3.
Sapeva che era vietato
uscire dal dormitorio, ma con sguardo sicuro osservò i vuoti corridoi per
scivolare sicuro su per le scale, immobili, nel loro sonno di pietra. Persino
la Signora Grassa russava sonoramente, spezzando quel ronzio dei quadri che dormivano,
non accorgendosi del ragazzo che sfuggiva dal guscio caldo della sua tana,
correndo. Correndo col cuore che batte, che spinge e cade, versandosi negli
arti e mente come latte nel petrolio.
Sapeva dove andare, dove sfuggire,
dove intrufolarsi, come un’astuta volpe che conosce le scorciatoie del suo
bosco. Arrivò alla torre di Astronomia, in centro una raffigurazione del
sistema planetario fermo, in ferro, cigolante per il freddo e per il vento che
come bava di fili invisibili si attaccava alla pelle del giovane col fiatone.
Indossava i suoi vestiti, sempre troppo lisi, sempre troppo consunti, sempre
troppo larghi. Non sono per lui, mai per niente era per lui, sempre scarti di
altri, sempre altri timbri sulla sua pelle.
Osservò il cielo, si
stava accendendo, come un piccolo dipinto toccato dalla punta di colore
dell’artista. E si colorava di rosso, il sole che arrivava, e la quiete della
notte lascia spazio al giorno, spazzata via dal vento, dal colore, e dal
rumore. Il cielo stellato si nega a lui con eleganza, svestendosi lentamente
come un’amante silenziosa, lasciando che le sue grazie vengano ricoperte dalle
membra del suo eterno compagno. La luna, ancora fissata nel blu lo guarda,
prima di esser assorbita dall’azzurro. E la notte muta nome.
Andreas, ritornando
lentamente verso il dormitorio, ancora nel silenzio si ferma all’ultimo
svincolo. Nota Ron, compagno e Prefetto della casa insieme a Hermione, alto
nella sua uniforme, stringere una mano a una donna che non è lei. Alza un
ciglio, insospettito e prima di entrare lui la bacia appassionatamente.
Ghiaccio. Quella non è Hermione, è una donna più bassa, più paffuta, e troppo
chiara di capelli per esser lei.
Non si sono accorti di
lui, aspetta minuti che scorrono come pece sul vetro e poi rientra, con passo
dubbioso, osservando la bava della Signora Grassa colare dal suo labbro, e il
russare ritmico della donna prima di avere il coraggio di poggiare la mano
sulla porta.
«Ippogrifo.» mormora, non svegliando la donna che
semplicemente agita la mano e il vano si apre.
Varcando quella soglia
seppe già nel suo cuore che l’odio per Ron era aumentato come la notte, quel giorno.
Ma, quella mattina, sapeva che non poteva spezzare il cuore a Lei, no, non
poteva. Sorrideva come non mai quando stava con lui, lo notava negli angoli
della bocca e degli occhi. C’era un cristallo dello specchio di felicità in
quell’angolo. Come portarglielo via?
No, avrebbe parlato con
lui, avrebbe chiarito. Doveva sistemare lui le cose per lei. Che almeno la
donna del suo cuore fosse felice. Che almeno lei possedesse quel sorriso fatto
di sospiri tipico degli amanti.
«Ron, ti devo
parlare.» parlò Andreas, stretto nel suo
mantello, il freddo settembre bussava alle porte della sua pelle, e un vento
flebile ricordava l’odore della pioggia che era caduta. Ron,vedendolo uscire
dagli spogliatoi del Campo di Quidditch, con i capelli ancora attaccati alla
fronte, grugnì, disegnando sul suo volto una faccia scocciata. Lo fissò,
fulminandolo con lo sguardo, odio ricambiato.
Andreas si tocca i
capelli nervoso, passandoli indietro, mostrando il volto.
«Che vuoi,
pulce?» il tono per niente amicale, ma
il ragazzo passò sopra al nomignolo, andando subito al punto, diretto come lo
era sempre stato.
«Smettila.» gli disse, con tono autoritario. Ron alza un
ciglio, cambia peso sui piedi, scocciato, portando la borsa col cambio sulla
spalla. Il sorriso sprezzante.
«Cosa dovrei
smettere?» chiese, non sapendo su cosa
andasse a parare.
«Di tradirla.».
La borsa cade a terra con
un tonfo, e la mano di Ron che afferra il suo colletto lo tira verso di lui,
portandolo a pochi centimetri dal suo volto. Gli occhi accesi di una furia
colorata di odio.
«Di cosa stai
parlando, moccioso?!» proruppe,
stringendo il maglione e scuotendolo. Andreas rimase impassibile, ma non
abbandonò lo sguardo risoluto. A guidare la sua motivazione le vele dell’amore
che lentamente si cuciono di filo di coraggio e corde di forza.
«Tu sai cosa.
Smettila.» con la mano afferrò quella del
rosso, scostandola dalla sua maglia e si staccò, osservandolo dalla sua
altezza. Ron colorato di furia fino alle orecchie.
«Non so cosa tu
abbia in mente di fare con lei, ma non ti permetterò di ferirla. Non di più di
come stai già facendo.» e con quello se ne andò dandogli le spalle, sperando
che quel discorso faccia effetto sul rosso, magari facendogli venire quel
brivido freddo per la schiena, il filo del rasoio di quando si sta per perdere
qualcosa o qualcuno di importante.
Poi sentì un calcio alla schiena, facendolo ruzzolare a
terra, Ron sopra di lui a cavalcioni, il pugno stretto, i denti che ghignavano
e la furia dei suoi occhi che brillavano prima del suono sordo dei suoi pugni
sulla faccia di Andreas.
Hermione corre, dirigendosi con passo frettoloso
all’infermeria. Varcando le porte, sul primo letto a sinistra c’è Ron, il volto
tumefatto e una smorfia di dolore ogni volta che l’infermiera toccava la sua
pelle violacea. Poi i suoi occhi colano su di lei come colori a olio.
«Ron, che cosa hai combinato?!» proruppe, avvicinandosi
al letto, il ragazzo evitò il suo sguardo e mantenne il muso. I pugni rossi
ancora per le botte, ancora stretti. Lei gli passò la mano sopra, ma non si
sciolsero, alzò lo sguardo, per cercare di decifrare quel Weasley, e vide i
suoi occhi brucianti fissare una cosa oltre le sue spalle. Un letto chiuso
dalle tende.
Entrò, domandandosi per quale motivo proprio lui doveva
picchiare. Ron era diventato violento in quel periodo, qualche volta aveva
toccato anche lei, con qualche schiaffo troppo sonoro nei litigi, ma poi
chiedeva sempre scusa. Hermione glielo perdonava. Leggeva nei suoi occhi scuri
il chiasso della Guerra che brillava. E spegneva Ron.
Seduto sul letto a torso nudo, gli dava le spalle
Andreas. Inorridì. La schiena intera tersa di cicatrici rimarginate, che
deformavano la linea dolce che invece la sua pelle dettava. Il giovane si stava
rivestendo in fretta, e quando si voltò si colorò di vivo rosso, imbarazzato.
Hermione calò lo sguardo, spezzando quel silenzio con la sua voce.
«Cosa è successo?» domandò, mentre il ragazzo scendendo,
si scuoteva i pantaloni dai fili d’erba. Aveva uno sguardo spezzato tra il
timido e la frustrazione, una faccia tumefatta tanto quanto Ron, nascosta sotto
i capelli che cadevano lunghi, gli occhi sfuggenti, le mani tremanti. Non aveva
il coraggio di guardarla in faccia, non in quel momento.
Mi ha
visto, LE ha viste.
Stava chino, la schiena era stata colpita con forza e
pungeva come un’ape al solo movimento. Almeno l’infermiera non le chiese nulla sulla
natura delle sue cicatrici e praticò la cura in silenzio.
«Nulla per cui valga la pena rivangare.» disse, si
sistemò il mantello e fece per uscire. Fu bloccata dalla mano di lei sul petto.
Tutum,
cuore che batte.
Tutum,
cuore che sussulta.
«Non l’accetto,
come risposta.» proruppe
seria, non volendo far finire il discorso così. Andreas, titubante, si fermò, e
dopo un minuto di silenzio sorrise. Il suo volto non poteva spegnersi ora. Non
ora che forse era riuscito a convincere quello stupido rosso che nessuna donna
è niente in confronto a Lei.
«Quando due
uomini litigano e finiscono a botte, è un particolare modo per sistemare le
cose tra di loro. Non struggerti troppo su questo, Hermione, era solo un modo
per avvisarlo.» gustò il suo nome sulla lingua con piacere. Era la
prima volta che la chiamava per nome. Fu come miele nella camomilla prima del sonno. La fronte della giovane si
corrugò.
«Avvisarlo a
proposito di cosa?» chiese, non
intuendo, tentando di leggere la risposta nei suoi occhi, celato agli sguardi
dai capelli. Andreas si beò lievemente della curiosità nei suoi occhi e aprì le
tende, prendendo gentilmente congedo dal suo sguardo, dolce coperta di calore.
«Che non sono
una persona che si fa intimorire da due pugni ben assestati.» affermò, mutando il viso, ora molto serio, gli
occhi diretti al rosso. Ron all’entrata aspettava che lei uscisse, le braccia
incrociate, lo sguardo furioso diretti all’uomo con cui ha fatto a pugni in
giardino, fermati da Hagrid.
Si dirige verso l’uscita Andreas,
Hermione ancora ferma vicino al letto, osservandolo andare via ancora più
confusa. Ron lo guarda, senza perderlo di vista. Il moro si ferma affianco a
lui, sussurra due parole e va via, lasciando il volto di Ron ancora più rigido
di come lo era prima. Le mani frementi ferme sotto le braccia, non muovendosi.
«I fatti non
cambiano niente. Smettila.».