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Autore: KatnissGrey    22/06/2012    4 recensioni
La storia di una ragazza che cresce. La storia di un'orfana da parte di madre. Cosa è successo in quella notte, al cimitero? E cosa vedrà Elizabeth entrare nella sua vita senza alcun preavviso? Sarà una buona scelta?
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Terzo capitolo- My mum’s story

 
 
Alexandra Wood è morta all’età di soli 38 anni, giovane e bella. Così si chiamava mia madre, quando si è spenta nel fiore dell’età. Alta un metro e ottanta, aveva i capelli rossi e gli occhi di un verde smeraldo così bello che con un solo sguardo era capace di ammaliare. Era una professoressa di Storia e Filosofia, e lavorava da dieci anni in una scuola di Londra. I colleghi e le colleghe l’hanno sempre descritta come una donna affascinante, carismatica, simpatica. Gli alunni l’hanno sempre amata, sia come professoressa, che come amica. Per me era la madre perfetta. Lei e mio padre mi hanno cresciuta nella completa armonia fin da quando ero in fasce. Il nome Elizabeth  mi è stato dato per una tradizione familiare, infatti è lo stesso nome della mamma di mia madre, mia nonna. Anche mia nonna si è spenta a 38 anni, per motivi ignoti a tutti. Questa coincidenza, a pensarci adesso, mi fa tremare. Ma quando sfogliavo l’album di famiglia stesa sul letto non potevo in alcun modo capire che ci fosse qualche legame tra la sorte della nonna e quella della mamma. E che forse la stessa sorte sarebbe capitata a me, quando avrei raggiunto i 38 anni d’età. Nessuno mi aveva mai parlato della morte della nonna, e quando sull’album di famiglia lessi la data di nascita abbinata al necrologio, me la stampai bene in testa, per ricordarla sempre. Non avrei mai pensato di trovarci un significato nascosto, un indizio per salvaguardare il mio futuro.

-Non andrò mai più in un cimitero.- mi ripeto questo ormai da anni, convinta che ciò che ha ucciso la mamma, la bella Alexandra, non possa uccidere me a meno che io non vada volontariamente in un cimitero. Non andarci significa anche non poter mai andare a trovare mia madre, ma lei sono sicura che capirà. Non è mai stata particolarmente credente, anche se,  per non fare uno sgarbo alla nonna, andava sempre in Chiesa la domenica. Ma il tutto si fermava lì. Né lei né mio padre mi hanno mai iniziata a nessuna religione, né mi hanno voluto inculcare dogmi vari. Sono sempre stati convinti che, con l’andare del tempo, mi sarei fatta delle mie idee, e che quelle sarebbero valse come giuste. Ed in effetti è proprio così. Io non credo che mia madre sia nel cosiddetto “Paradiso”, che contiene tutte le anime buone, ma nemmeno in un posto che contenga tutte le anime cattive. Preferisco credere che sia qui, accanto a me, come è sempre stata, e mi protegga, o piuttosto mi aiuti a non fare scelte sbagliate. A distanza di sei anni dalla sua morte ho avuto molto tempo per rifletterci, e queste sono le mie conclusioni. Probabilmente un cristiano mi considererebbe o eretica, o particolarmente fedele. Loro credono in una specie di spirito, se non erro, che chiamano “angelo custode”. Quindi sì, dal punto di vista cristiano mia madre sarebbe il mio “angelo custode”.

La sera del suo funerale, quando ero stesa sul letto con l’album di fotografie in mano, notai una cosa. Era ormai notte inoltrata, ed io sfogliavo per la centesima volta l’album. Mia madre da piccola, i suoi sorrisi, la sua adolescenza, il diploma, la laurea, il matrimonio, mi scorrevano davanti agli occhi da più di due ore. Ero quasi convinta di conoscere a memoria quell’album. Ma mi ostinavo a sfogliarlo ancora perché, infondo infondo, c’era qualcosa che non mi convinceva. Sfogliandolo un’altra volta, l’ennesima, capii. In ogni foto, fin da quando la piccola Alexandra era in fasce, sullo sfondo c’era qualcosa, che non era mai associabile ad una cosa concreta. Sembrava vagamente una persona, ma nel buio era difficile distinguerlo. Le uniche foto dove quest’ “ombra”, se così si può definire, non era presente, erano quelle scattate di giorno, come la foto della prima comunione, della laurea e alla fine della messa del matrimonio. Ma era presente in quasi tutte le altre. C’era anche nella foto di mia madre e mio padre che sorridono all’obiettivo il giorno della mia nascita. –Qualcosa non quadra.- mi dissi allora. Avevo undici anni quando me ne resi conto. Adesso, con i miei diciassette anni capisco: quella cosa ha a che fare con la morte di mia madre. Non so in che modo, non riesco ancora a cogliere la relazione che possa avere con lei, ma è stata quell’ombra nascosta a causarla. E se ho ragione, nella vecchia casa di Londra troverò che quest’ombra, o una simile, è presente anche nelle foto di nonna. Non resta che aspettare, ma intanto posso indagare con l’aiuto di mio padre.

-Papà- dico, scendendo in cucina dalle scale che portano dalle stanze da letto al piano terra. –Ho bisogno di chiederti alcune cose, saresti disposto ad ascoltarmi?-

-E’ il momento di farlo, immagino. Sono tutt’orecchie, vieni, siediti di fronte a me.- mi risponde, e da questo capisco che sa cosa sto per chiedergli. Mi conosce bene, mio padre, e sa che di me si può fidare. Io mi fido ciecamente di lui, e non sbaglio quando penso di far bene. Non sarebbe capace di nuocere nemmeno ad una mosca, proprio come mia madre.

-Voglio tornare nella casa di Londra il prima possibile.- affermo. Questa non è una domanda, è vero, ma fa parte dell’interrogatorio che ho intenzione di fare.

-Per quale motivo? Se mi è concesso saperlo.- chiede mio padre, con fare indagatorio.

-Ho bisogno di sapere se ho ragione sulla morte di mia madre. Papà, hai mai osservato con attenzione le foto dei vostri album? In particolare quelle scattate di notte?- Ecco, così ha inizio la sfilza di dubbi che mi tormenta da anni. Mi tiro indietro le ciocche di capelli biondi che mi sono ricaduti sul viso, e sono pronta ad ascoltare le parole di mio padre.

-Sì, le conosco a menadito.- dice, senza chiedere nessun perché. La cosa mi fa capire che probabilmente sa già tutto ciò che IO ho bisogno di sapere.

-E non hai notato nulla di strano?-

-Molte cose sono strane. Cos’hai visto tu? I tuoi occhi possono vedere cose diverse dai miei o da quelli di altre persone.- afferma, prorompendo con una sua “pillola di saggezza”. Al che prendo una foto dalla tasca della vestaglia, la mia foto preferita. L’ho sempre conservata con amore da quella notte, perché la reputo la più bella in assoluto. Vi sono ritratti mia madre in braccio a mio padre, con il vestito da sposa, sorridenti nella loro prima notte di nozze, intenti ad aprire la loro camera d’albergo. Chi abbia scattato loro questa foto rimane ignoto, ma suppongo sia opera di un funzionario dell’albergo. Il sorriso bianco lampeggiante di mia madre mi fa sempre sorridere di conseguenza, perché sembra perfettamente abbinato con il colore del vestito e del sorriso di mio padre. Quella foto sprigiona tanta tenerezza. A parte il solito, piccolo, particolare. L’ombra. E’ dietro di loro, quasi invisibile, a rovinare quel quadretto di un matrimonio perfetto che stava per compiersi nel gesto d’amore che si sarebbe consumato quella notte, nella migliore delle tradizioni. Non so cosa sia successo dopo, ma non è storia che mi interessa e non sono qui per chiedere i dettagli di una notte d’amore.

-Questo..cos’è?- chiedo a mio padre, indicando l’ombra. –E’ quasi invisibile, ma si distinguono chiaramente i suoi contorni. So di non essere pazza.-

Mio padre sbianca di colpo. Non si aspettava che anche io notassi che nella foto c’era qualcosa di strano, o cosa? Non è un buon segno che io la veda? Non  vuole che io sappia? Tantissime cose mi frullano per la testa mentre cerco di interpretare gli occhi sbarrati di mio padre davanti a quella foto ed il suo improvviso sbiancare. Poi, me la strappa di mano con fermezza, senza nemmeno lasciarmi il tempo di reagire. Mi ribello con forza, tentando di riprendermela, ma capita una cosa che non era mai capitata in tutto questo tempo. Mio padre si arrabbia, e sul serio. Il suo viso sprigiona paura e rabbia insieme, come se nemmeno lui sappia che dire o che fare. Ma mi dà un ordine, secco, che non prevede una risposta negativa.

-Va’ in camera tua! E stasera voglio che tu mi restituisca quell’album di foto che nascondi sotto il letto.-

Non voglio sapere cosa vuole farne. Ma so per certo che non starò in camera mia, per nessun motivo. Andrò da chi mi saprà ascoltare, perché a quanto pare nemmeno mio padre ne è più capace. E porterò con me il MIO album di foto.
  
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