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Autore: Nonoko    20/06/2012    0 recensioni
Isabella, Dust, Ross, Manuel, Reginaldo, Diego e Beat sono pronti a tornare a sfidare la mitica Cruely 69 sui campetti dell'isola.
Quanto si è disposti a scendere in basso, per vincere una battaglia in cui si crede?
Quanti limiti si possono abbattere, quanti patti con il diavolo si possono fare per una semplice partitella di calcio?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 1. La Marina e la rovina.
 
Fin da quando avevo quattro anni andavamo in vacanza in qualche Hotel veramente costoso e veramente invidiabile e non mi era mai capitato di notare un disequilibrio in questa lussuosa tradizione.
Mamma spesso si chiudeva   nel centro benessere e lasciava perdere le sue tracce.

Angelica , mia sorella, simpatizzava con i vari ragazzi biondi e bianchi e girava la città con loro, fingendosi intelligente, bilingue, filosofa, biologa e medica.

Io e papà invece trascorrevamo noiose partite a carte sul balconcino dell’Hotel.


Eppure in un afoso giorno , mamma si alzò presto e si sporse dal balcone della nostra vecchia casa che dava sulla pineta gremita di voci.
Le nostre valigie erano già pronte da un pezzo nell’ingresso  e papà in cortile sistemava ambiziosamente le ultime cose sulla macchina , comprimendo e schiacciando tutto quanto.
Io e mia sorella invece eravamo già in costume per trascorrere la nostra ultima giornata in pineta e poi al mare con gli amici, come ormai è tradizione da un po’ di tempo a questa parte.
Frequentare lo stesso gruppo di tua sorella è uno sport agonistico che si impara a praticare a regola d’arte solo dopo qualche punizione e tanta esperienza.

Tuttavia nessuno dei due si è mai sentito in dovere di parare il culo all’altro, per puro istinto di sopravvivenza.

E quindi eccoci là:  Angelica  si risistemava con facce fintamente seducenti i capelli biondi allo specchio, si risistemava il reggiseno imbottito al massimo e mi lanciava occhiatacce tutte le volte che sbuffavo.
Io invece trascinavo con me l’asciugamano ancora bagnato dallo scorso pomeriggio, i miei pantaloni da basket e i miei capelli biondi spettinati e senza cura alcuna.

-Ciao pà, andiamo a mare!- urlò Angelica correndo giù per il vialetto di casa.

Mamma dal balcone sospirò .
Quando mamma sospira , in genere, la terra smette di girare, il sole si ferma per due secondi e rallenta la giornata ; le nuvole oscurano il cielo scatenando improvvisi lampi di accompagnamento ad una risata malefica.

In poche parole, c’è da preoccuparsi.

Angelica gira sulle punte delle infradito e la osserva scocciata.
Mamma eè ferma sul balcone , i palmi appoggiati all’inferriata, lo sguardo fisso verso il mare.
  • Sai Alfonso, è da molto che non rifacciamo quelle girate sul molo, come quando i ragazzi erano piccoli!- dice traboccante di malinconia.
 
Papà alza la sua faccia da tonto verso mamma e sorride, anche se in cuor suo desidera solo che noi ce ne andiamo in fretta per poterlo lasciare lavorare da solo.
 
  • Oh sì Marina, è molto!-risponde.
Sbuffando, apostrofando mamma in tutti i modi più orripilanti, gettando le cose per terra rabbiosamente, io e mia sorella ci ritrovammo vestiti (quasi sobriamente) sui sedili di dietro della macchina, con mamma che gongolava e papà che ascoltava il suo “ rock puro” alla radio e diceva “ aah questa canzone , ti piace Marina?”
E quindi mia madre rispondeva distrattamente mentre ci teneva un saggio sulla sua pelle rinvigorita grazie alla saponetta magica, con il sottofondo rock e il frenetico ticchettio dei tasti di mia sorella sul cellulare.
  • Puoi smetterla?- le chiesi scocciato.
Angela mi mandò a quel paese e ricominciò a mandare messaggi a raffica.
  • Smettila ti ho detto!- urlai prendendole il cellulare.
Lei mi tirò tre o quattro schiaffi fin quando non riebbe il suo cellulare, e provò a ticchettare sui tasti un pò più dolcemente.
Papà parcheggiò il macchinone davanti al mercato del pesce .
Io e la belva sbattemmo le portiere scendendo dalla macchina.
Scedendo a patti con il nemico ( la madre) ottenemmo di poter camminare un po’ più avanti a loro.
  • A chi scrivi, a Valerio?- chiesi sputando sull’ultimo nome.
  • Fatti gli affari tuoi- replicò.
  • Oh che fai? Gli racconti di che bella nottata hai passato ieri con il suo migliore amico?- replicai io pungente.
Lei strepitò, posò un attimo il cellulare nella borsa e mi tirò uno schiaffo con le sue unghie smaltate.
  • Per prima cosa Domenico non è il migliore amico di Valerio e poi..- mi tirò un altro schiaffo- non ci ho pomiciato! Per inciso, è lui che ha tentato di baciarmi!- strepitò riprendendo il cellulare.
  • Sì , infatti, immagino ti ci abbia condotto con la forza nel suo letto, non è così?- conclusi io.
 
 
 
 
Mia sorella di “ angelico” ha solo il nome.
Per il resto è uno scorfano travestito da  sirena.
Ha gli incisivi davanti divisi tra loro ed un naso decisamente troppo altezzoso.
È così bassa che nelle recite delle elementari faceva sempre lo gnomo dei boschi e ha dei fianchi enormi.
In più si sente sicura di essere bella, e pensa che il fatto che abbia tanti soldi confermi il tutto.
Mamma sospirò ancora e io e mia sorella ci fermammo.
  • Oh Alfonso! Guarda quante barche!-
Successivamente disse
  • Oh Alfonso! Guarda quante barche in vendita!-
E poi ancora
  • Oh Alfonso! Ho sempre desiderato una barca-
  •  
E come se non bastasse:
 
- Anche una casa al mare! Oh Alfonso, ho sempre desiderato una casa al mare!-

Penso che mio padre in quel momento stesse rabbrividendo al solo immaginarsi dove sarebbe andata a parare , ma la lasciò continuare.
Fa sempre così, sfugge alla tempesta riparandosi sotto un brandello di muro.
Mamma sfilò a passo veloce davanti alle barche in vendita , le guardò estasiata, fin quando non si fermò di fronte ad una non molto grande

-Oh Alfonso! Questa! Guarda com’è  carina! Guarda!- commentò ammaliata.

Mamma ha uno strano modo di portare i suoi quarantotto anni.
Lavora da tempo come infermiera ma è il patrimonio di mio padre quello che le interessa di più.
Sopra la sua pelle morta c’è un velo di plastica che le conferisce un’aria da ventenne invece che da ultra quarantenne, ed è talmente rifatta che le barbie la denunceranno per plagio.

E poi c’è questo suo modo scellerato di vivere, di essere tremendamente severa, di saper picchiare meglio di un pugile e con qualsiasi cosa le capiti, di amare le punizioni e di avere solo ed esclusivamente passioni frivole come i piatti quadrati, le cucine color cremisi, le foto vecchie, le chiese ortodosse, i fucili in pelle e le barche.
Quello della barca fu poco più che un capriccio e tuttavia venne soddisfatto.
Papà comprò la “Marina” ( nome crudelmente inflitto alla povera barchetta) e in poco tempo ci ritrovammo a doverla lucidare, e a renderle omaggio come ad una divinità.
E due settimane dopo, le nostre valigie vennero gettate nella coperta della barca, Vedemmo la nostra macchina imbarcata su un montacarichi e portata via, oltre il mare, lontana dalla nostra casa il cui cartellino “affittasi” già faceva bella mostra di sé sulla porta blindata bianca.
Mamma sembrava raggiante come non mai !
Sulle prime pensai che quel capriccio le sarebbe passato, ma abbandonai l’idea ( o meglio, fu l’idea ad abbandonare me) quando un lunedì papà e mamma tornarono a casa , di ritorno da un’agenzia immobiliare e mostrarono a me e mia sorella la nostra nuova casa rosso amaranto dalle persiane bianche.
Solo tre piani, una misera vista mare.

Mia sorella non buttò giù una lacrima, pensava già ai bei ragazzi che lucidano le barche la mattina, al sole che batte su quell’isola e si limitò a farsi una giornata intera di mare in giro con gli amici, e Dio solo sa che cosa non ha combinato quel giorno.

Ci siamo fatti venti minuti in barca fino all’isola: mia sorella prendeva beatamente il sole su un asciugamano, papà dava i comandi in cabina, e mamma sfogliava riviste e guardava speranzosa l’isola davanti a sé, come se fosse l’America.

Inutile dirlo, io non feci niente a parte lamentarmi;  rimasi inerte anche quando papà si fermò in mezzo al mare, incapace di guidare per bene nonostante il patentino nautico preso co ntempi record, e pertanto ci stava per far annegare tutti.
Di cuore, avrei preferito annegare invece di trasferirmi in quella povera isoletta, a venti minuti di mare ,dai miei “amici” , dalle ragazze fighe e da tutto ciò che è bello , lussuoso e civile.
Attraccammo al molo dell’isola poco tempo dopo; papà trovò la giusta sistemazione della barca in uno spiazzo di acqua melmosa e putrida che dava bella mostra di sé mentre coceva a fuoco lento sotto il sole.
Papà aiutò una euforica Marina a scendere dalla barca al molo e poi mia sorella.
Io invece sbottai e gli intimai che potevo farlo benissimo da solo.
Non c’era mai fine al peggio per me.
 
  
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