Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Inucchan    06/01/2007    3 recensioni
Due vite. Due stili diversi. Due modi d'essere diversi. Un passato in comune forse... Il Mondo Visto da Lei. Il Mondo Visto da Lui. A volte non è il fato a far si che due persone s'incontrino...sono loro che si cercano...si trovano... e a volte...
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Simply Mine

Simply Mine

 

 

 

Atto V : Attrazione…e poi?

Seconda Parte

 

 

 

Desiderio. A volte può spingerti a commettere degli sbagli, a volte crea risvolti positivi. Questo fenomeno, sensazione, o sentimento quale a dir si voglia…porta comunque dei cambiamenti.

Fisici o Emotivi, a seconda della personalità.

Il Desiderio, rappresenta qualcosa di intimo, ricercato solamente quando alla razionalità s’unisce l’istinto.

Può essere carnale o sentimentale, può essere brutale o ascetico…

In mille forme è visto questo tipo di avvenimento.

A volte è sospinto dalla mancanza di logica, in altre solamente dall’impulso naturale. Tutto, inevitabilmente ruota attorno a questo.

 

Kagome era rimasta al di fuori dell’edificio, sola, col suo profumo ancora addosso. Il vento soltanto cantilenava placido la sua nenia, spezzata di tanto in tanto dal frusciare mesto del fogliame.

Un brivido di freddo. Una scossa. Un sussulto.

La testa aveva smesso di girare vorticosamente, però il senso di nausea, la pesantezza e il delirio non avevano ancora abbandonato il suo corpo.

S’era poggiata al muro, stringendosi nelle spalle. Immobile.

Le iridi nerastre erano ferme a fissare un punto indeciso sul terreno. Non riusciva a pensare al momento, ogni ragionamento era sconnesso e mancava di logica.

Solo una preoccupazione. Doveva trovare Sango, da un’ora a quella parte non l’aveva più vista, chissà se la stava cercando.

Paranoia. Si sa che l’alcol, dopo qualche tempo lascia unico spazio alle preoccupazioni, il mondo cade in un baratro di disordine e tutto pare grigio.

Non aveva la forza per muoversi al momento, sentiva freddo.

Chiuse gli occhi, sentiva il sonno partecipare maligno al suo senso di pesantezza. Le palpebre erano insostenibili.

La testa tornò a girarle peggio di prima.

Kagome?” Una voce, pareva lontana al momento. Una scossa.

Aprì gli occhi sbattendo un paio di volte le ciglia brune per focalizzare l’immagine dinanzi a lei. Annuì soltanto col capo, senza capire chi in realtà fosse la figura che s’era ritrovata davanti.

Si sentì sollevare delicatamente dal terreno, cullata tra le braccia di chissa chi.

Odeva passi, il rumore della ghiaia sotto le scarpe di qualcuno, poi erba. Non riusciva a distinguere i luoghi.

D’un tratto i passi si soffermarono. Il buio che aleggiava prima, pareva ora rischiarato appena da un lampioncino, una luce…

Focalizzò poco a poco le immagini circostanti. Sopra di lei, che la sorreggeva, la figura d’un ragazzo. Era Naraku. Non lo riconobbe.

Spiccò un lieve sorriso, portando la mano longilinea a carezzargli la guancia destra. Le iridi scure del ragazzo la osservarono bonarie. “Piccola cara, guarda come stai, ma ora c’è la tua Kenny vicino a te” le sussurrò, discostandole un ciuffo scuro che, ribelle le era ricaduto dinanzi al volto.

Un altro rumore, una portiera. La luce stavolta si fece più intensa.

“D…dove siamo?” riuscì a proferire lei, lottando tra il sonno e la veglia. Ora il rumore non s’odeva più, solamente un fischio sordo, probabilmente residuo della musica assordante della nottata.

Naraku la poggiò con riguardo sul sedile anteriore d’un auto. Le sorrise.

“Sei nella mia macchina, tranquilla…ora se vuoi, dormi…ti riporto io a casa” sussurrò gentilmente, senza imprimere troppo timbro nella voce, sapeva lo stato in cui si trovava la mora.

Lei sorrise flebilmente, seppur le iridi nocciola squadrassero il ragazzo/a interrogative. Naraku vi lesse disordine.

Kagura ha già riaccompagnato Sango a casa, quella sciocca s’era ubriacata di brutto stasera…s’è sentita male…ma stai tranquilla, stava dormendo…”.

Kagome, inconsciamente, sentì quel peso che prima l’attanagliava, improvvisamente rimosso dallo sterno.

Continuava a rimanere immobile nella posizione in cui Naraku l’aveva lasciata, accoccolata sul sedile, la gamba destra che scivolava appena sotto questo e le mani congiunte in grembo.

Naraku la osservò ‘paterno/materno’, cingendole il minuto corpo tra le braccia. Posizionò il capo di lei sulla spalla, pareva quasi una bambola da quanto era piccola.

Portò la manca a carezzarle gentilmente i capelli neri, rassicurandola.

“…Restiamo un po’ qui così ti riprendi un po’?” le propose affabilmente continuando a muovere la mano sul capo di lei, in un gesto cadenzato.

La mora annuì, chiuse nuovamente gli occhi, lasciandosi coccolare dalle carezze dell’amico/a e dalle sue parole.

Che buon profumo.

Il buon odore di Naraku si rimescolava alla fragranza di quello di Inuyasha, ancora impresso nella mente di lei. Unico ricordo che avrebbe serbato probabilmente, di quella serata.

Naraku se ne accorse. Anche lui, come il precedente ‘compagno di nottata’ della ragazza, era un mezzo demone, l’olfatto sensibile, notevolmente più sviluppato di quello umano, scorse questa nota contrastante sull’abituale odore della mora che seppur avesse scorto poche volte, era in grado di riconoscere.

“…Kagome, sei stata con qualcuno prima?” le chiese in tono disinteressato. Le sopracciglia di questo s’innalzarono appena, quasi avesse avvertito una sorta di ‘pericolo’ per lei.

La ragazza annuì mestamente, forse inconsapevolmente.

“Fammi un favore…” continuò lui, pareva leggermente alterato stavolta il tono che abitualmente appariva in falsetto e più gradevole.

Ora era maschile.

Kagome ascoltò, per quanto le era al momento concesso, le parole dell’hanyou. “Non immischiarti con lui…” concluse.

Lei emise un sospiro prolungato, nascondendo il volto sul petto del mezzo demone, quasi fosse una bambina.

Questo gesto, strappò un ulteriore sorriso alle labbra di Naraku che tornò a distendere i lineamenti del volto, ora, illuminati soltanto dal riflesso della luce intermittente dei fari delle altre macchine che s’apprestavano a lasciare il luogo.

Alzò lo sguardo, diritto avanti a sé, continuando quel gesto di consolazione nei confronti della ragazza.

“Piccola Kagome…non sai con chi hai avuto a che fare, dormi tesoro…e non pensarci più…” sussurrò tra sé, lo sguardo tornò serio per qualche istante. Sarebbe rimasto finchè lei non avrebbe ripreso coscienza.

Abbassò lo sguardo verso la mora, rimanendo qualche istante ad osservarla. Sospirò. Prima d’essere quel che era diventato, anche il suo cuore avrebbe potuto battere per una creatura simile, così bella e innocente tra le sue braccia.

Era cambiato tutto, aveva preso questa decisione per forza.

Tanti ricordi gli affioravano alla mente, quello stesso ebano che stava accarezzando, molto tempo prima era suo. I lineamenti di Kagome, erano così simili a quelli di ‘lei’.

Un nodo gli strozzò la gola. Il passato era passato.

Cos’era ora? Un finocchio…nient’altro che quello. Eppure, ancora quel contatto, d’un corpo femminile al suo, sapeva provocargli un brivido intenso lungo la schiena.

Smise di lisciarle i capelli. Lei dormiva, poteva sentire quel respiro a contatto con la pelle, caldo, regolato.

“…Vorrei poter tornare indietro…a volte…ma ora…sono felice così…” un commento amaro, aveva parlato con l’aspro in bocca, malinconico, la sua…infondo…era davvero felicità?

Non si chiese altro. Distaccò la ragazza dall’abbraccio, poggiandole il capo sul palmo della mano per permetterle d’adagiarsi sullo schienale del sedile.

Aprì la portiera, silenzioso, scendendo dalla macchina. Accostò lo sportello, soffermandosi in piedi, poggio gli avambracci tra l’apertura del portello e del tettuccio, allargandoli appena.

Intrecciò le mani l’una con l’altra, poggiando il mento su queste.

Lo sguardo s’era perso nuovamente, stavolta in direzione della discoteca, ancora, poco lontani, s’odevano la musica chiassosa e gli strepiti della folla.

L’espressione seriosa non cambiò. Fessurizzò le palpebre, socchiudendole a mezz’asta, quasi minacciose.

“…Inuyasha…se t’azzarderai a riavvicinarti a questa ragazza…giuro che te la vedrai con me…lei non merita di soffrire…e soprattutto non merita di venire a conoscenza del tuo schifoso passato…” si ripromise sottovoce, quasi si stesse rivolgendo al diretto interessato.

 

 

 

“Casanova…sei in casa?”

Inuyasha mugolò qualcosa, distorcendo appena la bocca. Tirò un sospiro, prima d’aprire lentamente gli occhi su ciò che rimaneva della serata.

Lentamente, mise a fuoco l’immagine dell’amico che, dinanzi a lui sostava con un sorrisetto malizioso dipinto sulle labbra.

Scosse più volte la testa, intontito. “Cosa…” mormorò appena, al suono della sua stessa voce però, gli sembrò come di sentire un forte tonfo. Istintivamente portò a parare entrambe le mani sulle orecchie sopra la testa, schiacciandole.

“Finalmente ti sei ripreso…Sakura mi ha detto che eravamo in uno stato a dir poco pietoso…” sussurrò, per non disturbare ulteriormente il suo udito.

Inuyasha lanciò un’occhiata verso la consolle. La festa era finita ormai.

Che ore sono?” mugolò basso nel tono. Le mani, si spostarono dalle orecchie, che rimasero basse, segno tipico dei canidi, se avesse avuto una coda, quella sarebbe stata tra le gambe in quel momento.

“Sono le sei…” rispose il ragazzo col codino, poggiando la destra sulla spalla dell’hanyou.

“…Il mio…” non finì la frase, portò le mani a sorreggere il capo, posizionando i gomiti sulle gambe aperte.

Miroku si morse il labbro superiore. Abbassò lo sguardo, pareva dispiaciuto. Era colpa sua se il suo migliore amico aveva rinunciato alla sua serata.

“Mi dispiace…” emise dolente. Era un pessimo amico, doveva farlo smettere e invece che aveva fatto? Per la sua stupida gelosia l’aveva incitato a continuare a bere.

Inuyasha distaccò appena i palmi dal capo, rivolgendo le iridi ambrate sul dongiovanni, erano fisse su di lui, senza un’espressione particolare, l’oro, lentamente aveva ceduto il posto ad un tiepido arancio.

Miroku rimase silente. Quando lo guardava a quel modo, significava solamente una cosa.

Delusione. Lo aveva deluso ancora, sentì quasi una fitta dolorosa al petto.

Non c’è peggior cosa di vedere disappunto negli occhi d’un amico. Discostò nuovamente le iridi oltremare da quelle di lui.

Lo sentiva, lo stava ancora fissando.

“Scusami…davvero…non l’ho fatto apposta…” si sforzò di discolparsi, questa volta era dispiaciuto veramente.

Probabilmente il mezzo demone non lesse questa verità nel suo sguardo, giacchè l’aveva abbassato. Si sollevò a fatica dalla poltrona su cui era stato adagiato dall’amico. Se così poteva chiamarsi al momento.

“Non è niente…” la sua voce.

Quel tono freddo e distaccato fece sollevare d’impulso il capo di Miroku. Gli dava le spalle.

Per qualche istante, le iridi cobalte del moro parvero tremare leggermente. “Inuyasha…” non proferì altro, cosa poteva dire? Era colpa sua, punto.

“Succede…” un’altra pugnalata al petto. Il timbro dell’amico, stavolta, era davvero pungente. Atono, alienato.

Non era da lui. Questa volta l’aveva combinata grossa e sapeva bene, che se avesse perso la fiducia che col tempo, Inuyasha, gli aveva concesso sarebbe stata solo colpa sua.

Non era una cazzata.

Se l’avesse fatto bere in una serata normale, non avrebbe detto nulla, forse si sarebbero messi a ridere il giorno dopo e tutto sarebbe finito la.

Questa volta però, per Inuyasha era importante, ci aveva messo mesi per completare quel cd.

Portò d’istinto la mano dinanzi alla bocca, come se la sua colpa si fosse trovata in quel punto e con quel gesto avesse potuto celarla.

Inuyasha s’avviò verso l’uscita. Non gli disse altro. Ora ne era certo, era arrabbiato con lui.

“Ti accompagno?” mormorò alzandosi impulsivamente dalla sua postazione, allungando la mano destra, come ad intimargli di fermarsi.

“No, ce la faccio a guidare…ci vediamo domani…” rimase ancora immobile per qualche istante, aprendo solamente la porta d’entrata con la destra.

Una folata gelida penetrò all’interno della stanza vuota. Lo stesso freddo percorse la schiena di Miroku, un brivido non dato dal vento, ma provocato dalle parole del mezzo demone che continuavano a ferirlo come coltelli ben indirizzati al petto.

L’hanyou volse il capo leggermente di lato, come per osservare l’amico di sbiego. Le sopracciglia scure erano inarcate di poco, emise un sospiro, poi lasciò la stanza.

Miroku rimase solo, immobile.

Cosa cazzo ho fatto…” si maledisse, avrebbe voluto prendere a cazzotti qualcosa in quel momento.

Stava male. Raramente gli succedeva, non aveva mai deluso Inuyasha prima d’ora, non aveva mai visto quell’espressione nei suoi occhi.

Le luci si spensero, lui s’avvicinò alla poltroncina sino a dove poco prima era seduto per riprendere la giacca.

Confusione.Pentimento.Tristezza.

 

 

Sango era distesa sul letto. Da quanto tempo si trovasse in quella posizione nemmeno lei lo sapeva, sbadigliò appena.

Portò entrambe le mani all’altezza degli occhi ancora impastati di sonno, fregò i pugni chiusi su di essi.

Mhh…” quando riuscì a rendersi conto di dove si trovasse, sobbalzò. Com’era tornata a casa? Si guardò attorno, accanto a lei, addormentata al bordo destro del letto, v’era Kagura.

Il volto della ragazza era nascosto tra le braccia, incrociate sul materasso, mentre lei sedeva su d’una seggiola.

Si tirò su a sedere, discostando appena i lembi della trapunta distanti dal corpo. Sorrise. Doveva essere stata lei a riaccompagnarla a casa.Kagome.

Sbarrò gli occhi, aveva lasciato da sola la sua migliore amica…e adesso?

Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, ancora buio.

Si fiondò sul cellulare appostato sul comodino di fianco a lei, compose frettolosamente il numero dell’amica attendendo che questo squillasse.

Niente. Non c’era segnale.

Le iridi oltremare s’immalinconirono, non doveva bere così tanto, lei era la razionalità doveva stare accanto a Kagome, non abbandonarla.

Lanciò il cellulare infondo al letto, portando le braccia ad abbracciare le gambe ancora nascoste sotto le coperte. Posò il capo di lato, ponendolo sulle ginocchia.

Kagura emise un lieve gemito, aprendo lentamente gli occhi “MhSango…” mormorò alzando il capo dolorante dalla sua postazione, smosse le spalle in modo circolare per alcuni istanti prima di poggiare la mano sul collo.

“Tutto bene?” le domandò mista a curiosità e preoccupazione.

Sango annuì, senza cambiare posa. “Scusami se ti ho fatto scomodare…” borbottò flebile, quasi in un sussurro.

Kagura portò la mano destra sotto il mento di lei, sorridendole.

“Non dirlo nemmeno per scherzo, ti vedo preoccupata…è successo qualcosa?” sgranò appena gli occhi, mostrando le iridi fulve, maggiormente accese col riverbero della luce.

La bruna sospirò, lanciando una sguardata fuori dalla finestra a vetrata che dava spettacolo sullo stradone inalberato fuori casa.

La flebile luce lunare, pallida, illuminava appena il paesaggio cittadino giocando coi chiaro-scuri notturni fatti di bagliore ed ombra.

“Sono preoccupata per Kagome…” rispose secca. Inarcò appena le sottili sopracciglia, corrugando la fronte.

La demone portò una mano a sfiorarle il volto “Tranquilla…vedrai che è a casa in questo momento…” tentò di rassicurarla, la ragazza, non sapeva che Naraku s’era occupato del farlo.

Sango trasalì “No, non posso stare tranquilla…e se un malintenzionato l’avesse abbordata?” sbottò, rizzando lo sterno in alto, così da liberarsi dalla carezza dell’amica.

Occhi Lucidi. Sguardo ansioso.

La youkai, divenne seria, estraendo dalla borsa appesa alla seggiola il cellulare “Se ti può far star meglio, chiamo Kenny…è ancora la, le dico di cercarla ok?”.

Sango annuì, sporgendosi verso Kagura che cominciò a comporre il numero dell’amico.

Dopo qualche istante, la voce di Naraku, stranamente seria, rispose dall’altro capo dell’apparecchio.

Naraku…hai per caso visto Kagome?” s’affrettò la demone, senza girarci troppo intorno.

“Si, è qui con me…state tranquille…la riporto a casa ora…” non diede tempo all’amica di replicare, che solamente il rumoreggiare in sottofondo del cellulare continuò a parlare insistente.

Kagura scosse la testa, abbozzando un sorriso.

“E’ con Kenny, perciò rilassati” concluse riponendo nella tasca l’apparecchio telefonico.

La bruna emise un sospiro di sollievo, tornando ad abbassare le spalle in segno di distensione.

 

 

 

Nervoso.

Sentiva i nervi a fior di pelle, da quando era rientrato in casa non aveva fatto altro che sbattere tutto. Porte, finestre, armadi.

L’espressione disegnata sul volto dell’hanyou lasciava ben poca immaginazione a carpire il  suo attuale stato d’animo.

Da tempo camminava su e giù per il corridoio della stanza giungendo sino alla fine di questo, ove era situata la porta della sua stanza.

Si fermava, poi riprendeva il passo seccato.

Non sapeva s’essere arrabbiato più con Miroku o con stesso.

S’era dovuto ubriacare quella sera, certo.

[Maledizione, non questa sera, la MIA sera] lasciò che un ringhio basso s’estinguesse nelle profondità della sua gola, fuoriuscendo dalle labbra come un semplice uggiolìo sommesso.

Le iridi ambrate erano fisse sul terreno, a squadrare in modo quasi ossessivo le piastrelle del pavimento che brunite rispecchiavano ogni suo passo.

Sospirò, soffermandosi dinanzi alla porta della stanza. Inarcò le scure sopracciglia, posando la destra sul pomello di questa sospingendola violentemente in avanti.

Subentrò nella camera, rigorosamente avvolta nella semi-oscurità notturna. I battenti delle finestre parevano sigillati, tutto era imbrunito dal nero.

Richiuse la porta della stanza dietro di sé, furiosamente, per l’ennesima volta.

Si gettò sopra il letto a pancia in sotto, rimanendo in quella posizione per alcuni istanti.

Il volto affondato sul materasso, tra i cuscini.

Gli occhi ancora gli bruciavano tremendamente, non solo per non aver dormito, ma per la rabbia che in quel momento stava provando.

Ringhiò nuovamente.

Le braccia tremavano lungo i fianchi, immobili. Alzò l’avambraccio destro sopra il capo, dietro la schiena, richiuse la mano in un pugno lasciando che questo colpisse impetuosamente il materasso.

Il letto traballò appena, al contatto con la rabbia del mezzo demone.

L’unica cosa a cui teneva era rovinata.

Premette maggiormente il volto sul materasso, come a tentare di soffocare la collera in quel gesto.

Odiava quando qualcosa gli andava storto, soprattutto se quel qualcosa era il suo lavoro.

Si lasciò ricadere su un lato, stanco.

Ancora le mascelle erano serrate, mentre appena i canini aguzzi venivano mostrati attraverso il lato destro delle labbra.

Lanciò un’occhiata alle cataste di libri riposte sopra la scrivania.

Già, la scuola. Anche quella ultimamente non stava andando perfettamente.

Si volse sul davanti, lasciando che il braccio destro gli andasse a coprire la fronte, scendendo subito dopo sino a coprirgli la visuale.

Doveva fare qualcosa, non poteva lasciare che la sua vita gli scivolasse via di mano. Ora che finalmente ne aveva ricostruita una, la manica della maglia, sfiorò appena il naso, alchè un flebile, quasi inesistente odore gli traversò i sensi.Era nuovo, o, almeno così lui credeva.

Un misto di sapone e profumo di donna, un odore insolito, ma piacevole.Forse un odore che gl’era rimasto addosso durante la serata, tante erano le ragazze che avevano attraversato la pista.

Sospirò nuovamente, discendendo con la mano sino al collo.

“Cos…” si alzò di scatto a sedere, mancava qualcosa a completare il suo abbigliamento.

Continuò a saggiare la parte tra il collo e l’incavo, non v’era segno del ciondolo che era uso indossare.

“Accidenti…” strinse la mano contro il collo, come per voler apprendere realmente che l’oggetto non vi fosse.

Scosse la testa. No, non anche quello.

Morse il labbro inferiore, quasi in modo violento, tanto da formare un leggero taglio alla base del labbro.

Doveva ritrovare quell’oggetto…a tutti i costi.

 

 

 

 

 

 

  
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