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Autore: lievebrezza    25/06/2012    78 recensioni
Blaine arriva in una nuova scuola. L'ultima cosa che vuole è innamorarsi della persona sbagliata; però succede. E tutto improvvisamente, diventa molto complicato, perchè a volte non si può evitare di amare qualcuno di proibito.
[Teacher!Blaine + Student!Kurt]
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Epilogo

 

Blaine si stiracchiò, sbadigliando pigramente, e rotolò fuori dal letto in religioso silenzio; con passo accuratamente leggero, raggiunse il bagno e si preparò con cura meticolosa per l'importante giornata che lo stava aspettando. Almeno stavolta non ebbe dubbi su cosa indossare: aveva ben chiaro che a nessuno sarebbe importato il colore del suo papillon.

Anzi, per nessuno avrebbe avuto alcuna importanza il fatto che ne indossasse uno. Addirittura, sotto un certo punto di vista, sarebbe stato quasi deludente presentarsi senza niente di simile stretto al collo: certi clichè meritano di essere rispettati.

Completamente vestito, seppure ancora poco reattivo, si trascinò fino in cucina, annodando con mani esperte il farfallino mentre percorreva il corridoio; il profumo del caffè lo colpì quando era ancora sulla soglia della stanza, facendolo istintivamente sorridere. Se ne versò una tazza e mangiò distrattamente due biscotti, passeggiando intorno al tavolo: era troppo nervoso e intontito per sedersi con calma. Raggiunta la finestra, rimase in piedi a contemplare il panorama mentre finiva di sorgeggiare il liquido bollente; il sole stava sorgendo e la città era meravigliosa.

Mentre riordinava la cucina si chiese se si sarebbe mai abituato a tutta quella frenesia, poi preparò sul bancone una tovaglietta, dei cereali integrali e una scodella; svuotò la caraffa di caffè e lanciò un'occhiata all'orologio. Era presto, ma l'ansia stava cominciando a scorrergli pacificamente sotto la pelle, aumentando mano mano che il sonno lo abbandonava.

Tornò in bagno, si lavò i denti, sistemò meglio la camicia e ravviò i capelli; non aveva senso rimanere a ciondolare per casa, così decise di partire poco prima del previsto. Dopotutto, nel corso degli anni il suo senso dell'orientamento non era affatto migliorato; era capace di perdersi persino nella casa di Sebastian ed Eric, nonostante la frequentasse assiduamente.

Non resistette alla tentazione di tornare in camera da letto, dove Jack stava ancora dormendo, teneramente appallottolato nel lenzuolo; Blaine si avvicinò al lato del letto e lo accarezzò gentilmente sulla guancia, senza svegliarlo, poi lo baciò sulla fronte, sfiorandogli appena la pelle, calda di sonno. Quando Jack, senza aprire gli occhi, mormorò un saluto e strinse più forte le coperte, il suo cuore perse un battito: non era la prima volta, da quanto Jack era improvvisamente entrato nella sua vita, che Blaine si chiedeva se si sarebbe mai davvero abituato alla sua presenza. Ormai erano sei anni che se lo domandava ogni mattina.

E ogni sera.

Si strappò di forza dalla stanza, afferrò la sua valigetta e uscì dall'appartamento, dove incontrò subito la signora Jones, che gli sorrise bonaria: “Blaine, sapevo che saresti uscito prima del dovuto. Non essere nervoso, sono certa che andrà tutto bene. Jack sta bene?” domandò sbirciando alle spalle di Blaine, cercando di cogliere la famigliare figura di Jack accoccolata sul divano con un libro o seduta sul tavolo del salotto, intenta a sgranocchiare un biscotto e scrivere.

“E' ancora a letto.” guardò velocemente l'orologio. “Si alzerà tra cinque minuti, ho impostato la sveglia, quel dormiglione non avrà scampo.”

“In bocca al lupo, Blaine.” Lo guardò materna e Blaine per poco non si tuffò ad abbracciarla, desideroso di ogni rassicurazione possibile; mantenne un discreto contegno, sorridendo incerto.

“Lo spero. Grazie, signora Jones. Grazie davvero.”

Strinse le dita intorno alla maniglia della valigetta, la salutò di nuovo e poi corse giù dalle scale; nell'androne recuperò la sua malconcia bicicletta e lasciò l'edificio. Quando si trovò in strada, il caos della città lo schiaffeggiò in pieno viso, scacciando le preoccupazioni in un angolo della sua mente e sospingendolo verso la pista ciclabile che attraversava il parco.

Prima delle nove Blaine era già nel cuore del Greenwich Village e respirava la dotta aria autunnale dell'Università di New York: il dipartimento di Arti e Scienza era a pochi passi e sembrava fissarlo, pronto a spalancare le sue fauci. Mentre assicurava la bicicletta alla rastrelliera era così spaventato che riusciva a malapena a muoversi; rimase in piedi a qualche decina di metri dall'ingresso, che negli ultimi anni era sempre apparso amichevole, o almeno inoffensivo.

Uno studente lo urtò, facendogli scivolare la tracolla dalla spalla e risvegliandolo dal torpore ansioso in cui era caduto: si riscosse, aggiustò la borsa e si diresse verso l'ingresso a grandi passi, ostentando più sicurezza di quella che effettivamente possedeva.

In apnea, raggiunse il suo minuscolo studio, salutò educatamente uno degli inservienti ancora intento ad applicare la nuova targa accanto alla porta e si rinchiuse all'interno, sprofondando grato sulla sua poltrona: non erano nemmeno le dieci, quindi aveva due ore di tempo per imparare di nuovo a respirare e recuperare una camicia che non fosse intrisa di sudore e paura.

Poi avrebbe tenuto la sua prima lezione universitaria.

La targa fuori dalla posta lo diceva a chiare lettere: professor Blaine Anderson, Letteratura americana del XX secolo. Quasi roboante, se non fosse stato che l'interno dello studio sembrava gridargli beffardo: Novellino, Novellino, Novellino, Novellino. Forse erano le pareti prive di quadri, a eccezione della sua laurea ad Harvard, della specializzazione alla Brown e del diploma alla NYU: era evidente che era appena arrivato, che aveva ancora tutto da dimostrare.

O forse erano gli scaffali, vuoti e miseri, ancora scombri da libri, da enciclopedie, da tesi di laurea dei suoi studenti e da pubblicazioni prestigiose: aveva solo un paio di saggi, pubblicati quando era ancora in Rhode Island, e il calendario con i gatti che Jack gli aveva regalato un paio di settimane prima. A casa aveva ancora due scatoloni pieni di cose, ma non aveva ancora avuto il tempo, e il coraggio, di portarle.

L'attenzione fu attirata da uno degli armadietti, le cui ante erano socchiuse: si alzò e girò intorno alla scrivania, accucciandosi davanti al mobile per aprirlo. All'interno, con somma gratitudine e sorpresa, trovò una camicia bianca, accuratamente stirata e ripiegata, fresca di bucato: appoggiato accanto, un biglietto scritto con una elegante calligrafia, che amava come la prima volta in cui i suoi occhi ci si erano posati.

 

Anche se il calendario è sicuramente utile, questa potrebbe esserlo di più. Nel primo cassetto della scrivania ci sono un deodorante, dei biscotti al cioccolato e delle salviettine umide: rinfrescati, mangia e soprattutto... respira. Andrà tutto bene.

Mi ringrazierai stasera a casa.

Tuo marito, che pensa sempre a tutto.

 

E Blaine capì che sarebbe davvero andato tutto bene. Non gli importava che il suo studio fosse praticamente un vecchio sgabuzzino e che gli studenti avrebbero trovato il suo corso troppo noioso: non era solo, dentro a quel caos. Accarezzò distrattamente la fede nuziale e l'ora di cominciare la lezione arrivò senza più ansie: il professor Anderson entrò nell'aula con un sorriso genuino in volto, una camicia profumata e una briciola di biscotti al cioccolato appiccicata a un angolo delle labbra; incespicò sui gradini che portavano al soppalco con la cattedra e faticò a capire come accendere il microfono, ma se la cavò con un sorriso che rubò il cuore di parecchi, tra gli studenti in prima fila. Dopo dieci minuti dall'inizio della lezione, Blaine era sicuro che la giornata sarebbe filata liscia come l'olio. Guardò le teste chine degli studenti che scrivevano e capì che la sua vita non sarebbe potuta essere più completa di così.

Almeno finchè non vide suo marito sulla soglia dell'aula, con gli occhi preoccupati, che gli faceva discretamente cenno di uscire, tamburellando le dita sul vetro della porta.

“Ragazzi, prendiamoci una pausa.” disse prima di uscire rapidamente dalla classe, ormai all'apice della preoccupazione. Che cosa poteva essere successo per farlo piombare lì e chiedergli di interrompere la lezione?

 

***

 

Aveva trovato un bagno poco frequentato, si era accoccolato per terra e aveva pianto per un'infinità di tempo, finchè una mano non gli si era appoggiata sulla spalla e lo aveva scosso con gentilezza.

“Ti stavamo cercando da un po'.” La voce tranquilla di Rose lo pacificò e lui tirò su con il naso, sonoramente. Non appena sentì il suono, si pentì di essere stato tanto maleducato.

“Scusami.” si premurò di dire, pulendosi il naso con il dorso della mano.

“Tranquillo.” Rose gli infilò le mani sotto le ascelle e lo prese in braccio, portandolo fuori dal bagno. “Ora chiamiamo a casa e vai a riposarti, va bene?” disse carezzevole, muovendo una mano lungo la sua schiena, finchè i singhiozzi non s'interruppero e raggiunsero l'infermeria, dove lo aiutò a sdraiarsi. “Stai qui, i tuoi genitori arriveranno presto, li ho fatti chiamare.”

Jack si allarmò. “Li hanno chiamati? Ma... papà oggi... si arrabbieranno.”

La maestra sorrise e si attorcigliò un ricciolo intorno a una delle dita: “Conoscendoli, non si arrabbieranno per niente, ma staranno correndo qui preoccupati da morire. Però almeno a loro dovrai dire che cosa è successo, va bene?”.

Il bambino si morse il labbro e annuì, poi si sdraiò sul fianco, lasciandosi cullare dalle sue carezze sui capelli: anche papà lo faceva sempre con i capelli di papi mentre guardavano la televisione, quindi non c'era niente di male, non era una cosa da bambini. Quando i suoi genitori arrivarono, Jack dormiva profondamente e aveva macchiato il cuscino di saliva.

“Ma che accidenti è successo?” disse Kurt, non appena Rose li portò in corridoio per spiegare il motivo della telefonata.

“Non lo sappiamo esattamente, ma alcuni degli altri bambini devono averlo preso in giro e Jack è scappato via dalla classe piangendo. Non riuscivamo a trovarlo da nessuna parte e per qualche minuto abbiamo temuto che avesse addirittura lasciato l'edificio... fortunatamente era in uno dei bagni fuori servizio del terzo piano e si è lasciato tranquillizzare.” disse con quella voce dolce che ormai Kurt aveva imparato ad apprezzare. Non era un caso che Rose fosse la maestra preferita di Jack fin da quando aveva iniziato le scuole elementari, circa un mese prima.

“Ci avete fatto spaventare a morte! Ha idea dei pensieri che mi sono venuti quando mi avete telefonato e mi avete annunciato che forse mio figlio era sparito?” disse furibondo e con il fiato corto, dovuto alla corsa con cui si era precipitato dentro la scuola non appena avevano parcheggiato.

“Kurt, l'importante è che Kurt stia bene e che non sia successo niente. Ora portiamolo a casa e cerchiamo di capire cosa è successo, va bene?” Blaine sembrava tranquillo, ma un ricciolo fuori posto e il papillon sgualcito tradivano lo spavento che si era preso. “Possiamo portarlo a casa, vero?” chiese voltandosi verso Rose, non appena Kurt annuì alle sue parole.

Kurt prese in braccio Jack, che ancora mezzo addormentato mormorò delle scuse confuse, poi lo portarono in auto.

“Credo che qualcuno lo picchi.” bisbigliò non appena uscirono dal parcheggio della scuola e si avviarono lungo la strada che portava al loro appartamento. Jack dormiva sul sedile posteriore e sembrava sereno, come se nulla fosse successo.

“Non dire sciocchezze, Kurt.” Blaine guardò nello specchietto retrovisore, quasi come se un rapido controllo potesse dare più spessore a quello che stava dicendo. “Ce l'avrebbe detto. Quante volte gli abbiamo detto di informarci immediatamente? Avere due padri ormai non è più un problema come qualche anno fa, dev'essere per forza qualcos'altro.”

“Forse era solo nostalgia di casa? O forse si sente trascurato, magari se lavorassimo meno forse...” cominciò a ragionare Kurt.

“Se lavorassimo meno? Kurt, quel bambino sta bene e non gli manca nulla. La signora Jones è una babysitter straordinaria, io lo passo a prendere ogni pomeriggio e tu lo tieni di giorno quando non hai le prove. Eric e Sebastian non fanno altro che viziarlo, per non parlare poi di Finn e Rachel.” Kurt svoltò in una via secondaria quando Blaine aggiunse, in tono di garbato rimprovero. “Forse se qualcuno la smettesse di farlo dormire nel lettone...”

“Succede solo una volta ogni tanto!” si giustificò subito Kurt, alzando gli occhi al cielo, facendo scoppiare Blaine in una risata.

Quando arrivarono a casa, Jack era ormai sveglio, ma non sembrava avere alcuna intenzione di raccontare che cosa era successo; seduto sul divano con le braccine incrociate sul petto e il broncio, rimaneva impassibile di fronte a tutte le domande dei suoi preoccupati genitori.

“Posso andare in camera mia?” disse spalancando gli occhioni dorati e piantandoli in quelli di Kurt. Di solito funzionava e il padre gli conceva immediatamente tutto quello che gli chiedeva, perso in un sorriso sognante, ma questa volta l'essere palesemente il figlio biologico di Blaine sembrò non sortire alcun effetto.

“Non usare certi mezzucci, Jack. Ora, se non ci dici che cosa e successo ci costringi a...”

La minaccia di Kurt fu interrotta da un sommesso, ma insistente, bussare alla porta; Blaine, seduto sul tappeto del salotto accanto al marito, si alzò con un sospiro e aprì l'ingresso. Quando Sebastian ed Eric entrarono, ignorarono completamente i vecchi amici e si precipitarono dal loro pupillo, quasi calpestando Kurt, ancora seduto a terra davanti al figlio.

Sebastian lo ispezionò rapidamente, controllando che non fosse ferito, mentre Eric gli accarezzò i capelli e chiese in tono sospettoso a Kurt: “Che cosa è successo? Perchè vi hanno chiamato da scuola?”.

Non attese alcuna risposta e si voltò di nuovo verso il bambino, che si godeva trionfante tutte quelle attenzioni, ben conscio che l'avrebbero aiutato a distogliere i genitori dalle loro pressanti domande.

“Stai bene piccolo?” Entrambi sprofondarono sul divano, tenendo il bambino in mezzo.

“Sta bene! Solo che non vuole dirci perchè è scappato dalla classe.” Blaine si lasciò cadere accanto a Kurt, cingendogli le spalle con un braccio. Il bambino scosse ancora la testa da destra a sinistra con decisione.

“No. Mi vergogno.” disse convinto. Sebastian aggrottò le sopracciglia.

“Hai sei anni, Jack. E' statisticamente improbabile che tu abbia davvero fatto qualcosa di cui vergognarti.” commentò con voce professionale. A quelle parole, il piccolo sgranò gli occhi, impressionato.

“Statificamente? Davvero?” domandò incredulo, voltandosi verso Sebastian, che annuiva sicuro di sé, accompagnato da Eric, altrettanto convinto delle parole del compagno.

“Staficamente. Giuro. E poi, se racconti quello che è successo, potrei raccontarti di quella volta che papà Blaine ha vomitato dentro in un sombrero, proprio in un negozio di souvenir messicani. Quello sì, che è stato imbarazzante.” aggiunse sorridendo sornione.

“Avevo un virus!” si scusò Blaine, ma i presenti risero ignorandolo completamente. Il loro viaggio in Messico era un'eterna fonte di aneddoti.

“Un virus chiamato tequila bum bum.” lo corresse Eric, e tutti risero di nuovo. Jake li guardava confuso, perchè non aveva mai sentito parlare di una malattia chiamata in quel modo: e se anche lui l'avesse presa? Magari avrebbe vomitato dentro al cappellino di Rose. Contava anche se non era un sombrero, forse.

Kurt si mise sulle ginocchia e si avvicinò al figlio.

“Piccolo, vuoi dirci che cosa è successo? Croce sul cuore che nessuno ti prenderà in giro. E nessuno si arrabbierà.” Tutti fecero solennemente un segno sul proprio petto e prima di parlare Jake aspettò che proprio tutti avessero finito, poi fece un sospiro.

“Papà, mi sono innamorato.” disse con un filo di voce, rosso in viso e con gli occhi bassi. Eric si portò la punta delle dita alle labbra, contemplandolo intenerito; Blaine e Kurt si guardarono, confusi.

“E perchè piangevi in quel bagno?” lo incalzò Blaine.

“Perchè mi sono innamorato della maestra Rose. Io... le ho scritto una lettera e le ho portato un regalo, ma gli altri bambini li hanno trovati e mi hanno preso in giro. Per favore, non arrabbiatevi.” Il labbro inferiore gli tremava appena, mentre faceva quella confessione.

“Ma cucciolo, perchè mai dovremmo arrabbiarci? Domani verremo a scuola e ne parleremo con la maestra, così gli altri bambini non ti lasceranno stare, va bene? Tu però lo sai che non...” Kurt si voltò verso Blaine, in cerca d'aiuto. “... che la maestra Rose è troppo grande per te, non è vero?” concluse, poco soddisfatto della spiegazione che era riuscito a pronunciare. Jake alzò gli occhi e Blaine gli sorrise incoraggiante.

“Ma io la amo. Voglio stare con lei per sempre, come te e papà. Anche se non è un maschio.”

Sebastian si lasciò sfuggire una risata, ma Eric lo guardò talmente male che non ebbe il coraggio di andare avanti; Blaine si mise in ginocchio accanto a Kurt e accarezzò il viso di suo figlio.

“Jake, puoi innamorarti di chi vuoi, sia maschietti che femminucce, per me e papà non fa differenza. Però Rose è troppo grande per te, e poi è la tua maestra, capisci?”

“Zio Sebastian mi ha detto che anche tu eri il maestro di papà. E che a volte con l'amore si sistema tutto.” rispose fiero, guardando verso Sebastian in cerca di supporto. L'uomo sbiancò quando improvvisamente capì il motivo delle numerose domande che Jack gli aveva fatto qualche giorno prima: probabilmente aveva scritto la lettera perchè gli aveva raccontato del biglietto che Blaine aveva scritto a Kurt, e aveva preparato un regalo ispirato dal primo Natale che i suoi genitori avevano vissuto insieme.

Kurt afferò la mano di Blaine, perchè la verità e l'innocenza delle parole di suo figlio erano troppo intense perchè potesse reggerle da solo. Ormai erano passati più di dieci anni da quei pochi mesi in cui Blaine era stato il suo professore, ma non avrebbe mai potuto dimenticarli.

 

Perchè lo è, Kurt. Questa notte, in un certo senso... è stato davvero un addio.”

Quella notte fu davvero un addio, ma non quello che chiunque si sarebbe aspettato: Blaine il mattino successivo non disse a Kurt che la distanza sarebbe stata un peso troppo grande da sopportare, né Kurt disse che voleva andarsene a New York privo di legami. Dissero addio alle persone che erano state, quelle di cui avevano vestito i panni prima di incontrarsi in quel bagno, prima di baciarsi per la prima volta in quel corridoio, prima di aver ballato insieme e di aver fatto l'amore.

Kurt salutò gli anni del liceo, i soprusi, il silenzio e il suo continuo sentirsi fuori posto, per abbracciare finalmente i suoi sogni. Non c'era più posto per immaginazione e fantasie: da quel giorno avrebbe costruito il suo futuro, un passo dopo l'altro. Non era più un ragazzino spaventato e sdraiato nel letto con Blaine, disse addio senza fatica al ragazzo che era stato, ringraziandolo per averlo fatto diventare un uomo con la forza di afferrare i suoi desideri e stringerseli al petto.

Non aveva più paura di chiedere aiuto, né di confidare negli altri.

Kurt non aveva paura di scommettere su quello che c'era tra di loro.

Non aveva paura di tentare.

Sentiva che avrebbe potuto ottenere qualunque cosa.

Blaine disse addio al ragazzo che aveva aspettato così a lungo per diventare uomo, che per tanti anni aveva vissuto all'ombra di suo padre, dei suoi errori passati e dei pregiudizi degli altri. Non si vergognava di ammettere che era stato proprio Kurt a insegnargli che scappare è inutile, se non hai nessuno presso cui rifiugiarti; che ci vuole coraggio per confidare in qualcuno, anche quando chiudere tutti gli altri fuori dalla propria vita sembra più semplice.

Non aveva più paura di spingersi oltre quei limiti che si era imposto da solo.

Non aveva più paura di rischiare e magari, rimanere deluso.

Era pronto ad afferrare la valigia e lasciarsi quel liceo alle spalle, anche se sarebbe stato difficile.

Sentiva che avrebbe potuto ottenere qualunque cosa.

Quella notte, l'anno scolastico giunse al termine; ma non fu semplicemente la fine di qualcosa.

Fu un inizio.

L'inizio dei due anni più lunghi della loro vita,.

Perchè gli esami di Blaine sembravano cadere esattamente nei rari, rarissimi, periodi in cui Kurt era più libero. E perchè quando Kurt era sopraffatto dal ritmo incessante di prove estenuanti e continui rimproveri, a volte non aveva le forze di prendere il treno e andare da Blaine. A volte non aveva nemmeno l'energie sufficienti per telefonargli, ma crollava esausto sul divano, risvegliandosi solo quando sentiva Rachel sfilargli le scarpe e scuoterlo piano sulla spalla.

Perchè Kurt aveva nuovi amici, e quando ballava nei club della città, impiegava appena una manciata di secondi per attirare gli sguardi. E a volte era davvero difficile ricordare gli occhi ambrati di Blaine, in mezzo a quel caos ipnotico di luci, alcool e sudore.

Mani che accarezzavano, labbra che sussurravano complimenti e sorrisi compici, che scacciavano la fatica di una scuola che gli stava portando via tutto. E il suo dolce Blaine a chilometri di distanza.

Blaine che passava ore e ore sui libri, che aveva voglia di stare con Kurt, ma non poteva permettersi nemmeno una pausa. Kurt era New York, Sebastian ad Harvard: a volte si sentiva ancora così solo che la tentazione di buttarsi nel letto di qualche sconosciuto diventava quasi insostenibile.

Furono i due anni più lunghi della sua vita.

Perchè era così facile parlare per ore di quello che amava, chiacchierare davanti a un caffè con studenti che amavano la letteratura quanto lui, capaci di finire le sue frasi e chiarire i suoi dubbi. Sarebbe stato così semplice far diventare quel caffè qualcosa di più. E Blaine non sarebbe stato più solo, anche se quel qualcuno insieme a lui non sarebbe stato Kurt.

Perchè litigare al telefono era più duro, più freddo e più rischioso che farlo di persona. Ogni parola poteva sembrare meschina, senza potersi baciaretoccareaccarezzare subito dopo.

Ma fu anche estremamente semplice.

Perchè ogni volta che i loro impegni glielo permettevano, correvano uno tra le braccia dell'altro. La pigrizia non fu mai un'opzione, per loro. Perchè ogni volta che si infilava nel letto di Kurt, dentro in quella stanza minuscola di quell'ancora più minuscolo appartamento, Blaine sentiva di avere di nuovo trovato il suo posto nel mondo. E ogni volta che Kurt sgattaiolava nel dormitorio della Brown per fargli una sorpresa, il sorriso di Blaine lo ripagava delle ore in auto che erano necessarie per raggiungerlo.

Perchè nei club di New York c'erano tanti ragazzi, ma l'immagine degli occhi di Blaine si faceva sempre viva nella mente di Kurt, ricordandogli che per quanto potesse cercarli, non li avrebbe mai trovati lì. E allora continuava a ballare, ma lasciava che il suo ricordo lo cullasse al ritmo della musica.

Perchè anche quando Blaine si sentiva solo e arrivava a un passo dal finire a letto con un ragazzo qualsiasi, il ricordo di com'era fare l'amore, e non semplicemente sesso, lo fermava sempre, prima ancora che il pensiero di cedere diventasse qualcosa di cosciente. Anche se la sensazione di essere solo poteva essere intensa e dolorosa, Blaine sapeva che era solo quello. Una sensazione. Non era più solo, anche se Kurt era chilometri di distanza: bastava prendere in telefono e chiamarlo. O rileggere i suoi messaggi. O guardare le fotografie delle loro vacanze al lago. O affondare il viso nella maglia che aveva dimenticato tra le lenzuola un paio di settimane prima.

Nessuno sembrava essere come lui. Neppure chiacchierare con appassionati di letteratura era soddisfacente quanto lo era stato sedersi con Kurt al Lima Bean, o correggere i suoi saggi; potevano sapere tante cose, ma tutti peccavano di quell'arguzia che impregnava ogni parola di Kurt.

Perfino litigare non era un problema. Perchè riappacificarsi era la parte migliore di ogni loro discussione, una sottile arte che avevano sviluppato con il tempo e con fatica.

Quei due anni vissuti distanti avevano temprato il loro sentimento: quando finalmente Blaine arrivò a New York e presero insieme un monolocale in affitto poco distante dal Greenwich Village, non fu l'inizio di una relazione, ma la naturale evoluzione di qualcosa che era cominciato anni prima. E anche se la quotidianità e la convivenza li avevano costretti ad affrontare sfide sempre nuove, avevano anche reso il loro amore ancora più reale e terreno.

Non impiegarono molto a capire che la minore delle difficoltà era stata la professione di Blaine al momento del loro primo incontro: le bollette, l'affitto, il lavoro, il disordine, le amicizie, i colleghi, la lavanderia... si rivelarono assai più complicati da gestire di una relazione clandestina. Sotto l'influsso di una relazione sempre più matura e serena, il ricordo di quel periodo si fece sempre più sbiadito. Non c'era più il professor Anderson. Nè lo studente Kurt Hummel.

A eccezione di quando, per divertimento, rivestivano quei vecchi panni: Blaine inforcava un paio di occhiali e rimproverava Kurt per essere stato “uno scolaro davvero cattivo”, battendo le nocche su un libro qualsiasi e fingendo di essere sul punto di portarlo dal preside. Kurt, ovviamente, era disposto davvero a tutto, pur di non rovinare la sua fittizia carriera accademica.

Ma a parte quei momenti privati, erano sempre e solo Kurt e Blaine. Esattamente come quando per la prima volta si erano abbracciati sotto la neve, mentre l'autobus aspettava che Kurt salisse.

E quando una sera Sebastian ed Eric si presentarono sulla loro soglia reduci da un weekend a Las Vegas con l'aria stravolta, due anelli dozzinali e un certificato di matrimonio, bastò uno sguardo al luccichìo di felicità negli occhi dei loro amici per capire che era giunto il momento di fare il grande passo. Lui e Kurt si sposarono tre mesi dopo presso il munificio di New York e Burt pianse come un bambino, anche se il giorno successivo lo negò con decisione; solo a distanza di anni ammise che nei suoi ricordi ogni dettaglio della giornata era sfumato, annacquati com'erano i suoi occhi di lacrime.

E quando Rachel partorì, Blaine trovò il coraggio di afferrare le mani di Kurt e dire ad alta voce che voleva avere un bambino. Quando annunciarono che stavano cercando una madre biologica, Sebastian fu in prima linea per le peggiori battutine che la sua mente era in grado di creare; non solo non riuscì a fargli cambiare idea, ma tredici mesi dopo si ritrovò inginocchiato accanto alla culla di Jack, nato quattro giorni prima per raccontargli, con voce giocosa, una versione tutta sua di Cenerentola.

In cui la principessa era un transessuale e la matrigna la maitresse di un bordello di lusso, ovviamente.

Blaine era solo un assistente universitario, l'appartamento era piccolo e Kurt passava più tempo a teatro che a casa; fu tutto dannatamente complicato, ma ogni gioia sembrava costantemente amplificata dalle difficoltà che attraversavano per ottenerla.

In quel caos tutti avevano dimenticato come era cominciata. Perfino Kurt e Blaine.

 

Almeno fino a quel momento, quando Jack li aveva guardati negli occhi e aveva detto di essere innamorato della sua maestra. E Kurt per qualche istante non fu più la stella di Broadway candidata al Tony per la sua straordinaria interpretazione del Cappellaio Matto. E Blaine non fu più il brillante giovane professore di letteratura della NYU.

Furono due genitori imbarazzati e senza parole.

Nient'altro che due ragazzi.

Lo zio Sebastian ti ha raccontato questa cosa? Ma che gentile da parte sua.” rispose Blaine a denti stretti, alzando lo sguardo per rivolgere all'amico un'occhiata a dir poco minacciosa. L'altro allargò le braccia come per scusarsi, ma non disse nulla.

“E' vero, anche papi, tanto tanto tempo fa, era il maestro di papà. Ma noi eravamo un po' più grandicelli.” spiegò Kurt a Jack, che li fissava con occhi sgranati, in attesa di parole di conforto.

“Avevate più di otto anni? Eravate già alle scuole medie?” bisbigliò incredulo.

“Sì, eravamo molto più grandi di te. Ma papi era più giovane di Rose.” aggiunse Kurt. Si sentiva stupido a precisarlo, ma sentiva la necessità di dirlo; dopotutto, Rose aveva più di quarant'anni, Blaine non ne aveva nemmeno venticinque, all'epoca. Non che a Jack importasse, evidentemente.

Jack fece un sospiro frustrato, lentamente assimilando le informazioni che i genitori gli stavano offrendo. “Ma io la amo.” disse abbattuto. “Voglio sposarla.”

All'improvviso, Blaine ebbe una illuminazione.

“Sai una cosa, campione? Io e papà non ci siamo sposati subito. Quando ero il suo... maestro, noi siamo diventati amici. Amici speciali. Ci raccontavamo un sacco di segreti e passavamo tantissimo tempo insieme, poi abbiamo capito che eravamo innamorati. Solo dopo ancora tantissimo tempo, ci siamo sposati. Perchè non provi a essere solo amico di Rose, prima di chiederle di sposarti?” propose schioccando le dita, con aria soddisfatta. Kurt avrebbe voluto abbracciarlo, ma si trattenne e si voltò verso Jack, che si stava mordicchiando il labbro, pensieroso. Trattennero il respiro, mentre il bambino valutava l'idea del padre.

“Ma giocavate anche?” domandò, come se potesse fare la differenza.

“Oh sì, giocavamo un sacco. Continuamente. Ogni volta che potevamo.” annuì Blaine, senza pensare troppo ai doppi sensi che ai suoi amici risultarono immediatamente evidenti. Eric, malizioso, strizzò l'occhio con aria complice in direzione di Kurt, rosso in viso.

“E dopo che diventeremo amici speciali, diventerà tutto più semplice?” domandò sospettoso.

Kurt rise e gli rispose immediatamente.

“Oh no... diventeranno solo più complicate.” Forse non era la cosa migliore da dire, ma stranamente si rivelò quella giusta.

“Ah. Però a Rose non piace il cioccolato bianco. Non credo di poter essere amico speciale di qualcuno che non mangia il cioccolato bianco...” rimuginò a bassa voce. “E poi non so se voglio che un mio amico mi corregga i compiti... e magari Adele sarà invidiosa, se smetto di giocare con lei per stare sempre con la maestra.”

Le piccole imperfezioni di Rose, incompatibili con l'amicizia speciale che Blaine aveva proposto per evitare la celebrazione di un matrimonio affrettato, convinsero Jack che forse era meglio aspettare e conoscerla meglio, prima di assumersi un impegno tanto gravoso. Sebastian ed Eric giocarono con lui e cenarono tutti insieme, ordinando una pizza per festeggiare la prima cotta del loro bambino.

Quella sera, quando Eric e Sebastian tornarono al loro appartamento e Jack finalmente si addormentò nel suo lettino, Blaine trovò Kurt appoggiato allo stipite della porta, intento a contemplarlo in silenzio.

“Un papillon per i tuoi pensieri.” disse appoggiandogli il mento sulla spalla.

“Era da un pezzo che non pensavo agli anni del liceo. Forse quello che abbiamo fatto è stato folle... non è vero? Che giovani incoscienti. E tutto sembrava così insormontabile, neppure sapevamo che era la punta di un iceberg. Che ingenui.” commentò sfregando la guancia sui riccioli di Blaine, che ormai lo stava baciando sul collo.

“Quindi te ne penti? L'hai detto anche a Jack... niente diventa più semplice, le cose possono farsi solo più complicate.” Tra un bacio e una parola, la voce di Blaine era calda contro il suo collo. Kurt si voltò e ne afferrò delicatamente il viso tra le mani, costringendo Blaine a guardarlo negli occhi; il sapore del tutto, con Blaine, era complesso, ma non si era mai pentito della sua scelta.

“Meravigliosamente complicate.” disse prima di baciarlo sulle labbra e allontanarsi appena. E come ormai era abitudine per Blaine, ripetè le parole del marito.

“Meravigliosamente complicate.”

 

FINE

 

 

 

 

 

 

Ooook. Prendiamoci un momentino. Anzi, me lo prendo io, che ho appena scritto la parola fine a questa storia che mi ha accompagnato perfino sotto la doccia, negli ultimi sei mesi (l'idea per l'epilogo l'ho avuta mentre mi mettevo il balsamo).

Intanto vi dico che diverse cose non le ho messe nel capitolo, ma le ho ben chiare in mente (tipo cosa è successo a Sebbie ed Eric, o se Blaine possiede ancora la moto); se avete domande, chiedete!

Posso prendermi un pezzetto di questa pagina e fare i dovuti ringraziamenti? Abbiate pazienza, sono davvero pessima, in queste cose. Sento che la storia meriterebbe da parte mia una nota autore conclusiva particolarmente elaborata, ma al momento sono talmente conbattuta tra la malinconia e il sollievo da non sapere bene che cosa dire.

Vediamo... comincio con il dire che non mi sarei mai aspettata che JC, nata un po' per caso, come ho sempre detto, potesse assumere tali dimensioni. Quando l'ho cominciata, avevo in mente solo tre-quattro scene: la dichiarazione di Blaine nella classe, il loro primo bacio, il discorso con Will e l'uscita allo scoperto con il ballo. Era gran poco per andare avanti, ma è stato divertente e avventuroso arrivarci: Eric, Sebastian, la casa al lago, le bretelle e i biscotti al triplo cioccolato sono arrivati solo dopo, ma sono stati i benvenuti. Senza di loro, JC non sarebbe stata la stessa.

Magari migliore, chissà. Ma diversa.

Per quanto mi riguarda, è forse l'unica storia che, rileggendola, non cambierei. Ma tra sei mesi magari avrò cambiato idea, ma per ora è questo quello che penso.

Voglio dire anche un'altra cosa... in quanto storia nata un po' per caso, ammetto di aver avuto diversi momenti in cui ero in dubbio se andare avanti oppure no. O meglio, non c'è bisogno di ammetterlo, perchè ogni volta vi ho reso partecipi di tutte le mie titubanze: non mi vergogno di dire che alcuni punti della storia sono frutto proprio di un lavoro di gruppo. E' stato parlando, lamentandomi e rimuginando con alcune persone che la storia ha preso la forma che conoscete; anche diverse delle critiche o dubbi espressi da alcuni lettori l'hanno influenzata. Magari non come avrebbero voluto, ma l'hanno fatto. Per questo motivo vi ringrazio tutti.

Chi ha avuto la pazienza di ascoltare tutti i miei scleri.

Chi ha ascoltato i miei scleri e poi mi ha, giustamente, mandata a cagare.

Chi mi ha scritto per rendermi partecipe dei suoi dubbi.

Chi legge in silenzio.

Chi recencisce sempre, qui, su Fb o su Twitter.

Chi ha seguito la storia fin dall'inizio.

Chi è arrivato solo adesso (e si è risparmiato sei mesi di quei famosi sei mesi di scleri).

Chi è stato con JC solo per un po', poi l'ha abbandonata.

Chi l'ha schifata fin da subito e me l'ha detto sul naso.

Chi ha preso parte ai miei brainstorming e mi ha detto quello che dovevo sentirmi dire. E non quello che avrei voluto, sentirmi dire. (Gleek Family?)

Chi mi ha detto che gli rendevo il lunedì un po' più speciale.

Chi ha pazientemente letto, betato e commentato le mie bozze. Medea e Chicca, grazie. Sicuramente, senza voi due, la storia sarebbe stata diversa. E io più scontenta. Quindi grazie per non avermi sfanculato ogni volta che dicevo: “Ti mando un pezzettino!” e vi cargavo di 3000 parole da leggere e correggere. Avreste potuto farlo, ma non l'avete fatto.

 

So bene che stiamo parlando di una ff e non della Divina Commedia. O anche solo di un Harmony. Però in qualche modo mi sono affezionata a questa storia, che mi ha dato tanto. JC mi ha fatto conoscere tante persone, mi ha dato grandissime soddisfazioni e grandissime delusioni, mi ha permesso di conoscermi un po' meglio e di fare un viaggio avventuroso e ricco di imprevisti.

Sei mesi fa ho visto un gif set con un teacher!Blaine e ho iniziato a scrivere una ff. A sei mesi di distanza vi posso dire, come si usa su tumblr, I REGRET NOTHING.

Ma è ora di dirle addio (questo è un addio vero, non come Kurt e Blaine, eh).

 

Quindi... alla prossima, Ladies and Gays, nella speranza che sia un viaggio altrettanto intenso.

Al prossimo lunedì!

 

Un abbraccio,

LieveB

 

   
 
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