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Autore: Eirien    23/06/2012    4 recensioni
La notte degli inganni ha avuto ufficialmente tre vittime: il Gran Sacerdote Shion, Aioros di Sagitter, la sanità mentale di Saga di Gemini.
Questo, perché non tutti sanno che due giorni dopo Mitsumasa Kido è andato in cerca di un Cavaliere d'Oro. E che si può vivere due volte lo stesso destino, anche se una volta sarebbe già troppo.
Genere: Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Chameleon June, Nuovo Personaggio, Phoenix Ikki, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Track #09: Half A World Away TRACK # 09

HALF A WORLD AWAY

This could be the saddest dusk
I've ever seen
Turn to a miracle
High alive
My mind is racing
As it always will
My hands tired, my heart aches
I'm half a world away here
My head sworn
To go it alone […]
And hold it along
Haul it along
And hold it
Blackbirds, backwards, forwards and fall and hold, hold…

(R.E.M.)

Freddo. Non riusciva a pensare ad altro. "È arrivato l'inverno? Le penetrava nelle ossa, le soffocava i polmoni. "Non sentirò che questo freddo, per tutta la vita." Le sembravano soltanto pochi giorni da quando era arrivata in quella soffitta, con lo scrigno della sua armatura sulle spalle e lo zaino che le ricordava l'infelice vacanza in Grecia con tutti i suoi amici. Quasi stordita dal caldo estivo, lei che da sei anni non sapeva cosa volesse dire una giornata di primavera. E poi erano trascorsi mesi, durante i quali aveva cercato i suoi cari nel luoghi di addestramento in cui erano stati inviati. Soltanto per scoprire che di tutti loro soltanto sua sorella era di nuovo se stessa.
Kelly rabbrividì e richiuse la finestra. Non voleva girarsi. Girarsi voleva dire incontrare gli occhi di Christine, lucidi come i suoi. Girarsi significava continuare a vivere, tentare di venire a patti con la consapevolezza bruciante di quel dolore troppo crudele. Perché Dave non c'era più. Un pezzo della loro vita se ne andava via con lui.


"Pensa a loro, Kelly. Portali via da qui…"

La ragazza si portò una mano al viso. Non si era neppure accorta che fosse rigato di lacrime. Le scoppiava la testa. Soltanto sei ore prima lui era vivo. Le aveva gettato in mano lo stramaledetto elmo del Sagittario e le aveva urlato di non pensare a lui, di salvare i loro amici. Tipico di Dave. Un sorriso indisponente, un pessimo carattere e una generosità senza eguali. Anche se faceva sempre del suo meglio per nasconderlo. "Perché? Perché proprio tu?" Senza parlare, Christine si portò davanti a lei e l'abbracciò. Le parole erano superflue, e dolorose. Ognuna rischiava di aprire un'altra ferita.
Kelly sentiva le ultime energie abbandonarla. I singhiozzi la investirono, le tolsero il fiato e la forza nelle gambe. In ginocchio e con la mano ancora aggrappata al davanzale non riusciva a pronunciare una parola, ma sperava con tutto il cuore che le sue lacrime non scorressero invano. "Ti prego, dammi la forza. Se sei davvero Giustizia allora fa' che questo dolore non sia stato inutile…"
Christine continuava a stringerla, aggrappandosi alle sue spalle, alla sensazione della sua presenza viva e tangibile. Com'era tutto irreale… "Almeno tu non sparirai. Giurami che a te non succederà niente…" Un incubo, ecco cos'era. Un orribile incubo che la sua mente faticava ad accettare. Non riusciva neppure a piangere. Si sentiva ancora stordita, come nel momento in cui la tragedia di quel pomeriggio le era piombata addosso, lasciandole sulle spalle soltanto incredulità e un dolore così acuto da farle credere che nulla si sarebbe potuto ricomporre. Ma forse poteva ancora fare qualcosa, considerò, accarezzando i capelli di sua sorella. "Se non fosse stato per lui ora Kelly sarebbe qui da sola… e non l'ho neppure ringraziato."

"Un momento…" Un pensiero fugace le attraversò la mente: la percezione di una presenza familiare a pochi metri di distanza. "Non sarà…" — È ancora qui? — mormorò, sovrappensiero. Ma non aveva voglia di pensarci. Non aveva voglia di pensare a niente. Quando Kelly si sciolse dall'abbraccio con riluttanza, s'irrigidì d'istinto.

— Vado a prenderlo… — la sentì bisbigliare, a mo' di scusa. Chris abbozzò un sorriso stentato, mentre la guardava gettarsi una giacca a vento sulle spalle e uscire, lasciando la porta socchiusa.

Kelly si era diretta verso il lungomare, fulminando con un'occhiata inceneritrice il solito impasticcato che tentava di palpeggiarla ogni volta che usciva di casa dopo il tramonto; sapeva esattamente dove andare e sperava di fare in fretta. Con attenzione scavalcò la ringhiera di protezione e si inoltrò sulla barriera di scogli artificiali. Una figura accovacciata su una sporgenza si confondeva quasi perfettamente con l'oscurità. "Eccolo, il testadura…" nonostante la sua tristezza, il buio e un vago senso di colpa, avrebbe riconosciuto dovunque quelle spalle da urlo. "È ridicolo che non ne approfitti, o che le donne non si approfittino di lui. Ma forse c'entra qualcosa quella sua affascinante personalità…"

— Posso chiederti cosa diamine fai qui? —

Camus si scosse con un brivido, accorgendosi all'improvviso di aver freddo. Un tipo di freddo che non conosceva, che non veniva dall'esterno. C'era odore di neve, neve sul mare. Sarebbe stata una notte magica se da qualche parte fuori città non giacesse il cadavere di uno dei ragazzini di cui avrebbe dovuto essere l'angelo custode. — Christine non riuscirà a tornare da sola all'Isola di Andromeda… — rispose senza voltarsi.

Kelly preferì non rammentargli che anche lei avrebbe potuto aiutare sua sorella a tornare indietro, anche se non con la stessa rapidità. Si avvicinò, sfiorandogli la spalla con una mano. Era gelata. "Con questo tempo te ne vai in giro in maniche di camicia…" — Non ti ho chiesto perché sei rimasto a Tokyo. Vorrei sapere perché ti stai congelando su questi sassi. —

Nessuna risposta. La ragazza gli si inginocchiò davanti. Lo scrutò a lungo, senza riuscire a incrociare i suoi occhi. — Mi farai restare qui tutta la notte, maestro? — lo rimproverò dolcemente. Lui finalmente la guardò. Nessuna espressione. Soltanto stanchezza, e forse una muta preghiera di lasciarlo solo. Ma lei non poteva. Mai come in quella sera di lutto aveva distinto chiaramente ciò che era importante da ciò che non lo era. E non aveva mai compreso meglio le emozioni di quel giovane uomo troppo orgoglioso per chiedere aiuto. "Perfino tu hai bisogno di un po' di calore umano…" — Non pensare che sia colpa tua, Camus… —

— Dovrei saperlo… — mormorò lui, come svegliandosi da un sogno. Ma si riprese in fretta. — Non dovresti essere qui, Kelly. È stata una pessima giornata per te. —

"Ma sì, cambiamo discorso…" Era proprio come pensava. Il rimorso lo stava divorando. Per mesi se l'era augurato, aveva sognato che accadesse, povera sciocca che non era altro. Aveva sperato follemente che lui sapesse, che arrivasse a capire e provare un briciolo della sua pena. E adesso che una leggera crepa nella corazza d'oro le lasciva sbirciare all'interno, finalmente imparava quelle poche verità elementari: lui aveva sempre saputo quel che faceva, saperlo non gli aveva impedito di soffrirne e il suo dolore non riusciva in alcun modo a farla sentire meglio. Gli tese una mano. — Vieni via di qua… non vorrai ammalarti. — lo pregò.

— Sai che il freddo non mi tocca… — Camus guardò il palmo, debolmente illuminato dal lampione, poi lei. — Che hai fatto alle mani? — Gliele prese entrambe tra le sue e le esaminò attentamente, socchiudendo gli occhi. — Dovevi bendarle. Per quanto possano guarire in fretta, restano delle brutte ustioni. — Il terribile potere del cosmo della Fenice… Un'altra stilettata nel cuore della ragazza. "Dave… non ti vedrò più volare…"

— E non le hai ancora viste bene… — tentò di scherzare.

Ma a Camus non sfuggì la leggera incrinatura nella sua voce. — Come te le sei procurate? — di fronte al silenzio rattristato di lei, distolse lo sguardo. Le lasciò andare le mani. — Hai ragione, non sono affari miei. —

— Non era questo che intendevo… — Kelly si raddrizzò tremando. I primi fiocchi incominciavano a cadere.

Camus continuava a guardare altrove, indeciso sul da farsi. Improvvisamente si alzò in piedi, scrollando le spalle. Aveva voglia di fuggire. Da lei, dal suo compito, dal quell'insopportabile senso di fallimento che provava. E anche da quel sollievo crudele che gli riempiva il cuore di orrore. Kelly era salva. Solo questo importava, anche se soffriva terribilmente. Anche se uno dei suoi amici era morto al suo posto, lui non poteva fare a meno di ringraziare la Sorte di averla risparmiata. — Forse è meglio che torni al Santuario, intanto… Sai come chiamarmi, in caso di necessità. — Era desolata, non c'era altro termine per definirla. Ed era tutto merito suo. — Va' a casa e cerca di riposarti, ragazzina. Ne hai davvero bisogno.—
Sollevò una mano, appena, come per accarezzarle la testa, ma la riabbassò scuotendo il capo. Le diede le spalle, incamminandosi senza aggiungere altro. Non le avrebbe imposto ancora una volta la sua presenza, almeno questo glielo doveva. Anche se il desiderio di stringerla tra le braccia e consolarla stava diventando quasi doloroso.

"Non andare via…"

— Cos'hai detto? — Camus si era voltato di scatto, e la guardava come se si stesse chiedendo chi tra loro due fosse impazzito.

La ragazza arrossì vistosamente, distogliendo gli occhi. "Allora…non l'ho solo pensato…" Cos'era quella vergogna? In fondo era lì per quello… — Non te ne andare… Vieni a casa con me. —

Lo sguardo del suo maestro si addolcì appena mentre si avvicinava tanto da sfiorarla. La fissava in un modo che l'aveva sempre ipnotizzata. — Perché? — un sussurro, scuotendo la testa. Sembrava stanco quasi quanto lei.

"E tu, come sei sopravvissuto a questa giornata?" Voleva saperlo, realizzò all'improvviso, fissando il collo della sua camicia, il muscolo che gli si contraeva sulla guancia, unico, muto testimone della sua agitazione. Sollevò la testa per guardarlo in faccia. Non si era mai sentita tanto piccola e insignificante di fronte a lui. La sovrastava, sebbene non fosse tanto bassa per la sua età. Ma tutto sommato non le dispiaceva. Al contrario, le dava un senso di protezione. L'unica protezione di cui sentiva di avere bisogno quella sera. L'unica che avesse bisogno di offrire, per non sentirsi del tutto inutile. "Sei la mia boa di salvataggio…" — Hai promesso di aiutarmi… — bisbigliò. — Se c'è un momento in cui puoi farlo è questo. Non lasciarci sole… —

Lui non le rispose. Senza una parola, le circondò le spalle con un braccio e la pilotò verso la luce. Il ritorno fu tanto breve da non ricordare nulla del tragitto dalla banchina all'ingresso della sua casa. La porta si aprì con un leggero cigolio. Il volto di Camus era impenetrabile. Ma una sua mano continuava a stringerle la spalla.

~.~


L'elmo dorato venne posto su un piedistallo di marmo, sotto gli occhi attenti di Saori Kido. L'eredità di suo nonno. Il simbolo del suo sogno di dare il via ad una nuova stirpe di guerrieri devoti alla giustizia. "Il tuo sogno valeva tanti sacrifici, nonno?" Dopo quella giornata non se ne sentiva più tanto sicura. "Non è come giocare ai soldatini, nonno. E poi avevi ragione, non sono giochi adatti ad una signorina come me. Non se si tratta di soldatini in carne e ossa."

'Sarai tu la loro guida…' le aveva detto quella sera nella lussuosa camera d'ospedale. Lei non sapeva, non poteva immaginare che non l'avrebbe più rivisto. 'Ricordalo sempre, Saori…'

La loro guida. Lei aveva provato ad essere un capo. "Per ottenere cosa, in fondo?" Quella sera ne aveva avuto la prova.
Le occhiate, gli sguardi di disapprovazione di Shiryu e Hyoga. Gli occhi colmi di lacrime di Shun. Il silenzio teso di Altair, che se n'era andata per prima, senza che lei avesse il coraggio di trattenerla. Un'accusa muta, la loro, e in quanto tale, senza possibilità di giustificazione. A nulla erano valse le sue parole, che volevano essere di conforto. L'avevano guardata sì, con pazienza, come se lei non potesse capire davvero.
E poi c'era Seiya. Il modo in cui le aveva lasciato cadere sulla scrivania quello che avrebbe dovuto essere il trofeo di una vittoria, ritirandosi in fretta nell'angolo più lontano della stanza, come se la sua vicinanza la disgustasse, l'aveva ferita più di ogni altra cosa. Sapeva di non avere alcuna possibilità di fargli cambiare idea. Non ancora. "Credete che non abbia sentimenti, non è così?" Saori portò le mani al viso, lo coprì, desiderando immensamente che qualcun altro, oltre lei, le fosse lì ad elargirle un'identica carezza. Sospirò, di tristezza, paura e solitudine.
Non l'avevano abbandonata, non ancora, era quello l'importante. Erano rimasti al suo fianco, l'avevano vista rimproverare Tatsumi per amor loro, un gesto forse ineducato, che non aveva potuto evitare. E, lentamente, erano persino arrivati a sorridere.
Si lasciò cadere sull'enorme poltrona, quella che, da quando ne aveva memoria, troneggiava dietro la scrivania del fu Mitsumasa Kido. E inspiegabilmente il suo pensiero non riusciva a staccarsi da Ikki. Provava dolore per lui, rimorso per la sua sorte, come non avrebbe mai creduto possibile. La morte era improvvisa, ingenerosa. Immeritata. "Dov'è la giustizia in tutto questo, nonno? Se solo tu potessi ancora rispondermi…"

~.~


Kelly apparve sulla porta del cucinino, una tazza di caffè lungo in ciascuna mano. Sedette sulla poltrona gonfiabile, porgendone una al suo ospite seduto rigido sul divano. Camus ne vuotò metà in un sorso solo, producendosi nel suo miglior tentativo di dissimulare una smorfia da ustione. Lei sorrise appena. "L'uomo dei ghiacci non ha mai freddo, vero? Per questo ti stai mandando a fuoco le tonsille…" Lui intercettò il suo sguardo e le rivolse una delle sue occhiatacce di gelida irritazione. "Dave ti avrebbe trovato simpatico… e ti avrebbe preso in giro senza pietà."
Christine aveva sorriso a Camus, lo aveva ringraziato ancora e li aveva salutati. Un cenno a lui e una carezza tutta per lei ed era andata a prendere possesso del suo letto, proclamandosi distrutta dalla stanchezza. "Inventatene una migliore, sorellona…" Ma non aveva avuto tutti i torti, pensò, osservando Camus riprendere a sorseggiare la sua bevanda con la stessa circospezione di un artificiere. Avevano bisogno di parlare, loro due. E se dubitava fortemente che Camus si sarebbe degnato di mettere a tacere il suo orgoglio di fronte a lei, era del tutto convinta che di fronte ad una presenza estranea non gli avrebbe cavato di bocca una parola.

— Non ti ho ancora ringraziato per essere andato a… a prendere Christine… — lasciò cadere con falsa tranquillità.

Lui tuffò il naso nella tazza. — Non ho fatto niente di speciale… — sentenziò, con l'aria più distaccata possibile.

La ragazza lo ignorò. — …ma ancora non ho capito perché non sei venuto a casa insieme a lei. — Perché poi tenesse tanto a fargli vuotare il sacco, non era ancora riuscita a capirlo. Forse perché qualche angolo masochista e contorto del suo cervello tendeva ancora a considerarlo come un punto di riferimento. E la sua roccia non doveva e non poteva permettersi di franare. "Posso aspettare anche tutta la notte, sai?"

Lui l'aveva compreso perfettamente. "Ma come faccio a spiegarti? Se le cose tra noi fossero diverse…" Diverse, come? Quale ridicolo pensiero gli si era materializzato nel cervello? "Non esiste, un noi", pensò, "e non esisterà mai."

Lei continuava a fissarlo. Era certa di aver finalmente trovato il bandolo della matassa. — Pensavi che ti avrei sbattuto fuori? — insinuò, melliflua.

"Touché…" Aquarius si irrigidì visibilmente. — Non ne sei in grado… e te ne sei già accorta, ragazzina. —

"Lo so. E so anche che ci sono andata vicina." — Come se fosse questo, il punto… —

Camus scattò come se l'avesse morso una vipera. — E quale sarebbe, allora? — sibilò, posando con malgarbo la tazza sul tavolino basso di fronte al divano. Non era da lui reagire così. Ma niente come quella ragazzina era in grado di farlo saltare con una sola parola, rifletté. Di mandarlo in bestia o in paradiso nel giro di pochi attimi.

Lei si era raggomitolata a distanza di sicurezza, ma non aveva intenzione di mollare — Potresti rispondere chiaramente sì o no, per una volta. — insisté.

"Nega! Nega! Nega!" — È la tua domanda che non merita risposta, ragazzina. Non c'è una sola ragione sulla Terra per cui dovrei temere che tu mi sbatta la porta in faccia — ritorse immediatamente, nel modo più sprezzante possibile. Diamine, quella… quella marmocchia! Come si permetteva di… di… "…di prenderti alla spalle e mandare a monte tutte le tue difese?"

Kelly stava rapidamente perdendo le staffe. Balzò in piedi, e il dolore di quel gesto avventato sui suoi muscoli martoriati fu troppo per la sua pazienza. "Ok, ci ho provato. Ma la mia riserva di autocontrollo è a secco da un pezzo." — Me? Qui non si parla di me, non se n'è mai parlato. Si tratta di te! — sbottò, furiosa — L'avrai capito anche tu, che questo è soltanto l'inizio. E non è forse una magnifica sensazione di dejà-vù? Oggi io ho perso David, come quel giorno tu hai perso il tuo amico Aioros! E come te allora io non l'ho potuto impedire! — gridò quasi, trattenuta soltanto dalla preoccupazione di non svegliare sua sorella.

"Maledizione, non dirlo…" — Kelly… — provò a interromperla, nel tono più deciso che riuscì a trovare.

Lei non gli badò affatto. Sembrava parlare soprattutto per se stessa. — E tu… Dio, sei… sei… — riprese, sottovoce. — Cosa credevi, che ti avremmo fatto pesare ciò che è successo? Che te ne avremmo addossato la colpa? Non ti è passato per la testa che io sia già abbastanza impegnata con il mio rimorso per pensare di crocifiggere qualcun altro? Io, io ero lì, non tu. Io sono rimasta impalata con quel maledetto elmo tra le mani. Io… non sono riuscita ad impedire che Dave… — la voce le si strozzò in gola. — Non sono riuscita a impedirglielo. Se solo il tuo Gran Sacerdote si stancherà di giocare li perderò tutti. — Deglutì un paio di volte. — Chi di noi due ha diritto di sentirsi in colpa, adesso? — sussurrò.

Colpito e affondato. Stentava a riconoscerla, la ragazzetta immatura che si era quasi lasciata uccidere per mero sentimentalismo. Il suo sguardo era molto più duro adesso, come se quella giornata l'avesse invecchiata di anni. E il tono di voce era quello di chi aveva visto troppo, per una sola vita. "Povero sciocco. Le rispondi ancora come si fa con una bambina, ma lei ha capito, molto più di quanto avresti creduto." Camus si guardò le punte dei piedi, poi alzò lo sguardo sulla finestra. "Ha capito che non c'è ritorno." — Kelly… ora che ci penso non ti ho neanche detto grazie per questo ottimo caffè… —

Lei si allungò di nuovo sulla poltrona. "Questo sarebbe il tuo ramoscello d'ulivo? È un po' misero… ma posso accontentarmi." — Non ho fatto niente di speciale… — lo scimmiottò.

La regina delle pessime battute. Che forse, almeno in quello, non sarebbe cambiata troppo. — Chiudi il becco, piccola strega… Non hai nessuna idea di cosa sia il rispetto… —

— Proprio come te della fiducia, a quanto pare… — commentò la ragazzina, per nulla impressionata.

Camus si limitò a guardarla di traverso, tanto per darsi un contegno. Sarebbe mai riuscito da avere ragione di lei? Ma non aveva nessuna voglia di ribattere. Kelly rispose con una smorfia, alzandosi e dirigendosi in bagno rigidamente. Lui rimase seduto, a riflettere. Sapeva che la ragazzina aveva ragione. E che forse anche lei aveva capito che la solitudine interiore di quegli anni gli aveva fatto più male di quanto avesse creduto. La consapevolezza l'aveva attraversato in pochi attimi, respirando l'aria di quella casa, cogliendo l'intesa tra Kelly e sua sorella. Era quella, la fonte della loro resistenza alle avversità. La stessa sensazione, lo capiva ora, che aveva provato davanti a quel pacco di polaroid scolorite che raccontavano la loro storia. Quello, forse, poteva essere il calore di una famiglia. "Ma cosa voglio saperne io… a parte Milo, sono stato sempre solo… " Un tonfo sordo, seguito da una imprecazione soffocata, lo riportò con i piedi per terra. Camus scosse il capo, divertito suo malgrado. "Slanciata, pallida e delicata… una bambola, se solo tenesse la bocca chiusa" pensò, alzandosi per andarle incontro.

Kelly riemerse in quel momento, le mani bendate alla bell'e meglio. Strano, ma soltanto allora si accorgeva che indossava ancora la tuta nera e gli scaldamuscoli che portava sotto l'armatura. Si era raccolta i capelli chiazzati qua e là di sangue e di polvere con un fermaglio piuttosto male in arnese. Zoppicava, il viso graffiato e gli occhi cerchiati di nero. "Non ti eleggeranno di certo Miss Santuario stasera…" Eppure, non gli aveva mai ispirato tanta tenerezza. "Dovresti dormire. Ma tanto se te lo dicessi non mi daresti retta." — Ragazzina, sbaglio o non ti reggi più in piedi? —

— Però, che occhio… diciamo che ho visto giorni migliori. — borbottò lei, artigliando lo stipite della porta, il viso contratto nel tentativo di arginare il dolore. La gamba destra che Docrates aveva colpito aveva cominciato a pulsare in maniera insopportabile non appena si era scontrata con il cesto della biancheria sporca. "Non credevo di essere ridotta così male…"

— Che fanciulla dolce e gentile — commentò lui. — Sarebbe un peccato non aiutarla. — Kelly. L'unica che avesse avuto il coraggio di cantargliene quattro. Che fosse dalla sua parte e lo facesse sentire ancora vivo. "Da quando sei tornata la vita ha cambiato colore…"

Kelly non fece in tempo a rispondere che si sentì sollevare e deporre sul divano con attenzione. "Prendimi pure in giro… Ma sorridi… Diventi un'altro, quando sorridi." — Hai davvero una gran faccia tosta, lo sai? — "Una bellissima faccia tosta, accidenti a te…"

Lui la guardò intensamente. "Quanto vorrei poterti portar via…"
— Kelly, vedrai altri giorni migliori di questo. Puoi esserne certa — disse con dolcezza insolita, chinandosi a sciogliere le sue bende. Sentiva che era il momento di cambiare discorso — Potevi anche chiedermi aiuto per queste bruciature, comunque. Non mi sembra che tu sia in grado di occupartene. —

La ragazza si abbandonò contro la spalliera con un piccolo sorriso stanco. Lui e il suo atteggiamento scostante, falso fino al midollo. Provava un strano senso di benessere, misto ad un sottile disagio. Sapeva che anche lui stava ricordando l'ultima volta che le sue mani avevano avuto bisogno di cure. — Vuoi ancora sapere com'è andata? —

Lui si fermò, le dita che per un istante solo sfioravano le sue, come se avesse voluto stringerle. — Ragazzina, non sei obbligata a farlo. Forse… è meglio che ci pensi il meno possibile. —

— Tu credi davvero che smetterò di pensarci? — sussurrò lei, scettica.

Camus passò le dita sui suoi palmi in fiamme. Kelly si era limitata a disinfettarli, a spalmare una pomata per le ustioni. Il dolore doveva essere insopportabile. Pensò che sarebbe bastato poco per rinfrescarli, per darle sollievo col suo potere. "Perché non l'hai fatto tu?" Constatati i danni, cominciò a bendarle daccapo le mani, senza tentare nulla di più. Forse aveva capito. — No. Non succederà — disse piano, senza osare guardarla. "Ti stai punendo, vero?" — Ma scoprirai di essere più forte di quanto tu creda. E col tempo troverai la forza di conviverci. —

"A te è andata così?" — Dai, siedi qui… — lo invitò. Tentò di spostarsi di lato, ma una fitta terribile le strappò un'esclamazione soffocata. — Maestro, sii gentile. — ansimò, indicando la sua sinistra — Prendimi la scatola gialla che trovi sul terzo ripiano di quella libreria. Non credo di poterci arrivare da sola. —

Lui eseguì, piuttosto preoccupato. — Kelly, questo non è il Santuario e io non ho il talento del guaritore. Non sarebbe meglio che ti portassi in un ospedale qualsiasi? —

La ragazza scosse la testa. — L'unico dove non mi farebbero domande imbarazzanti sarebbe quello della Fondazione. No, grazie. — aprì la scatoletta e prese qualcosa che somigliava ad una fiala lunga un dito — E poi è meglio che nessuno che graviti attorno a Saori Kido mi veda insieme a te. Abbiamo già abbastanza da fare con i sorveglianti che mi mette alle costole credendo che non me ne accorga. — Si scambiarono uno sguardo e lei sorrise, al pensiero del numero impressionante di teste ammaccate che dovevano far ritorno a Villa Kido, intontite e senza alcun ricordo di cosa le avesse colpite. E Camus, doveva rendergliene atto, era persino meno delicato di lei.
Quella storia doveva finire, in ogni caso. "Dev'essere una brillante idea di Zuccapelata. Sarà meglio fargli presente che per il suo branco di gorilla hanno aperto un magnifico zoo…" Svitò quello che sembrava un grosso tappo, rivelando un ago da iniezione.

— Sì, ma… — Camus si zittì di colpo quando la vide conficcarsi la punta sottile nella coscia, attraverso i vestiti, e stringere la fiala. — E quello che sarebbe? —

— Un antidolorifico potente… e rapido, per fortuna. Non credevo ai miei occhi, quando l'ho trovato da questo lato del Portale, ma sembra che il mercato nero sia uguale dappertutto. È molto utile durante le missioni. Chissà perché, avevo il sinistro presentimento che uno di questi giorni sarebbe servito. — gli sorrise, tentando di cancellare quell'espressione tetra dal suo viso. — Non fare quella faccia dubbiosa, maestro. Dimentichi troppo spesso che so badare a me stessa. Sono una tua allieva, questo conterà pur qualcosa. E sono anche una spia al servizio di una ereditiera, in attesa della Dea della Giustizia. — "Già. E per quelli come noi una vita vera non è prevista."

— D'accordo, ma ora restatene calma almeno per qualche minuto… — replicò lui deciso, chinandosi a terminare la fasciatura.

La ragazza scosse la testa, cominciava a sentirla incredibilmente leggera. Con un po' di fortuna, entro un'ora avrebbe visto i Rosa Elefanti. O sarebbe crollata come un sasso. — Incredibile… sei lo stesso che per sei anni mi ha quasi pestato a morte? — lo prese in giro. — Oppure tieni che nessuno ti privi del piacere di sopprimermi con le tue mani? —

"Questo è un colpo basso…" — Stavo pensando di cogliere l'occasione favorevole stasera stessa, infatti — ringhiò il suo maestro, un dito ammonitore che danzava ipnotico sotto il suo nasino delicato.

"Gentile da parte tua cercare di distrarmi… ma non crederai davvero di riuscirci…" — Sai, Dave era perfino più forte di quanto che mi aspettassi. Il suo potere aveva qualcosa di spaventoso — cominciò all'improvviso, cogliendo Camus di sorpresa. — Ma non è stato per questo che è quasi riuscito ad uccidermi. Non solo. Era come impazzito. Era… un demone, un mostro assetato di sangue. Eppure, in alcuni momenti riuscivo quasi a riconoscerlo. C'era qualcosa di lui che era sopravvissuto a Death Queen Island. David non era scomparso del tutto. — sussurrò, gli occhi bassi. — Allora ho fatto qualcosa che non avrei mai creduto… Aveva abbassato la guardia per un attimo, volevo solo tentare di calmarlo… e ho visto il suo passato. — Chinò il capo ancora di più.

"Posso vederle lo stesso, quelle lacrime…" Camus si rialzò. Aveva finito di bendarle le mani. — Sei riuscita ad entrare in contatto con la sua mente? — le chiese, sentendosi a metà tra il compiaciuto e l'incredulo.

— Non so come sia successo… — Kelly si prese la testa tra le mani, le tempie le pulsavano quasi quanto i palmi bruciati. — Credevo di aver visto tutto. Che niente potesse essere peggio dell'essere costretti a diventare assassini a comando, o finire in casa di un vecchio rimbambito che ti spedisce sulla cima del mondo alla ricerca di un'armatura mitologica da esibire in uno spettacolo da circo. Ma quello… era l'inferno in terra. E non faccio che chiedermelo… perché proprio lui? Ma so che non troverò mai una risposta. —

— È per questo motivo che ti ha colto di sorpresa, vero? — Forse parlarne poteva davvero aiutarla. Svuotarsi e ricominciare da zero. Lui neppure ricordava se c'era mai riuscito.

Kelly annuì in silenzio. Caldi rivoli cominciarono a solcarle le guance, senza che ci facesse più caso. Ma sua voce era ferma come se stesse parlando del tempo. — Non sono stata capace di proteggerlo. Non sono stata capace di proteggere nessuno di loro. Avrebbe potuto ucciderli tutti, mentre io recitavo la bella addormentata dentro quella graziosa grotta calcarea… — Il dolore si era affievolito parecchio, e la ragazza era riuscita a mettersi seduta, la gamba ferita distesa con prudenza su uno sgabello che lui aveva prontamente posto di fronte a lei.

Camus si lasciò cadere alla sua destra. "Lacrime silenziose… Qualcosa sta morendo dentro di te. Ed io non posso impedirlo." — L'ho sentito. Per un momento — si lasciò sfuggire. "Un altro tiro come questo e ti strangolo con le mie mani…"

Lei scosse la testa tristemente. — Ecco perché sei venuto a vedere… — Chiuse gli occhi. — Ti ho deluso, vero? Non ho voluto ascoltarti, ed è andata esattamente come avevi previsto. —

"No, questo no…" Il santo di Aquarius la prese per le spalle, scuotendola con una durezza che non riusciva a spiegarsi. — Smetti di piangerti addosso, Kelly. Hai fatto tutto il possibile. E nessuno ti biasimerà per ciò che è successo oggi. Né tua sorella, né i tuoi amici. — Solo alla fine si rese conto della smorfia di dolore sul viso della ragazzina. La lasciò andare di colpo, vergognandosi. "Vuoi darle il colpo di grazia, genio?"

Lei stava sorridendo. Ma era un sorriso amaro, da stringergli il cuore. — E tu, allora? —

Quella sì che era una sorpresa. — Da quando t'interessa tanto ciò che penso io? — le rispose, piano, le parole che quasi gli si fermavano in gola. Gliene importava troppo, ma ne era solo vagamente consapevole. Tutto ciò che riusciva a mettere a fuoco erano quei dannati occhi viola che lo fissavano, increduli e tristi. Era così maledettamente difficile ricordarsi di cosa stava parlando… "Quanto, prima di fare qualcosa di irreparabile?"

Ma la ragazzina già non badava più a lui. Gli occhi le si velarono ancora, mentre li distoglieva pudicamente. Ma ormai non avrebbe pianto più. Sembrava non esserne più capace. — Sai perché siamo ancora vivi? — sussurrò, spezzando l'incantesimo. — È successo in un istante… Dave… aveva ricordato. Mi ha chiamata per nome. Mi ha lanciato in mano l'elmo e ha fatto crollare il fianco della montagna sui nostri aggressori. Lui non è riuscito a scappare, era ferito troppo gravemente. L'ho visto un attimo prima che la frana lo travolgesse. E in quel momento… nell'attimo in cui forse avrei potuto salvarlo… i miei poteri sembravano scomparsi. Ho fallito. Qualunque cosa possiate dirmi adesso, io so che è stata colpa mia. —

"Colpa tua…" Continuava a ripetere quelle parole, come una litania. E Camus seppe con assoluta chiarezza che d'ora in poi un nuovo muro si sarebbe innalzato a dividerla da tutto e tutti. Compreso lui. — Kelly, per favore, ascoltami… —

— Sono rimasta immobile per non so quanto, con quel maledetto pezzo di ferraglia dorata in mano. Riuscivo soltanto a pensare… Se solo… se solo… — "Nessuno di voi mi avesse mai incontrato, vero?" Eccola, la stilettata era in arrivo. Non poteva dire di non essersela aspettata. "Fatti avanti, se ti fa stare meglio. Non mi opporrò. In fondo hai ragione…"

Credeva di essere preparato a qualunque cosa lei avrebbe detto, o fatto, da quel momento in poi. Ma non era pronto a sentire il braccio sinistro sollevarsi da solo. Né a sentirsi cingere dolcemente la schiena. E neppure a ritrovarsi nelle narici l'inaspettato profumo di una testa bionda che si posava delicata sulla sua spalla. — Credi che ci sentiremmo meglio se… se potessimo tornare indietro? —

"Athena, se è vero che sei in città, tirami fuori da questa situazione…" — Non lo sapremo mai… Non vale la pena di chiedercelo, Kelly. — mormorò.

Lei si divincolò appena. — Pensavo… Cos'è che mi hai insegnato? Prendi ad esempio la freddezza del ghiaccio. In battaglia lasciati tutto alle spalle. Persegui l'obiettivo senza lasciarti distogliere da nulla. È questo che mi hai ripetuto per anni. Quando sono andata via dal K2 non avrei mai pensato di potertelo dire, ma avevi ragione tu. — Chiuse gli occhi con aria sfinita — Oggi Dave è morto perché io non ho mai capito nulla. — "E non merito neanche di stare qua a lamentarmene…" pensò, cercando di alzarsi.

"No…" Camus serrò d'istinto le braccia, come ad impedirle di allontanarsi ancora. "Ma che diavolo sto facendo?" Lei ricadde indietro e lo fissò, stupita. — Ora smetti di commiserarti… — scandì con chiarezza. Gentilmente la costrinse ad appoggiarsi di nuovo contro di lui. "Resta qui e aiutami a sentirmi meno inutile…"

— Grazie… maestro. — bisbigliò Kelly con tono deferente. Lui si chiese se nella confusione della battaglia non l'avesse colpita un masso particolarmente pesante. Ma solo per un momento. — Non ti sembra vero che ti abbia dato ragione, o sbaglio? — la sentì aggiungere.

"Ecco, ora ti riconosco…" Non si degnò di rispondere. Faceva parte del gioco. Rimase sul quel divano, in silenzio, cercando di riconoscere gli intricati disegni di delle costellazioni che intravedeva appena, attraverso il vetro della finestra.

~.~


"Non è vero, non è vero, non è vero…" Shun fissava il vuoto, sprofondato nell'enorme, funereo letto che da solo occupava quasi metà della camera assegnatagli a Villa Kido. "Mi sveglierò domattina e scoprirò di aver sognato tutto." Eppure lo sapeva. L'aveva visto con i suoi occhi. Suo fratello inghiottito dalla montagna, cancellato dalla faccia della terra davanti ai suoi occhi. "Voglio dormire…" tutto ciò cui riusciva a pensare. "Per sempre." Dormire e non pensare più a nulla. "Come se fosse facile… E per quanto non abbia nessuna voglia di svegliarmi domani so che lo farò. Perché te lo giuro, fratello. La tua morte non sarà vana. Anche se…"
Gli occhi verdi del Cavaliere di Andromeda in un attimo furono colmi di lacrime amare, ancora una volta. "…niente ti riporterà indietro…" concluse tristemente, sprofondando in un sonno senza sogni.

~.~










Angolo della vergogna™


Beh, che dire... Il francese di carta è tornato, signore et signori... e Sagitta cara. Forse troppo morbido, in questa occasione, ma perdonate lui e i suoi giustificabili sensi di colpa se questa volta ha ceduto e ha lasciato che la ragazzina si permettesse perfino di abbracciarlo. Lui non l'ha presa bene, posso assicurarlo. Come al solito, minaccia la mia integrità fisica per la pessima figura che gli ho fatto fare. Ha una dignità, dice lui... ho tentato di fargli capire che dopo essersi fatto piallare dal Saint dell'Anitra WC ha perso qualunque diritto a fare la predica a me, ma ha colto l'occasione per augurarmi la castità vita natural durante (lui ne sa qualcosa, pare. E come sempre, non ritiene sia colpa sua) ed è andato a farsi consolare. Da chi, non me l'ha detto. Finirà davvero per scriverla, la one shot che Philos mi chiede da mesi, su lui e la moglie sdentata e allupata del capovillaggio di Askole...
Deliri domestici a parte, voglio cogliere l'occasione di ringraziare ancora tutti, lettori, recensori, amici e cacciatrice di svarioni (Philos, ti voglio bene, sappilo!): senza di voi, scrivere queste fesserie sarebbe bello meno della metà.
Al prossimo capitolo!
   
 
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