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Autore: MeliaMalia    03/01/2007    1 recensioni
Sfoderai il migliore dei miei sorrisi saccenti, piegando le labbra in una linea ironica che invitava a prendermi a schiaffi dal mattino alla sera. Dovreste vedermi, quando sorrido così. Vi giuro che, tutte le volte che lo faccio allo specchio, ho una faccia tosta tale che mi verrebbe da prendermi a pugni da solo.
E’ un sorriso adorabile, insomma.
Perciò lo misi sfacciatamente in mostra. Quindi, con voce risoluta, con fare da gran duro, dissi: “E’ ora, signorina, che tu possa tornare ad essere ciò che sei. Ovverosia, un cadavere.”
Sono un tipo dalle frasi d’effetto, io.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«I poteri della bisnonna. Mamma te ne ha mai parlato?»
Posi quella domanda tenendomi la testa tra le mani, seduto sulla piccola sedia di legno della stanza che, momentaneamente, avevano assegnato alla povera signora Meyer. Lei, ancora traumatizzata dall’esperienza della notte prima, sedeva sul letto, sorseggiando una camomilla assolutamente inutile.
«Qualcosa, sì.» confermò, osservandomi con sospetto. «Perché?»
«Parlamene.» la invitai semplicemente, eludendo quella scomoda domanda. Lei mi accontentò. «Parlava con gli spiriti. Loro le rispondevano, credo. Ma non chiedermi su quali argomenti vertessero le loro conversazioni…» stirò un debole sorriso, che somigliò più ad una smorfia amara. «Scacciava i demoni, se ho capito bene. Sapeva controllarli come nessun altro al mondo. Era una strega. Una strega potente.»
«Aria quanto avrà ereditato, di quei poteri?» chiesi ancora, senza trovare la forza di alzare gli occhi. Quel vampiro aveva compiuto la Vendetta perfetta, innegabile. Ed era stata tutta colpa mia. Colpa mia.
Perché non ne avevo parlato con papà? Perché ero stato così ignobilmente stupido?
«Non lo so, Aster. Ma cosa c’entrino, i poteri di Aria?» colpita da quella che credé una brillante intuizione, la signora Meyer trattenne il fiato, sbalordita. «Oh…! Vuoi dire che quel demone ha attaccato la vostra famiglia perché attirato da lei? Vuoi dire che è stato a causa di quello?»
Sentii i miei organi interni compiere qualche acrobazia, mossi dalla ferocia del mio abissale senso di colpa. «No» boccheggiai infine. «Non credo sia stato a causa di quello.»
Era stato a causa mia. A causa del Cacciatore troppo giovane e troppo sciocco. Ero un assassino. In modo indiretto, forse. Ma lo ero.
Non sapevo cosa mi avesse spinto a chiedere quelle informazioni sulla mia piccola Aria. Le mani mi tremavano, mentre, con fare patetico, io cercavo di rimettere in ordine i pezzi della mia vita; quale collegamento c’era tra Aria ed i poteri della bisnonna?
Controllava i demoni…
Ma certo.
Se era vero che mia sorella aveva ereditato parte dei poteri della bisnonna, se era vero che poteva vantare capacità pari a quelle della nostra ava, se tutto ciò aveva uno stramaledetto fondo di verità… allora… forse lei…
No, ero solo un illuso.
Uno sciocco.
Oltre che un assassino.
In quella stanza adiacente la nostra vi era solo una vampira abile a recitare. Nulla di più. Nulla di più!
Dovevo smetterla di attaccarmi a speranze prive di fondamento. Dio, Dio! Cosa avevo fatto di male, per meritare anche quello?
Perché il vampiro non l’aveva uccisa? Perché anche quell’orrendo fardello era caduto sulle mie spalle, come un maleodorante manto dall’insopportabile peso?
Aria doveva morire. Aria era un vampiro. Aria era…
Era tutto ciò che mi rimaneva.
Perché non aveva morso me, né nessun altro?
Mio padre mi aveva insegnato che la prima volontà di un vampiro appena creato era quella di trovare del sangue. Di nutrirsi. Ma Aria non aveva dato segno di quel desiderio.
A meno che non fosse stata lei, ad uccidere e torturare i nostri genitori. A meno che non si fosse saziata con il loro sangue…
Forse dovevo tornare in quella stanza, forse dovevo aprire le tende.
«Forse può davvero controllare il demone.» mormorai tra me e me. La signora Meyer, incuriosita, mi chiese spiegazioni per quella frase a dir poco sibillina. Ma io scossi il capo, definendola legata ad una questione di poco conto.

***

«E’ una malattia rara, Aria.» spiegai, carezzandole con dolcezza i capelli. Erano più brillanti di prima, simili al piumaggio di un corvo. Davvero splendidi, per essere i capelli di un vampiro. «Non è grave, se trattata nel modo giusto. Davvero.»
Tenendo il capo basso, lei annuì tristemente. Si sentiva in colpa per quel misterioso morbo. Si sentiva in colpa, perché si era ammalata proprio dopo la morte di mamma e papà; aveva la sensazione di essere un peso.
Invece, era l’unico punto fermo della mia vita. La mia sola ragione per andare avanti.
«La tua pelle è sensibile alla luce del sole, perciò devi evitarla. Ma non è un problema, viaggeremo di notte.» la cosa non sembrò né rassicurarla né, tanto meno, consolarla. Ma andai avanti. «Purtroppo non… non puoi più mangiare cibo normale. Devi bere solo questa medicina. Solo questa, capisci?»
«E le torte?» domandò con tristezza.
Scossi il capo, non lasciandomi intenerire dal suo sguardo. Un tempo, avrei accontentato ogni suo capriccio, dal momento che era compito di papà imporle una qualche specie di disciplina.
Ma ora papà non c’era più.
E nemmeno mamma.
«Niente torte, Aria. Solo la medicina. E’ per il tuo bene, fiorellino. Lo capisci?» sussurrai, sentendomi il cuore gonfio di una strana emozione. Le mie supposizioni, in quella settimana di osservazione passata in quella locanda, si era rivelata esatta: Aria non aveva dato il minimo segno di essere sotto il controllo di un demone.
Era un vampiro, ma mancava della ferocia tipica di quella specie.
Eppure non dormiva. Non poteva restare al sole. E non poteva nutrirsi di altro che di quella medicina.
Ovvero, del sangue animale che lui raccoglieva e celava nella propria borraccia, facendoglielo bere con l’inganno.
Dal giorno del massacro, lei sveniva alla semplice vista di una sola, misera goccia di sangue. E così, io la nutrivo con l’inganno. La costringevo a vivere un’esistenza a metà. Che altro avrei potuto fare?
«E il pane? Il pane con la marmellata!» tentò un nuovo assalto lei. Dio, ma come facevano mamma e papà a dirle di no? Io – forse anche a causa della gioia di averla accanto a me – mi sentivo un verme. Ma dovevo resistere.
«Niente di niente Aria. Promettimelo.»
«Ma…»
«Promettimelo.»
Abbassò il capo, depressa. «Promesso.» bofonchiò solo. Quindi, rialzando il capo, fissandomi con occhi lacrimevoli, domandò: «Ma perché dobbiamo andare via, Aster? Io voglio restare qui…» Mi sedetti accanto a lei, circondandole le spalle con un braccio. Sentii che vi era bisogno di un comportamento da fratello maggiore; perciò, le sfregai le nocche sulla cute, spettinandola un poco. Lei rise, un suono basso ed argentino, urlando che le stavo facendo male. Una bugia, ovviamente. Come quelle che le avevo appena rifilato. Che le avrei rifilato per molti anni a venire.
«Non voglio più restare in questo villaggio, sorellina.» mentii per l’ennesima volta. «Mi fa pensare a mamma e papà.»
La verità? Presumo di poterla concederla almeno a voi.
La gente del villaggio guardava con diffidenza Aria.
Da una settimana, mia sorella non mangiava. Non usciva dalla sua stanza. E voci di corridoio non meglio identificate avevano riferito ai paesani il suo straordinario pallore. Non sarebbe occorso molto tempo, prima che i fondati sospetti delle persone diventassero una concreta certezza. Ed io non potevo permettere che facessero del male a mia sorella.
«Aster…» chiamò piano lei, immersa ora nel mio abbraccio. «Il vampiro che ha ucciso mamma e papà… tornerà?»
Bella domanda.
«Se tornerà, Aria, io lo ucciderò.»
Bella bugia.
«Resteremo per sempre insieme, fratellone..»
Bella promessa.
Sorrisi. «Ti voglio bene.»
E le schioccai un bacio sulla fronte. Su quella pallida, gelida, infantile fronte.
Celato dalle pesanti tende della stanza, il sole prese a declinare dietro l’orizzonte, abbandonando il mondo ad un altro gelido abbraccio delle tenebre. D’ora in poi, avremmo vissuto solo all’ombra di quell’oscurità. Tanto valeva farsela piacere.
«Vieni, Aria. E’ ora di partire.»
Giorni prima, avevo mandato degli uomini al castello, per recuperare alcuni devi nostri averi: gioielli, abiti. Un paio di sacche, qualche coperta. Non avevamo bisogno di altro.
Saremmo bastati a noi stessi.






Ringrazio Dada Baggins per la sua recensione, che mi ha davvero tirato su il morale. Erano anni che non toccavo la narrazione in prima persona, preferendo una fredda terza persona. Ammetto di divertirmi assai di più con questo stile, anche se forse non saprei mantenerlo per storie troppo lunghe...
Non devi avere troppa paura per Aria. Come vedi, al momento non è cosciente del suo cambiamento... ^^
Ovviamente, però, la storia non è finita ^^
Ringrazio, oltre te, tutti i lettori silenziosi e non che sono giunti sino a qui. Appena avrò tempo, lavorerò su un altro capitolo. Un bacio.
   
 
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