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Autore: suxsaku    07/01/2007    4 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi, come promesso. Un altro capitolo neutro, cui però seguirà qualcosa di decisamente più interessante.

Capitolo11: Ostilità invisibile

 

***

Era strana quella sensazione: le sembrava di galleggiare. Intorno a lei tutto era bianco; e non c’era nulla. Nulla, se non “lui”. Non riusciva ad abituarsi; quelle continue uscite dal mondo esterno diventavano sempre più frequenti, ma non riusciva a sentirle sue, come invece “lui” voleva. Oltretutto, lui sembrava non apprezzare la resistenza che aveva cominciato ad opporgli. Neppure lei sapeva perché lo respingeva. Dapprincipio aveva pensato ad un naturale istinto di difesa. Ma perché difendersi da lui? Con stupore, si ritrovò anche a chiedersi chi fosse “lui”. E fu un male. Lei sapeva bene che non le avrebbe perdonato quella diffidenza. Nel bianco completo, una figura umana le si parò innanzi.

< Fa male. Non guardarmi così. Non volevo farlo. Non so perché l'ho fatto. Non so neppure perchè continuo a farlo. >

Ma era reale, alla fine? A ben pensarci, ora le sembrava tutto assurdo. Esisteva? E se anche esisteva, che cosa voleva da lei? Chi lo aveva chiamato?

< I tuoi occhi... >

Rideva. Ma era una risata senza voce. Come spiegarlo... Sembrava una vibrazione, lì, in mezzo al nulla.

< Ho sbagliato a indurti alla tecnica del dubbio: ora rifiuti anche me. >

Aveva paura a chiederglielo. Se lo avesse fatto sarebbe tutto crollato. E non poteva prevederne le conseguenze, dato che non sapeva che cosa fosse, quel "tutto".

< Non importa. Vorrà dire che da ora farò diversamente. >

Tuttavia non riusciva più a trattenersi. Quella domanda le martellava nella mente con insistenza insopportabile, impaziente di uscire dalle sue labbra.

< Non puoi vincermi; presto lo capirai. >

< Ma tu chi sei? >

 

Cos’era? Un canto?

 

 

Quando caddero le foglie,

i cieli divennero grigi.

La notte continua a circondare il giorno,

un usignolo canta la sua canzone d’addio.

Nasconditi meglio dal suo inferno gelido:

su ali fredde, Lui sta arrivando.

 

 

Conosceva quella voce. L’aveva già sentita cantare. Veniva fuori dal nulla bianco, e la trascinava verso di sè, forza sconosciuta e irresistibile. E non ebbe un solo attimo di indecisione se seguire la voce canterina o l'altra.

 

***

 

Jillian aprì gli occhi, ancorata ancora saldamente al sonno. Il cielo era scuro, e nonostante il torpore capì che era notte. Dalla parte opposta delle fronde, vide confusamente la figura di Wantz: era piegato innanzi a sé, e teneva qualcosa in mano. Muoveva li braccio su qualcosa che aveva appoggiato sulle ginocchia. Pensò che stesso scrivendo.

Si stiracchiò, sbadigliando così sonoramente che dovette chiudere gli occhi: quando li riaprì, il ragazzo era seduto normalmente, e non c’era traccia di alcuno strumento per la scrittura. Jillian si chiese se l’avesse sognato oppure visto male. Wantz le lanciò un’occhiataccia, sveglia efficacissima.

< Ben svegliata. Stavo per chiamarti io. >

< E’ ora di partire? > chiese la ragazza soffocando un secondo sbadiglio.

Wantz annuì e si alzò in piedi, pronto a scendere dall’albero. Jillian scostò la coperta, preparandosi a seguirlo, e… Un momento? Una coperta?

Fissò la coltre allibita, cominciando seriamente a dubitare della sua sanità mentale: era certa di non essersi minamente curata il giorno prima, nella foga della fuga, di prendere delle coperte. Ricordava perfettamente di aver trascinato Wantz sulla cima dell’albero senza essersi portata nient’altro dietro. Nulla. Nemmeno del cibo. E infatti il suo stomaco sostenne la sua tesi con un vago borbottio.

< Dovresti vedere la tua faccia. > disse Wantz, avvicinandosi e ridacchiando. < Tranquilla, non stai impazzando: l’ ho portata su io. >

Jillian si alzò barcollando. Non ebbe alcun dubbio se scegliere di concentrarsi sul sollievo per la sua sanità mentale ritrovata o rampognare Wantz.

< Aspetta un secondo. > si raddrizzò, evitando che i capelli si incastrassero tra le foglie. < Mi stai dicendo che, mentre dormivo, sei sceso dall’albero? >

Wantz la guardò con aria di sfida. < E se anche fosse? >

< Ma non ti rendi conto che avresti potuto rendere vani tutti gli sforzi fatti per metterti al sicuro? Non è stato per nulla prudente da parte tua. >

< Scusa, non volevo rovinare la tua opera. > Wantz afferrò un ramo e si preparò a scendere. < Ora mi vedi come una merce rara da salvaguardare? >

< Certo che no. > ribatté lei piccata.

< Sono sceso perché ho approfittato della notte per rimodellare le memorie dei paesani; mentre c’ero, ti ho preso una coperta. Il freddo invernale si avvicina… >

Jillian finì di piegare l’oggetto della disputa e sospirò. < Adesso sembra quasi che io sia la cattiva e tu il povero innocente. >

Wantz la guardò con un’espressione ingenua palesemente finta. < Perché, di solito sono io il cattivo? >

< Non ti rispondo nemmeno. > sibilò lei, voltandosi da un’altra parte.

< Dovresti impegnarti di più per riuscire a cambiarmi. >

< Ne abbiamo già discusso, no? >

< Sì, ma non mi sembra che tu abbia ceduto. >

< Oh, insomma: ti ho già detto che non ho alcun interesse a… >

< Ammetti la sconfitta? > la interruppe lui.

Jillian scosse la testa. < Perché devi essere così acido? >

< Umm… Deformazione professionale? > ipotizzò lui, saltando di sotto e atterrando sui piedi, nonostante l’altezza elevata.

< Molto acrobatico. > commentò la ragazza. < Devo applaudire? >

< Ti risparmio l’incomodo. > Wantz alzò le braccia. < Salta. >

< Scherzi? Tu sarai anche capace di tutto, ma io mi ammazzo a cadere da questa altezza. >

Wantz sbuffò. < Ti prendo io. >

Jillian si ritrasse istintivamente. < No, grazie: scendo con i metodi tradizionali. Un ramo alla volta, piano piano… >

 

< Ma quale fiducia? Tu dubiti di chiunque. Ora stai in guardia perfino da me. >

 

Jillian scosse la testa, premendosi le mani sul capo, storcendo la bocca. Perché faceva così? Era arrabbiato con lei, era evidente; e molto. Non era la prima volta che si faceva vivo di giorno, sebbene preferisse venire di notte, ma mai si era manifestato per ammonirla. E in modo così doloroso, poi. Aveva la spiacevole sensazione che la testa le dovesse scoppiare da un momento all'altro.

< Fai in fretta. >

 

< Io, io che ti ho dato fiducia. Ma tu me l’ hai sottratta. E lui? Che cos’ ha lui che ti attira? >

 

Il respiro si fece affannato, e le girava la testa; si appoggiò al tronco dell’albero, per evitare di cadere. Non era quello il momento adatto a svenire. Perché? Di solito veniva ad aiutarla, a darle consigli. E allora perché adesso, per quanto adirato, la stava facendo soffrire in quel modo? Perché ce l’aveva con lei?

< Ti muovi? >

 

< Soffrirai ancora. Per cosa, poi? Per chi? Hai fatto la scelta sbagliata, Jillian. >

 

La vista le si annebbiò. La presa cedette, e cadde in avanti, nel vuoto. E lui era lì. E rideva. Rideva nella sua testa, assordandola. In quel momento provò la stessa sensazione di quando si trovava nel “bianco”: leggera, quasi incorporea, oppressa tuttavia da un’indefinita sensazione di inquietudine. E sola. Drammaticamente sola.

< Jillian! >

 

 

Non lo capisci?

Quando lui ti abbraccia

il tuo cuore diventa una pietra.

Lui viene di notte quando sei completamente sola

e quando Lui sussurra

il tuo sangue scorre freddo.

Nasconditi meglio prima che lui ti trovi.

 

 

Scomoda.

< Come dici? >

< Sono scomoda. > bofonchiò.

< Ah scusa tanto: la prossima volta prova la nuda terra, forse è meglio. > ribatté stizzito.

Jillian aprì gli occhi. L’albero era sopra la sua testa. Lei invece era tra le braccia di Wantz, nella tipica posizione di chi viene afferrato al volo.

< Sono… caduta? >

< Di certo non hai volato. > rispose Wantz.

Alla ragazza si mozzò il fiato. Cominciò a tremare, e solo per miracolo trattenne le lacrime.

< Ehi. E’ tutto a posto? > le chiese il ragazzo.

< Vertigini. > spiegò. < Non mi capita praticamente mai, ma… Probabilmente guardandoti da lassù mi sono lasciata impressionare. >

Wantz la guardò negli occhi, ma lei evitava il suo sguardo.

< Sicura che non ci sia altro? >

 

< Se sei in dubbio su che cosa fare o di chi fidarti, fa’ la cosa più semplice. >

 

< Tutto a posto, ti ringrazio. >

< Possiamo andare, allora? > chiese il ragazzo

Jillian sollevò il capo, fissando il punto in cui si trovava prima: se il ragazzo non l’avesse presa al volo, si sarebbe sicuramente sfracellata al suolo.

 

< Segui il cuore. >

< Lo terrò a mente, Lady Margaret. >

 

Ebbe la fugace visione di due bulbi oculari rossi sogghignanti che la fissavano.

< Si. > rispose, staccando a fatica gli occhi dalla cima dell'albero. < Andiamo. > aggiunse, sgusciando via dalla presa del mago goffamente e in fretta, lasciandolo a domandarsi che cosa passasse per la testa al Creatore quando aveva avuto la brillante idea di forgiare la donna quale cruccio eterno dell'uomo.

 

Camminarono a lungo, senza fermarsi mai. Non che accusasse la stanchezza: Wantz teneva un'andatura che le premetteva di segiurlo senza fatica e avevano proceduto per tutte quelle ore, da prima dell'alba fino a mezza giornata, senza problemi. Non aveva neppure fame, stava anzi mangiano proprio in quel momento una pagnotta miracolosamente soffice uscita come per incanto dalla "sacca delle meraviglie" di Wantz, come aveva preso a chiamare la tracolla del ragazzo. Non le riusciva nemmeno più tanto ostico docer cavar fuori con la pinze una conversazione decente con il compagno. Il fatto era che si sentiva strana.

Sebbene avesse fame e mangiasse con gusto, sentiva una specie di nausea nascere lentamente dentro di sè. Inoltre aveva cominciato, stranamente, vista la giornata serena, a sudare freddo. Presto giunsero anche sporadici brividi. Rigorosamente freddi.

Conscia che presto si sarebbe sentita peggio, desiderava fermarsi il prima possibile.

< Non vorrei essere noiosa... > esordì titubante.

"Tanto lo sarai lo stesso, volente o no." pensò sconsolato Wantz.

< ... ma ci terrei a sapere quanto ci impiegheremo ad arrivare a questo Past. >

Wantz cercò di sembrare molto impegnato nella masticazione.

< Probabilmente mi stai per rispondere che non cambia nulla saperlo o meno... >

"E se non rispondessi proprio?" ragionò tra sè.

< ... e in effetti la mia è una curiosità futile, alla fin fine, ma potresti dirmelo comunque? >

< No. > grufolò lui, completamente concentrato sul suo pezzo di pane.

< Perché non me lo vuoi dire o perchè non lo sai.? >

< Non dipende da me, ma da quanta gente riconoscente dovremo fuggire da ora in poi. >

Jillian cercò di sembrare indifferente e ripegò mestamente sulla pagnotta: meglio evitare una battaglia persa in partenza. Anche perché avrebbe finito col dare ragione al mago: aveva tutti i diritti di lamentarsi del comportamento di quei contadini. E lei non aveva nessuna intenzione di ammettere apertamente la sconfitta.

< Hai vinto una battaglia ma non la guerra. > sussurrò, guardandogli le spalle, profilo solito dei momenti di marcia.

< Hai detto qualcosa? > chiese lui, senza voltarsi.

< Nulla. > assicurò Jillian. Sul momento la similutidine del loro intricato rapporto con due esriciti in guerra le era sembrata carina: momenti di conflitto aperto aternati a tregue forzate o periodi di vera e propria pace; ma una volta pronunciate, quelle parole le suonarono vagamente sinistre. Come se, pur avendole pronunciate lei, venissero in realtà da qualcun altro. La ragazza si immaginò per un momento come un trofeo conteso tra due forze opposte. L'istante successivo si chiese perché avesse avuto quella pensata.

Per un po' proseguì senza problemi, ma poi fu presa da una nausea tale che vide il pane appena terminato come qualcosa di empio e sporco da espellere subito dal suo corpo.

Ormai il dolore era appena sopportabile. Rassegnata all'idea di un'altra pessima figura con il ragazzo, si fermò, incapace di prosegiure.

Qualche passo avanti a lei, Wantz ebbe una sensazione molto spiacevole: come se qualcuno gli avesse appena dichiarato guerra.

 

< Cambio di strategia attuato. Mostrami cosa sai fare. >

 

Accortosi che la ragazza si era fermata, si girò verso di lei. < Se Vostra Grazia ci concede di camminare, arriveremo prima, come Ella desidera. >

Tuttavia Jillian non si mosse: rimase ferma, aspettando che un ennesimo brivido finisse. E quando questo svanì, un vago tremore prese il suo posto. Strinse le spalle, cercando di frenarlo.

< Non stai bene? > chiese il ragazzo, avvicinandosi.

Jillian respirava affannosamente, a capo chino, i denti serrati a causa del dolore.

All'improvviso tutti i sintomi sparirono, lasciando il posto ad un nuovo arrivato: un mal di pancia lancinante, che probabilmente sarebbe stato assai più difficile da scacciare.

Incrociò le braccia sul ventre, piegandosi leggermente.

< Che cosa ti senti? > domandò ancora Wantz.

< Io... > sussurrò Jillian. Nella sua mente immagini sfocate si sovrapponevano una sull'altra, freneticamente, raggruppandosi in modo da formare una figura sola. < Mi sento strana... >

< Troppo vago. > disse il ragazzo, alzandole il volto: era pallida e non sembrava completamente lucida. < Descrivimi che cosa senti. >

La ragazza si sforzò di parlare, ma le uscì solo un verso indistinto.Serrò gli occhi a causa di una fitta particolarmente forte. Nella sua mente la figura era ormai chiaramente distinguibile. Era il prifolo di un uomo. Un uomo dagli occhi rossi.

Si piegò e infilò frettolosamente una mano sotto la gonna, davanti a Wantz che la fissava interdetto. Restò immobile per una manciata di secondi. Poi, con un gemito strozzato, si raddrizzò, tirando il braccio fuori dalla veste, scossa da un tremore diffuso in tutto il corpo.

< Ommiodio. > mormorò, fissando la mano con orrore. Sentì le forze venirle meno e si accasciò al suolo, svenuta. Ma, prima di perdere completamente conoscenza, ebbe il tempo di "vedere" nella sua mente il trofeo cadere a terra, scivolato dalle mani di entrambi i contendenti: le ostilità erano riaperte, e questa volta ci si accingeva alla fase finale.

Wantz si chinò immediatamente su di lei, cercando di capire cosa le fosse successo.

Le dita della mano di Jillian erano sporche di sangue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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