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Autore: avalon9    10/01/2007    1 recensioni
Gli youkai sono essere terribili: affascinano e uccidono. Sono esseri diversi. I ningen sono insignificanti, per uno youkai; creature semplici, irrazionali, che trascinano la vita senza comprenderla. Dei ningen gli youkai non si curano; li ignorano con superiore indifferenza.
Sesshomaru è youkai ed è orgoglioso della sua essenza. Ma un inverno, incontrerà una ningen e, da quel momento, la linea netta che separa uomini e demoni inizierà ad assotigliarsi.
Genere: Romantico, Malinconico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Secondo capitolo di oggi

Secondo capitolo di oggi.

 

Allora, sono trascorsi alcuni giorni; come si sarà trovata ALessandra nel palazzo del bel demone? E lui? sarà stato con lei o no? Inoltre, finalmente si scoprirà il nome del nemico, e finalmente anche Seshomaru avrà un punto di riferimento, anche se è un nome che si rivelerà un problema (il perchè lo si saprà in seguito ^__^). La nostra amica, invece, dopo un iniziale smarrimento, tirerà fuori le unghie e inizierà una scalata, che la porterà...Basta con le anticipazioni! Gustatevi questo capitolo e alla prossima!

 

Buona lettura!!!

 

 

 

CAPITOLO 26

INIZIO

 

 

Problemi.

Tanti. Troppi. Personali e non. Una marea che sommerge, avvolge e trascina. Senza possibilità di scampo. Senza lasciare il tempo di riflettere. Pericolosi. Perché da una risposta sbagliata può derivare un danno irrimediabile.

 

Domande. Dubbi. Perplessità. Senza risposte. Solo voci. Insinuazioni. Teorie. Ma mai nulla di concreto. Nulla di certo. E il nulla non lo si può combattere. Come non si può combattere alla cieca. Odiava quella situazione. Sentiva la tensione crescere ogni istante. Frustrante. Non sapeva cosa aspettarsi e non sapere lo infastidiva terribilmente.

 

“Tutto bene, padrone?”

 

La voce di Jacken lo risveglio dal vortice mentale in cui era caduto. Non aveva ascoltato mezza parola della relazione che il demonietto gli stava facendo. Aveva appoggiato la testa alla mano e si era perso nel vento fresco che proveniva dalla finestra. Una carezza dolce e delicata. Come la mano di Alessandra.

 

Gli mancava. Anche se lo ammetteva con fatica, gli mancava la sua presenza. La sapeva vicina, fra le stesse mura di carta di riso, ma non gli bastava. Anzi, la consapevolezza di quella vicinanza e il fatto che non potesse vederla non facevano che aumentare quel sentimento sottile che serpeggiava nel suo animo. Malinconia.

 

Tuttavia, non poteva vederla. Non poteva. Gli erano già state riferite delle voci che circolavano fra i membri della corte. Voci non molto felici. Si bisbigliava che il Principe fosse tornato con una donna umana. E che fosse la sua amante. Una femmina che lo aveva irretito e che ora lo comandava a bacchetta. Un’insulsa ningen. E il fatto che non si fosse ancora mostrato con lei non faceva altro che sottolineare l’ipotesi del concubinato.

 

Quando glielo avevano riferito, Sesshomaru aveva stretto convulsamente il bicchiere di ceramica che aveva in mano. Come se quell’insignificante oggetto identificasse tutte le parole che venivano rigurgitate contro la ragazza. Se non ci fossero mai stati quei problemi, se non fosse mai stato costretto a ritornare, nessuno avrebbe mai insinuato nulla. E lui avrebbe potuto stare tranquillamente con lei dimenticandosi di chi fosse. Dimenticando tutto quello che gli era stato insegnato. Avrebbe avuto anche lui, forse, un po’ di pace per la sua anima tormentata.

 

Invece, quel sogno di cristallo gli si era sbriciolato fra le mani. È vero, adesso era lì con lui, ma lontana e irraggiungibile come mai. Perché anche se sapeva benissimo che avrebbe potuto tranquillamente starle accanto, era altrettanto cosciente delle calunnie che ne sarebbero nate. Era ancora troppo fresco il ricordo di quello che aveva fatto suo padre, e di come era morto. Se anche lui avesse commesso un passo falso, avrebbe perso tutto. Non che gli importasse molto, ma era pur sempre ciò che suo padre gli aveva lasciato. L’ultimo legame.

 

Aveva stretto con rabbia bruciante quel bicchiere e lo aveva stritolato nella sia forte stretta. Quando aveva aperto la mano, nel palmo rimanevano una manciata di cocci. Aveva sentito le vene pulsargli ancora, ma non un’ombra aveva intaccato l’imperturbabilità del suo viso. Doveva restare sempre freddo e indifferente.

 

“Padrone?”

 

Di nuovo, quel suono gracchiante. Sesshomaru si costrinse a riportare l’attenzione alla realtà. Rapporti. Rapporti. Nulla di più. Niente che gli permettesse di capire esattamente cosa aspettarsi. Fece un cenno a Jacken e questi riprese a leggere. In passato, quando doveva valutare i vari messaggi, almeno lo faceva nel silenzio assoluto del suo studio. Ora, invece, anche quello gli era negato. Strappato dalla cecità.

 

Ricordò una poesia. La prima di una lunga serie. Un sussurro inebriante fra il crepitare del fuoco. Alessandra gliela aveva letta anche in greco, con un andamento musicale straniante e coinvolgente. Non aveva capito nulla, ma quel suono lo aveva rilassato completamente. O forse era stata la mano della ragazza nei suoi capelli.

 

Scosse piano la testa. Non era giornata. Non riusciva a concentrarsi. Per quanto si sforzasse, la mente ripeteva sempre quel gioco infelice e l’immagine della ragazza tornava a delinearsi chiara davanti ai suoi occhi spenti.

 

Eppure, di cose per tenere occupata la mente ne avrebbe avute fino alla nausea. Gli era stato riferito che l’antico maniero a Nord-Est era tornato abitato. Ma nessuno sapeva da chi. La cosa strana, poi, era che gli youkai rinvenuti morti provenivano tutti da quella zona. E la nuova attività di quel castello impensieriva non poco il bel Principe. Lo sapeva disabitato da prima della sua nascita. Gli avevano raccontato che era stato l’epicentro di un vasto impero, quasi come il suo. E a capo del quale si trovava un grande demone alleato di suo padre. Poi…tutto si perdeva nel buio. Il castello era stato in parte distrutto e di quella stirpe fiera si erano perse le tracce. Da secoli ormai. Forse c’era ancora qualcuno che sapesse qualcosa, ma sarebbe stato difficile da trovare. E poi forse non avrebbe parlato.

 

Aveva inviato degli youkai in avanscoperta, e non erano più tornati a riferire. Il secondo gruppo aveva trovato i resti dei compagni. Orribilmente mutilati e sfigurati, oltre che con delle strane sfere di piombo in corpo. Aveva preferito rinunciare a quella tattica.

 

Benché fosse abituato ad una strategia di azione, Sesshomaru si era visto costretto a ripiegare sulla difesa. Aveva dato ordine di rinforzare i controlli e intensificare i turni di guardia. Aveva ordinato di erigere palizzate attorno al muro d’ingresso e di scavare un fossato che tagliasse la pianura. Aveva inoltre dovuto far spostare la maggior parte dell’esercito all’interno del palazzo e trasformare i giardini immensi della cinta esterna in un accampamento stabile. Tanto che alle tende si stavano già sostituendo alcune costruzioni in legno, alloggi dei comandanti.

 

Aveva fatto chiudere e sbarrare tutte le porte d’accesso ai giardini interni, tranne due sorvegliate costantemente: gli unici accessi al palazzo da parte dell’accampamento. Una che passava per i giardini stessi e l’altra che si apriva sulla piazza d’armi prospiciente la facciata principale dell’edificio.

 

Chiunque fosse il suo nemico, gli stava lasciando tempo a sufficienza per radunare le sue truppe e apprestare l’esercito. Un errore imperdonabile. Perché in uno scontro in campo aperto lui non aveva mai temuto rivali.

 

L’ufficiale che faceva le veci del Principe in sua assenza aveva, inoltre, già convocato i maggiori esponenti della corte che non risiedevano a palazzo e richiamato anche le truppe non necessarie dai confini. Alcuni erano già arrivati, con al seguito le truppe e le mogli, i figli o le amanti. La notte, la luna illuminava la neve creando effetti di luce argentata che rendeva quasi inutile il bagliore dei fuochi da campo che brillavano a centinaia.

 

Dal palazzo, in ogni istante, si poteva osservare esterrefatti la distesa di tende scure e il movimento negli accampamenti. Gli alloggi di comandanti e capi erano chiaramente distinguibili da quelli dei soldati, semplici tende di pelle cucite. Erano più grandi, con le pelli ben tese da numerosi paletti infissi nel suolo e ciascuno con uno stendardo sventolane raffigurante l’emblema della famiglia o il simbolo di riconoscimento.

 

Tuttavia, pur essendo molto vicine, le tende erano divise a gruppi, piccoli agglomerati separati dagli altri, uno per ogni battaglione, poi gli ausiliari, le ali, la punta e ogni altra parte del vastissimo esercito.

 

Sesshomaru sospirò mentalmente, con nelle orecchie la voce del demonietto simile a un disco rotto. Più tardi, avrebbe dovuto incontrare i dignitari, poi i vari comandanti per i rapporti di frontiera. Ricevere i nuovi arrivati e infine, il giorno dopo, ci sarebbe stato l’incontro con i generali. Per definire i termini della difesa.

 

Licenziò Jacken con un gesto che non ammetteva repliche e si rilassò sui cuscini di seta e bisso, chiudendo gli occhi.

 

Benché fosse un demone, abituato a riposare pochissimo e a reggere ritmi inimmaginabili, in quel momento Sesshomaru si sentì profondamente stanco. Ogni responsabilità gravava sulle sue spalle, così come ogni decisione. Doveva avere mille occhi, mille orecchie. Doveva arrivare a scoprire ogni pensiero di chi lo circondava. Soppesare le parole, imporre costantemente la sua autorità. Doveva mostrarsi sicuro e imperturbabile, anche se dentro si sentiva fragile come un bambino.

 

Gli mancò. Per la prima volta, dopo secoli, avvertì la mancanza di una guida. Di qualcuno che gli dicesse cosa fare e lo aiutasse, alleviandolo da parte di quel lavoro. Gli mancò suo padre. E invidiò la sua attitudine al comando, la capacità che aveva di farsi obbedire anche solo con uno sguardo. Invidiò la cerchia ristretta dei generali che gli erano sempre accanto.

 

Lui non l’aveva mai voluta, quella cerchia. Si era sempre ritenuto in grado di affrontare da solo ogni situazione. E poi, non si era mai fidato di nessuno. In fondo, avevano provato più volte a metterlo contro suo padre, a insinuargli dubbi e a spingerlo al trono. Non ultimo, quando Inutaisho aveva conosciuto quella maledetta donna umana. Eppure, lui era sempre stato sordo a quelle melliflue parole. Era un ragazzo, d’accordo, ma non uno sciocco da manovrare a piacimento. Lui era l’erede. E avrebbe ricoperto il suo posto al momento opportuno.

 

In quei momenti di dormiveglia, desiderò che suo padre entrasse dalla porta. Per portarlo via da quella stanza. Come faceva quando era piccolo e tornava da una battaglia. Andava da lui e lo “sequestrava”. Lo portava nei boschi, e correvano assieme per delle giornate intere. Poi, quando il piccolo Principe era stanco, il padre lo prendeva in braccio e lo riportava a palazzo. Ad attenderli c’era sempre una candela nella stanza del piccolo. E sua madre.

 

Poi, sua madre era morta e tutto era cambiato. Aveva visto sempre meno il padre, impegnato in interminabili battaglie lungo i confini del territorio, e aveva iniziato a frequentare sempre di più i precettori. Tanti. Troppi. Il maestro d’armi, di strategia, di…Non li ricordava neanche tutti. Ma ricordava il pedagogo cui tutti facevano riferimento.

 

Un demone anziano e asciutto, inesperto di guerra ma perito nell’insegnargli onore e dovere. Gli aveva inculcato le idee sulla superiorità della sua razza, sulla purezza della sua stirpe. Gli aveva insegnato l’assoluta mancanza di valore dei sentimenti e la totale indifferenza da avere verso chiunque fosse più debole. Soprattutto i ningen. Che esistono solo per servire e reverire gli youkai, o per soddisfare i loro desideri, nel caso delle donne. Solo schiavi.

 

Da quel momento, aveva visto sempre meno il padre e sempre più i maestri. Ma anche quando Inutaisho tornava non andava più a prenderlo per portarlo a correre nei boschi. Si limitava ad andare a salutarlo mentre era intento a studiare. Non faceva altro per la maggior parte del giorno. Studiava e si esercitava nell’uso delle armi e del suo youki.

 

Le prime volte, quando Sesshomaru vedeva il padre entrare dimenticava tutto e gli correva incontro. Era ancora così piccolo, e la perdita della madre aveva lasciato in lui un vuoto profondo che però esternava poco. Come si conviene a un piccolo Principe. Inutaisho lo abbracciava e si fermava a parlare un po’ con lui. Sotto lo sguardo critico del precettore.

 

Ma quando il padre se ne andava, inesorabile arrivava la punizione del maestro per essersi abbandonato ad un sorriso o ad un abbraccio. Per non aver mantenuto un comportamento controllato e rispettoso. E la motivazione era sempre la stessa: suo padre ormai era potente, e poteva anche allentare una atteggiamento che avrebbe potuto riprendere subito. Lui invece era solo un ragazzino, ancora troppo inesperto per poterselo permettere.

 

Ma più delle frustate, gli faceva male il pensiero che suo padre potesse non essere orgoglioso di lui. Nelle poche occasioni in cui lo vedeva, sentiva su di sé uno sguardo nuovo. Come se lo scrutasse. Se volesse leggere nelle sfumature dei suoi occhi. Il piccolo Principe allora raddrizzava le spalle e sfoggiava una glacialità degna di un adulto. Imperturbabile. Impassibile. Eppure, negli occhi d’ambra del padre non trovava più la luce che vi vedeva quando era ancora piccolo.

 

Dei passi nel corridoio lo costrinsero di nuovo alla realtà. Si era lasciato andare a ricordi e sensazioni spiacevoli, ma che in quel momento erano state come un balsamo. Il ricordo di suo padre sarebbe stato sempre fisso nella sua mente. Per un istante, si illuse di nuovo che la persona che aprì la porta fosse lui.

 

Invece, era l’ufficiale da campo. Doveva ricevere i dignitari.

 

 

 

 

Ale-chan! Ale-chan! Guarda quanti soldati! Cosa fanno?”

 

Rin si sporse di più dall’albero su cui era salita. Un ciliegio immenso, vicino al muro di cinta. Le piaceva molto arrampicarsi sugli alberi e saltellare sui rami. Soprattutto in primavera, quando sono tutti verdi e pieni di fiori. Talvolta, inoltre, trovava nascosto dalle foglie qualche nido con dei pulcini pigolanti.

 

Ai piedi del tronco, Alessandra seguiva attenta ogni gesto della bambina. Pronta ad afferrarla al volo se fosse scivolata. Non le aveva impedito di arrampicarsi, non le impediva nulla. Ma era sempre costantemente vigile e pronta a intervenire per evitare che eccedesse. Senza mai sgridarla o urlare. Le spiegava il concetto con la sua voce tranquilla, e Rin alla fine le obbediva sempre. E la cosa faceva infuriare sempre Jacken, che per farsi ascoltare doveva sbraitare ogni volta minimo un quarto d’ora.

 

Se non fosse stato per la presenza allegra e spensierata di Rin, Alessandra si sarebbe sentita smarrita in quel grande palazzo. Erano parecchi giorni che non vedeva Sesshomaru, benché i loro appartamenti non distassero molto.

 

Non chiedeva mai nulla di lui a Jacken, col timore di alimentare le dicerie che sapeva circolavano su di lei e il demone e di dargli ulteriori preoccupazioni. Perché di problemi doveva averne parecchi, il suo Principe. Da quando erano arrivati, aveva visto le file dell’esercito crescere sempre di più e le tende aumentare. Ormai, avevano invaso tutti gli immensi giardini esterni, con grande dolore di Rin.

 

Allora, lei aveva preferito non disturbarlo. Gli sembrava banale il suo desiderio di vederlo in confronto a tutte le occupazioni dell’youkai. Anche se la notte, quando le canzoni e le urla dei soldati non la lasciavano riposare, rimpiangeva la mancanza del suo abbraccio. E si stringeva di più nella trapunta. Cercando con la mente di richiamare alla memoria il calore del suo corpo. Il suo profumo.

 

Non aveva più neanche il suo haori. Quando il giorno dopo il suo arrivo si era svegliata, aveva trovato nella sua stanza alcune demoni che si affaccendavano attorno ad un armadio a muro. Nella parziale incoscienza del dormiveglia, Alessandra aveva fatto per metter mano alla katana, ma si era trattenuta. E alzatasi a sedere nel futon aveva chiesto spiegazioni. Le era stato detto che erano inservienti addette alla sua persona, come aveva ordinato il Principe. E che stavano sistemando gli abiti che le sarebbero appartenuti.

 

Alessandra le vide avvicinarsi a lei con un’aria remissiva ma anche palesemente scocciata. Si capiva subito che avrebbero preferito qualsiasi cosa piuttosto che dover servire un ningen. Si era riscossa quando aveva avvertito le loro mani sulla trapunta e attorno al suo corpo e si era alzata di scatto. Sospettosa. Le yasha avevano cercato di tranquillizzarla spigandole che la volevano solo aiutare a spogliarsi per farsi un bagno, ma lei aveva declinato. Non aveva bisogno di nessun aiuto. E le aveva congedate.

 

Poi, c’era stato l’incontro con Rin. La bimba era felice di rivederla e di sapere che sarebbe rimasta a palazzo con lei. E soprattutto era felice che il signor Sesshomaru fosse tornato. Rin sembrava conoscere bene gran parte del palazzo, e si muoveva con disinvoltura anche per i giardini.

 

Alessandra si fece contagiare dalla sua allegria e con la bimba come cicerone d’eccezione aveva visitato quasi due ali dell’edificio, rimanendo incantata dall’architettura imponente e armoniosa al contempo. Aveva percorso innumerevoli corridoi di legno interni, visitato stanze profumate di incenso e nardo. Aveva camminato su tatami morbidi come erba novella e aveva ammirato i disegni semplici e suggestivi dei paraventi e delle pareti scorrevoli.

 

Alla fine, Rin l’aveva trascinata in giardino. E lì, per la seconda volta, aveva ricevuto occhiate di sufficienza. Le demoni presenti erano tutte abbigliate in modo sontuoso, con junihitoe raffinati e preziosi e capelli lucidi ornati da kanzashi di molte forme e dimensioni. Dovevano essere le consorti dei dignitari. E si vedeva che erano abituate alla raffinatezza. Nulla che fosse fuori posto. Erano semplicemente perfette. Statuette di porcellana che la fissavano con sguardi ironici, maliziosi o di malcelata gelosia.

 

Alessandra si era improvvisamente sentita in imbarazzo, fuori luogo, con i suoi pantaloni neri stinti e il suo corto kimono blu stretto in vita da un obi privo di orpelli. Per non parlare dei capelli raccolti in una semplice treccia che le ricadeva sulle spalle. Niente trucco. Nessun gioiello. Al loro confronto, era insignificante.

 

Aveva sentito Rin tirarle la mano e si era incamminata dietro la bimba ergendosi in tutta la sua altezza, con le spalle ritte e il viso fermo. Che non era simpatica a nessuno, lo sapeva. Lo aveva percepito benissimo. Ma non avrebbe mai dato loro la soddisfazione di vederla umiliata e imbarazzata.

 

Era rientrata nella sua stanza con ancora nelle orecchie i sussurri di scherno e commiserazione e le allusioni imbarazzanti. Sesshomaru l’aveva avvertita. Sarebbe stato un altro mondo, in cui lei non valeva niente. Se non per una bimba umana. E per lui. Lui che però non avrebbe potuto mostrarglielo, il suo affetto.

 

Si era coricata, cercando di ritrovare l’hoari del demone. Inutile. Lo avevano portato via. Si era sentita piena di sconforto e si era rigirata a lungo nel letto, incapace di addormentarsi. Alla fine, era uscita sulla veranda e aveva iniziato a camminare lungo il corridoio esterno. Faceva un freddo maledetto. La lucerna nelle stanze di Sesshomaru era ancora accesa. Era sveglio.

 

Salì scalza e con circospezione le scale. Non voleva dormire con lui. Solo dargli un bacio. Un abbraccio. Vederlo e respirare il suo profumo. Poi, se ne sarebbe tornata nella sua stanza. Voleva solo ricordarsi che lui era lì.

 

Dalla porta provenivano varie voci. Alessandra riconobbe subito il tono freddo del demone, ma con lui c’erano altre persone. Non poteva entrare. Stavano discutendo di confini, morti, un palazzo…Aveva sospirato e, portatasi due dita alle labbra, aveva depositato un bacio sull’infisso della porta. E se ne era andata.

 

Buonanotte…

 

Non era più andata a cercarlo. Ma la sera, prima di addormentarsi, si sedeva sulla veranda, qualunque tempo fosse. Osservava la finestra illuminata del demone e si immaginava di parlare con lui, gli raccontava la giornata trascorsa e i progressi o le nuove idee che aveva avuto. Perché, in quei giorni, aveva preso in mano alcuni libri di medicina rinvenuti nell’immensa biblioteca del palazzo e si era messa a studiarli nella speranza di trovare un antidoto alla sua cecità.

 

Ale-chan! Non mangi? Non hai fame? Stai male?”

 

La voce di Rin la riscosse. Erano tornate in camera e come ogni giorno avevano trovato il pranzo. Rin era troppo piccola per mangiare al tavolo degli adulti e Alessandra si era rifiutata di pranzare con i cortigiani nella grande sala. Anche se questo significava rinunciare a vedere Sesshomaru. Ma aveva deciso di cercar di contenere al massimo le dicerie con un comportamento esemplare. Così il bel demone non avrebbe avuto altro di cui preoccuparsi.

 

Sesshomaru si era impercettibilemente rabbuiato alla notizia, ma aveva lodato la discrezione di Alessandra. Alla fine, aveva acconsentito anche se a malincuore.

 

La ragazza osservò le mense di legno laccato davanti a lei. Sapeva che non una parola era uscita dalla labbra del Principe e che a tutto pensava Jacken, e non potè fare a meno di complimentarsi mentalmente con il demonietto. Il vitto era sempre vario e ricercato. E in più, sul tavolino di Rin non mancava mai una fettina di dolce.

 

Vide la bimba mangiare con gusto la sua porzione di chawan mushi accompagnandola con onigiri e si lasciò contagiare, assaggiando lei pure il ramen e il sukiyaki. In quel momento, forse anche l’youkai era a pranzo, forse dopo sarebbe andato a trovarla, forse…Scosse la testa. Niente illusioni. Lui non sarebbe andato, e neanche lei. Almeno senza prima aver trovato un possibile rimedio. Una scusa.

 

Gettò un’occhiata ai rotoli e ai libri sul piccolo tavolo. Sì. Avrebbe trovato un rimedio. Lo avrebbe aiutato così. Mettendoci tutta se stessa.

 

 

 

 

Il messaggero giunse a palazzo a notte inoltrata, mentre un vento glaciale spazzava la vasta pianura e costringeva molti soldati a interrompere la costruzione del fossato. Un demone può anche non sentir freddo, ma è difficoltoso lavorare con la terra e la polvere che ti entrano negli occhi, nella gola, facendoti tossire e faticare a respirare.

 

Sesshomaru era ancora seduto in consiglio con i suoi generali. Niente di definito. Solo proposte, teorie, ipotesi. Ma il Principe si era accorto subito della strana atmosfera. Anche i più passionali tenevano un tono dimesso, quasi di sufficienza. Gli esponevano le idee e le informazioni raccolte con puntigliosa precisione, ma sembrava che da un momento all’altro volessero gettare tutto all’aria e fargli quella domanda.

 

Quella domanda che era passata sulle bocche di tutti e che lui stesso si era sentito riferire da Jacken. La sua “affezionata” corte era preoccupata: voleva sapere il ruolo della ragazza che era giunta con lui. Voleva sapere chi fosse Alessandra. E soprattutto cosa fosse per lui. Anche se l’opinione più diffusa era quella dell’amante.

 

Maledetti vigliacchi! Neanche il coraggio di chiedere, avete. Lo so che siete stati voi i primi a far circolare quella voce. Ma adesso non vi azzardate minimamente a tirar fuori il discorso

 

Sesshomaru tratteneva a stento la sua rabbia, mostrandosi tuttavia irraggiungibile da qualsiasi insinuazione. Eppure, una soluzione la doveva trovare. Subito. Prima di impazzire. Se almeno avessero insinuato qualcosa apertamente, si sarebbe tolto la soddisfazione di minacciarli e contraddirli. Invece, niente.

 

Il demone entrò senza esser annunciato, creando un po’ di scompiglio nella grande sala delle riunioni. Ebbe solo il tempo di invocare il suo signore, che si accasciò a terra in un lago di sangue. Era ferito gravemente e sembrava allo stremo delle forze. Uno dei generali lo riconobbe dalle insegne sulla corazza: apparteneva ad uno dei reparti di stanza lungo il confine Nord-Est.

 

Sesshomaru si alzò prontamente e si inginocchiò accanto al subordinato. Senza vista, non era in grado di sapere nulla sul nemico dal tipo di ferite e non percepiva neanche nessun youki. Anzi, sembrava quasi che quello del demone stesso sotto di lui stesse scomparendo.

 

Uno dei generali, intanto, aveva dato voce nel corridoio ed erano prontamente accorsi alcuni guaritori. Non c’era bisogno spesso della loro opera, ma quel soldato stava davvero trattenendo la vita con i denti e doveva riuscire a vivere ancora un po’. Aveva delle informazioni preziose.

 

Quando i guaritori ebbero finito di medicare lo sfortunato demone, la situazione era critica. Si stava lentamente spegnendo, perdendo tutto il suo youki. La sua forza vitale. E non esisteva cura capace di fermare il processo. Era una cosa mai vista. Le ferite, neanche quelle superficiali, si rimarginavano.

 

Nel sentire quelle parole, Sesshomaru trattenne a stento un sussulto. Le ferite che non si rimarginano, lo youki che si annulla lentamente…la stessa cosa capitata a lui. Solo che lui era riuscito a sopravvivere.

 

Chiamate Alessandra

 

Fu un ordine che non ammetteva repliche e in quel frangente nessuno si azzardò a fare commenti. Il Principe sembrava estremamente sicuro e fu lui stesso a scansare in malo modo il guaritore che impediva l’accesso alla stanza alla ragazza.

 

M-ma…mio signore…”. Proteste inutili. Sesshomaru le sussurrò qualcosa all’orecchio e poi richiuse la porta scorrevole.

 

Passarono secondi, minuti. Lui che non aveva mai ritenuto il tempo degno di calcolo, si sorprese in totale dipendenza da esso. Se quell’youkai era giunto in quello stato fino a palazzo, doveva esser successo qualcosa di grave. Aveva fatto preparare un contingente e ordinato che uno dei suoi generali si tenesse pronto alla partenza.

 

Se il soldato fosse sopravvissuto, o almeno fosse riuscito a raccontare qualcosa, avrebbero agito subito, senza ulteriori perdite di tempo. Cercò di ignorare i borbottii contrariati dei guaritori e quelli maliziosi dei suoi subordinati. Ma era davvero difficile. Se avessero pronunciato una parola di troppo, non era certo di riuscire a controllarsi ancora.

 

“Potete entrare”

 

La voce di Alessandra lo riscosse dai suoi pensieri cupi. Un tono stanco e provato. Certamente, per lei non doveva esser stato facile vedere di nuovo un corpo martoriato e coperto di sangue. Eppure, quando le aveva chiesto di provare a salvarlo, lei aveva annuito con semplicità e determinazione.

 

Sesshomaru entrò nella stanza senza curarsi del tatami prezioso. E con lui i generali e i guaritori, che scansarono malamente la ragazza e la guardarono con un’espressione di malcelata invidia. Una sfida muta. Ci provasse, a metterli in ombra davanti al Principe. Gliela avrebbero fatta pagare.

 

“Non gli resta molto…fagli ora le domande che vuoi”

 

Alessandra, ignorando i presenti, si era affiancata a Sesshomaru e gli aveva sussurrato quella frase. Anche se sapeva benissimo che il bel demone doveva essersi accorto comunque della gravità della situazione dal respiro spezzato, simile al rantolo di una bestia colpita a morte.

 

Sesshomaru non dovette neanche aprir bocca, perché appena il sudore permise al soldato di riconoscerlo, facendo appello alle sue ultime forze, iniziò a raccontargli tutto.

 

“Mio signore…Siamo stati attaccati…Colti di sorpresa…Demoni…Come noi…Sono…ci sono piombati addosso all’improvviso…Nessun rumore…Nessun odore…Sbu-sbucati dal nulla…”

 

Colpì convulsi di tosse lo costrinsero a fermarsi. Uno dei generali lo afferrò per una spalla, strattonandolo e minacciandolo se non avesse subito continuato. Un gesto folle. Perché poteva far morire subito il demone per una nuova emorragia. Sesshomaru fece per intervenire, ma fu fermato da una voce. Fredda. Tagliente.

 

“Veda di smetterla. O davvero non potrà più parlare”

 

Alessandra aveva liberato l’youkai dalla presa rozza e pericolosa del generale e si era frapposta fra loro, mentre il soldato, anche se libero, sembrava essere caduto preda di un totale delirio. Il generale, un demone robusto, con lunghi capelli verdi raccolti in una treccia e la carnagione scura come l’ocra, dapprima squadrò la ragazza che gli stava ferma di fronte. Determinata e autoritaria.

 

Il suo primo impulso fu quello di darle uno schiaffo, ma poi dovette ammettere che non era così brutta come dicevano. Era desiderabile, per essere un’umana. Molto desiderabile. Ed era un peccato che fosse solo del Principe. Perché i ningen appartengono a tutti. Esistono solo per soddisfare gli youkai. In ogni loro desiderio.

 

Nooo!…Capitano…Capitano fugga! È un mostro…Non è viva…Non muore…Fugga…Lui… È lui…è venuto per la vendetta…vuole la guerra…La nostra morte…”

 

A quelle parole, Sesshomaru si piegò sul soldato ormai preda di spasimi frenetici. Percepì la sua aura scomparire lentamente. Dannazione! Non ancora! Aveva bisogno di sapere ancora molte cose. Molte. Ma soprattutto chi voleva la guerra. Chi voleva vendetta.

 

“Il nome. Dimmi il suo nome!”

 

Un ordine, freddo e atono, anche se dentro sentiva una rabbia e uno sconcerto immensi. Il sodato, nell’incoscienza, gli strinse il braccio e lo fissò con le iridi dilatate e vuote. Sesshomaru non lo vedeva, ma percepì uno sguardo estremamente profondo, una preghiera che gli uscì dalle labbra in un sospiro.

 

“…Ven…di…cate…ci…”

 

Sesshomaru annuì, stringendo quella mano in segno di promessa. Lui combatteva da solo, ma anche se quell’youkai era solo un soldato e di basso livello anche, non se la sentì di rispondergli in modo sprezzante. Non se la sentì di allontanarsi e mantenere la sua posizione di superiorità come gli era stato insegnato. In quegli attimi, la sua mente fu attraversata da un ricordo lontano. Sbiadito quanto un sogno. Parole che non riuscì ad afferrare. Uninsegnamento di suo padre.

 

Il soldato sorrise. Soddisfatto. Tranquillo. Il Principe aveva promesso. Il Principe avrebbe mantenuto la promessa. Come faceva sempre suo padre.

 

“…Mo…riga…wa…”

 

  
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