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Autore: StephEnKing1985    23/06/2012    1 recensioni
- Marco? - chiamò Manuel. Marco era lì seduto sul panettone di cemento a piangere sconsolato.
Manuel gli andò vicino e s'inginocchiò di fronte a lui, incontrando i suoi grandi occhi color cioccolato, ora bagnati dalle calde lacrime- Ehi - gli disse - Ma perché piangi? Guardati intorno. C'è Torino di notte che è tutta per noi. E poi... Ci sono io con te. - Gli sorrise e gli porse la mano. Marco lo guardò. In quegli occhi azzurri c'era molta più sincerità di quanta non ne avesse mai vista in vita sua... Quegli occhi color cristallo gli sorridevano, e sembravano dire "Non abbandonarmi, amico mio. Se mi abbandoni, tutto sarà stato vano." Marco allora prese quella mano e Manuel dolcemente lo tirò su. - Andiamo - disse soltanto.
- Ti voglio bene, Manuel. - sussurrò Marco all'orecchio di Manuel, mentre sotto di loro il Po scorreva tranquillo...
- Ti voglio bene anch'io, Marco. - rispose Manuel, stringendolo ancora di più nell'abbraccio.
*****

Marco e Manuel. Un anno d'età di differenza, anni luce differenti per modi di pensare ed agire. Eppure così simili, così saldamente uniti da un legame fraterno che li farà incontrare e sperare di nuovo nella vita. Sostegno l'uno dell'altro contro le delusioni della vita, prime fra tutte quelle d'amore. Una meravigliosa storia di amicizia, che vede protagonisti Marco De Cristina e Manuel Chiaravalle, già presenti nelle fiction di Notrix "Finalmente... Laureati!" e "Troppo bello per essere vero". In questo nuovo romanzo, Notrix ci conduce per mano verso un grande ed inesplorato parco (la città di Torino, che ha dato i natali a Marco e Manuel), dove la falsità e l'opportunismo sono elementi del paesaggio, e dove due ragazzi, così differenti in tutto e per tutto, trovano nell'amicizia una sicurezza contro le avversità della vita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il tempo passa sempre troppo in fretta. E se già è frettoloso così, figurarsi quando una persona è felice e gli sembra che il tempo sia troppo poco. Questa era la sensazione di Marco, che in compagnia di Martin sembrava aver ritrovato il suo buonumore usuale. Al lavoro le cose continuavano ad andargli da schifo, ma almeno si era buttato alle spalle il ricordo di Rocco. Forse ancora per paura di perdere tempo, aveva presentato Martin a sua madre. Lei era stata entusiasta di conoscerlo, anche se non si era risparmiata di dire la sua su quel ragazzo dopo la cena.

- Quel ragazzo non mi piace. – aveva detto soltanto, mentre Marco si lavava i denti, in procinto di andare a letto. Nella sua statura, Marco sembrava un ragazzino, e senza vestiti sembrava addirittura più alto di quanto non fosse. Si fermò, con lo spazzolino in bocca e un rivolo di dentifricio all’angolo della bocca.

- SFuFha, hon ho haphitho? – borbottò, con gli occhi sgranati dietro le lenti.

- E invece hai capito benissimo – ribatté la madre, a braccia conserte contro lo stipite della porta – Ho detto che Martin non mi piace. E faresti bene a stare lontano da lui. –

Marco continuò a strofinarsi i denti senza dire nulla, poi sputò il dentifricio nel lavandino e si rivolse di nuovo alla madre – Sei soltanto timorosa che lui mi porti via. –

- No, sul serio, ho paura che quel bellimbusto ti faccia soffrire, Marco. Emana come … non saprei dirti, un fluido… delle… delle vibrazioni negative. –

- Ma , mamma. Non dirmi che credi a certe stupidaggini. – automaticamente, dopo aver sputato il dentifricio, Marco si mise in bocca del collutorio usando il tappo del flacone come bicchiere.

- Credo a quello che sento. Ti fidi o no di tua madre? –

Dopo aver sciacquato bene, Marco sputò nel lavandino il collutorio, che andò giù per il tubo in una sostanza verde e schiumosa. – Non chiedermi una cosa del genere. Certo che mi fido di te, ma voglio bene anche a lui. –

Sospirando, la madre scosse la testa. Marco le andò vicino e l’abbracciò. Avevano la stessa statura, lui e sua madre, cosa che la faceva sempre sentire in colpa, forse perché era una tara genetica che Marco aveva ereditato da lei. Le baciò la guancia, e la strinse dolcemente – Ti voglio bene, lo sai. Mi fido di te, ma … dagli un po’ di tempo. Sono sicuro che con il tempo ti piacerà. – disse Marco, dandole una stretta di conforto.

- Promettimi solo che non ti farà soffrire. –

Non era certo una cosa promettibile. Marco si strinse leggermente nelle spalle, quindi la guardò negli occhi e le disse – Lo prometto. – Lei sorrise, e l’abbracciò nuovamente.

 

*****

 

L’estate si avvicinava, e contemporaneamente i locali al chiuso iniziavano a chiudere i battenti. L’ultima serata si sarebbe tenuta allo Chalet, il locale più popolare della serata gay torinese.

- Non capisco perché dobbiamo fare sempre ciò che vuoi tu – disse Marco a Martin, mentre guidava la sua Cinquecento. Martin si voltò verso di lui e lo guardò con nonchalance.

- Non è vero che facciamo sempre ciò che voglio io – gli disse – E poi se non ti va bene dove andiamo, perché non lo dici apertamente, scusa? –

- Vuoi che te lo dica? Va bene, allora non mi va bene dove stiamo andando, ok? –

- Bene, allora suggerisci tu qualcosa. – mentre diceva ciò, cambiò marcia e svoltò in prossimità del locale.

Vedendo già le persone che si avvicinavano, Marco pensò di essere stato intrappolato ancora una volta, quindi non si sentì di dire nulla. Martin gli prese dolcemente la mano, e gliela carezzò.

- Amore… dai… non fare così. Vedrai che ci divertiremo, staremo insieme… e magari… - lasciò sospesa la frase, mentre portò la mano di Marco in direzione del suo bassoventre. Marco arrossì nel sentire il coso di Martin sotto la sua mano. Per essere un ragazzino era veramente ben attrezzato, e ogni volta che erano in intimità, Marco tirava fuori il suo istinto di ragazzo affamato, cosa che a Martin non dispiaceva affatto. Senza cercare ulteriore consenso, Martin si abbassò la zip dei pantaloni e vi infilò la mano piccola e affusolata di Marco. A contatto con il pene di Martin, anche il suo s’indurì un po’. Glielo strinse, e Martin mandò un gridolino di piacere. Marco continuò per un po’ a stringerglielo ad occhi chiusi, finché Martin non lo tirò a sé e lo baciò dolcemente.

- Ti amo, piccolo… -

- Anch’io… cucciolone. –

 

*****

 

- Non so se sia stata una buona idea venire qui – stava dicendo Alberto, mentre era all’entrata insieme a Manuel. Quest’ultimo era lì che lo teneva sottobraccio. Lo guardò di traverso.

- Si può sapere di cos’hai paura? È tutta la sera che ti guardi intorno come un latitante. –

- E’ che… non mi sento tranquillo. Non vorrei che Thomas… -

Manuel sospirò. – Non dirmi che pensi ancora a lui? Anche adesso che frequenti me? –

Alberto guardò in su in direzione di Manuel – Oh no… è chiaro che non penso più a lui, solo che non vorrei … si creassero equivoci, ecco. –

Manuel prese il viso di Alberto fra le sue mani, e si chinò un po’ a guardarlo negli occhi. - Alberto, ascoltami. Ti ha lasciato lui? Sì. Hai assorbito la sua scomparsa? Sì. Ti ha cercato in questi due mesi? No! E allora? Di cosa cazzo ti preoccupi? –

Quegli occhi azzurri di Manuel sembravano due diamanti, ai quali era impossibile sottrarvi lo sguardo. Alberto scosse la testa lentamente, quindi disse – Nulla. Non ho da preoccuparmi di nulla. –

A quella risposta, Manuel lo baciò dolcemente sulle labbra, sempre più appassionatamente. Lo stesso fece Alberto.

- Era ciò che volevo sentirti dire. – disse Manuel sorridendo – Ora andiamo. –

 

*****

 

Né Marco né Manuel avevano pensato l’uno all’altro, durante quei due mesi. Si erano semplicemente persi di vista, come due sconosciuti che si perdono di vista dopo un malinteso. Nel loro caso non c’era stato nulla, e non si erano pensati a vicenda, troppo occupati a pensare ciascuno alla propria vita. Ma se il tempo corre veloce, allora il destino prima o poi ci mette lo zampino, e se ciò era vero, allora né Marco né Manuel avrebbero dimenticato tanto facilmente quella serata in discoteca.

 

*****

Tra saluti di personaggi mai visti né conosciuti, drink e alcoolici vari (escluso Marco) e balli sfrenati, la serata di Marco passò velocemente, almeno fino alle due del mattino.

A quell’ora, la festa era arrivata al culmine. Gli ospiti erano già stati presentati dal DJ e stavano facendo a gara per chi diceva la stronzata più bella agli avventori danzanti, i ragazzi più belli pomiciavano sui divanetti e quelli più brutti erano seduti là da soli, in compagnia dei loro drink.

Ma dove sarà finito Martin? Pensò Marco, mentre teneva i due drink in mano (un analcoolico per lui e un vodka & lemon per Martin, il quarto della serata) e cercava con gli occhi il suo fidanzatino, che si era disperso all’improvviso, mentre erano al bancone. Domandò a qualcuno che aveva salutato prima (un amico di Martin) se l’avesse visto, ma quello gli rispose di “no”, condendo la risposta con una risatina sarcastica. Lì per lì Marco non capì il perché.

Lo capì dopo.

In mezzo alla folla, gli parve anche di riconoscere qualcun altro: una testa rossa dall’accento francese che aveva visto circa due mesi fa: Thomas! Era il ragazzo di Alberto, quel ragazzo un po’ in carne e burbero. Se c’erano loro, poteva voler dire che Manuel era lì. Un sorriso si dipinse sulle labbra di Marco.

 

*****

 

E Manuel era effettivamente là, ma non in compagnia con Thomas, bensì con quella del suo ragazzo, o meglio, ex-ragazzo. Insieme con Alberto, Manuel aveva cambiato un sacco di postazioni nella sala da ballo, non restando mai nello stesso punto per troppo tempo. Forse perché inconsciamente sapeva che stavano rischiando grosso di incontrare anche Thomas (che peraltro era lì, ma sia Manuel che Alberto ne ignoravano la presenza), ma la sua non era paura. Era piuttosto… desiderio di incontrare Thomas per caso.

Mentre baciava Alberto, Manuel si sentiva strano. Gli piaceva donare il suo corpo ed il suo affetto ad un ragazzo più giovane di lui, e per di più così lontano dagli schemi classici del ragazzo gay, ma non era del tutto convinto. Alberto era felicissimo tra le sue braccia, si vedeva fin troppo bene. E anche se per quei due mesi aveva cercato di accantonare Thomas, non ci era riuscito ancora del tutto, e ogni volta che baciava Manuel, una piccolissima parte di sé avrebbe voluto che ci fosse il suo bel rosso.

- Che hai, Manuel? – domandò Alberto.

- Nulla. – sorrise questi, e baciò di nuovo il ragazzo. – Stavo solo pensando che con te sto molto bene. –

Alberto sorrise, e accarezzò la guancia di Manuel. Questi rispose con un occhiolino, mentre continuavano a ballare il lento diffuso dalle casse. Mai come allora i single si erano fatti più da parte: se ne stavano tutti accalcati sui divanetti, a guardare con invidia chi aveva trovato il partner per la serata. Mentre ballavano, successe. Alberto cingeva la vita di Manuel, e le braccia di quest’ultimo erano distese sulle sue spalle. Quando Manuel si scostò un momento, come un fantasma in mezzo alla calca apparve il volto di Thomas. Alberto ebbe un tuffo al cuore. Il ragazzo dai capelli rossi se ne stava in piedi accanto a loro, guardandoli furente. Di tanto in tanto qualcuno lo urtava, ma lui restava impassibile, concentrando la sua attenzione soltanto sulla coppietta composta dal suo amico e dal suo ragazzo. Manuel lo guardò freddamente, lasciando andare Alberto. Nessuno disse nulla per lunghi attimi, nei quali entrambi restarono fermi sulla pista a guardarsi. Ad Alberto sembrò addirittura che dai loro occhi scaturissero delle folgori, dei piccoli fulmini elettrici che andavano a cozzarsi proprio in mezzo ai due. Lo sguardo di Thomas si spostò poi da Manuel ad Alberto, e mai come prima Alberto si sentì folgorato da una scarica elettrica. Tremava tutto, e il cuore gli era andato a mille. Thomas lo guardò dalla testa ai piedi, contorcendo la sua bocca in un’espressione di disgusto. Quindi diede una leggera spinta a Manuel e si dileguò attraverso la folla. Manuel si lanciò all’inseguimento.

 

*****

 

Frattanto, Marco gironzolava ancora alla cieca cercando il suo ragazzo. Si stava facendo tardi, e lui stava iniziando ad aver sonno. Gli scappava anche da morire la pipì, quindi decise di andare in bagno e lasciò i due drink sul tavolino senza nemmeno averli toccati.

Lì, si tirò giù la zip dei pantaloni e orinò nel gabinetto alla turca. Il chiasso della musica faceva rombare le pareti e gli aveva già intorpidito le orecchie, ma riusciva ancora a sentire qualcosa. Tra i vari borbottii e risatine isteriche dei ragazzi un po’ più effeminati, udì una voce che gli era familiare.

- Quanto sei figo – disse qualcuno. Sembrava una voce abbastanza matura, alla quale Marco assegnò più o meno quarant’anni.

- Tu di più – rispose un’altra voce. Marco la riconobbe immediatamente. Era quella di Martin. Indietreggiò leggermente, andando quasi a finire sulla parete di legno del gabinetto, quindi si accovacciò. Nello spazio tra il pavimento e la parete, vide le scarpe di Martin. Non c’erano dubbi. Nel bagno adiacente c’era lui… e un altro uomo, che indossava scarpe nere classiche. Cercò di fare mente locale e ricordare se avesse già visto qualcuno così, ma non fece in tempo a rinfrescarsi le idee che vide i pantaloni scuri dell’uomo adornargli le caviglie insieme ai boxer, e le scarpe di Martin che compivano una rotazione verso di lui. Poi anche i suoi pantaloni caddero e contemporaneamente un quadratino di plastica rosa (di quelli che contengono preservativi) volò sul pavimento del bagno lì vicino. Marco sentì il sangue che gli andava alla testa, in un pulsare armonico e concitato allo stesso tempo. I pensieri che gli rimbalzavano in testa senza un preciso filo logico, nonché le gambe che non gli rispondevano più. Iniziò a piangere sommessamente, portandosi le mani a coppa contro gli occhi, conscio che il suo sogno d’amore si era finito, se mai era cominciato.

 

   
 
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