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Autore: Dicembre    11/06/2012    1 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Trentadue - Vino
 
 
 
Chiaro osservava il suo bicchiere di vino senza assaggiarlo. Il liquido amaranto, scosso dai lievi movimenti della mano del cavaliere, dondolava, per poi quietarsi subito, quando la mano di Chiaro si fermava.
“Sono qui da pochi minuti e avrai già sospirato cinque volte. Sei afflitto da pene d’amore?”
Chiaro sorrise a Cencio “No, solo da pensieri confusi”
“Ne vuoi parlare?”
Chiaro fissò il compagno che s’era già seduto vicino al camino, in attesa di risposta.
“Luppolo ha ragione quando dice che t’insinui dappertutto”
“Luppolo dice questo? E perché? Non è mica vero!” protestò Cencio, ma solo dopo si rese conto che probabilmente Chiaro non aveva voglia di parlare con lui.
“Scusa, me ne vado subito…”
“No! Resta. Per favore” sospirò “Ci sono delle cose che vorrei chiedere anche a te…”
Cencio, che s’era già alzato dalla sedia, si rimise a sedere: “Dimmi pure”
“Io…” cominciò, ma poi si fermò subito “Non so esattamente da dove cominciare…”
“Sei preoccupato per Nero?”
“E tu come lo sai?”
“Di solito, quando hai quest’aria accigliata e sei perso in mille pensieri, pensi a Nero”
“Io non lo capisco” Chiaro scrollò le spalle “Davvero, più passa il tempo e meno lo conosco. E non so che cosa fare”
“A cosa ti riferisci?”
“Per esempio a questa mattina. Non l’hai notato anche tu?”
”Notato cosa?”
“Ma no…niente, forse sono solo io” Chiaro ritornò a guardare il bicchiere di vino, sospirando di nuovo.
“Lo vedi distratto?”
“L’hai notato anche tu?” Chiaro si rivolse a Cencio con un sorriso speranzoso.
Il fuoco nel camino scoppiettò, sovrapponendo la sua voce a quella dei cavalieri. Poi tacque.
Cencio annuì “Mi sembra diverso…”
“Più oppresso” lo corresse  Chiaro, ma Cencio aggrottò la fronte, contraddicendolo.
“No, solo diverso”
Chiaro non insistette sul termine “Io penso che sia questo posto”
Cencio fece dondolare la testa: “E’ da un po’ di tempo che il capo ha qualcosa per la testa, però non penso che sia un luogo…”
“Ti dico questo” proseguì Chiaro quasi non avesse sentito l’amico “perché conosco Nero da sempre e per lui – per qualcuno che ha deciso di lasciare la propria casa da ragazzino, scappando – i luoghi hanno un’importanza diversa che per noi”
“Spiegati meglio…”
“Nero se n’è voluto andare perché non riusciva più a vivere a casa nostra, perché il suo istinto di libertà l’ha portato lontano, ad esplorare la Russia, l’Italia, la Francia… E’ sempre stato qualcuno che non trova quiete, perché alla continua ricerca di qualcosa. Ma Nero non potrà fermarsi da nessuna parte. Fermarsi per lui, equivale ad essere in trappola”
“Pensavo non sapessi che cosa avesse portato il capo ad andarsene da casa tua”
“Non lo so infatti” confermò Chiaro.
“Ma hai appena detto...”
“Posso intuirlo. Probabilmente esistono motivazioni che ignoro, ma senza quest’indole raminga, nessuno avrebbe lasciato una casa e una condizione agiata per…. questo!” Chiaro fece un ampio gesto con la mano indicando se stesso e Cencio.
“Tu certamente non hai la sua indole vagabonda, Chiaro, eppure eccoti qui”
“Ma è diverso…”
“Non così diverso, se ci pensi. Il motivo per cui voi avete lasciato casa tua può essere differente, ma alla fine, siete qui, insieme, ugualmente lontano da dove siete partiti”.
Di nuovo fu il fuoco del camino a prendere parola. Un tronchetto, spaccandosi, liberò mille scintille che s’acquietarono sul fondo.
Chiaro scosse la testa, protestando “E’ questo che è diverso. Nero non vuole tornare. Nessun posto per lui è casa. Io invece, tornerei subito…”
“Non capisco dove vuoi arrivare Chiaro, davvero. Non ti seguo”
“Perché qui vuole tornare?”
“Chiaro, non stai ragionando. Non è che vuole tornare qui. Tornerà anche in Francia, se re Edoardo glielo ordinerà, e in Italia, se insisto un pochino. Tornerà qui perché, devi ammettere, è un luogo che traspira pace e tranquillità…”
Chiaro sospirò “Forse hai ragione tu. Forse sono io che esagero e che non capisco più Nero”
“E’ che ti ostini a volerlo diverso da quel che è”
“E’ che mi ostino a considerarlo mio fratello…”
“Forse”  disse Cencio, adagio “ma non puoi decidere tu per lui”
“Lo so” sorrise tristemente Chiaro “Lo inseguo da una vita, ma non lo raggiungerò mai. Penso che nessuno possa fermarlo e trattenerlo…”
“E non è nostro compito tentare” puntualizzò Cencio, prendendo il bicchiere di vino dalle mani di Chiaro. “Questo non lo bevi?”
Chiaro sorrise, questa volta genuinamente “C’è la bottiglia intera che ci aspetta, piccolo ubriacone”
Cencio gongolò “Allora dobbiamo cominciare subito” disse bevendo tutto il contenuto del bicchiere con un solo sorso “Sarebbe maleducato farla attendere troppo”
Chiaro scoppiò a ridere e il fuoco si unì al buon umore ritrovato, ardendo rumorosamente.
 
Luppolo passò un bicchiere di vino a Nero. Nonostante si trovassero in uno dei giardini interni del castello e le alte pareti li proteggessero dal vento di quella sera, la temperatura era così bassa che neppure le spesse pellicce che indossavano sembravano poter riscaldare i due cavalieri.
“Sembriamo due ubriaconi” sorrise lo scozzese “Fuori in inverno, con una bottiglia in mano”
“Noi siamo due  ubriaconi, Luppolo” Nero sorrise, ma non riuscì a mascherare l’aria preoccupata.
“C’è qualcosa che non va, vero?”
“Ci sono molte cose che non vanno, ma questo penso tu lo sappia bene”
Luppolo si limitò ad annuire.
“Ed è sciocco fingere che sia tutto come prima…”
“Che cosa hai intenzione di fare?”
“Ancora non lo so bene, ma …” Nero non riuscì a trovare le parole. Si mise una mano fra i capelli, come a cercarle “So bene quello che devo fare, ad onor del vero, ma non penso di essere più in grado di farlo”
Luppolo guardò l’amico a lungo, poi annuì, senza di nuovo dire nulla, per un po’.
“Forse è l’atmosfera di questo luogo, che ti obbliga a non mentire più” disse poi.
“Tutto sembra possibile, ma io non sono in grado di… fare ciò che m’è richiesto”
“E’ la responsabilità che vivi nei confronti tuoi e del gruppo. Cencio lo dice sempre: la dipendenza degli altri grava troppo sulle tue spalle”
“Cencio esagera”
“Non troppo. E’ da quando il gruppo s’è formato che noi, ad uno ad uno, abbiamo poggiato questo fardello sulle tue spalle”
Nero scosse la testa “Alcuni l’hanno fatto, non tutti voi”
“Chiaro…”
“Chiaro lo fa da sempre, cerca di intrappolarmi in un’idea che non esiste più...Ma non è lui il vero problema. Niente era un problema finché non siamo arrivati qui”
“E non ti sei innamorato”
Nero sorrise non distogliendo gli occhi da davanti a sé.
Non aveva bisogno di guardare in faccia l’amico per saperne l’espressione.
“Solleva ogni fardello dal mio cuore…” Nero disse a bassa voce, quasi fra sé e sé “ Riesce a rendere semplice passato ciò che stato, disfacendo tutti gli intrecci che invece ancora mi legavano e da cui non riuscivo a sfuggire. Ho passato una vita intera ad andarmene, Luppolo. Ora voglio solo restare, questo è l’unico posto dove mi sento …”
“Libero” concluse per lui lo scozzese, e Nero annuì.
Luppolo alzò lo sguardo al cielo. C’erano così tante stelle che i suoi occhi si persero dietro le più brillanti, per un po’.
“Allora resta”
“Non è così semplice”
”Perché no?”
”Perché non ci sono solo io”
Luppolo stava per replicare, poi si fermò di colpo, annuendo. A volte aveva paura quando si rendeva conto di come Cencio avesse sempre ragione. Tutti dipendevano così tanto da Nero che no, non era per nulla semplice per lui rimanere.
“E allora che cos’hai intenzione di fare?”
“Sicuramente tornare a Londra in primavera. Abbiamo un patto con Re Edoardo che dobbiamo rispettare...”
E poi? Poi tornare qui, tornare a casa. Tornare da Aaron anche solo per vedere ogni giorni il suo sorriso. E se proprio, a volte, non riusciva a resistere, poteva giocare con i suoi capelli biondi e abbracciarlo. Gli sarebbe bastato: non avrebbe infranto le leggi di Dio e nemmeno oscurato la sua gloria. Gli sarebbe bastato così.
Tremò, controllando l’istinto di gridare per liberarsi. Luppolo gli versò del vino nel bicchiere.
“Non mi ero neanche accorto che fosse finito” sorrise Nero.
“Questo perché siamo degli ubriaconi” sorrise Luppolo.
“Lo sa qualcuno?”
Luppolo capì subito che la domanda non si riferiva al vino.
 “No” lo scozzese scosse la testa “Sono sicuro, nessuno”
Nero lo guardò, con aria interrogativa “Perché sei così sicuro?”
Luppolo si morse le labbra e non rispose, guardando altrove.
“Ah…” Annuì Nero.
Nero non ebbe bisogno di nient’altro per capire a cosa Luppolo si riferisse. Non una parola, non uno sguardo. Tempo prima, in quello stesso giardinetto sotto la pioggia, lo scozzese gli aveva chiesto se era davvero sbagliato che un uomo amasse un uomo, agli occhi di Dio.
Lui aveva dato una risposta incerta, non capendo esattamente che cosa Luppolo intendesse. Stupidamente poi, non s’era interrogato a fondo, preso com’era da quella sensazione di pace che l’aveva investito, una volta arrivato a Castel Thurlow.
Aveva lasciato che quella domanda scorresse via, insieme alla pioggia di quel giorno, per poi ritornare solo adesso, con un significato ben più chiaro ed intenso.
“Ho capito tardi… Mi dispiace”
“Non certo dopo di me. Negare l’evidenza è una dote di cui mi vanto da sempre” Luppolo cercò di sorridere, ma poi alzò le sopracciglia sospirando “Certo che se qualcuno ci vedesse qui, seduti al gelo d’inverno, a parlar d’amore ci rinchiuderebbe in una segreta buia, e ci batterebbe fino a che un po’ di senno non tornasse nelle nostre teste”
Nero rise “Io incolperei il vino, e te ovviamente”
“Un capo responsabile…” ironizzò “e perché me, sentiamo”
Nero si strinse nelle spalle “Si sa, è quasi sempre colpa degli infidi scozzesi”
Luppolo aprì la bocca per replicare, ma si fermò di colpo, scoppiando a ridere “Tu frequenti troppo un certo ladruncolo italiano. Hai iniziato a parlare come lui”
Nero sorrise “E devo dargli ragione quando dice che la tua espressione è impagabile, quando ti si pungola sulla Scozia”
Risero tutt’e due, alleggerendo l’atmosfera di quella sera.
“E’ meglio se rientriamo, ora, inizia a fare troppo freddo”
Nero annuì, ma non si alzò subito in piedi.
“Quando avrò deciso, e saprò cosa fare, te lo dirò”
Luppolo non si girò verso l’amico “Lo so. Tornare non è una cosa semplice, per te. So bene cosa significhi…Ed ecco perché ammiro la tua forza Nero”
Nero aggrottò a fronte.
“Io che non riesco mai a mettere in gioco niente di me, mi confronto ogni giorno con qualcuno che rischia tutto per ciò in cui crede. Io penso che tu sia già libero”
 
Luppolo entrò nella stanza convinto che fosse vuota. Quando invece vide Cencio di fronte al fuoco, sussultò.
“Sono così pauroso, stasera?”
“Non m’aspettavo di trovar qualcuno…”
A dire il vero, l’ultima delle persone che voleva incontrare, quella sera, era proprio Cencio. L’aver parlato con Nero, l’essere stato così chiaro con lui e con se stesso, lo metteva incredibilmente a disagio.
Voleva tempo per rasserenarsi, per rimettere tutto a posto, tutto com’era prima. E invece no, Cencio era già lì di fronte a lui, col rischio che capisse con quegli occhi inquisitori…
“E’ meglio che vada …”
“Aspetta un attimo!” Cencio saltò in piedi “Rimani qui per un po’…”
“No, preferisco ritirarmi. Devo aver bevuto troppo e mi gira la testa”
Cencio arrovesciò le mani sui fianchi con aria incredula “Ti fai fermare da qualche bicchiere di vino?”
“Tu no a quanto sembra” ma il tono di Luppolo era diverso da quello solito, meno scherzoso. Troppo stanco.
“C’è qualcosa che non va” Cencio disse, senza porre alcuna domanda.
Che ci fosse, era evidente, ma l’unico posto dove questa… cosa potesse essere nascosta e offuscata era la sua stanza. Luppolo indietreggiò. Si maledisse, appena capì di aver fatto quel passo indietro, ma ormai l’aveva fatto.
“Addirittura arretri”
“Lasciami in pace ragazzo, ho bisogno di dormire e non di ascoltarti blaterare” rispose con tono fin troppo duro, poi cercò di ammorbidirlo “Sono davvero stanco”
“Lo sai che non riesci a mentire, vero?”
Cencio guardò Luppolo negli occhi, per un attimo. Erano così pesanti e tristi che sarebbe stato impossibile non notarlo anche per qualcuno meno attento e sensibile dell’italiano.
Sospirò.
“Se devi andare va’. E che la notte ti sia di conforto”
Luppolo sapeva che Cencio non avrebbe permesso a quell’inizio di discussione di sopirsi con la notte, l’avrebbe ripresa in mano, sarebbe andato a fondo.
Sperò di essere più pronto, la volta successiva, ad affrontare quegl’insulsi, fastidiosi, splendidi occhi inquisitori.
  
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