mi ero vestita di tutto punto se non per una bella uscita con gli amici?

Estrassi dalla tracolla uno specchietto e, osservando il mio riflesso, studiai sin nei minimi dettagli i tratti visibili del mio volto alla luce non troppo forte dei lampioni presenti sulla strada, poco distanti da me. Il fiore sintetico che avevo nei capelli, di un azzurro chiaro, faceva pendant con il vestito del medesimo colore, nascosto sotto alla giacca pesante che mi stava tenendo caldo dinanzi al vento gelido di quella sera. Non avevo un capello fuori posto, ero impeccabile. Solo la mia espressione lasciava un poco a desiderare.

Dai, stupida, sorridi” mi dissi, forzando un angolo della mia bocca ad alzarsi con la punta del dito indice.

La lasciai ben presto andare, ma questa non rimase al suo posto. Tornò volta all’ingiù, donando quel tocco triste che riuscivo ad assumere solo quando avevo qualche dissidio con Emanuele. Ancora non mi rendevo conto di quanto, lui solo, riuscisse ad influenzarmi con una semplicità spaventosa: se mi sorrideva, se mi trattava con dolcezza, allora ero così felice da poter quasi toccare il cielo con un dito; se discutevamo e mi prendeva in giro, mi arrabbiavo abbastanza con lui e anche con tutto il resto del mondo per un periodo che poteva andare da pochi minuti a qualche ora, ma perfino a diversi giorni.

«Angela, è da molto che aspetti?»

Tornando con i piedi per terra, misi via lo specchietto e posai lo sguardo su Max, il quale era arrivato da qualche secondo al mio fianco.

Scossi la testa, forzando un piccolo sorriso.

«No no, sono qui da poco.» risposi, avvicinandomi a lui e cercando, magari alle sue spalle, tracce degli altri «È arrivato qui da solo?»

Il professore annuì, girandosi a sua volta, una mano a massaggiarsi il mento privo di peluria.

«Sì. Ho cercato qualcuno della banda in giro, ma non ho trovato nessuno. O sono in ritardo loro o lo siamo noi.»

«Beh, se siamo noi in ritardo possiamo sempre andare dentro e cercarli in sala.» commentai io, alzando le spalle «Dubito che il nostro film venga proiettato in tutte quelle presenti nel cinema.»

Lo vidi annuire e, facendomi segno di seguirlo, entrai con lui all’interno dell’edificio.

Come ovvio non fummo in grado di vedere nessuno in mezzo alla ressa del venerdì sera, ma siccome nessuno di noi due aveva abbastanza voglia di perdersi in inutili ricerche decidemmo di prendere i biglietti, i pop corn, delle bibite, e di andare in sala ai nostri posti per goderci il film che avevamo atteso con tanta ansia.

In tutto il gruppo, io e Max eravamo gli unici ad avere una vera e propria passione per gli horror. Ne avevamo visti a bizzeffe, in passato, ed eravamo stati noi a convincere gli altri a seguirci in quella bella escursione al cinema. C’erano stati dissensi, alcuni avevano detto che sarebbe stato meglio vedere qualcosa di più normale, però alla fine tutti avevano convenuto sul fatto che vedere film di genere horror in compagnia era decisamente più divertente che vedere qualche commedia d’amore o un film d’azione. Non era forse il massimo quando un amico scoppiava ad urlare e faceva facce buffe al tuo fianco?



Solo quando uscimmo all’aria aperta, dopo quello che fu uno spettacolo deludente se si contavano gli ammontare degli spaventi accumulati – che equivaleva a zero, se volete saperlo –, ci ritrovammo finalmente con il resto dell’allegra combriccola. Ci eravamo persi per poco, a dire il vero, e a quanto pareva non eravamo neanche tanto lontani da loro nei posti, pur essendo incapaci di vederci nel buio della sala.

«Ragazzi, la prossima volta mettiamoci d’accordo un po’ meglio.» mormorò Max, ridendo.

«Ma no, prof, non dica così! Se fosse stato altrimenti non avrebbe avuto l’occasione di coronare il suo più grande sogno.»

Lui corrugò la fronte, confuso.

«Di che parli?»

«…non faccia il finto tonto. Sappiamo tutti che voleva stare solo con la sua pupilla!»

Tutti scoppiarono a ridere, meno noi che eravamo i diretti interessati. Se possibile le nostre guance divennero dello stesso colore, un rosso cangiante dovuto all’imbarazzo, ma fortuitamente quello che colorava le mia gote scomparve non appena ebbi modo di vedere chi stava solcando la soglia del cinema venendoci incontro.

Sorrisi all’istante, dimentica dalla rabbia che mi era stata tirata fuori solo qualche ora prima.

Emanuele era là, assieme a Sebastiano, e il mio cuore fece un balzo quando i nostri sguardi si incrociarono: a dire il vero lo vidi alquanto immusonito, ma siccome credevo di sapere a che cosa fosse dovuta una simile espressione non me ne curai molto visto e considerato che non c’era alcun motivo, per lui, di temere un mio coinvolgimento con Max. Non lo amavo di certo, e per quanto lo trovassi un uomo di bella presenza e con un carattere dolce e comprensivo, non avrei mai potuto provare ciò che invece sentivo nei suoi confronti. Perché Emmy lo amavo contando i suoi alti e bassi, passando sopra alle miriadi di difetti che gli si potevano trovare giorno dopo giorno standogli vicino.

Feci per andargli incontro, felice, però venni fermata da un piccolo, innocente bacio. Girandomi di scatto cercai il fautore di un simile atto e, notando poco distante dalla mia guancia il viso del professore, mi ritrovai costretta a corrugare enormemente le sopracciglia prima di indietreggiare di qualche passo. Non lo feci perché improvvisamente avevo paura di lui o perché ero indignata per ciò che aveva fatto. Semplicemente mi sentii così sorpresa che, per un attimo, una gamba mi cedette e mi ritrovai costretta a riequilibrarmi con quel movimento.

Lo fissai per un poco, interdetta, ma non ottenni alcuna risposta, nei suoi occhi, a tutte le domande che mi vorticavano nella testa.

«Ricorda sempre che sei il mio angioletto dalla voce cristallina.» disse, scompigliandomi affettuosamente i capelli «Questo non dimenticarlo.»

Un’ultima occhiata e poi mi diede le spalle, andando dagli altri e permettendomi di riprendere fiato. Nelle sue parole non c’era nulla di cui io dovessi preoccuparmi – non a primo acchitto almeno – ma nonostante ciò mi ritrovai sperduta per alcuni minuti. Studiai la sua andatura mentre si allontanava con il resto del gruppo, quasi non curandosi più di me, e notai una leggera tensione nelle mani, le quali si strinsero a pugno prima di infilarsi dentro alle tasche del giaccone.

Abbassai lo sguardo, incapace di fare altro.

Per tutto quel tempo ero stata così presa dalla mia non storia con Emanuele che, egoisticamente, non avevo neanche intravisto quel chiaro barlume d’interesse che sta nascosto nello sguardo di una persona quando è invaghita di qualcuno. Può essere amore o semplice apprezzamento, può essere un sentimento labile o fortissimo, ma quella luce è sempre la stessa. Quando si pensa ad una persona con abbastanza intensità da farti palpitare il cuore, il viso si illumina e chiunque, per quanto tu possa essere bravo a nascondere certe cose, prima o poi se ne rende conto.

Io invece, io che mi vantavo di essere così brava a capire chi mi stava accanto, non ne ero stata capace.

Bella osservatrice che ero.

«Sono tanto cattiva?» domandai, udendo i miei due cari amici farsi avanti alle mie spalle.

«Cattiva? Certo che no!» scrollandosi di dosso tutto il suo nervosismo, Emanuele cominciò a farmi capire la sua totale disapprovazione per Max «Quello cattivo è quello stupido del professore!»

Sebastiano alzò gli occhi al cielo e, con molto più buon senso del compagno, posò una mano sulla mia spalla prima di parlare.

«No, non ti preoccupare. Non ti eri minimamente resa conto di ciò che provava lui, vero?»

Scossi il capo. Venivo capita subito da quel ragazzo.

«…sei solo troppo ingenua, ecco tutto.»

Un po’ mi sentii rincuorata a sentirli parlare così. Fui felice di non essere stata presa per una sciupa maschi o roba simile. Sapevo da me che era strano il fatto che io non mi fossi accorta di niente, però non avrei retto a certe paroline tutte saccenti che alle volte uscivano dalle labbra di una persona a me ben nota.

Alla fine, comunque, accortami del fatto che qualcosa stonava in quella situazione, mi girai di scatto verso i due e li studiai per bene.

«Che ci fate, voi, qui?» chiesi ancora, le mani sui fianchi e lo sguardo severo «Seb, tu odi i film horror…e a te, Emmy, non sono mai interessati.»

Si scambiarono una breve occhiata, indecisi.

«Ma niente…»

«Mi ispirava il titolo.»

«Sebbolo voleva diventare più coraggioso.»

«Ad Emmy interessano improvvisamente. Però si è addormentato, perciò non ha seguito niente del film.»

«…lui invece se l’è fatta addosso.» e dicendo questo indicò i vestiti che l’altro teneva stretti al petto. Li osservai un secondo, accorgendomi subito del fatto che quelli non erano abiti normali, bensì due giacche pesanti, due capelli e…erano occhiali da sole, quelli? «Si è dovuto cambiare.»

«Ho…messo il doppio cappello perché avevo freddo alla testa.»

Se speravano di farla franca con scusanti così magre, ebbene, avevano decisamente sottovalutato le mie capacità cerebrali: non c’era modo, per loro, di nascondermi qualcosa già quando avevano escogitato piani abbastanza complessi, figuriamoci ora che era palese che non si erano minimamente impegnati a nascondere le loro stupidaggini. Sbattei piano le palpebre, assumendo un’espressione più che adirata. Non mi piaceva quando mentivano. O, forse, non mi piaceva che mi dessero apertamente della stupida.

«State mentendo.» esclamai, girando i tacchi e cominciando a camminare per andarmene a casa «E spudoratamente, anche!»



Con quella velocità non mi ci volle molto per raggiungere casa. Avevo adottato un passo talmente spedito che, molto probabilmente, anche il campione mondiale di marcia non sarebbe stato capace di starmi dietro. Il mio viso poi, nonostante a quell’ora tarda fosse facile per una ragazza sola incontrare brutta gente, avrebbe potuto scoraggiare anche il peggiore dei ladri o dei poco di buono.

Un motivo valido perché io fossi nuovamente così furiosa non c’era o, comunque, non era niente che avesse a che vedere con l’ennesima bugia dell’allegro duo. In fondo mi ero abituata a certe stramberie e non vedevo come una semplice menzogna potesse mettermi così di malumore. Forse però, a pensarci bene, non potevo neanche dire di essere veramente arrabbiata.

Feci scattare la serratura della porta e mi infilai piano dentro la mia dimora, sospirando mentre mi accorgevo di aver solo raccolto la prima occasione per fuggire dalla sua presenza, da ciò che rappresentava per me, dal peso enorme che mi opprimeva il petto quando gli stavo accanto: Emanuele era troppo da sopportare, tutto in una volta, e non necessariamente in senso negativo. Il punto era che quando mi guardava perdevo il controllo di me stessa, mi ritrovavo a sperare di affondare il viso nel suo petto facendomi abbracciare, di parlare con lui fino allo sfinimento o, ancora, di posare le labbra sulle sue. Ancora ed ancora, senza sosta.

L’affetto che provavo per lui era talmente bruciante da sconvolgermi.

Riflettendo su questo decisi di mettermi la camicia da notte, quella in tinta avorio che mia madre mi aveva regalato tanti anni fa ma che io, considerandola fin troppo succinta, mettevo assai di rado. Non mi piaceva l’idea di essere colta con quella addosso, sempre ammesso che qualcuno fosse venuto a farmi visita e io mi fossi ritrovata ad averla messa. Mi pareva di non essere abbastanza coperta e io, che ero solita vestirmi a cipolla, non sopportavo quel piccolo sgarro rispetto al solito. Fu proprio per questo che, maledicendomi per non aver fatto il bucato evitandomi così quella spiacevole situazione, corsi a prendere anche la mia felpa di Duffy Duck. Almeno le braccia, in quel modo, potevano dirsi riparate.

Nonostante fossero appena le undici di sera, non trovai niente di interessante alla televisione e quindi finii con l’andare a coricarmi, stringendo al petto uno dei miei tanti cuscini e riflettendo sul da farsi. Confidare ad Emanuele i miei sentimenti forse non era stata una mossa intelligente da parte mia, anzi cominciavo a credere che fosse stato il peggio che io avessi mai potuto fare. Non solo mi ero messa nella condizione di doverlo condividere con un’altra ragazza, ma mi ero anche ritrovata a dover far fronte ad un genere di gelosia ben più compromettente di quella che avevo sino ad allora sopportato.

TOC TOC!

Corrugai la fronte e, alzandomi seduta, voltai lo sguardo verso le finestre di camera mia, quelle che davano sulla strada sul retro. Fui sorpresa nel vedere il viso di Emanuele a comparirmi davanti, sorridente, tipico di quando faceva qualcosa di magistralmente geniale e si aspettava magari un complimento o una standing ovation.

Scossi il capo, scendendo dal letto ed andandogli incontro. Gli aprii solo dopo qualche attimo, come prendendo in considerazione l’idea di lasciarlo fuori a penzolare dal mio balcone. Anche se fosse caduto non si sarebbe fatto male, sotto di lui c’erano ampi cespugli ed il terriccio era umido per la debole pioggerellina caduta quella stessa sera.

Alla fine, piano, gli aprii.

«Hai tendenze suicide?» commentai, incrociando le braccia al petto.

«Volevo fare un’entrata figa. Tutto qui.»

«Ah beh.»

Ci guardammo per un poco, senza parlare, ognuno perso nella propria congettura.

Era sempre così. Da che lo avevo conosciuto, molte delle nostre conversazioni si erano svolte unicamente a quel modo: non muovevamo le labbra eppure ci intendevamo al volo, perché i nostri occhi sapevano esprimere ciò che sentivamo almeno cento volte meglio di quanto avrebbero potuto farlo le parole.

«Dimmi perché eri lì.»

La mia poteva essere una domanda, ma non ne aveva il suono.

Volevo la verità e la avrei ottenuta.

Emanuele si mise seduto con le gambe all’interno della stanza e, scompigliandosi i capelli, confuso, tentò di darmi una risposta.

«Io non…» si morse un labbro «Io non mi sono fidato del tutto delle tue parole. Non mi fidavo di quel professore che ti seguiva e ti faceva quei sorrisetti idioti tra un’ora e l’altra… Scusami. Non volevo dubitare di te, ma è nella mia natura comportarmi così.»

Gli mollai un pugno sulla testa e lo lasciai entrare, chiudendo alle sue spalle la finestra. Faceva freddo ed io non ero propensa a prendermi un raffreddore solo perché lui aveva voglia di interpretare la parte di Peter Pan.

«Stupido.»

«Me lo dici spesso.»

«Perché lo sei.» risposi, alzando le spalle «Forse è vero, io piaccio al professore ma a me…a me piaci tu. E dovresti saperlo.»

Dicendolo avrei voluto strapparmi la lingua da sola, ma stava di fatto che non potevo mentire a me stessa, fingendo ancora una volta di non provare niente nei suoi confronti. Era inutile, ormai non potevo tornare indietro rinnegando i miei sentimenti. Emanuele sapeva e non si sarebbe scordato mai, neanche volendo, le parole che gli avevo rivolto in auditorium il giorno prima dello spettacolo.

Tornai a guardarlo negli occhi, seria.

«Io non penso ad altri che a te. Sempre.» mi feci vicina e lo baciai «Sempre…»

Ancora una volta mi strinsi a lui e mi abbandonai a quel meraviglioso contatto, desiderando sempre di più man mano che i secondi passavano. Sentii la sua mano passare sui miei capelli, lenta, delicata, e staccandomi dal suo volto notai quel suo bel sorriso ad increspargli le labbra.

«Sempre, sempre, sempre…?»

Annuii.

«Scusami, allora.» stavolta fu lui a baciare me, passionalmente, come era solito fare. Fra i due quella dolce ero io, Emanuele si riservava ben altri modi.

«Perdonato.»

«Bene…» mormorò, già confuso per via dei baci, proprio come me «…bene…»

Tentò di farsi nuovamente vicino, stringendo i palmi sui miei fianchi, ma io, nervosa, mi ritrassi velocemente e mi misi seduta sul letto. Non c’era mai nulla di buono quando mi abbandonavo a quel ragazzo e, sapendolo, era meglio controllare i propri istinti e comportarsi da adulta. Un’adulta risoluta e concentrata.

«Ho cantato bene al concerto?»

Chiedendo la prima cosa che mi venne in mente, mi resi subito conto di aver posto una domanda quanto mai idiota. Già sapevo che aveva pensato durante la mia esibizione, me lo aveva detto lui stesso poco dopo, quando mi aveva raggiunto dietro le quinte con Massimo e Sebastiano.

«Mi…mi hanno detto che sembravo addirittura un angelo, su quel palco. Anzi, una dea!»

Risi, però non ebbi il tempo di godermi quel momento. Emanuele mi prese per un braccio e mi costrinse sotto di lui, serissimo, baciandomi subito dopo con rinnovata passione.

«…se non sbaglio è stato quel professore a dirti questo.» disse.

«Come fai tu a saperlo?»

Pensai di essere sorpresa, ma quando udii il resto del suo discorso probabilmente mi dovetti ricredere. Si avvicinò a me e sorrise, accarezzandomi una guancia.

«Il mio commento, ovvero quello più importante di tutti, è questo.» mi baciò ancora «Grazie a quella canzone, grazie a come hai cantato, credo di aver capito di essermi innamorato di te. Perciò brava, sono fiero delle tue azioni.»

Fece per avvicinarsi nuovamente, però lo bloccai, posando le mani sulle sue spalle.

Che aveva appena detto?

«Sei innamorato di me?»

«Ah-ah.»

«…e Alessia?» a porre quella, di domanda, mi si contorsero le budella. Era così doloroso il dover essere sempre l’unica a scontrarsi con la realtà, rovinandomi qualcosa che avrebbe potuto essere bellissimo. «Non amavi lei fino a qualche giorno fa?»

Emanuele mi osservò, colpito. Sapeva che avevo ragione a chiedere quelle cose, ma non capiva come potessi amarlo ed essere al tempo stesso così preoccupata per un’altra persona. Una persona che aveva ciò che io desideravo e che, di certo, non me la avrebbe lasciata facilmente.

«Sì, è vero. Io la amo. Però…» abbassò lo sguardo «Non posso ignorare quello che ho sentito l’altro giorno, allo spettacolo. Magari non è proprio amore, ma è un sentimento altrettanto forte.»

Si staccò da me, mettendosi in ginocchio sul materasso. Cominciò a scrutarmi con quelle sue iridi grigie, profonde e magnifiche.

«Sono confuso, perdonami.» continuò «In questo momento io voglio sia te che lei. Voglio entrambe le cose.»

Anche io mi misi seduta, ascoltandolo attentamente.

Eccolo là, il muro che tanto avevo atteso mi si era parato di fronte senza farmi aspettare troppo. Erano passati si e no quattro giorni da quando mi ero concessa un minimo di felicità e, guarda un po’, già dovevo scegliere di nuovo che cosa fare. Perché, era ovvio, stava tutto nelle mie mani. Io sola avevo il potere di porre fine a quella stupida faccenda salvando il suo rapporto con Alessia e la mia sanità mentale.

Conscia perciò di questo, mi affrettai a trasmutare i miei pensieri in parole.

«Una persona normale ti direbbe che così non va.» iniziai «Che se ami lei allora non dovresti essere qui, nella mia stanza, a dire di provare qualcosa anche per me.»

Detto questo però, le mie mani si mossero da sole e io lo attirai vicino a me, stringendolo al mio corpo prima di baciarlo quasi inconsciamente.

«…io però non sono normale.»

Abbassai le labbra sul suo collo, le dita che passarono veloci alle sue spalle e poi sulla lampo della sua giacca, aprendola e togliendogli di dosso quell’indumento freddo per via del vento gelido che aveva sferzato di fuori. Subito mi dedicai ai bottoni della sua camicia, osservando il lavoro delle mie mani con ostentato compiacimento. Era sbagliato, non avrei dovuto comportarmi così, però nonostante questo non riuscivo a pormi un freno.

«…ahi ahi, Angy, ahi ahi…» disse in un sussurro Emanuele, ridendo «…tu con una camicia da notte, io bellissimo…insieme, sullo stesso letto…»

«Fammi capire, tu sei bellissimo mentre io indosso solo una camicia da notte?»

Sorrisi, continuando a far uscire dalle asole quei bottoni, uno dopo l’altro. Lentamente.

«Se non mi trovi bella o attraente…davvero non mi spiego come mai tu sia qui.»

Gli levai anche quel secondo indumento e lanciando la camicia lontano – facendola atterrare sulla poltroncina poco distante da noi – passai le labbra sul suo petto nudo, stringendolo in un piccolo abbraccio.

«Oh, beh, un valido motivo c’è. Ti vedo così assolutamente e totalmente disperata, che non posso fare a meno di stare qui a darti ciò che vuoi.»

Mi irrigidii e, storcendo il naso, mi girai di scatto dandogli le spalle.

«Questa cosa non dovevi dirla.»

Tolsi la felpa e gliela lanciai in faccia, assai risentita. Riusciva a rovinare ogni cosa con quelle sue stupide battute.

«Sarò anche disperata, ma non per quello che pensi tu.» esclamai, muovendomi così repentinamente da far sì che una spallina della camicia da notte cominciasse a scendermi lungo la spalla. Me ne accorsi e ghignando la presi fra il pollice e l’indice. «Io posso resistere senza farlo…tu invece?»

La calai del tutto, scostando infine i lunghi capelli e portandoli tutti da una parte. Sentivo il suo sguardo su di me, percepivo perfino le sue mani a stringersi sulle coperte per via del desiderio che lo pervadeva.

«Questo…» si fece vicino e strinse il braccio attorno alla mia vita, baciandomi il collo e la spalla, abbassando anche l’altra spallina «…questo è barare, cara mia. Non è giusto.»

«Non è barare, è far sì che anche qualcuno di lento come te possa comprendere come stanno le cose.»

Tornai voltata verso di lui, cercando di comportarmi con fare totalmente disinteressato: avevo difatti detto che solo Emanuele, fra noi, aveva strane ideuzze per la testa, ma di sicuro non ero stata molto sincera. Pure io cominciavo a sentire la necessità di approfondire quelle carezze, quei baci, godendo di un genere di attenzioni che mi ero privata per la bellezza di cinque anni. Era infatti da quando lo avevo conosciuto che avevo iniziato a pensare a come sarebbe stato stare con qualcuno.

«Tu non sei qui a fare queste cose perché sono io ad offrirmi così spudoratamente – o disperatamente. Sei qui perché sei tu a volermi.»

«Ehi, cosa c’è di male, in questo? Ti voglio.» accarezzò il mio fianco «Ti voglio.» mi sospinse all’indietro, sdraiata «Ti voglio, ti voglio, ti voglio…è un crimine, forse?»

«No, non è un crimine.» - è solo moralmente sbagliato, mi dissi da sola, ignorandomi subito dopo aver formulato un simile pensiero - «…se mi vuoi così tanto, chi sono io per fermarti?»

Emanuele rise sommessamente e, probabilmente d’accordo su quella mia uscita, si dedicò con le mani al mio seno, il quale era rimasto scoperto dal tessuto di pizzo e cotone della mia veste quasi senza che io me ne accorgessi. Lo sfiorò appena, in principio, accertandosi che a me non desse fastidio il suo tocco, e quando fu certo che tutto fosse ok lo accarezzò con cura, bravura soprattutto, facendomi capire ancora una volta che non era nuovo a quel genere di atteggiamenti con una donna. Mi chiesi quanto e cosa avesse imparato nelle sue scampagnate con le tante ragazzine che gli andavano dietro e, perché no, anche con Alessia stessa, ma sentendo le sue labbra a premersi contro il mio petto dovetti concentrarmi su dell’altro, riscoprendomi affascinata da quella nuova azione. Era strano, poiché per anni mi ero dimostrata del tutto furiosa con madre natura per avermi donato un seno fin troppo prosperoso per una della mia età. Però, ora, tutto mi appariva diverso. A lui sembrava piacere e perciò, piano piano, cominciai ad apprezzarlo anche io.

Quando sentii il suo peso a scostarsi dal mio corpo, seppi di aver chiuso gli occhi, e allora tornai a posare la mia attenzione su di lui: era sceso dal materasso e si era levato i jeans neri, rimanendo in boxer anche se, in cuor mio, sapevo che quella condizione sarebbe durata per poco. Dedicandomi uno sguardo pieno di promesse e di velato divertimento, si sdraiò nuovamente al mio fianco e mi tolse di dosso la camicia, baciandomi appassionatamente nello stesso istante in cui decise di far fare la stessa fine del resto degli indumenti anche alla nostra biancheria.

Me lo ero immaginato spesso quell’attimo, chi ha letto dall’inizio forse potrà ricordarlo, e come questo potrà ricordare anche un’altra cosa: non ero preparata per ciò che stava accadendo, e questo non nel senso che non lo stessi apprezzando, quanto più perché ancora non riuscivo a credere che stesse succedendo per davvero. Era come essere immersi in una dimensione a sé stante, dove tutto era capovolto e dove, ciò che stavamo per fare, non avrebbe avuto nessuna ripercussione. In quel mondo c’eravamo sul serio solo io e lui, esattamente come avevo sempre sognato, ed era bello per quanto mi rendessi conto che qualcosa non andasse.

Stare nudi, uno sopra all’altra, costrinse ogni particella del mio corpo a svegliarsi, ogni muscolo a contrarsi, e quando la mano di lui scivolò lungo il mio ventre fino ad approdare ancora più in basso, ebbi la strana reazione di muovere appena le ginocchia per chiuderle: mi ritrovavo indecisa fra il serrarle veramente, schiacciandolo, e la possibilità di agire come se non ci fossero, permettendogli di fare ciò che voleva con me.

«Ormai è tardi per tornare indietro, eh?»

«…se vuoi posso fermarmi.»

Scossi il capo, socchiudendo gli occhi. Ero agitata, questo era evidente, però non volevo che si fermasse.

«Angela…lascia fare a me.» sussurrò, abbassandosi fino al mio orecchio.

«Ok…» gli lasciai campo libero, la voce che mi si era ridotta a poco più di un pigolio «…ricordati di essere gentile, anche se sappiamo entrambi che ti riesce male esserlo.»

«Sarò gentilissimo.»



Le sue dita sprofondarono in me, esplorandomi, e quando cominciai a non capire più niente per via del piacere che stavo provando, arrivò un dolore intenso ed inaspettato: un dolore acuto, ma che passò velocemente dopo che lui mosse i fianchi per allontanarsi e riaffondare fra i miei.

Sentii un piacere sconosciuto, più di quello provato precedentemente e solo pochi istanti prima. Era diverso, molto, eppure così appagante da lasciarmi senza fiato. E sebbene sapessi che non erano solo le sue spinte a causarmi il respiro corto, decisi di ignorare la fragilità del mio cuore, concedendo mente, anima e corpo al ragazzo che amavo. Non avrei permesso a niente e nessuno di intralciarmi, non ora, non adesso che io e lui eravamo una cosa sola.








La voce dell'Autrice: Ordunque, finalmente siamo approdati al gran momento. *tossicchia* Non so quanti di voi abbiano cominciato a pensare che Emanuele sia un gran pezzo di BIP, come d'altro canto non so chi se ne sia perdutamente innamorata - sempre ammesso che sia possibile, visto tutte le cattiverie che combina - ma so per certo che questo capitolo vi ha sconvolte. Non ve lo aspettavate che Angela compisse un simile passo, ah? AH? ...nemmeno io. Cioè, sapevo che sarebbe successo, però continuo a pensare che forse è successo troppo presto e che, poco ma sicuro, lo ha fatto accadere per i motivi sbagliati.
Come al solito vi invito a recensire, se ne avete voglia. Alla prossima!
  
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