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Autore: arualchemist    14/06/2012    2 recensioni
Un nuovo e spaventoso virus si é diffuso ormai in tutte le terre. Una ragazza provetta sarà costretta a fuggire per preservare la sua vita, per portare le testimonianze di ciò che ha sperimentato a qualcuno che possa aiutare non solo lei stessa, ma tutti coloro che saranno vittime di questo piano malvagio. I fratelli Elric, incuriositi e preoccupati dal caso, si troveranno ad affrontare nuovi nemici...
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiudere gli occhi è troppo semplice. Tutti sanno lasciarsi cadere.

E’ strano.

All’improvviso, il vuoto che ti faceva così tanta paura diventa quasi una calda promessa, la promessa della fine del dolore, della tensione.

La fine di tutto.

Tutti sanno cedere a quel vuoto.

Tutti sono in grado di non aver paura di cadere, di ignorare le vertigini.

Ma quanti sanno affrontare l’urto ed alzarsi?

E’ più difficile, è difficile da matti sopportare il dolore.

Morire è da codardi.

Vivere, quello è per i coraggiosi.

Perché non è mai facile.

 



La notte era punteggiata di stelle. La loro luce bianca e dolce forava il tessuto nero del cielo, ma non prepotentemente. Quello era il loro posto. E forse se l’erano anche meritato. Magari c’era una specie di concorso per andare a far parte di quella meraviglia, e tutte le stelle si riunivano ogni totale di anni per stabilire le più luminose. Oppure no, semplicemente quella era la loro natura, e reclamavano il loro posto lassù con naturalezza. Forse tra di loro non c’erano distinzioni, come qui. “Non importa come sei, sei bella e basta.”

-Sai come muoiono, le stelle?

La mia voce era impalpabile come vento.

-Esplodono.

Ridacchiai, ma non sembrava una risata. Era una specie di uggiolio.

-Lo trovi strano anche tu? Voglio dire, delle cose così belle, che muoiono in un modo così violento ed improvviso. Pochi secondi, e poi boom.

Alzai lo sguardo al cielo, incurante di dove mettevo i piedi.

-Quando muoiono, vengono chiamate “supernovae”. Anche questa è una cosa che trovo buffa. Supernovae… Perché qualcosa che sta morendo dovrebbe essere definito “super nuovo”? Tralasciando il fatto che dalla sua morte ne consegue la nascita di altre, ma pensando alla stella in questione. Perché? Non lo trovi quasi un insulto?-, parlando, abbassai gli occhi sul bambino che portavo tra le braccia. Il suo corpo era ormai totalmente nero, il suo respiro veloce e sottile.

-Supernova-, sospirai. –Devo chiamarti così?

Non so dove mi stessi dirigendo. So solo che davanti a me si estendeva il deserto, ed allora non sapevo neanche se ne avrei visto la fine.

Non m’importava.

Qualunque direzione avessi preso, mi sarebbe sembrato di giungere alla stessa meta: la fine.

La parola “morte” era qualcosa che non potevo concepire.

Stavo per morire, eppure non potevo elaborarlo.

La sabbia si estendeva dinanzi a me sino all’orizzonte, cielo e terra s’incontravano al limite dello sguardo.

Non c’era niente davanti a me, o a sinistra, a destra, o dietro. Il deserto aveva cancellato il tempo e lo spazio, si era raffreddato nelle ore notturne colpendomi la pelle con schegge di ghiaccio.

Ancora schegge.

Non so come ero riuscita ad arrivare fin lì. Il mio villaggio costeggiava quella distesa di sabbia, certo, ma non sarebbe stato facile per qualcuno nelle mie condizioni.

Forse semplicemente non m’importava.

Non m’importavano le fitte, non m’importava il sangue che mi lasciavo dietro, o il vetro ancora fermo nella carne.

L’unica cosa che contava era il bambino tra le mie braccia, e tutti quelli che non ero riuscita a salvare.

Non volevo morire, ma semplicemente quello era ormai un dato di fatto. Il dolore si era incrostato e mi era diventato indifferente come il concetto di morte. Per ora importava respirare, anche se solo per un altro po’.

Ormai cosa mi restava? La mia vita era diventata il mio passato. Il mio futuro sarebbe stato in ogni caso troppo da sopportare.

Avevo terminato le lacrime.

O semplicemente ero totalmente estranea al mio corpo.

Il bambino tra le mie braccia sussultò, poi bofonchiò qualcosa.

-Co-come hai detto?- ero sorpresa di sentirlo parlare in quello stato.

-Supernova… un onore…

-Un… onore?

I suoi occhi rossi si spensero.

Mi accasciai a terra, cullandolo tra le braccia.

Supernova.

Da una fine nasce una vita.

Un onore…

Tornai a scutare il cielo.

Quando è inevitabile, è meglio lasciare il posto a qualcuno che brilli al posto tuo.

Ma io cosa stavo lasciando?

Assolutamente nulla.

I miei occhi tornarono al suolo, non all’altezza di ciò che sfioravano lassù.

Adagiai il corpicino sulla sabbia, poi iniziai a scavare con le unghie una buca.

Sarebbe rimasto lì, sotto le stelle.

Laddove apparteneva.

 

Quando finii, approfittai per togliermi le schegge di dosso. Mentre ne afferravo una, quella superficie riflettente mostrò uno dei miei occhi.

Mi paralizzai, ma poi tornai a rilassarmi.

Era rosso.

Perché io stavo per morire.

-Sono una cattiva stella.

Il sole sarebbe sorto, ed io sarei morta.

Pensandoci, forse sarei stata in grado di donare un nuovo giorno a chiunque stesse in quel momento continuando a vivere.

 

Continuai a camminare per molto.

Il tempo sembrava non passare mai.

Poi mi sdraiai a pancia in su.

Sarei rimasta lì ad attendere la morte.

 Le stelle continuavano a sorridermi.

-Sto morendo-, sussurai.

Silenzio.

-Sto morendo!- il mio grido squarciò quel velo impalpabile.

Iniziai a battere i pugni sul suolo, stringendo i denti e mugolando. Volevo fare più rumore possibile.

Forse mi avrebbero sentito da lassù.

Quando fui stanca, mi accoccolai in posizione fetale.

Avrei voluto morire come una stella. Bella e generosa.

Dicono che quando muoiono, ad un tratto, durante l’esplosione, diventino più luminose del sole.

Sorrisi.

Che prospettiva stupenda era allora morire.

Per un istante, diventano più grandiose di ciò che di più fantastico esiste nell’universo.

In sostanza, loro muoiono accendendosi.

Io sarei morta al contrario.

Spegnendomi.

  
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