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Autore: JulietAndRomeo    23/06/2012    2 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3: Tatuaggi.

«Hey tu! Non muovere un muscolo o ti sciolgo nell'acido, chiaro? Lassù, vedete di non fare scherzi, vi tengo d'occhio! Nick, capisco che verrai ad abitare qui, ma accidenti che gran casino che stai combinando! Hey spilungone, attento con quel divano! Costa una cifra!» urlavo contro tutti i traslocatori che nel salotto stavano spostando tutti mobili.
«Accidenti a Nick, accidenti a me, accidenti a Bonnie, accidenti a Jeremy e accidenti all'Italia!» borbottavo: «La vuoi finire di maledire tutti? È solo colpa tua se c'è questo casino qui dentro! E infatti mi sono inserita anche io tra le malezioni!». Stavo discutendo con una piccola parte di me, che di minuto in minuto diventava sempre più grande, che odiava la restante parte di me che aveva permesso tutto quel casino. Mi bloccai in mezzo alla cucina: stavo parlando con me stessa! Adesso si che potevo farmi rinchiudere alla neuro! Parlavo da sola e urlavo come un'ossessa! Non era questo che intendevo quando avevo detto che Nick poteva venire da me. Avevo inoltre deciso, in un momento di noia, di scrivere della mia nuova esperienza 'familiare': non perché volessi sposarmi un giorno o avere dei figli che avrebbero seminato bava e moccio dappertutto, volevo solo ricordarmi di non fare mai questo grandissimo errore. E in quel momento mi resi conto di avere assolutamente e indiscutibilmente ragione: i traslocatori, amici di Nick, avevo riempito di fango e terra l'intera anticamera, avevano già rotto due soprammobili, roba poco importante, ma relativamente costosa, e avevano quasi distrutto il televisore del salotto, posizionato sopra il camino. Vi chiederete, miei cari, perché ci siano dei traslocatori in una casa già arredata che non abbisogna di nient'altro. Ebbene dunque, comprendo la vostra curiosità, e vi risponderò nella maniera che più mi si addice, cioé chiara, schietta e concisa: mi sono messa in casa un uomo! 'Dovevi essere pronta al rischio' direte, 'lo sapevi già' direte, 'non ti ha obbligata nessuno' direte! E direste giusto: direste giusto, ma non sapevo che il signorino Ho-La-Pelle-Delicata, come avevo appena deciso di chiamarlo, aveva bisogno del suo letto per poter dormire (e quando dico il suo, intendo proprio il suo, quello di casa sua!), anche se era un pugno in un occhio per quanto riguardava l'arredamento con la camera degli ospiti che aveva scelto; non sapevo che aveva bisogno di tutte le sue creme e lozioni per la pelle e quindi avevo dovuto fare installare un nuovo armadietto in bagno e, dulcis infundo, non sapevo che teneva il bagno e tutto quello che c'era dentro, dalle cinque di mattina, orario in cui tutte le persone normali dormono, fino alle otto, occupato! Quando morirò, perché succederà presto , voglio una statua e una medaglia al valore, per il coraggio e la pazienza dimostrati! Era tanto delicato, il bambino, ma davanti al cadavere, di quel tizio, non aveva neanche tentato di svenire! Che ne so? Vomitare! No, era tranquillo e fresco come una rosa davanti ad un morto, ma quando lo facevi dormire in un letto che non era il suo, non ci riusciva! Vorrei vederlo in uno di quei corsi di sopravvivenza che si organizzano nella giungla... probabilmente si sarebbe fatto divorare dagli insetti, anziché dormire in tenda!
In quel momento, interrompendo la serie di insulti contro Nick, entrò uno sfortunato ragazzo di non più di 23 anni, che ebbe la sfiga di chiedermi dove volessi messo l'impianto audio: stava scherzando, vero?!
«Impianto 'cosa'?» dissi cercando di trattenere la furia.
«Impianto audio, signorina, il signore di là, ha detto che dovevo chiederlo a lei» disse il malcapitato.
«Oh, ma è ovvio! Dica al 'signore di là' di infilarselo in quel posto l'impianto audio, NE ABBIAMO GIA' UNO QUI, chiaro?» urlai.
Il ragazzo impallidì in un attimo e si schiacciò contro la porta della cucina. Ora quanto mai, volevo chiudermi in bagno e farmi un bagno così rilassante da dovermi credere morta alla fine.
«Ci sono problemi?» disse Nick, mettendo la testa dentro la cucina.
«Nick? Vieni, vieni, ti faccio vedere una cosa» dissi sorridendogli bonariamente.
«Emh... ok, ma devo aiutare un tipo, credo abbia problemi con il sacco da boxe» disse Nick.
Il mio occhio sinistro cominciò a chiudersi a scatti e, per evitare che il mio tic nervoso rendesse palese la mia incredibile rabbia, me lo coprii con la mano, dandomi una sottospecie di schiaffo sull'occhio. Nick mi guardò preoccupato, ma feci una smorfia, tentando di sorridergli, per rassicurarlo. Non sembrò convinto, ma mi seguì senza fare storie.
«Vedi Nick, io capisco che la tua pelle sia delicata e che tua abbia bisogno del tuo letto per dormire e capisco anche che dovrò far costruire un'altro bagno e che tu usi il sacco da boxe per allenarti, ma perché e dico perché l'impianto stereo? Io ne ho già uno e mi sembra anche nuovo e, fidati, costoso, quindi perché un'altro stereo?» chiesi esasperata.
«Perché mia madre non lo voleva e, visto che è costato un occhio della testa, me lo sono tenuto».
«Ok, ma adesso, dove dovrei posizionarlo?!» dissi mentre tentavo di fermare il fastidioso occhio sinistro. Che tu sia maledetto, occhio sinistro!
«Non lo so, ecco perché ho mandato James da te!» disse lui allegro.
'Chiunque sia il tuo angelo custode, Nick, non sta facendo un buon lavoro' pensai in quel momento.
«Nick, ascoltami bene: adesso tu vai da Jerry, Josh, John o come diavolo si chiama e gli dici di mettere lo stereo nel ripostiglio più nascosto della casa, in modo che, se il mio si rompesse, prenderemmo il tuo, ma fino ad allora non vedrà mai la luce del sole, mi hai capita?» dissi guardando la sua espressione basita.
Alla fine si rassegnò: «E va bene, vado».
«E poi torna qui che devo spiegarti alcune semplicissime regole» gli urlai, visto che ormai era arrivato sulla soglia della porta.
Pochi minuti dopo lo vidi rientrare: «Allora?» domandai.
«Fatto, che doveva dirmi, Generale?» disse facendomi il saluto militare.
Ma che diavolo stavo pensando, quando gli avevo proposto di venire da me?
«Seguimi».
Dal corridoio della cucina, ci voleva poco per arrivare al sotterraneo: si proseguiva dritto per circa 30 metri e, subito sulla destra, si trovava una scala a chiocciola che conduceva poi al sotteraneo vero e proprio.
Freno subito la vostra fantasia, miei cari lettori: avrete subito pensato alle scale delle case dei film horror, quelle che si tuffano nel buio, quelle che portano ad una stanza maleodorante e con i topi, in cui l'unica fonte di luce è una lampadina penzolante dal soffitto. Toglietevi questa immagine dalla testa, perchè nel mio sotterraneo le possibilità le possibilità che la luce si spegnesse o venisse spenta erano una su un milione e non perché non avessi paura del buio, anzi mi piaceva la sensazione di tanquillità che portava, ma perché nel buio possono esserci anche cose ignote e sconosciute e io odiavo le cose ignote e sconosciute, preferivo sapere sempre cosa mi attendeva.
Comunque arrivati alla fine della scala, le luci si accesero e io feci strada: «Allora, partiamo dalle basi: qua sotto, non avendo più spazio in casa, c'è una piccola palestra e parte della biblioteca, oltre che il garage. In palestra, puoi recarti all'orario che più ti aggrada, soldato» dissi per prenderlo in giro e lo sentii ridacchiare: «Nella parte della biblioteca che sitrova qui sotto, e che comunque è collegata con il piano di sopra, ci sono tutte le prime edizioni dei più grandi classici, anche quelle che si credevano perdute, non puoi immaginare che fatica ho fatto per averle, quindi ti serve il codice che ti ho datp prima per entrare; del garage» dissi voltandomi verso di lui: «Devi sapere poche e semplici regole: #1: non si toccano le mie macchine, se non in caso di emergenza; #2: non parcheggiare fuori dai posti che Charles ti ha assegnato; #3 non trasgredire le regole #1 e #2. Tutto chiaro?» dissi puntandogli l'indice contro.
«Fin qui è semplice, adesso posso vedere i posti che mi hai assegnato?» disse ridendo.
Ma dico? Mi conosce da più di 4 mesi e non sa ancora che per quanto mi riguarda con le macchina non si scherza?!
«E va bene, seguimi».
Girammo a sinistra e camminammo fino ad una porta in metallo. Girai la chiave nella toppa ed entrammo nel garage: questo era grande come un hangar, i posti numerati andavano da 1 a 10 ed erano tutti occupati. I posti di Nick erano sulla destra, sul fondo del garage: gliene avevo riservati cinque, non sapendo quante macchine avesse, visto che io ero sempre salita sul SUV nero.
«I tuoi posti sono lì» dissi indicandoli.
«Cinque?!» disse Nick sbalordito: «Macy, io ho solo un macchina!».
«Non preoccuparti se non li usi non fa niente» dissi scrollando le spalle: «Adesso torniamo su però, non mi fido di quei traslocatori, combinano troppi casini».
Mi incamminai e lui mi seguì, chiudendosi la porta del garage alle spalle. Risalimmo in silenzio e il silenzio fu proprio quello che ci accolse una volta tornati su.
'Silenzio? Ma se fino a cinque minuti fa c'era un casino bestiale?' pensai.
Il mio cellulare aveva deciso però, di cominciare a suonare e di interrompere il silenzio dell'altra stanza.
Aprimmo la porta della cucina e quello che vidi mi riempì il cuore di gioia: Charles, posizionato in cima alle scale, dava ordini a tutti i traslocatori che, con calma finalmente ed in silenzio, sistemavano le cose per come diceva lui. Con la felicità di una bambina davanti ad una nuova Barbie, corsi da Charles, lanciando in aria il cellulare prontamente afferrato da Nick alle mie spalle, e lo abbracciai con tutta la forza che avevo, mentre lui tentava di staccarsi e di riprendere aria. «Come ci sei riuscito? Non mi stanno più distruggendo la casa, Charles, io ti adoro!».
Quando Nick riusci a strapparmi praticamente via da Charles, mi disse che l'ispettore Lewis aveva chiamato e aveva detto che, se volevamo, potevamo raggiungerlo all'obitorio del distretto, dove dopo il rapporto autoptico, ci avrebbe ragguagliati sul caso.
La giornata, iniziata nel peggiore dei modi, stava migliorando di minuto in minuto e il sorriso a 32 denti sulla mia faccia, ne era la prova.
Salutammo in fretta Charles, che mi promise di vegliare sull'incolumità della casa mentre eravamo via, e ci fiondammo in garage. Presi le chiavi di Juliet, e dissi a Nick di saltare su.
«Vuoi andare in obitorio con questo gioiello? Macy, in caso non lo sapessi, questa è una Ferrari F430 Spaider! Costa poco meno della mia vecchia casa!» esclamò Nick.
«Ma per chi mi hai presa? Certo che so che macchina è e si, Nick, voglio andare al distretto con questa! Ti ricordo che non sei in Italia, sei ancora a Los Angeles, qui nessuno ti nota se vai in giro con una di queste!».
Non lo avessi mai detto! Durante tutto il tragitto ci guardarono come se stessimo viaggiando su una macchina volante: un tizio, addirittura, ci inseguì a piedi, chiedendoci se avesse potuto fare qualche foto!
«Non vorrei dire 'te lo avevo detto', Macy, ma... te lo avevo detto» disse Nick.
«Chiudi il becco, idiota, siamo arrivati» dissi scocciata, mentre giravo per entrare nel parcheggio del distretto.
Diedi cento dollari alla guardia del parcheggio perché guardasse Juliet e si mettesse anche a ringhiare in caso qualcuno l'avesse avvicinata: lui sembrava più che felice di farlo anche senza essere pagato, ma non si poteva mai sapere.
Una volta entrati, chiedemmo dell'ispettore Lewis e ci dissero che al momento non era disponibile.
«No, ascolti, lei non capisce: l'ispettore ci ha detto di venirlo a cercare qui perché doveva ragguagliarci sul caso» tentava di spiegare genitlmente Nick.
«Ma si certo! Anche io ho chiesto a Dio di farmi diventare presidente e lui lo ha fatto! Vai a raccontarle a qualcuno che ci crede le tue cretinate, ragazzo» disse di rimando la guardia.
«Ma guardi che è vero, signore, non mi permetterei di raccontarle una cosa falsa» diceva Nick.
Questo dialogo andò avanti per qualche minuto, prima che mi stancassi: «Lascia Nick, faccio io» dissi mettendomi tra lui e la guardia, faccia a faccia con quest'ultima: «Mi ascolti, agente: a me non piace litigare o minacciare le persone, ma lei e il suo comportamento mi state dando davvero fastidio. Le consiglierei dunque di chiamare subito l'ispettore o posso assicurarle che se ne pentirà».
«Il suo nome?» mi disse la guardia.
«Cullen, Macy Cullen».
«Macy Cullen, la dichiaro in arresto per minacce a pubblico ufficiale: ha il diritto di rimanere in silenzio, qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale...» cominciò l'agente, facendomi girare e prendendo le manette dalla cintura.
«Woah, woah, woah, stop all'aratro contadino!» dissi dandogli una gomitata nello stomaco e buttandolo a terra, dopo averlo afferrato per un braccio.
Il secondo dopo, che mi trovò con i pugni alti davanti al viso in posizione di difesa, vedeva me e Nick dare le spalle all'ascensore, circondati da poliziotti armati fino ai denti e con le suddette armi puntate contro di noi, che urlavano di tenere le mani bene in vista, e un uomo grosso come un troll steso dolorante a terra.
Si aprì l'ascensore in quel momento e il respiro di chiunque ci fosse dentro si bloccò: «Che cosa sta succedendo qui?».
La voce dell'ispettore Lewis proveniente dall'ascensore, mi fece apparire sul volto un sorriso a 32 denti e una linguaccia degna di una ragazzina capricciosa, in direzione della montagna umana ancora stesa a terra dalla mia gomitata. Gli altri poliziotti invece non abbassarono le armi finché l'ispettore non gliel'ordinò.
«Loro sono con me» aggiunse mettendo una mano sulla mia spalla e su quella di Nick: dopodiché ci tirò dentro l'ascensore strattonandoci.
«Che cosa avete combinato?» domandò, dopo che le porte dell'ascensore si furono chiuse.
Io e Nick ci guardammo e cominciammo a parlare insieme, ognuno spiegando la stessa cosa con parole diverse, ottenendo soltanto il risultato di procurare un'emicrania all'ispettore.
«Basta!» urlò Lewis: «Black, prima tu! Cullen, tieni la bocca chiusa, chiaro?».
Io annuii e ascoltai Nick raccontare la nostra 'avventura'.
Alla fine del racconto, l'ispettore si rivolse a me: «C'era bisogno di stendere Warren come un tappetino?».
«Mi stava arrestando!» protestai.
«Lo hai minacciato!».
«Non voleva farci passare!».
L'ispettore scosse la testa e, quando le porte dell'ascensore si aprirono, ci fece strada fino in sala autopsie: «Questo dovete vederlo con i vostri occhi, perché se ve lo raccontassi con ci credereste».
Seguimmo l'ispettore attraverso due corridoi, fin quando, alla fine del secondo , non incrociammo una porta in metallo. Varcatane la soglia, quella che ci accolse fu una stanza asettica: al centro vi erano cinque tavoli in metallo, ognuno dei quali aveva accanto una bilancia e degli strumenti da chirurgo; sulla destra, vi era un lavandino e, accanto a questo varie scatole contenenti guanti in lattice, mentre sopra, vi era un pannello luminoso con alcune radiografie ancora appese; sulla sinistra si trovavano le celle frigorifere e sul fondo della sala una scrivania piena di scartoffie e documenti vari. Il tutto era illuminato da lampade al neon.
Il nostro uomo era posizionato sul secondo tavolo partendo da sinistra, essendo il primo occupato da una donna sulla sessantina, e il medico legale era chino ancora su di lui, ma ci vide o ci sentì comunque, infatti disse: «Ispettore, finalmente! Non ci stavo sperando più! Ma loro non sono i ragazzi dell'altro giorno?» disse alzando la testa e sporgendosi oltre l'enorme figura dell'ispettore per guardarci.
«Si, Gregory, sono loro. Ti avevo accennato dell'aiuto che serve alle indagini, giusto? Beh, loro sono l'aiuto. Vorrei ripetessi loro quello che hai detto a me» chiese l'ispettore.
«Nessun problema. Venite ragazzi avvicinatevi e ponetemi tutte le domande che vi pare: premetto che il nostro uomo è uno dei più strani che abbia mai visto» disse il medico.
Visto che Nick non spiccicava parola, ancora folgorato dalla vista della vecchia nuda sul tavolo di metallo, toccò a me: «Causa della morte?».
«Congelamento».
«Congelamento? Ma a Los Angeles ci sono 35 gradi di giorno e 20 di notte! Come ha fatto a congelarsi?» chiese Nick che si era parzialmente ripreso, anche se era ancora molto pallido.
«Ha ingerito azoto liquido».
«Ma l'azoto liquido congela all'istante e non ce n'era sulla scenda del crimine» ribattè il mio amico.
«Lo ha ingerito in piccole dosi. L'azoto liquido, se assunto in questo modo, non provoca immediatamente la morte, ma un leggero stordimento perché neutralizza a poco a poco le cellule del corpo in generale e del cervello, quindi vuol dire che il nostro amico, si è trascinato fino a quel vicolo dove è morto» dissi io.
«Ottimo, signorina!».
«Di conseguenza l'ora del decesso è sbagliata» aggiunsi.
«Esatto: la morte è sopraggiunta dopo diversi minuti di agonia, verso le...».
«Tre e mezza del mattino» completai.
«Come ha fatto ad indovinare?» chiese il dottore sbalordito.
«Mi sono fatta qualche calcolo per conto mio. Allora possiamo dedurre che la rigidità del cadavere non era dovuta al rigor, ma all'azoto liquido».
«Esatto. Per caso, l'ispettore l'ha informata prima di quello che vi avrei detto?».
«Io non ho detto proprio niente di niente, ma la signorina Cullen ha l'abitudine di fare così» intervenne Lewis.
«Capisco. C'è altro che volete chiedere?» disse il medico.
«Lo giri» dissi dopo aver notato una specie di taglio sotto il busto.
Il medico mi guardò con un sorriso furbo: «Non le sfugge proprio niente, vero?» disse.
«No» affermai asciutta.
Una volta che lo ebbe rivoltato insieme ad un paio di assistenti, che non avevano smesso un attimo di ammiccare nella mia direzione, potei effettivamente notare che, come avevo sospettato, c'era qualcosa che non andava: l'uomo era pieno di graffi e lacerazioni sulla schiena, graffi e lacerazioni che nascondevano un tatuaggio; era una mano che stringeva un pugnale ondulato: l'impugnatura del coltello era tempestata di gemme, mentre la mano era macchiata di sangue (come se si fosse tagliata stringendo il pugnale) e ricoperta di cicatrici, al dito indice vi era un anello e si potevano vedere anche le vene bluastre. Era ben fatto, i bordi erano ben definiti e i colori vivaci. Un particolare attirò la mia attenzione: mancava un lembo di pelle quadrato vicino all'impugnatura del pugnale, sulla lama; l'assassino o gli assassini non volevano che chi lo avesse ritrovato vedesse quella parte di tatuaggio. Chissà perché?
«Segni di percosse?».
«Come può vedere, signorina, non ce n'è».
«Contenuto dello stomaco?» continuai.
«Il suo ultimo pasto intende? Beh, bistecca al sangue e azoto liquido» scherzò il dottore.
Io alzai un sopracciglio e il sorriso sul volto del medico legale sparì.
«I risultati dell'esame tossicologico?» domandai.
Anche l'ispettore si fece più attento a questa domanda, probabilmente non conosceva neanche lui questa informazione.
«Non abbiamo potuto farli in quanto il sangue nelle vene era congelato».
«Capisco. Beh io non ho più domande da porle dottore» dissi sorridendo.
«Qualcun'altro ne ha?» disse il medico.
Nessuno parlò quindi dopo esserci congedati, risalimmo in centrale.
«Sedetevi» disse l'ispettore quando arrivammo alla sua scrivania.
Gli sguardi degli altri poliziotti non ci avevano lasciati un attimo, da quando eravamo usciti dall'ascensore: ci additavano e sussurravano dandomi fastidio.
«La volete finire?» urlai girandomi di scatto verso due idioti che si erano piazzati dietro di noi.
Mi guardarono sconvolti e senza dire una parola andarono via.
«Dovresti controllare la rabbia, Macy, sono sicuro che gioverebbe ai tuoi rapporti interpersonali» disse ridendo l'ispettore.
«I miei rapporti interpersonali stanno benissimo per come sono, sono questi cretini che assume o che qualcun'altro assume per lei che dovrebbero farsi dare una controllatina al cervello» dissi acida.
Sia Nick che Lewis ridacchiarono alla mia battuta ma non mi contraddissero.
«Allora parliamo di questioni importanti adesso» cominciò Lewis: «Il nostro uomo era Philip Jennings, di anni 40, single, la madre si chiama Annette White, il padre Antony Jennings rispettivamente di anni 60 e 63...».
«Ispettore, se avessi voluto che lei mi leggesse la scheda anagrafica del morto, sarei andata all'anagrafe non crede?» dissi parzialmente scocciata.
«Farò finta di non averla sentita, Cullen. In ogni caso, Jennings era schedato: quando aveva 14 anni, si era fatto un paio di mesi in riformatorio per aver quasi ammazzato di botte un suo compagno di scuola; a 19 era finito dentro per spaccio, 2 anni; a 28 è finito nuovamente dentro per rapina a mano armata e tentato omicidio, ma si è fatto solo 9 dei 15 anni di carcere ed è uscito poi per buona condotta; dalla data della sua uscita a l'altro ieri, se ne erano perse le tracce» concluse l'ispettore.
«Solo questo?» chiesi delusa.
«In questi anni è stato come un fantasma: niente carte di credito, niente beni intestati, niente conti in banca, niente di niente. Probabilmente aveva una falsa identità: infatti abbiamo diramato un comunicato stampa con la sua foto, sperando che qualcuno lo riconosca e ci informi» disse sconsolato Lewis.
Dopo il penoso colloquio con l'ispettore io e Nick rimontammo in macchina e tornammo a casa.
«Che ne pensi?» mi chiese lui dopo aver lasciato il distretto.
«Penso che l'ispettore abbia ragione: il tipo aveva un'altra identità e se, come penso io, faceva parte di una qualche banda organizzata, non sarà facile trovarla e rintracciare di conseguenza tutto quello collegato a lui».
Nick fece una smorfia e si mise comodo sul sedile in pelle dell'auto chiudendo gli occhi.
«Perché ci siamo fermati?» disse dopo qualche minuto, quando si accorse che la macchina era ferma.
«Traffico» risposi guardandolo.
Lui aprì un occhio e guardò la distesa infinita di macchine davanti a noi: «Accidenti che casino!» esclamò aprendo gli occhi del tutto e mettendosi dritto.
Io risi e mi legai i capelli visto l'incredibile caldo che faceva.
«Hai un tatuaggio» notò lui, guardando la base del mio collo.
«Io ho molti tatuaggi» dissi enfatizzando la parola 'molti'.
«E un giorno io li potrò vedere tutti, giusto?» chiese ridendo.
«Sono in posti che neanche ti sogni, Nick, quindi tieni gli occhi a posto» gli dissi dandogli uno scappellotto.
«Ok, ok, ma non picchiarmi. Perché 'Faith & Love'?».
«Significa 'Fiducia & Amore' è tutto quello che avrei voluto oltre che da mio padre, anche da mia madre e così me lo sono tatuato per sopperire le mie mancanze» scherzai.
«Ne hai anche sui polsi».
«'Keep Holding On'? Non voglio parlarne. Non ora almeno» dissi guardando il traffico immobile di L.A..
«Ok» rispose Nick, notando il mio cambio d'umore.
La conversazione morì lì e tornammo a casa nel più assoluto silenzio.



Vorrei ringraziare LeaRachelBlackbird che mi ha recensita, aiutandomi con il mio problema delle virgole. Spero di aggiornare al più presto, anche se mi si è fuso il cellulare, oggetto su cui immancabilmente scrivo. xoxo Giorgia
   
 
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