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Autore: Kimberly Anne    20/06/2012    6 recensioni
«Per la trentaseiesima, sacrosantissima volta, Nardo: io quel Chiarolite non lo volevo neanche accettare! Avete finito di rompere le scatole, tutti quanti?»
Una terribile disgrazia sta per abbattersi sulla regione di Unima.
Ma gli Eroi non hanno alcuna intenzione di sventarla.
Direttamente da Pokémon Bianco e Nero: Unruly Heroes - Gli eroi che non avevano mai chiesto di diventare tali.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unruly Heroes'
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Capitolo 14

In Questa Casa

 

Il cuore di Kim batteva a mille, le scuoteva la cassa toracica così forte da farle male, faceva rimbombare ogni colpo come se fosse stato l’ultimo che avrebbe mai battuto.

Non doveva fermarsi. Non poteva fermarsi: per quanto facesse male, per quanto fosse inutile, doveva continuare a correre.

«Kiiiim...» la chiamava una voce zuccherosa. «Non scappare, Kim...»

Non si fermò. Non si voltò. Ne andava della sua vita.

Ma correre le faceva male. Muoversi le faceva male, respirare le faceva male. I suoi pensieri sembravano aver perso la capacità di mettersi uno in fila all’altro, la sua mente era dominata dalla paura. La paura, soltanto la paura.

Devo correre. Devo correre. Devo correre.

Aveva bisogno d’aiuto. Aveva bisogno di una mano da stringere, di una schiena a cui appoggiarsi. Ma non c’era nessuno con lei.

Era sola.

Che cosa sei, senza i tuoi pokémon? le sussurrò all’orecchio una voce sibillina. Non sei niente. Niente.

«Io... io...» Ogni parola era fuoco dentro la sua gola.

Una ragazzina. Una sciocca.

«No... no, non è...» Non poteva correre e parlare allo stesso tempo, non ce la faceva.

«Kim, Kiiim...» la voce alle sue spalle si stava facendo gradualmente più vicina. La terrorizzava, non voleva che la raggiungesse. «Non farà male, sai? Neanche un po’.»

Avrebbe fatto male, invece. Se si fosse lasciata prendere, il dolore l’avrebbe distrutta, strappata in tanti piccoli pezzi di terrorizzata sofferenza e infine sparsa al vento.

Non sei una figlia, non sei un’amica, non sei un’amante...

Le facevano male le gambe, la spalla le bruciava insopportabilmente.

Non sei capace né di aiutare né di essere aiutata.

I suoi muscoli ormai si rifiutavano di fare ciò che il cervello ordinava loro. Inciampò e cadde a terra.

Non c’era un singolo punto in tutto il suo corpo che non le trasmettesse dolore, ormai. Provò a rialzarsi, ma non aveva più la forza di farlo.

La tua esistenza non ha un senso.

«Non è vero.» disse, scoprendo la sua voce annegare nelle lacrime. Si portò le mani al viso, senza essere in grado di asciugarlo. «Non è...»

Qualcuno le posò una mano sulla spalla. Bruciava, bruciava da morire.

Kim si voltò. Era finita, non sarebbe riuscita a scappare.

Dama Munna le sorrise. «Così non va bene, Kim.» disse, alzando la siringa trasparente che aveva in mano. «Non si dicono... le bugie! »

 

*******

 

Kim si svegliò di soprassalto e si tirò di scatto a sedere, col cuore che le martellava in petto come se avesse voluto frantumarle le costole. La maglietta fradicia di sudore era fresca contro la sua pelle, che invece sembrava andare a fuoco.

Prese a fatica dei veloci respiri a bocca aperta: le mancava l’aria, aveva l’impressione che le avessero messo i polmoni sotto vuoto.

Una mano fresca le si posò su un lato del collo, accarezzandola piano.

Lee era seduto sul letto, di fronte a lei, e la guardava con l’espressione più sollevata che gli avesse visto in volto da... probabilmente, da quella volta che per miracolo erano usciti vivi da un nido di Volcarona.

«Va tutto bene.» le disse, con l’aria di chi stava dicendo l’esatto contrario. «Va tutto...»

«Sei vivo!» Kim gli gettò le braccia al collo, combattendo contro una gran voglia di piangere, e sentì subito quelle dell’amico stringerla. «Non hai idea di quanto sono stata in ansia, credevo che-»

«Tu sei stata in ansia? Quando ho capito che Zania ci aveva mentito-»

«Quella dannata- e che cosa ti è successo? Sei bendato ovunque...»

«E quando sono tornato non ti svegliavi, hai dormito quasi un giorno...»

«Lo sapevo, lo sapevo che non avrei dovuto lasciarti andare da solo...»

«Ero così preoccupato che ho pensato di portarti all’ospedale, ma...»

«So che te la sai cavare, ma non sei mai andato d’accordo con le trappole, pensa se...»

«...poi mi sono ricordato che non ci sono ospedali per esseri umani qui, e sarebbe stato difficile metterti in una pokéball...»

«Ti prego, non lo fare più, mi sono spaventata da morire.»

Una mano si posò sulla testa di Kim. «Ehi, ragazzi, calma.» disse N. «L’importante è che stiamo tutti bene, no?»

«Disse quello che aveva passato le ultime sei ore camminando avanti e indietro per la stanza come un’anima in pena.» lo rimbeccò Lee.

N arrossì. «Beh, adesso è sveglia, no?» bofonchiò, scompigliando un poco i capelli di Kim.

Lei incassò la testa nelle spalle, appoggiandosi a Lee. L’ultima volta che aveva parlato con N, gli aveva detto delle cose piuttosto cattive. Eppure eccolo lì, sempre preoccupato per lei, come se non fosse mai successo. Forse avrebbe dovuto...

«A proposito, come ti senti?» le chiese Lee, allentando un po’ l’abbraccio.

Kim sbuffò. «Mi brucia la spalla. E poi mi fanno male le braccia, le gambe, i piedi, la-»

«Tutto, insomma.» sorrise Lee.

«E mi gira anche un po’ la testa.»

«Ottimo.» Lee le schioccò un bacio sopra l’orecchio. «Direi che sei in perfetta forma, a giudicare da quanto ti lamenti.»

«Ehi!»

N ridacchiò. «Guarda che era preoccupato anche lui.» disse, infilandosi una mano in tasca. «Quando siamo tornati, abbiamo trovato questa.»

Le porse un foglietto, che Kim prese in mano e lesse da dietro la spalla di Lee.

 

Spero sul serio che tornerete a casa per leggere questo messaggio.

Vi chiedo davvero scusa per quello che ho fatto, ma non avevo scelta. Perdonatemi, se potete.

Zania

P.S: A seguito di alcune... circostanze... ho dato a Kim un sedativo. Comunque dovrebbe stare bene. Probabilmente. Una dialisi dovrebbe risolvere tutto in ogni caso.

 

«Figlia di una munnofola.» sbottò Kim. Ricordava ancora perfettamente il momento terrificante in cui Zania le aveva ficcato l’ago della siringa nel braccio.

«Avevo paura che ti avesse dato qualcosa di troppo forte, non ti svegliavi.» spiegò Lee, con evidente sollievo.

«Un sedativo troppo forte per me?» Kim si tirò indietro sorridendo e guardò Lee negli occhi. «Ti preoccupi sempre troppo.»

Lui le prese il naso con due dita. «Se non fosse stato un semplice sedativo o se Zania avesse avuto altri piani, adesso non saresti qui.»

«E sarebbe colpa mia?»

«No.» disse Lee, con fin troppa tranquillità. «Avevi ragione, non avrei dovuto lasciarti da sola. Ci ho messi entrambi in pericolo, senza pensare...»

Kim alzò le spalle. «Sono cose che capitano.» Se non altro, a lei capitavano spesso. «Ma quando imparerai ad ascoltarmi?»

Lee storse il naso. «Mai. Rimango comunque la persona più assennata che vive in questa casa.»

«Ehi.» obiettò N. «E io?»

«Tu non vivi in questa casa.» dissero Kim e Lee, in coro.

 

*******

 

«Quindi, siete riusciti a catturare Rotom e siete tornati a casa di corsa.»

«Sì.»

«Senza la benché minima idea di chi ci possa essere dietro l’attacco.»

«Esatto.»

«Non vi siete fermati a cercare indizi di alcun tipo?»

«No.»

«Non vi siete neanche, non lo so, guardati intorno per vedere se un losco figuro si allontanava nella notte?»

«Nemmeno quello.»

Kim appoggiò la testa alla spalla di Lee. «Aaah, seriamente, e poi sono io quella che non ragiona. Scemi.»

«Eravamo messi piuttosto male, rimanere nei paraggi non sembrava una grande idea.»

«Sì, sì.» fece Kim, accondiscendente, ma non riuscì a trattenere un sorrisetto. «A proposito di grandi idee, sicuro che lasciare che N si occupi di Rotom lo sia?»

Lee alzò le spalle, facendole sobbalzare la testa. «Per quel che ne so, è l’unico tra noi che riesce a parlare con i pokémon.» disse. «Potrebbe davvero venire a capo di qualcosa. E nel peggiore dei casi...»

«...avremo uno stalker in meno.» completò Kim.

Chiuse gli occhi. Niente le piaceva quanto quei momenti di tranquillità, in cui poteva staccare i sensi e lasciarsi coccolare da un familiare e tiepido senso di protezione. Un secondo passato così la rilassava più di otto ore di sonno.

Sentì la mano di Lee prendere la sua, appoggiata al divano, e intrecciarvi le dita. Aveva due nocche incerottate, così come, l’aveva visto, gran parte del resto del corpo. La battaglia con Rotom era stata dura.

Kim ricambiò la stretta, pensando che avrebbe voluto essere stata lì. Forse avrebbe potuto essere utile in qualche modo. Forse avrebbe potuto risparmiargli qualche livido, qualche spavento... qualcosa.

Un grugnito richiamò la sua attenzione, facendole aprire gli occhi. Vicino ai suoi piedi, Porchetta la stava fissando con un che di risentito.

Sorrise. «Oh, ma guardatelo, il gelosone.» disse, divertita, lasciando la mano di Lee per chinarsi a prendere in braccio il suo starter. «Cosa c’è? Carenza di coccole?»

Porchetta tirò fuori la lingua e le leccò il naso, facendole il solletico. Kim ridacchiò e gli diede un bacino sulla testa. «Aaah, se penso che non ti ho avuto intorno per giorni... non so neanche come ho fatto.»

Porchetta fece un versetto di approvazione e accoccolò il muso sulla sua spalla non fasciata, mentre lei continuava ad accarezzargli il dorso dolcemente.

Lee sbuffò, ma così lievemente che Kim non se ne sarebbe neanche accorta, se non fosse stato così vicino.

Non gli chiese se qualcosa non andava, né tentò di indovinare. Se ci fosse stato qualcosa di cui voleva parlarle, l’avrebbe fatto. E se non voleva, il suo compito in quanto amica era solo quello di farlo sentire meglio.

«Lo sai, Lee? Non stai affatto male, tutto bendato.» buttò lì. I complimenti aiutavano sempre a scacciare i brutti pensieri.

«Dici?» chiese lui, stranito. Si diede un’occhiata al braccio sinistro, girandolo da una parte all’altra. Era di gran lunga quello messo peggio, su cui aveva riportato la maggioranza dei tagli, nonché i più profondi.

«Sì.» confermò Kim, con un sorriso. «Fa tanto “eroe di ritorno dalla battaglia”... sarà meglio che Nardo non ti veda così, altrimenti potrebbe venirgli in mente di vendere i diritti per un altro film.»

Lee fece un mezzo sorriso, ma tornò serio un attimo dopo. «A proposito di ferite...» disse, scostandole i capelli dalla fasciatura che aveva sulla spalla. «La tua ustione come va?»

Kim inclinò la testa, per permettergli di osservarla meglio. «Stanotte ha bruciato da morire.»

«Bene, vuol dire che le baccafragole hanno fatto effetto.»

«Credo anch’io. Ora non mi fa più male, a parte quando la tocco, ma...»

«Quello è normale.» sospirò Lee, socchiudendo gli occhi. Pareva sollevato. «Sai...»

Un grugnito lo interruppe, e Kim tornò per un momento a rivolgere l’attenzione a Porchetta, che aveva cominciato ad agitarsi. «Oh, ma insomma.» lo rimbrottò, con una chiara nota d’affetto nella voce. «Sei appena salito e già vuoi scendere, sei come un bambino.»

Rimise il suo pokémon per terra e lo accompagnò con una lieve pacca sul di dietro. «Vai, vai, che Arceus solo sa che cos’hai di importante da fare.»

Si riaccomodò sul divano, ancora sorridente. «Scusa.» disse a Lee. «Dicevi?»

«Uh? Niente.»

«Dai, stavi dicendo qualcosa.»

«No, affatto.»

«Sì, invece. Hai detto: “Sai...”»

Lee distolse lo sguardo con un movimento rotatorio degli occhi. «Era un “sai” tanto per dire, non mi ricordo nemmeno...»

«Su, dai, ti prego! Sono curiosa!»

Lee cercò visibilmente di trattenere una risatina, ma non ci riuscì. «Oh, per favore, non incominciare.» disse, coprendosi la bocca con una mano.

«Su, dai, ti prego!» insisté Kim. Era sempre stata brava ad imitare il tono implorante di Nardo, così come la sua irritante persistenza.

Lee la guardò con la coda dell’occhio, incapace di sostenere il suo sguardo senza ridere. «Davvero, Kim, non me lo ricor-»

«Suuu, daaai, ti preeeegooo...» gli punzecchiò una guancia con l’indice. «Lo voglio sa-pe-re.»

Lee sbuffò, esasperato, ma senza smettere di sorridere. «E va bene. Stavo pensando che...» un’altra risatina gli risalì la gola, ma la soppresse, cercando di tornare più o meno serio. «Che se non fosse per te, ora avrei una vita molto più tranquilla.»

Kim alzò un sopracciglio, scettica. Si trattava solo di quello? «Più noiosa, vorrai dire.»

«Più ordinata.»

«Banale.»

«Meno pericolosa.»

«Monotona.»

«E anche in compagnia di qualcuno molto meno modesto di te, immagino.»

«Ovvio.»

«Ma sentila.» sorrise Lee, pizzicandole scherzosamente la punta del naso. Kim fece per mordergli le dita, ma lui le aveva già ritratte.

«Si può sapere perché ce l’hai tanto col mio naso, oggi?»

«Perché è divertente e dà un senso di soddisfazione.» rispose Lee. Dopo un attimo, qualcosa lo fece sorridere. «Ti ricordi? Quand’eravamo piccoli, giocavamo spesso a rubarci il naso.»

«Pff, altro che giocare, noi ci facevamo la guerra

«Mi ricorderò per sempre quella volta che mi sei corsa dietro per tutto il giorno, e alla fine ho dovuto farti vincere solo perché altrimenti non saresti tornata a casa.»

«Oh, adesso facciamo gli sbruffoni, eh?» Kim lo guardò con aria di sfida e gli mostrò un pugno chiuso, da cui spuntava appena la punta del pollice. «Ti ricordo che il tuo naso ce l’ho ancora io, e da diversi anni.»

Lee sogghignò. «Grazie per avermelo ricor-» Prima ancora che si muovesse, Kim nascose la mano dietro la schiena, e il ragazzo si trovò ad agguantare l’aria. «...dato.»

«Ah-ah.» fece Kim, divertita. «Credi che sia disposta a cederlo così facilmente? Ormai è mio.»

Ma nemmeno Lee si sarebbe arreso senza combattere, non adesso che aveva stuzzicato il suo orgoglio.

Kim ne era ben cosciente: si affrettò a ritrarsi ed alzarsi in piedi, evitando di nuovo di venire acchiappata dall’amico.

Gli fece una linguaccia. «Buuu, ti ricordavo più svelto, Leeroy.»

«Ehi, guarda che sono ferito!»

«Tuuutte scuse.» lo prese in giro lei. «Ormai non sei più quello di una vol-»

Prima che se ne rendesse conto, Lee si era alzato e l’aveva afferrata per un braccio. Sì, quando ci si metteva, era decisamente più veloce di lei.

Kim, però, non si era lasciata cogliere del tutto alla sprovvista. «Mano sbagliata.» disse, mostrandogli il palmo aperto, mentre infilava l’altra mano nella tasca posteriore dei pantaloncini. «Te l’ho detto, non ho alcuna intenzione di restituirtelo.»

«Razza di... barona!» fece Lee, sbigottito. Sempre tenendola saldamente per il braccio, le girò intorno, fino a trovarsi dietro di lei.

«E adesso voglio proprio vedere come fai.» rise Kim, pregustando la vittoria.

«Oh, quindi credi davvero che non avrei il coraggio di spogliarti per riavere il mio naso?» chiese Lee, con un che di provocatorio.

Kim stava giusto per rispondere che no, non lo credeva proprio possibile, quando sentì l’indice di Lee percorrerle un fianco, il polpastrello appena sotto l’orlo dei pantaloncini.

«Puoi sempre arrenderti ora.» le soffiò in un orecchio, facendola rabbrividire.

Ma Kim sapeva bene con chi aveva a che fare: anziché lasciarsi intimidire, si sporse rapidamente in avanti e fece schioccare i denti in direzione della mano di Lee, che le teneva imprigionato il polso. Lui la lasciò andare prima che riuscisse a morderlo, ma solo per posizionare entrambe le mani sui suoi fianchi.

Kim sentì il corpo sobbalzare violentemente, come attraversato da una piccola scarica elettrica, mentre una risata le risaliva con forza la gola. Lee le stava facendo il solletico.

«Smet... sme...» Cercò di divincolarsi, ma aveva già abbastanza difficoltà a respirare per ottenere alcun risultato.

Lee, dal canto suo, aveva l’aria di divertirsi un mondo. «Allora, ti arrendi?»

«Nean- ah!» Kim sentì le ginocchia cederle e finì a terra.

Sperò che almeno allora il suo amico le lasciasse un momento di respiro, ma lui continuò impietosamente a torturarla.

«Ba... ti... ti prego, bas...» Rideva troppo, il petto incominciava a farle male per lo sforzo. «Va... va be... va bene, hai... hai vinto, ha-hai vinto!»

Finalmente, Lee si fermò e Kim poté riprendere un po’ di fiato.

Ansimando pesantemente, rotolò sulla schiena, solo per trovarsi bloccata da una parte e dall’altra dalle braccia di Lee.

«Sei fottutamente... sleale.» disse, stravolta.

«Lo so. Il mio naso.» disse Lee, come se le stesse chiedendo indietro una preziosa reliquia rubata.

«Sì, sì...» rise Kim. Tirò fuori la mano da dietro la schiena e gli pizzicò il naso. «Ecco, a posto. Un po’ storto, ma...»

Lee fece per morderle le dita, come aveva fatto lei poco prima, e Kim si affrettò a ritrarre la mano. «Ehi, attento a quel che fai.»

«Sei tremenda.»

«Non sono stata io a ucciderti di solletico.»

«Beh, questo è vero.» le concesse Lee.

Kim tornò a rilassare i muscoli. Il suo petto si alzava e si abbassava ancora velocemente, cercando di ristabilire il corretto ingresso d’ossigeno... eppure, si sentiva tranquilla, come se si fosse liberata di un peso che non si era resa conto di aver avuto sulle spalle. Forse avrebbe dovuto tenersi quel naso ancora per un po’.

«Quanto...» la voce di Lee, calma e addolcita da un sorriso, la sorprese per quant’era vicina. «Quanto tempo è passato dall’ultima volta che abbiamo giocato così?»

Kim ci pensò su un attimo. «Parecchio.»

«Già...» il sorriso di Lee si spense. «Chissà perché, immaginavo qualcosa del genere.»

Kim aggrottò le sopracciglia. Eccolo di nuovo, un piccolo peso che minacciava di gravare sulla sua felicità.

«Che c’è?» chiese, con un velo di preoccupazione.

«Che vuol dire, “che c’è”?»

«Voglio dire che c’è a te.» Kim si puntellò sui gomiti, arrivando così a pochi centimetri dal viso di Lee. Lo guardò dritto negli occhi, cercando qualche indizio, qualche dettaglio che potesse esserle utile. «Hai qualcosa che non va, qualche pensiero che ti gira per la testa.»

«E tu hai appena ucciso la Signora Sintassi.»

«Lascia stare quella roba. Davvero, che cosa c’è?»

Non le piaceva vederlo così. Quando nemmeno una buona risata riusciva a scacciare le sue preoccupazioni, non poteva semplicemente lasciar perdere. Gli voleva troppo bene per farlo.

Lee rimase a guardarla per qualche secondo, stupito. Poi sospirò. «È che mi stavo chiedendo... per quanto continueremo così.» disse piano, abbassando lo sguardo.

«Così... così come?»

«Per quanto ancora dovremo correre contro il tempo, guardarci le spalle, essere usati per i comodi altrui...» elencò Lee, con un’espressione triste che non gli apparteneva. «...ferirci, non avere un attimo di respiro, fare i salti mortali per perseguire cause che non ci appartengono...» Kim seguì il suo sguardo vagante, incantata, finché non fu tornato sui suoi occhi. «Per quanto ancora dovrò aver paura di perderti ogni volta che ti tolgo gli occhi di dosso.»

Per un istante, solo un istante, Kim sentì il petto comprimersi, come se il suo cuore avesse voluto implodere.

Quindi era solo questo? Solo questo?

Incominciò a ridere, incapace di trattenersi in alcun modo.

«Che scemo...» gli allacciò le braccia intorno al collo e lo trascinò a terra con sé. «Che scemo che sei, che scemo...»

Senza smettere di ridere, spinse Lee sulla schiena e gli si mise a cavalcioni, trovandosi nella posizione opposta a quella di prima. «Che scemo.» ripeté, asciugandosi un occhio col dorso della mano. Lee la guardava come se fosse impazzita, ma non importava.

«Senti un po’. Sei stato tu ad accettare di infilarci in questo casino, quindi non voglio sentire lamentele.» dichiarò, sforzandosi più che poteva di non ridere, almeno mentre parlava. «E se è della nostra vita messa sottosopra che ti preoccupi, ce ne possiamo sempre costruire un’altra.»

Lee non sembrava del tutto convinto. «E se questa nuova vita non ci piacesse?»

«Beh, se ci stufiamo, scappiamo a Sinnoh.»

Kim sentì il pavimento sfuggirle da sotto le gambe, e in un secondo si ritrovò ribaltata. Quando riaprì gli occhi, Lee sorrideva di nuovo. «E giuri che nel frattempo non ti farai ammazzare?»

«Uhm... farò del mio meglio.»

Lee le pizzicò di nuovo il naso. «Allora d’accordo. Sopportiamo ancora un po’, e quando ci stufiamo...»

«Fuga.»

«Fuga.»

Kim socchiuse gli occhi, ricordando l’ultima volta che si erano detti quelle parole.

«Senti, noi ci andiamo.» aveva detto Lee, deciso. «Non ha comunque senso restare qui.»

«E se... e se fosse un errore? E se...»

«Nessuno ci costringe ad andare fino in fondo. Se ci stufiamo, possiamo sempre scappare a Sinnoh.»

Era stato un giorno importante, quello. Forse il più importante.

Il rumore della porta d’ingresso che si apriva, seguito da un sospiro sconsolato, interruppe il suo filo di pensieri.

«N!» esclamò Kim, cercando in fretta di rialzarsi, col solo risultato di andare a sbattere la fronte contro quella di Lee.

«Ahia! Stai attenta!»

«Scusa... ahi...»

Massaggiandosi la fronte con una mano, Lee si alzò e porse l’altra a Kim, per aiutarla a tirarsi su. «Ehi, N.» disse. «Com’è andata?»

In risposta gli arrivò un altro sospiro. «Ho bisogno... ho bisogno di sedermi un attimo.»

N passò accanto a loro e si lasciò letteralmente cadere sul divano. Mise per qualche istante la faccia tra le mani, si stropicciò gli occhi, leggermente cerchiati di grigio. Kim pensò che non lo vedeva così stravolto da... beh, da tempo. Non sembrava nemmeno lui, in un certo senso.

«Che cos’è...?»

N lasciò cadere le mani. «Ho appena...» scosse la testa, ricominciò: «Ci sono cose... ci sono cose che...» Tamburellò le dita di una mano sul ginocchio, forse in cerca delle parole giuste. Sembrava non riuscire a tenere lo sguardo fisso, continuava a spostarlo da una parte all’altra, inquieto.

Kim incominciò a preoccuparsi. Cosa poteva essere successo di tanto tremendo da sconvolgerlo così? Gli si avvicinò di un passo, ma N la fermò, protendendo di scatto la mano aperta verso di lei. «Solo... scusa, rimani lì ancora un attimo.» disse, senza guardarla.

Turbata, Kim cercò qualche rassicurazione girandosi verso Lee, ma lui non era più accanto a lei. Lo scoprì dietro al divano, che porgeva ad N un bicchiere d’acqua. Non si era neanche accorta che si fosse spostato.

«Grazie.» disse N. Buttò giù l’intero bicchiere tutto d’un fiato e lo restituì a Lee. «Non sono più... abituato a certe cose.»

«Quali cose?» Kim dovette fare uno sforzo considerevole per rimanere dov’era.

N strinse le labbra. Congiunse le mani, si sporse un poco in avanti, lo sguardo diretto al pavimento. «Rotom... sta male.» disse, a fatica.

Kim aggrottò le sopracciglia. «C’è bisogno che lo portiamo a un-»

«No, non in quel senso.» la interruppe N. «È che... è incredibilmente aggressivo, continua a ripetere che torneranno a prenderlo...» si morse la punta del pollice, interrompendosi per un momento. «E piange, piange in continuazione.»

«Oh.» Kim stava iniziando a capire.

N strinse le mani tra loro, facendo sbiancare un poco le nocche. «Ho cercato di parlargli. Ho cercato di... di fargli capire che non avevo intenzione di fargli del male.» disse, il dolore chiaro nella sua voce. «E lui... mi ha raccontato delle cose.» Prese un respiro, come a voler continuare, ma poi alzò lo sguardo su Kim. I suoi occhi erano tristi, spenti. «No, non sono sicuro che tu le voglia sentire.»

Cauta, Kim si avvicinò e si sedette sul bracciolo del divano, dal lato opposto al suo. Poteva già immaginare che tipo di cose avesse sentito N, e il solo pensiero le dava i brividi. «Non preoccuparti per me. Va’ avanti.» disse, faticando un po’ a mantenere il suo normale tono di voce.

N tornò a fissarsi le mani. «Esperimenti.» disse. «Mi ha raccontato di essere stato sottoposto, per mesi, a... ad esperimenti di ogni genere. Di ogni genere.» ripeté, con la voce che tremava. Si morse un labbro. «Più me ne parlava e più... non... io non credevo che ci fossero ancora persone così, credevo che... è così barbaro, orribile.»

Kim sentì il cuore stringersi. Riusciva perfettamente a vederli: pokémon tremanti ed impauriti, tenuti chiusi nelle loro pokéball anche per settimane intere, a sperare solo di non dover più affrontare l’orrore esterno. Pokémon senza pelliccia a causa di iniezioni ed operazioni chirurgiche, senza penne perché non potessero volare via, senza scaglie, cadute per la denutrizione. Pokémon costretti a ripetere lo stesso attacco ancora e ancora, senza sosta, finché non perdevano i sensi per la stanchezza. Pokémon...

«Non ha voluto dirmi niente del suo allenatore.» proseguì N, scuotendo la testa. «Però, a quanto pare, è stato lui a tirarlo fuori da quell’inferno. Gli è incredibilmente grato, ed è per questo...» inspirò profondamente. «È per questo che è convinto che tornerà a prenderlo.»

Lee gli mise una mano sulla spalla. «Sei stato bravo.» gli disse, in tono rassicurante. «Sono più informazioni di quante me ne aspettassi.»

Kim annuì. «Credi di aver capito qualcosa?»

«Non ancora, ma ci sono diversi elementi su cui lavorare.» rispose Lee. «A cominciare da questi esperimenti sui pokémon. Anch’io ero convinto che nessuno ne facesse più.»

«Pensi...» Kim esitò, sentendosi stupida a fare una domanda del genere. «Pensi che Zania c’entri qualcosa? Lei lavora in laboratorio, potrebbe...»

Lee ci pensò su un attimo. «No, non credo.» disse. «Non è quel tipo di persona... ma qualche suo collega potrebbe averla immischiata nella questione, non è da escludere.»

«Credo comunque che sia lei la prima persona con cui dobbiamo parlare. Se vi ha spediti nella trappola di ieri, saprà di certo chi c’è dietro.»

«Non è detto.» la contraddisse Lee. «Nel biglietto che ha lasciato, ha scritto “Non avevo scelta”. Probabilmente è stata ricattata da qualcuno, e non sempre i ricattatori forniscono dettagli.»

«In ogni caso,» aggiunse N, la voce ancora un po’ spenta, «abbiamo provato a chiamare il suo laboratorio stamattina, e nessuno sa dove sia. È sparita.»

Kim appoggiò il mento a una mano, pensosa. Tutto quello che stava accadendo in quegli ultimi tempi era così... strano. Non riusciva a credere che fossero state tutte coincidenze. «Forse è il caso di chiamare...»

Lei e Lee si guardarono negli occhi per un istante, poi scossero entrambi la testa.

«No, no.» disse Lee. «Saranno anche state compagne di università, ma non mi sembra il caso di scomodare Lei.»

«Non è mai il caso di farlo.»

N li fissò per qualche secondo, perplesso, e sbatté un paio di volte le palpebre. Poi scrollò le spalle. «Ah, a proposito.» disse. «Mentre rientravo, ho trovato questa nella cassetta delle lettere.» Tirò fuori da una tasca dei pantaloni una busta e la porse a Lee, che era il più vicino dei due. «Non so, ha l’aria di essere importante.»

Kim sentì il cuore saltare un battito. «Oh, cazzo.» disse, fissando la busta come se fosse stata una bomba ad orologeria.

Lee aveva in volto più o meno la sua stessa espressione terrorizzata, mentre con cautela apriva la lettera. Ne tirò fuori un unico foglio, sottile e dall’aria minacciosa. «Oh, cazzo.» disse anche lui, appena vi posò gli occhi.

Solo una persona conosceva il loro indirizzo. Solo una persona.

«Siamo stati sfrattati.»

 

 

 

 

   
 
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