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Autore: Mikky    20/06/2012    1 recensioni
Siamo in orbita sulla Terra, ma non riusciamo a passare. Forse meglio fare retromarcia e…No, non si può! Fantastico! Siamo bloccati in una barriera di contenimento, o qualcosa del genere. È composta da due barriere, che fanno da intercapedine…E’ magnifico! Per muoverci dobbiamo passare una specie di controllo, probabilmente…
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - 10, Donna Noble, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che posso chiamare famiglia

Hangar Moon.
Donna uscì dal teletrasporto con tantissime domande per la testa, aveva provato a farsi dire qualcosa dal Dottore, ma lui era rimasto zitto.
Quando Hope se n’era andata, il suo compagno d’avventura aveva continuato a fare domande al Ministro, apparentemente disinteressato dalla fuga della ragazzina, ma le risposte che gli furono date non erano soddisfacenti. Così il Dottore aveva deciso di tornare a ‘casa’.
“Dottore…” provò nuovamente Donna, seguendo l’alieno fino al TARDIS.
“Dimmi” mormorò l’altro entrando nella sua navicella.
“Che tipo di alieni sono?” domandò la donna.
“Sono guerrieri. Molto antichi, per i cannoni terrestri, per i loro sono un popolo mediamente nuovo” il Dottore andò verso la cucina del TARDIS.
“Hanno delle tradizioni barbare!” protestò Donna seguendolo.
“E allora, anche le vostre tradizioni sono barbare per alcuni pianeti! Quindi non lamentarti!” cominciò a cercare qualcosa nella dispensa.
Donna rimase in silenzio. Era vero, aveva conosciuto popoli che trovavano grottesco il semplice tagliare l’erba del prato, ma per lei rimaneva orrenda l’idea di allenare i bambini al combattimento mandandoli direttamente in battaglia. Si zittì anche perché in quel momento il Dottore sembrava…non riusciva bene a capire quale era lo stato d’animo del suo amico. Sembrava arrabbiato, preoccupato…milioni di cose insieme.
Eppure, sentiva che quello era il momento in cui avrebbe potuto ottenere le risposte alle sue domande e poi era troppo testarda per lasciar perdere.
“Dottore, chi è Hope?”.
“Te l’ho già detto: un’allieva” rispose brusco l’altro.
“Ok, ma non è tutto! Chi è veramente Hope? Perché si è rabbuiata quando ha sentito dei vent’anni e dell’esplosione del pianeta di quegli alieni?” domandò Donna.
Il Dottore si fermò, rimanendo sempre di spalle “Perché pensava di essere l’ultima…l’ultima della sua specie”.
“Come te?”.
Lui annuì e si girò, poteva così guardare negli occhi la sua compagna d’avventura e amica.
“Lei è tutto ciò che posso chiamare famiglia…”.



Il TARDIS lo aveva portato in un pianeta completamente deserto. Uscì dalla navicella guardandosi attorno, cercando il motivo del cambiamento di rotta.
Non c’era nessuno, apparentemente. Stava risalendo quando sentii dei gemiti, tipici dei bambini appena nati.
Ritornò sui suoi passi e cominciò a camminare per la pianura desolata, guardando dietro ogni masso, ramo, arbusto l’origine del suono.
Alla fine trovò una donna accoccolata dentro una grotta, che teneva tra le braccia un piccolo fagottino. A prima vista sembrava umana, ma in quel momento sulla Terra si stavano scoprendo il fuoco e la ruota, dubitava che qualche umano sarebbe arrivato in un pianeta così lontano. Allora, da dove veniva quella donna?
L’unico modo per saperlo era chiederlo all’interessata!
Così il Dottore si chinò e cercò di svegliare la donna, che però crollò a terra, fu allora che controllò le funzioni vitali. Assenti!
Un urlo frantumò l’aria, proveniva dal fagottino. Lo aprì è trovò dentro una bambina, piccolissima, di pochi mesi.
Non poteva certo lasciarla là!
La prese con sé e la portò sul TARDIS dove si assicurò del suo stato di salute. Era in piena forma, aveva solo un po’ di fame e bisogno di essere cambiata.
Così l’alieno si trovò a destreggiarsi tra pannolini e pappe per neonati. Quando la bambina si addormentò, soddisfatta dalle attenzioni dell’improvvisato padre, il Dottore cominciò a cercare la provenienza della misteriosa bambina.
Asciugò con un fazzoletto la saliva che usciva dalla boccuccia semichiusa della creatura e la fece analizzare dalle apparecchiature del TARDIS.
Il suo pianeta era Zxrko, esploso quarant’anni umani prima, due anni per la popolazione Zxrkiana. Probabilmente quella bambina era nata prima dell’esplosione e la madre aveva trovato un modo per salvarsi e raggiungere un nuovo pianeta. Peccato che la sorte non era stata clemente! Il destino aveva scelto un pianeta veramente ostile…
Guardò le analisi, studiando tutti i dati…
“Com’è possibile?” chiese al nulla, quando arrivò alla voce Età.
L’attrezzatura del TARDIS non si sbagliava mai! E allora com’era possibile che quella bambina fosse nata poco più di sei mesi prima? Dov’era suo padre? Perché di certo una donna non poteva concepire un figlio senza un aiutino…Insomma, cos’era questa storia!
“Andiamo a cercare il tuo papà, piccola!”



Inutile. Era stato completamente inutile girare per tutto il pianeta alla ricerca del padre della bambina non aveva portato a nessun risultato. Probabilmente era morto anche lui e la donna, con le sue uniche forze, gli aveva dato degna sepoltura, oppure lo aveva bruciato, o ogni altra cosa che celebrasse la morte secondo la loro tradizione.
Si era così arreso e in un posto indefinito dell’Universo, il Dottore aveva cercato dei superstiti all’esplosione di Zxrko, per dare la bambina ad una famiglia che se ne occupasse, ma a quanto sembrava non ce n’erano.
Era l’unica sopravissuta. Era sola come lui…
Ma che doveva fare? Tenersela con sé o trovare una famiglia adottiva di un’altra razza?
Guardò la bambina che si era svegliata e si divertiva a giocare con una cravatta, che aveva trovato in giro, chissà in quale buco della navicella.
Tenerla con sé era troppo pericoloso, la sua vita non era certo adatta ad una bambina così piccola e lui non aveva certamente il tempo per starle dietro!
“Allora, che facciamo?” domandò sedendosi davanti a lei, guardandola negli occhi.
Di risposta ebbe solo un gemito.
“Ti potrei lasciare ad orfanotrofio galattico” propose.
La bambina lo guardò male, come a dirgli che era una pessima idea.
“Ehi, non osare guardarmi in questo modo!” poi sospirò “La solitudine mi fa proprio male, sto parlando con una bambina troppo piccola per capire che cosa sto dicendo!”.
E che c’è di male?sembrò dirgli con un sorrisino. O almeno interpretò così anche quella scrollata di spalle.
“Sicura di non voler andare all’orfanotrofio? Dicono che è un bel posticino” tentò nuovamente il Dottore.
La bambina mise il broncio.
“Ok, non ti va…Allora, che ne dici se…Non lo so…” alzò lo sguardo pensieroso “Potresti rimanere un po’ com’è finche non ti trovo una famiglia, va bene?”.
Un sorriso dolcissimo apparve sul visino della creatura, strappandone uno anche al vecchio Dottore.
“Finche rimarrai qui, però, ti servirà qualcosa, tipo un nome! Non posso dirti tutte le volte
Ehi, tu, vieni qui!Giusto?”.
La bambina sorrise ancora.
Cominciava a credere che quello scricciolo capisse veramente tutto quello che diceva.
Sorrise a quegli occhi marroni così radiosi. Gli sembrava di ricevere una seconda possibilità. Una seconda possibilità di essere padre, di avere una nuova famiglia…Ma questo voleva dire fermarsi, rinunciare alla sua vita da viaggiatore. Si sarebbe fermato veramente per…
“Hope” . Ecco il suo nome!
La bambina lo guardò curiosa. Gli stava chiedendo il perché di quel nome.
“Sulla Terra significa speranza, sul tuo pianeta vuol dire forza d’animo, su Z45 significa vita, a Ryox fortuna…Nel mio vuol dire possibilità. A questo suono corrispondono solo significati positivi”.
La bambina, pardon, Hope sorrise, felice più che mai del suo nome.



La bambina era cresciuta in salute e seguendo i tempi del suo pianeta natale.
Era molto intelligente ed era portata per la meccanica, tanto che molto spesso il Dottore era costretto a fermare le sue pazze corse perché lei voleva fermarsi ad aiutare qualche viaggiatori dello spazio a cui si era rotto il motore.
Molte volte aveva trovato una famiglia che sarebbe stata adatta a quella bambina, che dimostrava ormai 10 anni, ma che invece ne aveva più di 200, eppure ogni volta non riusciva a lasciarla.
L’aveva cresciuta da solo con le sue sole forze, le aveva insegnato il più possibile, tutto ciò che poteva.
Ormai la considerava sua figlia, la sua famiglia. E lei molte volte lo chiamava
Papà e lui ogni volta le ricordava di chiamarlo invece Dottore .
In quegli anni si era abituato ad avere il suo adorato TARDIS sempre in disordine, perché a quella peste rossa non bastava più la sua stanza per appendere i suoi progetti di strani marchingegni o le sue mappe stellari. Forse era stata ampiamente colpa sua la passione di Hope per le stelle, tanto che per insegnarle i misteri dell’Universo aveva creato,nel TARDIS, che contenesse una stanza con una ricostruzione dell’intero Universo all’interno.
Lo aveva fatto per lei, per vederla sorridere e felice.
Era la sua piccola bambina e non l’avrebbe mai lasciata.
Per questo era stato tremendo quel giorno, quando il giorno del 236 anno di Hope, lei le aveva chiesto una casa. Un posto stabile in cui stare.
Amava viaggiare con lui, ma aveva bisogno di fermarsi, almeno un po’.
Provò a farla desistere, ma non c’era riuscito. Hope era convita della sua scelta, così le trovò un vecchio shuttle, abbandonato sulla superficie lunare, in mezzo alle stelle come amava lei. Quella sarebbe stata la nuova casa della sua bambina.
Lasciò così quel pazzo e rosso tornado lì, con una promessa. Ogni sei mesi sarebbe tornato, precisamente il 25 giugno, il giorno del suo compleanno, e il 25 dicembre, data terrestre, per stare insieme, come la famiglia che erano.



Continua


Angolino tutto mio Allora, MARS88 ho risposto a tutte le tue domande???XD
Spero che seguirai anche gli altri capitoli, perché il bello deve ancora venire, e che continuerai a recensire….UN bacione enormeXD
  
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