Il tempo passa sempre troppo in fretta.
E se già è frettoloso così, figurarsi quando una persona è felice e gli sembra
che il tempo sia troppo poco. Questa era la sensazione di Marco, che in
compagnia di Martin sembrava aver ritrovato il suo buonumore usuale. Al lavoro
le cose continuavano ad andargli da schifo, ma almeno si era buttato alle
spalle il ricordo di Rocco. Forse ancora per paura di perdere tempo, aveva
presentato Martin a sua madre. Lei era stata entusiasta di conoscerlo, anche se
non si era risparmiata di dire la sua su quel ragazzo dopo la cena.
- Quel ragazzo non mi piace. – aveva
detto soltanto, mentre Marco si lavava i denti, in procinto di andare a letto.
Nella sua statura, Marco sembrava un ragazzino, e senza vestiti sembrava
addirittura più alto di quanto non fosse. Si fermò, con lo spazzolino in bocca
e un rivolo di dentifricio all’angolo della bocca.
- SFuFha, hon ho haphitho? – borbottò, con
gli occhi sgranati dietro le lenti.
- E invece hai capito benissimo –
ribatté la madre, a braccia conserte contro lo stipite della porta – Ho detto
che Martin non mi piace. E faresti bene a stare lontano da lui. –
Marco continuò a strofinarsi i denti
senza dire nulla, poi sputò il dentifricio nel lavandino e si rivolse di nuovo
alla madre – Sei soltanto timorosa che lui mi porti via. –
- No, sul serio, ho paura che quel
bellimbusto ti faccia soffrire, Marco. Emana come … non saprei dirti, un
fluido… delle… delle vibrazioni negative. –
- Ma và,
mamma. Non dirmi che credi a certe stupidaggini. – automaticamente, dopo aver
sputato il dentifricio, Marco si mise in bocca del collutorio usando il tappo
del flacone come bicchiere.
- Credo a quello che sento. Ti fidi o
no di tua madre? –
Dopo aver sciacquato bene, Marco sputò
nel lavandino il collutorio, che andò giù per il tubo in una sostanza verde e
schiumosa. – Non chiedermi una cosa del genere. Certo che mi fido di te, ma
voglio bene anche a lui. –
Sospirando, la madre scosse la testa.
Marco le andò vicino e l’abbracciò. Avevano la stessa statura, lui e sua madre,
cosa che la faceva sempre sentire in colpa, forse perché era una tara genetica
che Marco aveva ereditato da lei. Le baciò la guancia, e la strinse dolcemente
– Ti voglio bene, lo sai. Mi fido di te, ma … dagli un po’ di tempo. Sono sicuro
che con il tempo ti piacerà. – disse Marco, dandole una stretta di conforto.
- Promettimi solo che non ti farà
soffrire. –
Non era certo una cosa promettibile.
Marco si strinse leggermente nelle spalle, quindi la guardò negli occhi e le
disse – Lo prometto. – Lei sorrise, e l’abbracciò nuovamente.
*****
L’estate si avvicinava, e contemporaneamente
i locali al chiuso iniziavano a chiudere i battenti. L’ultima serata si sarebbe
tenuta allo Chalet, il locale più popolare della serata gay torinese.
- Non capisco perché dobbiamo fare
sempre ciò che vuoi tu – disse Marco a Martin, mentre guidava la sua
Cinquecento. Martin si voltò verso di lui e lo guardò con nonchalance.
- Non è vero che facciamo sempre ciò
che voglio io – gli disse – E poi se non ti va bene dove andiamo, perché non lo
dici apertamente, scusa? –
- Vuoi che te lo dica? Va bene, allora
non mi va bene dove stiamo andando, ok? –
- Bene, allora suggerisci tu qualcosa.
– mentre diceva ciò, cambiò marcia e svoltò in prossimità del locale.
Vedendo già le persone che si
avvicinavano, Marco pensò di essere stato intrappolato ancora una volta, quindi
non si sentì di dire nulla. Martin gli prese dolcemente la mano, e gliela
carezzò.
- Amore… dai… non fare così. Vedrai che
ci divertiremo, staremo insieme… e magari… - lasciò sospesa la frase, mentre
portò la mano di Marco in direzione del suo bassoventre. Marco arrossì nel
sentire il coso di Martin sotto la sua mano. Per essere un ragazzino era
veramente ben attrezzato, e ogni volta che erano in intimità, Marco tirava
fuori il suo istinto di ragazzo affamato, cosa che a Martin non dispiaceva
affatto. Senza cercare ulteriore consenso, Martin si abbassò la zip dei
pantaloni e vi infilò la mano piccola e affusolata di Marco. A contatto con il
pene di Martin, anche il suo s’indurì un po’. Glielo strinse, e Martin mandò un
gridolino di piacere. Marco continuò per un po’ a stringerglielo ad occhi
chiusi, finché Martin non lo tirò a sé e lo baciò dolcemente.
- Ti amo, piccolo… -
- Anch’io… cucciolone. –
*****
- Non so se sia stata una buona idea
venire qui – stava dicendo Alberto, mentre era all’entrata insieme a Manuel.
Quest’ultimo era lì che lo teneva sottobraccio. Lo guardò di traverso.
- Si può sapere di cos’hai paura? È
tutta la sera che ti guardi intorno come un latitante. –
- E’ che… non mi sento tranquillo. Non
vorrei che Thomas… -
Manuel sospirò. – Non dirmi che pensi
ancora a lui? Anche adesso che frequenti me? –
Alberto guardò in su in direzione di
Manuel – Oh no… è chiaro che non penso più a lui, solo che non vorrei … si
creassero equivoci, ecco. –
Manuel prese il viso di Alberto fra le
sue mani, e si chinò un po’ a guardarlo negli occhi. - Alberto, ascoltami. Ti
ha lasciato lui? Sì. Hai assorbito la sua scomparsa? Sì. Ti ha cercato in
questi due mesi? No! E allora? Di cosa cazzo ti preoccupi? –
Quegli occhi azzurri di Manuel
sembravano due diamanti, ai quali era impossibile sottrarvi lo sguardo. Alberto
scosse la testa lentamente, quindi disse – Nulla. Non ho da preoccuparmi di
nulla. –
A quella risposta, Manuel lo baciò
dolcemente sulle labbra, sempre più appassionatamente. Lo stesso fece Alberto.
- Era ciò che volevo sentirti dire. –
disse Manuel sorridendo – Ora andiamo. –
*****
Né Marco né Manuel avevano pensato l’uno
all’altro, durante quei due mesi. Si erano semplicemente persi di vista, come
due sconosciuti che si perdono di vista dopo un malinteso. Nel loro caso non c’era
stato nulla, e non si erano pensati a vicenda, troppo occupati a pensare
ciascuno alla propria vita. Ma se il tempo corre veloce, allora il destino prima
o poi ci mette lo zampino, e se ciò era vero, allora né Marco né Manuel
avrebbero dimenticato tanto facilmente quella serata in discoteca.
*****
Tra saluti di personaggi mai visti né
conosciuti, drink e alcoolici vari (escluso Marco) e balli sfrenati, la serata
di Marco passò velocemente, almeno fino alle due del mattino.
A quell’ora, la festa era arrivata al
culmine. Gli ospiti erano già stati presentati dal DJ e stavano facendo a gara
per chi diceva la stronzata più bella agli avventori danzanti, i ragazzi più
belli pomiciavano sui divanetti e quelli più brutti erano seduti là da soli, in
compagnia dei loro drink.
Ma
dove sarà finito Martin? Pensò
Marco, mentre teneva i due drink in mano (un analcoolico per lui e un vodka
& lemon per Martin, il quarto della serata) e
cercava con gli occhi il suo fidanzatino, che si era disperso all’improvviso,
mentre erano al bancone. Domandò a qualcuno che aveva salutato prima (un amico
di Martin) se l’avesse visto, ma quello gli rispose di “no”, condendo la
risposta con una risatina sarcastica. Lì per lì Marco non capì il perché.
Lo capì dopo.
In mezzo alla folla, gli parve anche di
riconoscere qualcun altro: una testa rossa dall’accento francese che aveva
visto circa due mesi fa: Thomas! Era il ragazzo di Alberto, quel ragazzo un po’
in carne e burbero. Se c’erano loro, poteva voler dire che Manuel era lì. Un
sorriso si dipinse sulle labbra di Marco.
*****
E Manuel era effettivamente là, ma non
in compagnia con Thomas, bensì con quella del suo ragazzo, o meglio,
ex-ragazzo. Insieme con Alberto, Manuel aveva cambiato un sacco di postazioni
nella sala da ballo, non restando mai nello stesso punto per troppo tempo.
Forse perché inconsciamente sapeva che stavano rischiando grosso di incontrare
anche Thomas (che peraltro era lì, ma sia Manuel che Alberto ne ignoravano la
presenza), ma la sua non era paura. Era piuttosto… desiderio di incontrare
Thomas per caso.
Mentre baciava Alberto, Manuel si
sentiva strano. Gli piaceva donare il suo corpo ed il suo affetto ad un ragazzo
più giovane di lui, e per di più così lontano dagli schemi classici del ragazzo
gay, ma non era del tutto convinto. Alberto era felicissimo tra le sue braccia,
si vedeva fin troppo bene. E anche se per quei due mesi aveva cercato di
accantonare Thomas, non ci era riuscito ancora del tutto, e ogni volta che
baciava Manuel, una piccolissima parte di sé avrebbe voluto che ci fosse il suo
bel rosso.
- Che hai, Manuel? – domandò Alberto.
- Nulla. – sorrise questi, e baciò di
nuovo il ragazzo. – Stavo solo pensando che con te sto molto bene. –
Alberto sorrise, e accarezzò la guancia
di Manuel. Questi rispose con un occhiolino, mentre continuavano a ballare il
lento diffuso dalle casse. Mai come allora i single si erano fatti più da
parte: se ne stavano tutti accalcati sui divanetti, a guardare con invidia chi
aveva trovato il partner per la serata. Mentre ballavano, successe. Alberto
cingeva la vita di Manuel, e le braccia di quest’ultimo erano distese sulle sue
spalle. Quando Manuel si scostò un momento, come un fantasma in mezzo alla
calca apparve il volto di Thomas. Alberto ebbe un tuffo al cuore. Il ragazzo
dai capelli rossi se ne stava in piedi accanto a loro, guardandoli furente. Di
tanto in tanto qualcuno lo urtava, ma lui restava impassibile, concentrando la
sua attenzione soltanto sulla coppietta composta dal suo amico e dal suo
ragazzo. Manuel lo guardò freddamente, lasciando andare Alberto. Nessuno disse
nulla per lunghi attimi, nei quali entrambi restarono fermi sulla pista a
guardarsi. Ad Alberto sembrò addirittura che dai loro occhi scaturissero delle
folgori, dei piccoli fulmini elettrici che andavano a cozzarsi proprio in mezzo
ai due. Lo sguardo di Thomas si spostò poi da Manuel ad Alberto, e mai come
prima Alberto si sentì folgorato da una scarica elettrica. Tremava tutto, e il
cuore gli era andato a mille. Thomas lo guardò dalla testa ai piedi,
contorcendo la sua bocca in un’espressione di disgusto. Quindi diede una
leggera spinta a Manuel e si dileguò attraverso la folla. Manuel si lanciò all’inseguimento.
*****
Frattanto, Marco gironzolava ancora
alla cieca cercando il suo ragazzo. Si stava facendo tardi, e lui stava iniziando
ad aver sonno. Gli scappava anche da morire la pipì, quindi decise di andare in
bagno e lasciò i due drink sul tavolino senza nemmeno averli toccati.
Lì, si tirò giù la zip dei pantaloni e
orinò nel gabinetto alla turca. Il chiasso della musica faceva rombare le
pareti e gli aveva già intorpidito le orecchie, ma riusciva ancora a sentire
qualcosa. Tra i vari borbottii e risatine isteriche dei ragazzi un po’ più
effeminati, udì una voce che gli era familiare.
- Quanto sei figo – disse qualcuno.
Sembrava una voce abbastanza matura, alla quale Marco assegnò più o meno
quarant’anni.
- Tu di più – rispose un’altra voce.
Marco la riconobbe immediatamente. Era quella di Martin. Indietreggiò leggermente,
andando quasi a finire sulla parete di legno del gabinetto, quindi si
accovacciò. Nello spazio tra il pavimento e la parete, vide le scarpe di
Martin. Non c’erano dubbi. Nel bagno adiacente c’era lui… e un altro uomo, che
indossava scarpe nere classiche. Cercò di fare mente locale e ricordare se
avesse già visto qualcuno così, ma non fece in tempo a rinfrescarsi le idee che
vide i pantaloni scuri dell’uomo adornargli le caviglie insieme ai boxer, e le
scarpe di Martin che compivano una rotazione verso di lui. Poi anche i suoi
pantaloni caddero e contemporaneamente un quadratino di plastica rosa (di
quelli che contengono preservativi) volò sul pavimento del bagno lì vicino.
Marco sentì il sangue che gli andava alla testa, in un pulsare armonico e
concitato allo stesso tempo. I pensieri che gli rimbalzavano in testa senza un
preciso filo logico, nonché le gambe che non gli rispondevano più. Iniziò a
piangere sommessamente, portandosi le mani a coppa contro gli occhi, conscio
che il suo sogno d’amore si era finito, se mai era cominciato.