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Autore: Kimberly Anne    25/10/2012    5 recensioni
«Per la trentaseiesima, sacrosantissima volta, Nardo: io quel Chiarolite non lo volevo neanche accettare! Avete finito di rompere le scatole, tutti quanti?»
Una terribile disgrazia sta per abbattersi sulla regione di Unima.
Ma gli Eroi non hanno alcuna intenzione di sventarla.
Direttamente da Pokémon Bianco e Nero: Unruly Heroes - Gli eroi che non avevano mai chiesto di diventare tali.
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Unruly Heroes'
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Capitolo 15

Puzza di Guai

 

Partiva sempre da un innaturale stato di calma.

Spalle rilassate, respiro lieve, sguardo tranquillo. A volte inclinava un poco la testa; altre, catturava con le labbra una ciocca di capelli.

Si trattava di centesimi di secondo, ma erano momenti da fotografia, quelli. Geometricamente perfetti.

E dal nulla una scintilla, le fiamme, il fumo, pezzi di vetro e cemento scaraventati in tutte le direzioni, il boato assordante della compressione dell’aria.

«Come sarebbe a dire?!»

Ogni volta era come un’esplosione: improvvisa, violenta, spaventosa... affascinante.

N si morse un labbro, sentendo i battiti del suo cuore accelerare.

«Che siamo stati sfrattati.» ripeté Lee, sebbene avesse l’aria di non crederci neanche lui.

«Credo che quello fosse l’unico punto chiaro della questione.» disse N, spostando di proposito l’attenzione su di lui.

«Esatto.» Kim gli saettò davanti e strappò la lettera dalle mani di Lee. N allungò il collo per sbirciarla, ma l’angolazione non era delle migliori. Vide invece benissimo il leggero tremore che prese quasi impercettibilmente a scuotere le mani di Kim, mentre il suo petto iniziava ad alzarsi e ad abbassarsi sempre più in fretta. Il collo della ragazza si tese, le sue labbra si strinsero, i suoi occhi si fecero grandi mentre scorrevano la lettera riga per riga. «Gli inquilini si sono resi morosi...» lesse, a fior di labbra. «Obbligo di abbandonare lo stabile entro ventiquattr’ore...»

 N deglutì a forza. Se avesse trovato una bomba ad orologeria sul punto di esplodere, avrebbe provato lo stesso, insano desiderio di toccarla?

«Beh, basterà pagare l’affitto e si sistemerà tutto, no?» disse, cercando di alleggerire l’aria pesante che si era venuta a creare. «Quanto avete in cassaforte?»

Lo sguardo vacuo e un po’ triste che i ragazzi si scambiarono gli fece capire di aver fatto la domanda sbagliata.

«Kim, N crede che abbiamo una cassaforte.»

«Non so se ridere o piangere.»

«Ci costerebbe di più una cassaforte che non quello che potremmo metterci dentro.»

N sbatté le palpebre un paio di volte. «Ma allora... dove mettete il denaro, le cose preziose?»

«Il denaro, dice!»

«Le cose preziose, dice!»

La loro risata sapeva di lacrime.

«Dev’essere bello avere delle cose preziose da mettere in cassaforte...»

«Dev’essere bello preoccuparsi di dove mettere le proprie cose preziose...»

«Dev’essere bello poter pagare l’affitto con cose preziose...»

Stringendo le labbra, N si chiese quale legge della fisica lo costringesse sempre a dire la cosa più sbagliata possibile nei momenti di crisi. «Sì, beh, non è che sia, insomma...» balbettò, incapace di trovare un qualsiasi argomento per distrarli dall’annosa questione soldi-affitto-cassaforte. «Allora, sentite: un Petilil, un Tympole e uno Scraggy entrano in un ba-»

«Per l’amor di Arceus, tutto ma non le barzellette di N.» lo interruppe Kim, con un’espressione poco meno che disgustata.

«Che hanno che non va?»

«Fidati, Lee, non lo vuoi sapere.» Kim sospirò. «Piuttosto... davvero, quanti soldi ci sono rimasti?»

«Niente di neanche lontanamente sufficiente a saldare sei mesi di affitto.»

«Sei mesi?» esclamò N, senza potersi trattenere. Sapeva che erano messi male economicamente, ma fino a quel punto...? Si fece un appunto mentale: raccomandare a Faustino di raccogliere e registrare più accuratamente i dati della contabilità dei ragazzi.

«Sono successe... cose.» lo liquidò Lee, con una scrollata di spalle. «Però, pensandoci, se riuscissimo almeno a pagare un paio di mesi... forse...»

«Per questo te lo sto chiedendo: quanto ci è rimasto?» chiese Kim, con una nota d’ansia nella voce.

«Uhm...» Lee alzò gli occhi, facendo dondolare un poco la testa. Probabilmente stava facendo dei rapidi calcoli a mente. «Beh, abbiamo i guadagni del Deerling e...»

«E...?» lo incoraggiò Kim, speranzosa.

Lee riabbassò lo sguardo. «E... i guadagni del Deerling.»

«Nient’altro?» N era a dir poco allibito. Lui e Faustino avrebbero dovuto fare una bella chiacchierata, sì. Forse un paio di settimane a fare le pulizie nel Castello gli avrebbero fatto riconsiderare l’importanza dei suoi doveri.

«È... è assurdo!» esclamò Kim. «E i soldi dell’orecchino che abbiamo recuperato a Camelia a inizio mese?»

«Sono bastati a malapena per fare la spesa.»

«E il Cinccino carnivoro di cui ci siamo sbarazzati a Ponentopoli?»

«Luce e acqua.»

Kim fece schioccare la lingua. «Cazzo.»

N lo vide di nuovo: quel singolo, effimero istante di calma piatta.

«Un momento, un momento!» esclamò, sperando di evitare un ritorno di fiamma. «E il lavoretto di due settimane fa, quello a Sciroccopoli?»

«Quale... ah.» Kim strinse tra le mani la lettera di sfratto. «Giusto. È stato appena due settimane fa, vero?»

Calma. Pura e semplice quiete. In lontananza, un Pidove cinguettò una melodia allegra e piacevole.

«Io quel pezzo di stronzo lo uccido!» In un impeto di rabbia, Kim gettò a terra la lettera e rimase a fissarla per qualche secondo. «Dopo tutto quello che abbiamo fatto per lui... quello che abbiamo fatto per tutti quegli idioti...»

N trattenne il fiato, si costrinse a rimanere fermo. Voleva toccarla. Voleva sentire il battito accelerato sotto la sua pelle, la tensione improvvisa dei suoi muscoli sottili. Voleva analizzare ogni sintomo di quella rabbia e registrarlo nella memoria, al punto di conoscerla talmente bene da averne il controllo. Ma non poteva. Avrebbe rovinato tutto.

«Non ci possiamo fare niente.» disse Lee, toccando il braccio di Kim per cercare di trasmetterle un po’ di tranquillità. «Ora dobbiamo solo pensare con calma ad una soluzione.»

«Ce l’ho io, la soluzione.» disse Kim, la voce che le tremava un poco. «Vado ad ammazzarlo di botte.» Ciò dichiarato, scostò bruscamente Lee e si fiondò in camera, veloce come una saetta. Così veloce che N fu certo di sentirla sbattere contro lo stipite della porta e imprecare tra sé.

«Finirò per impazzire.» sospirò Lee, passandosi una mano sulla faccia. «Quello che ci sfratta da una parte, Kim che perde la testa dall’altra...»

N riprese solo in quel momento a respirare, e gli sfuggì un mezzo sorriso. «Dimentichi la signorina misteriosa di ieri.»

«Stavo elencando solo i casini odierni, se dovessi prenderli in considerazione tutti staremmo qui fino a domattina.»

Ciononostante, Lee si portò una mano al petto, nel punto in cui fino a qualche ora prima c’era stata una scritta rosso sangue.

N si mordicchiò l’interno della guancia. Era il momento giusto per chiederlo? Beh, aveva già fatto parecchie domande inopportune, quindi una in più non avrebbe ucciso nessuno. Probabilmente. «Perché non hai voluto dirglielo?» chiese, accennando con la testa alla camera di Kim.

«Non è ovvio?»

«No, non proprio.»

Lee rise. «E poi vai in giro a dire di conoscerla come le tue tasche, eh?» disse, divertito. «Kim sarebbe più che contenta di appendermi al collo un cartello “Non Toccare”. Finché non abbiamo neanche una vaga idea di chi ci sia dietro a questa storia, è meglio tenere la bocca chiusa. Non ti sembra che quella lì sia già abbastanza soggetta a crisi isteriche così com’è?»

«Questo lo posso capire, ma...»

«Lee! Dov’è finito il mio sfollagente?» urlò Kim dall’altra stanza. L’irritazione nella sua voce non prometteva nulla di buono.

Lee roteò gli occhi. «E ora andiamo a scongiurare un omicidio.»

N fece di sì con la testa e, cautamente, si avvicinò insieme a Lee alla porta aperta della camera di Kim.

La ragazza era impegnata a frugare nervosamente nel cassettone sotto al suo letto, ed emanava una tremenda aura omicida.

«Lo picchierò. Gli spezzerò tutte le ossa, una per una, finché non avrà più nemmeno la forza di urlare e chiedere scusa.» mormorò tra sé, sgombrando il cassetto da alcune sfere poké e un paio di calze. «E quando avrò finito, taglierò il suo corpo in taaaanti piccoli pezzettini, che userò come esche per pokémon.»

Senza potersi trattenere, N si aggrappò al braccio di Lee, terrorizzato. «È... è...»

«Spaventosa.» completò Lee, anche lui abbastanza intimorito da non preoccuparsi neanche dello stalker appeso al suo braccio.

N deglutì. «Non dovresti... insomma... fare qualcosa?»

«Beh, probabilmente... ehi, aspetta, che significa “dovrei”?»

«Prima persona singolare del condizionale pres-»

«Dovremmo, N, dovremmo. Renditi utile, una volta tanto.»

«Ma mi fa pa-ahia!» N si portò una mano alla guancia, dove Lee gli aveva appena dato un pizzicotto. «E va bene... che cosa devo fare?»

Lee lo squadrò per qualche secondo, pensoso. «Sii te stesso.» disse alla fine. «Solo, meno piagnucoloso, se puoi. Vieni.»

Cauti, si spinsero oltre la soglia della camera. Per la cinquantunesima (o forse cinquantaduesima?) volta, N si chiese come si potesse far entrare così tanto rosa in così poco spazio: praticamente tutti gli oggetti e i mobili ne presentavano una qualche sfumatura, un po’ come se la femminilità di Kim si fosse concentrata interamente in quella stanza e da là non dovesse uscire.

Purtroppo, in quel momento il rosa pareva scomparire dietro alla pesante oscurità che vibrava nell’aria.

«Sì, saranno proprio delle ottime esche...» ridacchiò Kim, sollevando un pokéflauto per valutarne l’utilità come oggetto contundente.

Dimostrando un coraggio che solo da lui ci si poteva aspettare, Lee le si chinò accanto e le mise una mano sulla spalla. «Kim... credo che sarebbe meglio se ti calmassi, adesso.»

Per tutta risposta, lei gli puntò il pokéflauto alla gola. «Sono calmissima.» sibilò, stringendo gli occhi.

Lee non si lasciò impressionare e rimase fermo dov’era. «Oh, sì, più o meno quanto io sono innamorato di N.»

Kim roteò gli occhi. «Felicitazioni, allora. Mandatemi una cartolina dal viaggio di nozze.» disse, tornando a frugare nel cassetto.

«Dico sul serio. Senza considerare che l’omicidio va contro ogni regola etica del mondo civilizzato...»

«E ti sembra che me ne importi qualcosa?»

«...appunto, lasciando anche perdere l’etica, credo che abbiamo parlato del fatto che uccidere le persone è illegale e...»

«Di nuovo: ti sembra che me ne importi qualcosa?»

«...e del fatto che la polizia di Unima è inutile quando si tratta di criminali veri, ma sono diventati professionisti nel catturare noi.»

Kim si irrigidì e smise di frugare nel cassetto. Per un istante, N si chiese se avesse finalmente rivisto la ragione, ma poi notò che le sue spalle stavano tremando.

Oh, no.

«Lo vedi? È tutto un problema di questa fottuta Regione!» esplose Kim, alzandosi in piedi di scatto. «Eroi di qui, Eroi di là, e finché salviamo il culo a tutti va bene, ma appena si tratta di questioni idiote come picchiare un maniaco o non pagare qualche mese d’affitto ci danno tutti addosso, come se non avessimo già abbastanza...»

Il cuore di N batteva forte. Voleva che si fermasse, ma allo stesso tempo voleva vedere quanto poteva avvicinarsi alle fiamme divampanti prima di scottarsi.

Decise per una via di mezzo: prese Kim da sotto le ascelle e la sollevò da terra.

La ragazza rimase come paralizzata, il respiro mozzato e le guance di un vivace color porpora. «C-cos... che...» provò a dimenarsi, ma l’essere sospesa in aria pareva averla messa in netto svantaggio. «Me-mettimi giù!»

«Sei. Troppo. Agitata.» soffiò N, tenendola all’altezza del viso. Adesso che lo notava, faceva un altro effetto guardarla senza dover abbassare la testa. I suoi occhi sembravano più grandi e... gli facevano venire una voglia matta di prenderla in giro. Fissò lo sguardo dritto nelle sue pupille, nel modo che sapeva l’avrebbe imbarazzata di più. Sii te stesso, aveva detto Lee. Niente di più facile. «Quando fai così... vorrei baciarti.»

Kim smise all’istante di cercare di divincolarsi. Il rossore delle sue guance si diffuse su tutto il viso, fino a renderle purpuree perfino le orecchie. Era così carina che quasi quasi l’avrebbe baciata davvero...

«Lee!» piagnucolò lei. «Per favore, per favore, almeno lui lo posso picchiare? È autodifesa!»

N si morse un labbro. Doveva immaginarlo, che avrebbe finito per scottarsi.

 

*******

 

L’aria di quella palestra era sempre leggermente umida, e sapeva di ferro. Per Kim, che tra i suoi prediletti aveva i pokémon Fuoco ed Elettro, era un’aria che puzzava di guai.

Fece roteare il pokéflauto tra le dita un paio di volte, lo batté sul palmo della mano. «Buongiorno, Brigida.» sorrise. «Vedo che non sei ancora riuscita a fuggire da questo schifo di posto.»

La receptionist deglutì e si sistemò nervosamente la giacchetta azzurra. «B-buongiorno.»

«Dai, Kim, piantala di spaventarla.» disse Lee, spingendo l’amica di lato.

«Non la sto spaventando, sto facendo conversazione

«Conversazione terroristica.» Lee si voltò verso Brigida e le rivolse un sorriso rassicurante. «Al solito, siamo qui per vedere Rafan. E Kim ha promesso di non picchiare nessuno con quel flauto, quindi torna pure a respirare.»

Brigida parve leggermente sollevata ed annuì. «Certamente. Devo annunciare due... no, tre persone?» chiese, alzando la cornetta del telefono.

Kim e Lee si voltarono di riflesso verso N, attualmente impegnato a sporgersi oltre il bancone della reception per osservare quello che c’era dietro. Sembrava particolarmente affascinato da un blocchetto di post-it colorati, che guardava come se fossero stati un qualche tipo di reperto alieno.

«No, solo due.» sospirò Lee. «La palestra è un posto pericoloso per i bambini. Comunque...» si avvicinò leggermente a Brigida. «Detto fra noi... com’è l’umore del capo, oggi?» sussurrò, in tono confidenziale.

Brigida sbatté un paio di volte le palpebre, e Lee fece lo stesso. Kim roteò gli occhi e appoggiò la schiena al bancone.

Dopo qualche momento di esitazione, Brigida riagganciò con cura la cornetta. «Uhm, oggi ha battuto tre allenatori...» mormorò, incerta. «Questo l’ha certamente messo di buon umore, ma...»

«Ma...?»

«Circa un’ora fa... gli ho passato una chiamata della signorina Camelia.»

«Oh.»

Mentre l’estorsione di informazioni continuava, Kim si controllò distrattamente le unghie. Era da un po’ che non le tagliava, forse avrebbero potuto fungere da arma in caso di necessità.

«Non ho idea di cosa si siano detti, mi dispiace.» disse Brigida, con un filo di voce. «Spero per voi che sia stata una conversazione... piacevole. Il signor Rafan ha...» abbassò ancora di più la voce. «...ha molto a cuore la signorina Camelia, ecco.»

«Già.» sospirò Lee. «Speriamo in bene.» Rimase pensoso per un paio di secondi, poi fece un mezzo sorriso. «Grazie, Bridge. Sei sempre gentilissima.»

«D-di nulla!»

Mentre la ragazza alzava frettolosamente la cornetta per annunciarli, Lee passò davanti a Kim e le rivolse la mano aperta. Lei gli diede il cinque con un sorrisetto. «Demonio.»

«Mi disegnano così.» le strizzò l’occhio. «...N, mi dici che ci trovi di tanto interessante in quei post-it?»

Il ragazzo sobbalzò e fece cadere il blocchetto che aveva tra le mani. «Li- li stavo solo guardando, giuro!»

«Attento, potrebbero arrestarti.» ridacchiò Lee. «Beh, fai il bravo mentre mamma e papà vanno a parlare di cose da grandi.»

«Se non fai danni, ti compreremo dei post-it.» aggiunse Kim, divertita.

N gonfiò le guance. «Io non faccio mai danni.»

«Ehm...» Brigida richiamò timidamente la loro attenzione. «Ho avvisato il signor Rafan. Potete prendere l’ascensore diretto per scendere da lui.»

Kim si rigirò nuovamente il pokéfaluto tra le dita. «Se dobbiamo proprio andare a morire, almeno andiamoci a testa alta.» dichiarò, con decisione.

Però, appena la piattaforma di metallo che la gente di Libecciopoli chiamava impropriamente “ascensore” iniziò la sua discesa, sentì un brivido risalirle la schiena. «Dovevi lasciarmi portare lo sfollagente.» mormorò, stringendo il pokéflauto.

Lee le mise una mano sulla testa. «Se ti arrestassero, per me sarebbe un problema.»

A Kim sfuggì un sorriso triste. «Fammi indovinare, perché non potrei pagare l’affitto?»

«Giusto, sì.»

Incredibile come la loro solita battuta fosse diventata d’un tratto così deprimente.

L’ascensore si fermò.

Il fondo della palestra assomigliava a quello di una qualsiasi miniera durante lo svolgimento degli scavi: nessuna pavimentazione se non la roccia naturale, polvere e detriti ovunque, operai al lavoro. L’unica nota stonata era l’imponente poltrona di pelle posta al centro esatto della grotta, su cui troneggiava un uomo corpulento, con un cappello da cowboy in testa e l’aria imbronciata di chi vuole tornare al più presto nella sua vasca da bagno piena di banconote.

Kim si strinse nelle spalle, già sulla difensiva. Lasciò che fosse Lee a parlare per primo.

«Buongiorno, Rafan.» disse lui, con evidente tensione nella voce.

L’uomo alzò lo sguardo dai fogli che aveva in mano. Sembrava già piuttosto irritato. «Ah, siete voi.» disse, come se Brigida non avesse passato quasi un minuto al telefono per dirgli che sì, erano gli inquilini del Cottage Vittoria, e no, non sapeva di cosa volessero parlare esattamente, però sì, li avrebbe fatti scendere immediatamente da lui. «Lasciate che ve lo dica subito: no, non ritirerò l’ordine di sfratto.»

Kim si era promessa di stare calma. Di ricorrere alla violenza solo se si fosse rivelato strettamente necessario. Ma quell’uomo le stava già dando sui nervi.

Lee dovette notare la sua inquietudine, perché le mise una mano sulla spalla e la strinse leggermente. «Ne possiamo parlare.» disse, deciso.

«Non c’è più spazio per le contrattazioni, solo sei mesi di affitto che mi dovete.»

Lee si prese qualche secondo prima di replicare. Aveva preparato le sue argomentazioni con cura, ma sapeva di non potersi permettere di sbagliare. «Possiamo pagarti subito un mese. E gli altri arriveranno.»

L’uomo alzò un sopracciglio. «Non basta. Nulla mi garantisce che ne sarete in grado; ve ne chiedo almeno cinque.»

«Possiamo pagartene al massimo due.»

«Meno di quattro non avrebbero senso.»

Lee strinse i pugni. «Ti giuro che te li pagheremo, ci serve solo un po’ di tempo!»

Rafan rise. Kim non aveva mai sentito una risata tanto odiosa, e di allenatori supponenti e pieni di sé ne aveva incontrati parecchi. «Avanti, Leeroy, non prendiamoci in giro. Siamo tutte personcine adulte qui, o sbaglio?» Si alzò in piedi, tirò fuori un sigaro e lo accese con la massima tranquillità. «Abbiamo fatto questo discorso parecchie volte, e vi sono sempre venuto incontro.»

«Questo lo so, ma se solo-»

«Il tempo dei giochi è finito.» tagliò corto Rafan. «Sapevo fin dall’inizio che non mi sarei dovuto mettere in affari con dei mocciosi. Se avete qualcosa da ridire, andate pure a piangere dalla mamma.»

Kim sentì qualcosa scattare. Prima di rendersene conto, era a pochi centimetri da Rafan, che la guardava dall’alto in basso con aria di sfida.

«Stammi bene a sentire, stupido cowboy tarchiato.» ringhiò, con una voglia tremenda di mettergli le mani addosso. «Da quando siamo diventati allenatori, abbiamo fatto più lavoretti sporchi per te che non per tutto il resto di Unima messo insieme.»

Rafan le soffiò in faccia uno sbuffo di fumo. «Ma davvero.» Kim sentì gli occhi bruciare, ma il suo sguardo non vacillò.

«Sì, davvero. E non mi costerebbe nulla andare a raccontare a Camelia che fine hanno fatto le mutandine a strisce che ha “perso” due settimane fa.»

Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, Rafan parve finalmente sorpreso. Forse perfino scosso. Si ritrasse di un passo e aspirò dal sigaro. «Non avete prove.» borbottò, mordicchiandolo.

«E credi che un sospetto non le basterebbe a tagliare definitivamente i ponti?» sorrise Kim, spavalda. «Probabilmente non aspetta altro. Le cose tra voi non vanno molto bene, ultimamente... o sbaglio?»

Rafan prese un profondo respiro, dilatando le grosse narici. Evidentemente la faccenda gli stava dando da pensare.

«In fondo non ti stiamo chiedendo di darci la casa gratis.» disse Lee, tornando accanto a Kim. «Vogliamo solo un po’ di... elasticità da parte tua. Non sembra irragionevole, no?»

Il capopalestra non rispose. Prese due boccate dal suo sigaro, espirò il fumo lentamente. «No.» disse infine, deciso. «La questione è già chiusa. Non ho intenzione di perdere altro tempo.»

«Oh, ma insomma!» esclamò Kim, esasperata. «Siamo appena stati ri-nominati “Eroi di Unima”, cosa che ci ha portato più oneri e doveri che diritti; possibile che non conti nulla?»

L’uomo storse il naso. «Il vostro titolo di Eroi è ciò che vi ha concesso di evitare lo sfratto per sei mesi. Non venite a chiedere trattamenti di favore quando tutta la Regione gira già intorno a voi.»

«Intorno a noi?» Kim strinse il pokéflauto tra le mani, più che decisa a farne uso. «Ma ti ascolti quando parli, razza di-»

Lee la prese per un braccio e scosse la testa. Le stava dicendo di non andare oltre. Che era una battaglia persa. Kim si voltò verso di lui, ancora restia a rassegnarsi.

«È casa nostra.» disse piano. Tutta la tristezza che non aveva espresso da quando aveva preso in mano la lettera di sfratto era concentrata in quelle parole.

Lee le sorrise, senza allegria. «Lo so. Piaceva molto anche a me.»

If it hadn’t been for cotton-eye Joe, I’d been married long time ago, where did you come from, where did you go, where did you come from cott-beep.

«Pronto?» Rafan rispose al telefono, ancora accigliato. «Frena la lingua, Brigida, non capisco niente. Cosa? Non è possibile, è la terza volta questo mese! Sono davvero persistenti. Certo, è ovvio che qualcuno deve fermarli. Piantala di piagnucolare, Brigida, sto pensando.»

Kim arricciò le labbra. Per qualche motivo, aveva l’impressione di sapere che cosa stava succedendo all’altro capo del telefono. «La senti, Lee?» chiese, inquieta.

«Che cosa?»

«Quest’asfissiante puzza di guai.»

Rafan stava stringendo il telefono come se avesse voluto distruggerne ogni singolo circuito, ma il suo tono era stranamente calmo. «Il Campione, dici? Ma loro dovrebbero... no, certo. Sì, è la cosa più logica da fare. Grazie, Brigida, richiamalo e digli che farò come ha consigliato.»

Nel momento in cui Rafan chiuse la telefonata, Kim batté insieme le mani. «Aaaah, come si è fatto tardi!» esclamò. «Dobbiamo trovarci un altro posto dove vivere, quindi credo proprio che sia ora di and-»

«Fermi dove siete.»

Kim deglutì a vuoto. Ecco, erano fregati.

«Ho una proposta da farvi.» disse Rafan stancamente, stropicciandosi gli occhi con una mano. «Posso darvi una piccola proroga per il pagamento dell’affitto. A patto che risolviate il mio problema.»

«Che tipo... di problema?» chiese Lee, cauto.

«Uno di quelli a cui siete abituati.»

Kim e Lee si guardarono. Nessuno dei due aveva la minima voglia di farsi incastrare in uno dei soliti lavori che nessun altro a Unima voleva o era in grado di fare. Allo stesso tempo, nessuno dei due voleva ritrovarsi senza un tetto sopra la testa.

«E va bene. Dicci che cosa dobbiamo fare.»

 

 

   
 
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