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Autore: lelle31    25/06/2012    1 recensioni
Che succederebbe se una ragazza appena arrivata in città si trovasse invischiata nel caso Kira? E se la stessa ragazza fosse entrata a contatto con un Death Note in precedenza? E se, come se non bastasse, fosse già morta una volta? Potrebbe spezzare l'apparente quiete di una persona, cambiando non solo il suo destino, ma anche quello di molti altri? Leggete e scopritelo.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Ciao a tutti! Sono in un ritardo talmente immenso che vi risparmio le giustificazioni e le scuse che per quanto vere sono inutili. Al loro posto ho scritto un capitolo lunghissimo diviso in due parti, con cui spero di farmi perdonare la lunga attesa. Dedico questa prima parte a squildina, che mi recensisce sempre e continua a chiedermi un po’ più di passione tra i personaggi. Spero che questo possa iniziare ad accontentarlaJLa seconda parte dovrei pubblicarla tra domani e mercoledì e la dedico a SheBecameBelieber e Angel666, che mi danno il loro parere e il loro sostegno ad ogni capitolo che pubblico. Grazie a tutte e tre , a chi mi segue, a chi mi ha messo nelle preferite e a chi leggerà questo capitolo. Buona lettura.
 
 
 
 
POV SELENA


 
“Tesoro, ciao! Ma che ci fai qui? Non mi aspettavo di vederti” abbracciai mia sorella di slancio, senza lasciarle il tempo di replicare.

Il mio cervello stava lavorando a velocità inaudita, in cerca di un modo plausibile e pieno di tatto per svicolare da quella situazione. Sarei riuscita a sfuggire indenne al sospetto e alla disapprovazione irradiate dalla sua posa rigida?

“Sei sempre la solita” sbuffò Kate dopo un po’, come se mi avesse letto nel pensiero. Mi strinse forte, lasciando trapelare tutto l’affetto e la preoccupazione celate sotto il suo atteggiamento contrariato e io avvertii i miei occhi inumidirsi. Non mi ero resa conto di quanto avessi sentito la sua mancanza fino a quel momento.

Abbandonai il capo sulla sua spalla, felice di sentire la sua mano accarezzarmi lievemente i capelli. Per un attimo dimenticai tutto ciò che era successo in quei tre mesi, le mie paure, le mie speranze, i segreti che dovevo mantenere.

Finalmente mi sentivo a casa. Nient’altro sembrava contare.

Poi mi riscossi, sciogliendo a malincuore la stretta e dando un’occhiata fugace all’orologio. “Devo andare” annunciai, nello stesso momento in cui mia sorella disse “Dobbiamo andare”. Ci scambiammo una lunga occhiata perplessa.

“Senti, Kate” tentai di spiegare  “lo so che sei venuta qui per stare con me e che di sicuro non vedi l’ora di visitare la città, fare shopping e … “ .

“Sì, sì” mi interruppe lei sbrigativa, prendendomi la mano e iniziando a trascinarmi chissà dove “ Quello lo faremo un altro giorno. Adesso abbiamo un appuntamento”.

“Un appuntamento?” ripetei confusa, cercando di stare al suo passo.

“Esatto” rispose, con chiara esasperazione “ In realtà avremmo dovuto vederci direttamente sul posto, ma dato che tardavi a rientrare, ho detto al tuo amichetto che ti sarei venuta a prendere. Adesso cammina. Non vorrai farli attendere troppo”. A quelle parole, mi bloccai dove mi trovavo, costringendola a fare lo stesso. Si voltò, accigliata, ma non si oppose.

“Chi è che ci sta aspettando?” domandai, anche se avevo la sensazione di saperlo già “Dove mi vuoi portare? Insomma, che sta succedendo?”. Mia sorella sospirò, levando gli occhi al cielo, sotto il mio sguardo irritato.

“ Calmati, innanzitutto” mi ordinò decisa “ Posso assicurarti che non sta accadendo nulla di tragico, nonostante mi sia parso di capire che tu, mia cara, sia in un mare di guai. Per quanto riguarda la nostra destinazione, si tratta di un innocuo bar e i nostri accompagnatori sono il mio fidanzato Gabriel e … beh, scommetto che l’altro lo conosci meglio tu di me, visto che hai vissuto con lui negli ultimi tempi” concluse con un tono leggermente velenoso, accompagnato da un’espressione più che allusiva.

Oh, cavolo. No, non era possibile.

Dopo tutti i sensi di colpa e le bugie che avevo raccontato loro, adesso veniva fuori che … “Voi sapevate la verità” sussurrai, sconvolta.

Me lo sarei dovuta immaginare, a dire il vero. Era troppo strano che si fossero bevuti tutte quelle balle. Ma perché continuare a farmi credere di esserne all’oscuro?

Kate dovette leggere la natura del mio turbamento nei miei occhi, poiché si avvicinò e mi parlò in tono dolce “ Certo, Sel. Ed eravamo incredibilmente preoccupati. Ma papà aveva già lavorato con L e si fida di lui, quindi nel momento in cui ci ha chiesto di starne fuori, lo abbiamo fatto. Le carte sono cambiate, però. Abbiamo bisogno di parlare”. 

Su questo non c’era alcun dubbio.

“D’accordo. Portami da lui ora” dissi, tra i denti.

Così posso strozzarlo, aggiunsi mentalmente. 

Lei rise, complice. “ Con piacere. Sarà proprio un incontro interessante”.


^^^^^^


Dieci minuti dopo eravamo nella zona bar di un hotel in cui non ero mai stata e il mio umore non era cambiato di una virgola. Sperai ardentemente che la nostra presenza in quel luogo non significasse che avevamo cambiato alloggio un’altra volta a mia insaputa, perché a quel punto sarei letteralmente saltata alla gola di Ryuzaki.

“Ciao amore” mia sorella si sedette accanto al suo ragazzo, sfiorando le sue labbra con le proprie. Ancora mi stupivo di quanto quei due stessero bene insieme. Gabriel era un aitante ventisettenne, nato a Parigi  e cresciuto a Phoenix, con madre francese e padre argentino e ormai da tre anni era un agente dell’FBI, dell’ufficio di Los Angeles.

Lui e Kate si erano conosciuti quando lei aveva cominciato a lavorare come assistente di nostro padre e da allora si frequentavano di nascosto. Entrambi i nostri genitori erano infatti d’accordo nel considerarlo troppo vecchio per la figlia di appena ventitre anni, nonostante lei fosse abbastanza matura e intelligente per fare le proprie scelte. Personalmente, avevo un ottimo rapporto con Gabriel e lo consideravo già uno di famiglia. Ma non tutti erano del mio stesso parere.

“ Ciao Gab” lo salutai, a mia volta, prima di prendere posto vicino alla fonte della mia rabbia, come sempre rannicchiato al suo modo sulla sedia. Gli riservai un’occhiataccia gelida, prima di sostituirla con una sorpresa quando mi accorsi che indossava una maschera rappresentante una faccia un po’ grottesca, che gli copriva tutto il volto.

“Hai deciso di festeggiare Halloween in anticipo?” chiesi, sarcastica. Mi infastidiva non vederlo in viso, sembrava quasi che si stesse prendendo gioco di me.

“E’ solo una precauzione” rispose tranquillo, per niente colpito dal mio evidente nervosismo. Questo mi fece infuriare ancora di più.

“Certo. Come sempre” ribattei, in tono forse un po’ troppo duro. Ero veramente di cattivo umore, tanto che potevo quasi sentire il fumo che mi usciva dalle orecchie.

“D’accordo, d’accordo” ridacchiò Gabriel, conciliante “Ritira gli artigli, Sel. Siamo venuti a portarti buone notizie”.

Buone notizie. Era da secoli che non ne sentivo.

Gli feci segno di continuare, ma fu mia sorella a prendere la parola “Innanzitutto, c’è una cosa che io e Gabriel vorremmo che tu sapessi. Speravo di riuscire a parlartene con calma in privato, però non sembra che ciò sia possibile” e mi lanciò un’occhiata eloquente, indicando in modo vago qualcosa, o meglio, qualcuno alla mia sinistra “Quindi  te lo mostro senza tante cerimonie”.

Avvertii la mia mascella praticamente srotolarsi, quando vidi un anello luccicare sul suo anulare sinistro.

“Oh. Mio. Dio” esclamai, senza fiato. Questa sì che era una bomba! A mio padre sarebbe venuto di sicuro un infarto. Santo Cielo.

“Congratulazioni” sentii Ryuzaki dire con distaccata cortesia, mentre ancora cercavo di mettere insieme una frase di senso compiuto. In quanto a buone maniere, se la stava cavando molto meglio di me.

I novelli sposi lo ringraziarono, senza staccare gli occhi dalla sottoscritta. Aspettavano una mia reazione.

“Io …” boccheggiai sconclusionatamente. Io cosa?

“Non c’è affatto bisogno di un discorso filosofico, Sel. Che ti piaccia o no, sei anche la mia sorellina adesso” mi ricordò il cognato che avevo appena acquisito, in un mix fra una battuta e un’orgogliosa affermazione. Sorrisi, nel  rendermi conto di quella verità.

“Oh al diavolo!Benvenuto in famiglia, Gabriel” tagliai corto, allungandomi sopra il tavolo per abbracciarlo. Dentro di me l’ira era completamente scivolata via, lasciando il posto alla felicità. Stritolai Kate, consapevole che le avrei spiegazzato la camicia e che lei si sarebbe incazzata. Come ai vecchi tempi.

“Non sei per nulla convincente, quando provi a fare la burbera” le sussurrai all’orecchio,  non appena cominciò a lamentarsi.

“E tu quando provi a fingere che Ryuzaki non ti piaccia” ritorse, lasciandomi di stucco. Arrossii imbarazzata, mentre protestavo “Non è vero”.

“Avete finito di raccontarvi i segreti ragazze, o è il caso che vi lasciamo da sole?” scherzò Gabriel, con il chiaro intento di riportare la conversazione a un livello pubblico. A giudicare dall’espressione di Kate, sarebbe stato meglio che non avesse aperto bocca, ma io tornai al mio posto, grata del suo intervento. Non ero ancora pronta a sostenere quel tipo di discussione.

“Scusate, ci siamo lasciate trasportare” dissi, di nuovo di buon umore “A proposito di segreti, che faccia hanno fatto mamma e papà quando hanno scoperto che vi siete sposati a tradimento? “.   

Kate e Gabriel, per tutta risposta, si scambiarono uno sguardo vagamente colpevole. “Sei la prima a cui l’abbiamo detto” ammise  dopo un po’ mia sorella, sotto il mio cipiglio sospettoso “Non siamo ancora riusciti a trovare il momento adatto per informarli”.

“Che cosa?” strillai incredula “E quale sarebbe il momento adatto secondo voi? Conoscete Vanessa e Richard! Più aspettate, peggio reagiranno”.  L’unica cosa che i miei genitori odiavano maggiormente delle bugie, erano le omissioni. Specialmente se l’omissione consisteva nel matrimonio di una delle loro figlie.

Ora sì che mi sembrava di essere entrata in un episodio de La vita segreta di una teenager americana.  Quasi avevo paura di vedermi spuntare Amy mano nella mano con Ben*. Sarebbe stato veramente il colmo di quell’assurda giornata.

“ Abbiamo deciso di aspettare la risoluzione del caso a cui stiamo lavorando” aggiunse inaspettatamente Gabriel, strappandomi alle mie incoerenti riflessioni. D’un tratto mi accorsi che indossava un completo blu formale, e che aveva un piccolo rigonfiamento nella giacca, che di certo nascondeva la pistola. Ciò significava che era in servizio.

“Che succede?” domandai basita, con gli occhi che si spostavano frenetici dall’uno all’altra, in cerca di una spiegazione. Non mi persi il cambiamento del clima generale, che da allegro, si fece teso e cupo. Era chiaro che eravamo arrivati al punto, finalmente. Solo che la situazione non pareva poi così rosea come mi era stato assicurato. Probabilmente avevano voluto indorarmi la pillola annunciandomi  le loro nozze, prima di rifilarmi la stoccata letale.

“Perché siete venuti fin qui? Voglio la verità” incalzai, mentre iniziavo a scaldarmi. Cosa mi stavano tenendo nascosto?

Mia sorella prese un bel respiro, poi parlò “Siamo qui per coordinarci con alcuni membri dell’Interpol, che sono sulle tracce di un serial killer psicopatico di nome Alex Collins”.

Ci mancò poco che cadessi dalla sedia. Dopo questa, non mi sarei sorpresa neanche se un meteorite fosse caduto esattamente sulle nostre teste, in quello stesso istante. “ P- Perché l’FBI è coinvolta in questa storia?” balbettai, non appena riuscii a riprendere fiato. Nell’attimo seguente, fui colta da un tremendo sospetto.

“Li hai chiamati tu?” accusai Ryuzaki, voltandomi a guardarlo in faccia. Lui sollevò lo sguardo dal gelato che era intento a divorare, chiaramente stupito che fossi giunta a tali conclusioni.

“Siamo stati noi a chiedere di continuare a seguire le indagini che avevamo cominciato” spiegò Gabriel, con il suo lieve accento francese, per chiudere la questione “ Quel pazzo ha architettato un piano omicida che è già costato la vita di due persone, soltanto negli Stati Uniti e abbiamo la fondata convinzione  che tu possa essere un altro dei suoi bersagli. Mi dispiace, tesoro, ma è giusto che ne sia consapevole” aggiunse, rivolto a Kate, che gli aveva rivolto un’occhiataccia esterrefatta.

Grazie,ma lo immaginavo già, visto che si é preso la briga di venirmi a fare un salutino, avrei voluto ribattere sarcastica, tuttavia, non riuscii ad aprire bocca. Avere la certezza del pericolo era ben diverso dal pensarlo come una semplice probabilità.  Sentivo la paura, rimasta in un costante seppur tenue sottofondo nel corso di quelle settimane, alimentarsi sempre più fino a diventare un assordante caos.

Faticai a seguire il discorso di mia sorella, sebbene fosse pronunciato in tono deciso e rassicurante “Prenderemo quel bastardo, Selena. Te lo prometto. Non si avvicinerà di nuovo a te” e mi strinse le mani con dolcezza.

All’improvviso, una serie di immagini esplosero nella mia mente.

Una donna sulla quarantina cerea e congelata,  sopra un tavolo per le autopsie, accanto a una ragazza poco più grande di me, altrettanto cerea e coperta di ghiaccio. Segni di coltellate al cuore, allo stomaco, alla gola. Due biglietti legati dal killer con dello spago alle loro caviglie: Sylvia Miles; Kelly Porter . Un messaggio scritto con il pennarello rosso: Chi sarà il prossimo della mia lista?

Con un sussulto, ritornai al presente. Il bar e i suoi rumori furono i primi ad apparire nel mio campo percettivo. Poi, aprii gli occhi, che non mi ero accorta di aver serrato, per ritrovarmi a fronteggiare un insieme di diverse sfumature di espressioni attonite.

Prima che chiunque avesse il tempo di dire o fare qualsiasi cosa, ero scattata in piedi, pronta alla fuga. Per mia sfortuna, però, quel movimento così agile e fulmineo, fece cadere a terra la mia borsa, sparpagliandone il contenuto. Ebbi un attimo di esitazione, che Ryuzaki sfruttò per afferrarmi il polso, con una forza tale da impedirmi qualunque movimento. Sbalordita, girai la testa e lo fissai negli occhi neri e profondi, mentre percepivo lo shock della visione attenuarsi sempre di più.

A un certo punto, Ryuzaki dovette scorgere la scintilla della ragione risplendere nuovamente nel mio sguardo, perché lasciò la presa, limitandosi ad osservarmi con cautela. Non potevo esserne sicura, a causa della maschera, ma sembrava la stessa espressione che aveva quella notte di un mese fa in cui ci eravamo incontrati sul balcone. Anche allora mi ero ritrovata ad agire in maniera istintiva e lui mi aveva guardata come se fosse stato intenzionato a fermarmi, appena ce ne fosse stato bisogno. Tuttavia, il massimo che aveva dovuto fare alla fine era stato portarmi a letto, dopo che ero crollata accanto a lui.

Eh sì, me ne ero accorta. E ora che lo conoscevo un po’ di più, sapevo che sotto a quella facciata apatica, si nascondeva un animo davvero dolce e gentile …

“E questo cosa significa?” sbottò mia sorella, da un punto imprecisato dietro la mia schiena. Mi voltai e il test di gravidanza di Tomoko apparve quasi per magia sotto il mio naso. Oh, cazzo.

“Non è mio” scattai in automatico, strappandoglielo dalle mani e lanciandolo nella borsa, che, nel frattempo, era stata così carina da raccogliere. Proprio non lo é, mi ricordò un’inattesa fitta alla pancia. Avrei dovuto mandar giù un altro antidolorifico se volevo sopravvivere  fino a sera, considerata la concomitante persistenza del mio mal di testa. Non me ne stava andando bene una.

“Okay, perché non ci sediamo tutti quanti e cerchiamo di ritrovare la calma?” proposi, pregando mia sorella con lo sguardo. Lei sospirò, lasciandomi intendere che ne avremmo riparlato, ma tornò al suo posto. La imitai, mentre mi chiedevo come avesse fatto quel dannato stick a finire dentro la mia borsa.

Forse ce l’aveva infilato Rossella, partita dal presupposto che visto che lasciavo a lei il duro lavoro di consolare la nostra amica, io potevo almeno disfarmi delle prove. O più probabilmente ce l’aveva fatto cadere inavvertitamente Tomoko stessa, quando mi ero avvicinata. Comunque, ormai la frittata era fatta, quindi arrovellarmi sui quelle ipotesi non avrebbe portato a niente.

Invece, grazie alle mie “capacità speciali”, avevo appreso un dettaglio parecchio interessante. E la mia mente ne stava traendo delle elaborazioni realmente affascinanti.

“Alex si è immedesimato in Tyler” dichiarai, presa dai miei ragionamenti “ Deve aver sviluppato una psicosi determinata dallo spasmodico bisogno di essere qualcun altro, magari qualcuno con una personalità forte e carismatica. Probabilmente è un paziente schizofrenico o bipolare.  Ad ogni modo, sta di fatto che si crede Tyler, il che spiegherebbe perché ha fatto fuori sua madre e la sua ex ragazza”.

L’immagine di quei due cadaveri mi passò di nuovo davanti agli occhi.

Avevo odiato Sylvia Miles e Kelly Porter con tutto il mio cuore.

La prima, poiché aveva lasciato andare i suoi figli alla deriva, senza nemmeno curarsene e la seconda in quanto era una vera vipera, degna in tutto e per tutto del suo ragazzo. Tuttavia, nessuna delle due meritava la fine che aveva fatto.

“Porca puttana!” imprecò mia sorella di botto, strappandomi dal quel turbine di riflessioni. Sollevai immediatamente lo sguardo verso di lei. La mia sorpresa non riguardava tanto il fatto che avesse parlato in italiano. Tra me e nostra madre originaria di Firenze, infatti, per la nostra famiglia era una sorta di seconda lingua. Ciò che mi fece alzare le sopracciglia, per contro, fu sentire mia sorella dire una parolaccia. In pubblico poi.

“Tu …?” aggiunse, talmente sconvolta da non riuscire a terminare la frase. All’improvviso mi resi conto della mia gaffe. Che stupida.

Nessuno aveva parlato del nome delle vittime. E io cosa facevo? Mostravo di sapere vita, morte e miracoli di Alex Collins e i suoi delitti. Kate mi stava ancora fissando. Annuii lentamente, nella speranza che soprassedesse anche a quell’argomento.

Lei sapeva perfettamente cosa ero stata in grado di fare prima dell’incidente. Era la mia confidente numero uno in quel frangente. Ecco perché non si aspettava di venire a sapere del miracoloso ritorno delle mie “stranezze” in quella maniera . Più di ogni altra cosa che le avevo taciuto, notai come quella l’avesse ferita nel profondo.  

Per grazia di non so quale divinità, il cellulare di Gabriel iniziò a squillare. “E’ la base” constatò, facendo un cenno a mia sorella.

Lei si affrettò ad alzarsi e raccogliere le sue cose. Era ancora arrabbiata ma dopotutto doveva essere professionale. “Grazie per avercela fatta incontrare” disse cortesemente a Ryuzaki.

“Ci faremo sentire se ci saranno novità” promise Gabriel, in perfetto stile  da "agente dell’FBI".

“D’accordo” replicò il detective.

“Ci vediamo presto, cara mia” aggiunse Kate mentre mi passava vicino, in tono poco meno che minaccioso. Perfetto.

“Au revoir , ma petite soeur* ” si accomiatò subito dopo Gabriel, con un luccichio divertito negli occhi verde smeraldo.

Almeno qualcuno prendeva sul ridere i guai in famiglia.   
 


^^^^^^^


POV  L



Osservavo Selena da qualche minuto ed ero ormai giunto alla conclusione che fosse in preda a tre stati d’animo differenti.

Era turbata per le rivelazioni scaturite dal breve meeting con la sorella e il neo-cognato, infastidita dalla lentezza dell’ascensore ed esausta a causa di qualche sorta di dolore fisico. Inoltre, se la mia teoria risultava corretta, l’ostilità che aveva dimostrato nei miei confronti, era passata in secondo piano, scalzata dalla tensione del momento.  

“Smettila di guardarmi in quel modo” sbottò, come avevo previsto sarebbe successo in un lasso di tempo compreso tra i 5 e i 10 secondi “Non sono arrabbiata con te. Non più. E’ solo che … sapere che c’è  un pazzo psicopatico che vuole davvero togliermi di mezzo mi rende nervosa. E mi sta letteralmente scoppiando la testa” si portò le mani chiuse a pugno sulla fronte “Questo affare non può andare più veloce?” si lamentò, dando un calcio al pannello di legno che ricopriva la parete di destra del macchinario.

“Diventare violenti di certo non aiuta” commentai, soddisfatto dell’accuratezza delle mie ipotesi.

ù“Lo so” replicò lei cupa “Però fa sentire meglio me”.

Lanciai uno sguardo al piccolo display che indicava mano a mano i piani che risalivamo. Un 14 rosso aveva appena preso il posto del precedente numero cardinale. Selena sospirò.

Secondo i miei calcoli mancavano ancora sei minuti alla fine del viaggio. Un tempo relativamente lungo.

“Di chi è questa canzone?” chiese di punto in bianco la ragazza accanto a me, riferendosi al pezzo che davano alla radio in quel momento. Lo riconobbi immediatamente, anche se non amavo molto la musica pop.

“Di Misa Amane”  risposi, sorpreso che lei stessa non lo sapesse.

“Chi? Deve essere famosa qui in Giappone, perché non ho mai sentito questo nome” affermò, in tono lievemente scioccato per quella mancanza.

Effettivamente era strano che non ne avesse mai sentito parlare. D’altra parte, però, avevo avuto modo di appurare che la sua cultura si concentrava soprattutto su Europa e Stati Uniti. Come la maggior parte degli occidentali.

“E’ anche una modella e attrice internazionale” la informai, fissandola negli occhi ambrati “ Sono un suo grande fan da molto tempo”.

Lei mi squadrò un secondo, poi scoppiò a ridere. “Cioè, fammi capire” disse, non appena riuscì a riprendere fiato “ Ti ho dovuto raccontare le indimenticabili scene di “Dirty Dancing” e “Footloose”, perché mi hai lasciato intendere che erano film troppo frivoli per te e adesso vengo a scoprire che ascolti questa roba?”. Continuai a guardarla ridere, senza capire cosa ci fosse di tanto divertente.

“Ognuno ha i suoi gusti” sentenziai alla fine, vagamente irritato. Mi concentrai sul rilassante movimento dell’ascensore. Eravamo al ventesimo piano.

“Hey, mi dispiace” sussurrò Selena, a un certo punto, posando una mano sul mio braccio. Tornai a focalizzarmi su di lei, leggermente a disagio per quel contatto fisico. Ad esclusione di Watari, non mi era mai piaciuto che la gente mi toccasse. Selena, tuttavia, lo faceva spesso, con spontaneità. E io non ero mai stato in grado né di abituarmi, né di costringerla a lasciar perdere.

“Non volevo offenderti, davvero” continuò, mentre il suo sguardo e i suoi lineamenti si raddolcivano “Qualche volta mi scordo che, dopotutto, sei un normale ragazzo. E’ la componente geniale a renderti unico. Oltre all’impegno, la determinazione e l’audacia che metti nel tuo lavoro, ovviamente”.

Si allontanò di un paio di passi, sfiorandomi con un’occhiata ambigua. “ Confesso che fare parte di tutto questo, dei tuoi piani, è elettrizzante. E, beh, mi garantisce una certa sicurezza”. Alludeva al fatto che grazie alla mia sorveglianza, Collins non poteva torcerle un capello. Però non era qualcosa di cui fosse opportuno disquisire al di fuori del quartier generale, quindi lasciai cadere l’argomento, per rilanciarne uno che decisi essere più innocuo.

“Posso farti una domanda personale?” indagai, con il doppio scopo di tastare il terreno e non risultare maleducato. A certe cose tenevo molto.

“Certo” rispose lei, presa completamente in contropiede.

“Se non sono troppo indiscreto, di chi era il test di gravidanza che tua sorella ha rinvenuto nella tua borsa?” chiesi allora, mio malgrado incuriosito.
Selena impallidì all’improvviso, puntando lo sguardo sulle porte dell’ascensore che con un lieve scampanellio si stavano aprendo.

“Siamo arrivati” cinguettò, nel vano tentativo di nascondere la tensione. Uscì sul pianerottolo quasi di corsa e si diresse verso la nostra stanza a grandi falcate. Un comportamento  evasivo da manuale. Mentre sbloccavo la porta, stette ben attenta a mantenere un sorriso di circostanza e non guardarmi direttamente negli occhi.

“ Al tavolo degli interrogatori, non reggeresti un minuto” la canzonai  leggermente, osservando  il suo colorito passare a una tonalità molto più intensa.

“Apri questa porta, per favore” sibilò rigida. Pizzicata in uno dei suoi punti deboli, entrò con aria impettita, non appena glielo permisi.

Ebbi giusto il tempo di godermi quella facile vittoria, che mi stampò un ceffone in pieno viso.

La guardai interdetto, mentre mi rimproverava “Sei un dannato impiccione, lo sai? Se ti interessa tanto perché non lo chiedi a Matsuda, che da pettegolo qual è, sono certa che non si è perso una sola parola di tutta la scena?! Cavolo, io ti faccio un complimento e tu come reagisci? Mi metti in difficoltà”.  

“Hai detto che avevo il permesso di porti una domanda personale” le ricordai, massaggiandomi la zona infortunata. Quella ragazza picchiava davvero forte.

“Infatti” replicò infervorata “Ma “personale” significa “che riguarda me”. Ciò che mi hai chiesto non riguarda me, come ho già detto a Kate, e dovresti sapere anche da solo che è vero, visto che negli ultimi tre mesi non mi hai tolto di dosso gli occhi un secondo”.  

Alzai di un millimetro un sopracciglio. Il mio intento iniziale era stato distrarla, ma ciò che avevo ottenuto erano soltanto recriminazioni. Peraltro di natura discutibile.

“Mi rincresce davvero molto averti impedito di intrattenere compagnie maschili” dissi, nel tono più neutro che mi riuscii, considerato il leggero ed insolito fastidio che provavo a quell’idea. Selena diventò purpurea. Ci guardammo negli occhi per un tempo che sembrò molto lungo.

Alla fine, lei raggiunse il carrellino delle vivande, estrasse il contenitore del ghiaccio e mi si avvicinò. Dopodiché, avvolse in un tovagliolo qualche cubetto e lo appoggiò alla mia guancia gonfia.

“Scusa, non era mia intenzione farti così male” mormorò, mentre la fissavo sorpreso “ Giuro che sei la prima persona che incontro che è capace di mandarmi totalmente in bestia e di farmene pentire in un istante. D’altro canto, sei sempre stato gentile con me, nel bene o nel male, e io non ho alcun diritto di comportarmi male o lamentarmi, cosa che vorrei specificarlo, mi è uscita più per esasperazione che altro. Anche oggi … beh, è stato molto carino da parte tua perdere del tempo per farmi stare un po’ con la mia famiglia. Non avrei dovuto arrabbiarmi dall’inizio, tu stai cercando di fare del tuo meglio e sono più che certa che hai avuto i tuoi buoni motivi per lasciare che io credessi che loro fossero ignari della situazione. Dopotutto, il fatto che adesso riusciamo a convivere in maniera civile, non vuol dire che dobbiamo essere amici”.

La pelle della faccia stava cominciando a congelarsi, ma non le chiesi di spostare l’impacco improvvisato.

Le sue parole stavano avendo un bizzarro effetto su di me. Il cuore mi batteva più forte di quanto avrebbe dovuto e il mio respiro era accelerato come se avessi appena corso per chilometri. Per la prima volta in vita mia, non riuscivo ad articolare alcun suono, né a pensare in modo coerente.

Non aveva alcun senso. Avevo avuto centinaia di conversazioni con lei, spesso anche molto ravvicinate come questa, però non avevo mai sentito il mio corpo reagire in quel modo alla sua voce, al suo profumo, a ciò che diceva.

Secondo lei avevamo possibilità di diventare amici. Una novità assoluta per me. Ma l’amicizia era davvero questo?  

D’un tratto Selena si portò una mano alla testa e barcollò leggermente. Le passai un braccio intorno alla vita per sorreggerla. Notai che era tornata ad essere molto pallida, così la aiutai ad adagiarsi sul divano.

“Dovresti mangiare qualcosa” le consigliai, passandole un paio di fette di torta al cioccolato, mentre mi garantiva che aveva avuto solo un piccolo capogiro.

“Grazie” sospirò, un po’ più rosea, dopo averle ingurgitate sotto il mio sguardo attento “Questo stupido mal di testa mi sta giocando dei brutti scherzi. Ora, se non hai nulla in contrario, vado a stendermi un po’”. Mi alzai per darle una mano, ma mi assicurò ancora una volta che si sentiva meglio.

“ Succederà qualcosa, me lo sento” aggiunse, con uno sguardo quasi allucinato “Tieni gli occhi aperti, Ryuzaki”.

Poi sparì nella sua stanza, lasciandomi a riflettere sul suo avvertimento, sull’amicizia e sull’imminente riunione con gli agenti.  
 





*Arrivederci, sorellina è la traduzione in italiano.
* sono due dei personaggi del telefilm La Vita Segreta di una Teenager Americana. Ero convinta che nel 2007 andasse già in onda, in realtà invece c’è dal 2008, ma spero che mi perdonerete la svista.
 
  

  
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