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Autore: formerly_known_as_A    26/06/2012    5 recensioni
Islanda ha pensato che un viaggio lontano dal se stesso fisico potesse fargli soltanto del bene. A volte succede. A volte gli sembra che l’isola sia troppo piccola, troppo vuota, persa com’è in mezzo al mare. A volte ha bisogno di allontanarsene per rendersi conto di quanto sia bella.
E non c’è nessun avvenimento che gridi ‘vattene’ come una separazione.

{Personaggi: Islanda, Olanda, Danimarca}
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danimarca, Islanda, Paesi Bassi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Oggi voglio fare qualcosa di diverso.”

Fiducioso, Islanda l'ha seguito per le vie affollate del quartiere Jordaan, mancando a più riprese di farsi travolgere dai turisti, sebbene non sia poi così piccolo. Il quartiere è decisamente caratteristico, con le case tutte attaccate l'una all'altra, colorate, gli artisti che si fanno pubblicità. Se solo guardasse quello, di certo lo apprezzerebbe.

Ma non vede più di tanto, sballottato qui e lì e per poco non si perde.

“Jan!” lo chiama, dopo quasi un'ora di cammino, sollevando un braccio per farsi vedere. Di lui nota solo la punta dei capelli, insieme ad un aroma di tabacco che si perde negli odori della folla. Ripete il suo nome, vedendo che si allontana sempre di più, un po' nel panico, nonostante sappia di saper uscire da quel quartiere per tornare in albergo.

La punta dei capelli si ferma e lui riesce a raggiungerlo, aggrappandosi alla sua manica e standogli il più vicino possibile.

“Non ti piace?” chiede l'olandese, lasciandolo a pensare, per quasi un minuto, cosa possa rispondere ad una domanda così diretta. No, il quartiere sarebbe bello, ma senza tutte queste persone.

“Quando piove è molto più bello.” aggiunge, senza mostrare segno di essersi offeso. L'islandese tira un sospiro di sollievo, presto interrotto da una spallata che lo separa di nuovo da Jan. Ma l'altro è rapido ad afferrarlo per un polso e guidarlo verso una delle case, aprendo una porticina e conducendolo all'interno.

Spalanca gli occhi, immaginando già il proprietario furioso che li caccia via di casa, ma si ritrova, inaspettatamente, in un cortile, con tanto strada ciottolata, fiori e statue. Un cortile come non ne vede da moltissimi anni.

“Hofjes.” lo anticipa Olanda, mostrando lo spazio intorno con una mano, come se dovesse presentare un'opera d'arte. “Questo è un quartiere popolare, ma i nobili avevano l'abitudine di creare questi giardini interni per beneficenza.” gli spiega, portandolo fino alla panchina e sedendoglisi accanto, prima di accendere la pipa.

Eirik lo osserva, perché quello sembra in tutto e per tutto un rituale a cui non ha mai assistito. Segue le sue mani che posano il tabacco, la giusta quantità, con un movimento particolare, per poi cercare un fiammifero ed accenderlo. A quel punto l'olandese deve sentirsi osservato, perché si volta con un'espressione un po' sorpresa.

“Non ti piace la folla, eh? Ci avrei scommesso.”

Sembra davvero così solitario? Oppure addirittura sembra il tipo di persona che desidera soltanto isolarsi? Lo guarda fumare, in silenzio, pensando ancora a cosa rispondergli. Perché ci avrebbe scommesso?

“Non ti piacciono i turisti.” aggiunge l'olandese, tirando lungamente e guardando la facciata della casa di fronte a loro. L'altro si gira ad osservare due passerotti che saltellano sull'erba, fermo a pensare.

“Non mi piacciono i turisti irrispettosi, ecco tutto. E mi piacciono i luoghi tranquilli come questo.” riesce finalmente a rispondere, intrecciando le dita ed appoggiandosi con i gomiti alle gambe. “I tuoi turisti sono rumorosi e non guardano dove vanno, ma quella strada mi piaceva.”

A fatica, una parola alla volta, forse comincia a riuscire a spiegarsi. Non è mai stato molto semplice, per lui, ha sempre avuto la tendenza ad aggrapparsi alle sottane letterali del fratello.

“Uhm... hai rovinato il mio bel programma.” risponde Jan, facendolo trasalire. Quel tono di voce non gli piace per niente, sembra minaccioso!

“Mi spiace.” si affretta a ribattere, imbarazzato ed un po' a disagio, raddrizzando la schiena e guardandolo. Di sicuro non si aspetta quel sorriso furbo che vede sulle sue labbra.

“Ehy, sono così inquietante?” chiede, ridacchiando e muovendo tra le dita la pipa spenta. Ha già finito? Non ha la più pallida idea di come funzioni una pipa, a dire il vero... si possono spegnere e riaccendere?

“Ah! No! Non lo sei!” mente, imbarazzato, gesticolando con le mani davanti al volto. “Ma sei la mia guida e sei gentile e...!” si blocca, abbassando lo sguardo alle dita che sta tormentando e sentendosi un po' stupido. “Non volevo...”

Il suo interlocutore resta in silenzio, ad osservarlo, poi sorride. Un sorriso diverso da quello di prima, luminoso. Un sorriso che lo rilassa senza che sappia come diavolo faccia.

“Non avevo voglia di andare nel caos, oggi, quindi è come se tu mi avessi letto nel pensiero. E ora che abbiamo appurato che non ti va' di stare qui, direi che possiamo andare dove avrei voluto stamattina. Abbiamo ancora moltissimo tempo prima di stasera.” annuncia, alzandosi e facendo sparire la pipa nella giacca.

Stasera? Lo guarda, con la testa leggermente voltata di lato, senza capire. Solitamente di sera torna in albergo, no? Che vuole fare?

“Cosa c'è stasera?” cede finalmente alla curiosità, seguendolo verso la folla.

“Questa è una sorpresa.”


Seppur conoscendolo da pochi giorni, l'idea che si è fatto di Jan è abbastanza chiara. Con quell'atteggiamento da teppista, gli sembra uno di quei ragazzi degli anni ottanta, con quei capelli assurdi e l'aria strafottente, con la pipa sempre in bocca.

E poi, Islanda lo sa, l'Olandese è ricco. Quindi è esattamente come quei finti ribelli anni ottanta in sella ad una motocicletta.

Per questo, quando gli dice che dovranno prendere la macchina, Ice si immagina subito una sportiva anni sessanta, tirata a lucido, una di quelle macchine che sembrano fatte apposta per rimorchiare.

Quindi è possibile immaginare quale sia la sua reazione nel ritrovarsi di fronte ad una macchinina squadrata nella quale teme dovrà fare un buco nel tettuccio per entrare. Rossa, per carità, quindi almeno in qualcosa somiglia a quella delle sue aspettative... ma è pur sempre una scatoletta.

“Non è come l'immaginavo.” commenta, osservando l'olandese incastrarsi dentro l'auto. Ecco cosa sembra, la macchinina dei Lego!

“Vero? È bellissima! La mia bambina!” esclama Jan, entusiasta, mentre Eirik si infila a fatica attraverso la portiera, sussultando quando si rende conto che il sedile è veramente basso.

“Adorabile.” ribadisce, con una smorfia.

L'olandese sembra non capire il sarcasmo o, forse, è troppo preso dall'auto per rendersene conto. Poco male, ricorda le discussioni sulle auto scoppiate con Dan, quindi è molto più sano evitare.

“È molto lontano?” chiede, genuinamente incuriosito.

Il paesaggio è diventato subito diverso, una volta usciti da Amsterdam. Le case diventano tipiche, anche se le vede da lontano, visto che prendono l'autostrada.

“Non molto, ci vuole un'ora e mezza per andare fino a lì, ma ne vale decisamente la pena.” risponde l'olandese, guardando la strada, per poi sorprenderlo quando indica qualcosa dalla propria parte, fuori dal finestrino.

“Di là c'è il Markermeer, è un lago artificiale, non il vero mare. Ha preso il nome da una penisola, Marken... è molto tipica, per lo più ci sono pescatori...” gli spiega, prima di chiudere il finestrino, visto che non fa caldissimo.

L'auto fa un rumore infernale, come se dovesse abbandonarli da un momento all'altro. Sgrana gli occhi, aggrappandosi al sedile. Del mare nessuna traccia... tanto che comincia a pensare che Jan lo stia prendendo in giro.

“Come mai sei qui?” domanda Jan, dopo qualche minuto di silenzio.

L'altro lo osserva, non capendo proprio benissimo. Non ha deciso lui di portarlo in un posto misterioso, senza dirgli nulla?

“Voglio dire... Dan mi ha detto che avevi bisogno di...” aggiunge, forse nel tentativo di far conversazione, più che voler sapere i fatti suoi.

Scuote la testa, nonostante questo, sospirando. Non sono cose di cui gli va' di parlare. Proprio perché ormai non lo fanno soffrire come prima, vuole evitare di pensarci. Sta bene, così, guarda fuori dal finestrino e se lo ripete, mentre il paesaggio scorre.

Qualcosa gli dice che tutto non vada troppo bene, invece.


Un'ora e mezza di macchina dopo, quello che lo aspetta non ha nulla di particolare o culturale e questo lo sorprende abbastanza.

Qualcosa di diverso, ha detto, però... quella sembra una struttura moderna e sono a qualche chilometro da Amsterdam. Che cosa sarà?

“Ti piacerà, sono sicuro.” mormora l'olandese, guidandolo verso l'entrata. Islanda sta con le mani intrecciate, a tormentarsele, come ogni volta che si ritrova in un posto nuovo.

Lo segue, sentendo la temperatura abbassarsi a mano a mano che si addentrano nel corridoio. Prende nota dell'olandese che paga, chiedendosi perché non gli dica nulla, visto che vuole pagare anche lui e solo quando vede lo stand dei pattini a noleggio si illumina.

Quella -dev'essere gigantesca, viste le dimensioni all'esterno- è una pista di pattinaggio.

Come gli sia venuto in mente di portarlo lì, quando per pattinare potrebbe benissimo andare sotto casa, è un mistero, ma lo trova un bel gesto, in fondo.

“Non è proprio una meta turistica...” sussurra, ma è già felicemente diretto verso il noleggio pattini, come se si trovasse di nuovo nel proprio habitat naturale. Sente lo sguardo di Jan seguirlo, ma non ne è imbarazzato per nulla, tutta la propria attenzione è rivolta al ghiaccio ed alle espressioni delle persone intorno.

Se deve essere sincero, non pattina da quasi un anno, quindi si immagina fare cadute tremende, così poco allenato com'è. Ma non importa. Andare a divertirsi sul ghiaccio fa parte di tutte quelle cose che faceva con lei e non avrebbe mai ripreso a fare, se non messo di fronte alla cosa in questione.

“In realtà è un'arena molto importante, parecchi grandi artisti ci hanno cantato e si fanno qui le selezioni nazionali di Miss Universo.” lo informa l'olandese, facendogli fare un sorriso di traverso.

“Oh, capisco, Miss Universo...” ripete, con un tono insinuante, ma con quel sorriso furbo sulle labbra. Come biasimarlo? Sono uomini entrambi, no?

Ned non risponde ed Islanda si ferma a guardare un volantino appoggiato accanto alla cassa, sgranando leggermente gli occhi.

Thialf. Quel luogo si chiama Thialf.

Il sorriso si allarga e ripiega il volantino per infilarselo in tasca, con l'intenzione di fargli raggiungere i suoi compagni stipati in valigia. Ha quell'abitudine da moltissimo tempo, ormai, probabilmente dalla prima volta in cui Dan l'ha portato in Francia per una riunione, facendolo assistere per poi premiare la sua pazienza con un giro nei musei. Gli piace collezionare cose. Ricordi. Con le foto è molto più cauto, ma i souvenir occupano spesso gran parte della sua valigia.

Indica il numero di entrate con le dita, cercando di capire cosa dica la ragazza della cassa -e cosa, soprattutto, abbia da ridacchiare-, ma riuscendo a pagare e capire il minimo indispensabile. Certo, olandese ed islandese hanno una radice comune, ma è comunque abbastanza complicato esprimersi.

“Sei praticamente olandese.” commenta, ammirato, Ned, mentre si dirigono verso i pattini.

Lui lo fissa, perplesso, poi torna all'argomento precedente, senza commentare questo. Era un complimento?

“Thialf. Vorrei sapere cos'è saltato in testa a chi ha dato il nome a questo posto...” ribatte semplicemente, scuotendo la testa, ma decisamente di buon umore. Può sentirsi più a casa di così?

“Uhm, se non sbaglio è il nome di una divinità della corsa?”

Scuote ancora la testa e restando a guardarlo mentre litiga con i pattini. A tratti gli ricorda Dan, anche se è molto meno scemo.

“Þjálfi è uno dei servitori di Þórr. E sì, effettivamente nell'Edda deve correre. Útgarða-Loki gli fa sfidare il pensiero stesso. Ovviamente perde la corsa, ma solo per pochissimo.” riassume, con l'espressione di ammirazione che assume ogni volta che gli capita di parlare del proprio poema nazionale, il proprio orgoglio.

L'olandese lo fissa dall'alto, leggermente perplesso, essendo riuscito a trovare un certo equilibrio sui pattini e lo segue, chiedendosi se non abbia per caso esagerato. Quando parla dell'Edda tende a farsi trasportare dall'entusiasmo.

“Credevo che l'islandese fosse più violento, visti tutti quei segni e i nomi dei vulcani.” commenta infine Jan, facendolo ridacchiare.

“Tutti lo credono.”

“Invece è bello.”

Arrossisce per il complimento inaspettato -nemmeno parlasse di lui!- e si lancia sulla pista per non farsi vedere, salvo sentire un tonfo alle proprie spalle e ritrovarsi a fissare l'olandese a gambe all'aria.

“Tutto ok?” chiede, vedendolo abbastanza dolorante e tendendogli una mano per farlo rialzare. Salvo poi assistere a cinque minuti buoni di cadute nella medesima posizione prima di riuscire finalmente a rimettersi in piedi.

Islanda cerca, cerca davvero, di non ridere, ma l'espressione dell'altro è troppo buffa, imbronciata e stizzita com'è.

“Non ridere.” borbotta lui, appoggiandosi alla ringhiera a bordo pista e strisciando i piedi con le gambe rigide, fissandole con una faccia perplessa.

“Non sai pattinare?” domanda Eirik, stupito, guardando quel movimento tanto buffo. Stupito perché è stato lui a portarlo lì e di certo non si aspettava che non sapesse stare in piedi sul ghiaccio.

“Credevo fosse meno difficile.” biascica Olanda, distogliendo lo sguardo verso gli altri pattinatori, imbarazzato. Che un adulto grande e grosso come lui possa imbarazzarsi in quel modo gli sembra impossibile, ma tant'è.

Ridacchia a sue spese, porgendogli la mano e pattinando all'indietro, trascinandolo e facendolo scivolare lentamente. Con la sua postura rigida sembra un grosso orso sulla banchisa.

Gli stringe la mano come se quella potesse veramente impedirgli di cadere. Ma da un dirupo, non sul ghiaccio.

Lo trova quasi tenero.

“Rilassati, piega le gambe e fai come se camminassi.” gli consiglia, prendendogli anche l'altra mano per non sbilanciarlo troppo da un solo lato. Ci manca solo che cadano entrambi. In quel caso sembrerebbero orsi ubriachi, altro che!

“Non credo di poter veramente fare tutte quelle cose insieme.” borbotta Ned, quasi imbronciato.

Lo fa ridere un'altra volta, perché il suo imbarazzo, legato alla sua apparenza burbera da teppista, lo diverte decisamente troppo e finiscono per battibeccare come bambini per un'ipotetica offesa alla virilità olandese.

Ci vuole circa un'ora per far capire all'uomo il concetto di 'sollevare i piedi per non sembrare un vecchio orso polare pigro' e alla fine riesce a mettere in fila qualche passo, tra i continui tonfi, rendendolo felice come un bambino, mentre scivola sul ghiaccio, goffamente, accanto ad un islandese fiero di sé.


“A cosa pensi?”

La domanda di Jan lo fa sobbalzare, tanto è preso dal corso dei ricordi. Fissa prima lui e poi la tazza di cioccolata ormai tiepida, la panna quasi intoccata tristemente afflosciata su se stessa.

Si affretta a darle il colpo di grazia, mangiandola in due rapide cucchiaiate, sorseggiando poi la bevanda.

“Pensavo...” mormora, quando posa la tazza. A cosa, di preciso? Ha cominciato a ricordare l'ultima -ed unica- volta in cui ha insegnato a qualcuno a pattinare, per poi perdersi in dettagli insignificanti, come la lunghezza ed il colore dei capelli di lei ed il modo in cui essi avevano l'abitudine di arruffarsi e soffocarlo durante la notte, quando dormivano insieme.

Ricordi insignificanti, quelli, che gli lasciano un retrogusto amaro, ma non il solito soffocato dolore. Essere lontano dai luoghi che hanno generato quelle immagini è davvero un bene, allora.

“L'unica persona a cui abbia mai insegnato a pattinare era la mia ragazza. Quindi è un po' strano ripensarci, dopo tutto questo tempo.” mormora, giocando con il cucchiaino. “È passato un bel po' da quando mi ha lasciato, ma ogni tanto qualcosa me la fa ricordare.”

Solleva leggermente lo sguardo verso l'olandese, quasi vergognandosi per quella confidenza, ma è sollevato quando non vede né scherno né pietà.

“È normale. Cioè, io... Non mi è mai successo, ecco, però a volte mi capita di sentire la mancanza di qualcuno, semplicemente guardando qualcosa o tornando in un posto. Mi viene subito voglia di chiamare e dire di raggiungermi.” ribatte quello, annuendo.

Non è proprio la stessa cosa, ma apprezza l'appoggio morale, nonostante lo veda un po' abbattuto. Soffre forse di solitudine?

“Quando trascorri cento anni con una persona finisci per riempirti di ricordi, per qualunque cosa, anche minima.” aggiunge Eirik, mordicchiando il cucchiaino.

“Per qualche motivo non ti vedo impegnarti per tutto quel tempo.” ammette l'altro, irritandolo un po'. Deve accorgersene, perché si affretta a precisare: “Sembri troppo giovane.”

E la cosa gli fa scattare il sopracciglio.

"Guarda che ho il doppio dei tuoi anni."

Jan sembra stupito e boccheggia un momento, prima di assumere nuovamente la solita espressione da teppista.

“Ma sembri più giovane, quindi è legittimo pensarlo.” borbotta, nervoso.

“Ah! Non te l'aspettavi, eh?!” chiede l'islandese, sembrando un ragazzino esaltato e provando così l'affermazione di Ned, che lo fissa da sopra il proprio bicchiere vuoto di birra, indecifrabile. “Lo ammetto. Ma è molto interessante.”

Per qualche motivo, il suo sorriso gli provoca un brivido.

Ma non è affatto una brutta sensazione.


Quattro tazze di caffè dopo, che corrisponde all'incirca ad un'ora e mezza di tempo umano, la discussione si è spostata sulla musica. Ovviamente non concordano. Trascorrono il tempo a non concordare e questo su qualsiasi cosa.

Eirik ama la musica classica. Non si direbbe, vista l'aria scombinata che ha assunto a causa del caffè, si direbbe più un tipo da jazz, a questo punto, esattamente come Jan. Il fiocco dell'islandese, con cui Eirik ha giocato quarantacinque minuti buoni, rischiando di fermarsi la circolazione nelle mani, è ora legato intorno al polso dell'altro, dopo che gli è stato da lui confiscato dopo uno strano sguardo alle mani incastrate.

Ora esibisce un bel fiocco al polso, che Islanda stesso ha fatto, sostenendo che, se proprio voleva quel nastro, allora doveva anche legarlo, altrimenti non ci sarebbe stato gusto.

“Sei un tipo poco raccomandabile.” commenta, la voce resa leggermente altalenante nel tono a causa dell'agitazione da caffeina. “Il jazz è adatto, è il genere che ascolta l'uomo a cui non presenteresti mai tua figlia.” cita, non ricordandosi da dove, rimaneggiando il tutto.

L'olandese sembra offeso, smettendo di giocare con il fiocco. “Non mi presenteresti a tua figlia? Mi sento una guida incompresa e sottopagata.”

Per un attimo si chiede se, per caso, Dan non lo paghi per davvero per seguirlo ed assicurarsi che si diverta, poi scuote la testa, trovandolo assurdo.

“Le mie figlie ti mangerebbero vivo, temo.” commenta, con un'alzata di spalle.

“Chi è che è poco raccomandabile?” ribatte Jan, leggermente inquieto.

“Ma è nella loro natura, sono vulcani. Tu invece hai quell'aria da teppista, con i capelli stupidi e quelle sopracciglia che... Che disgrazia farti sposare...” sospira, con aria disperata. Come se dovesse veramente trovargli moglie.

“Vuol dire che tu non mi sposeresti?” chiede l'olandese, apparentemente offeso. Le sue reazioni, nonostante, sì, effettivamente tentare di ragionare sotto caffeina non è l'idea più brillante del mondo, lo confondono parecchio, ma è abbastanza poco lucido da seguitare nella discussione.

“Jan, non so come dirtelo, ma non hai abbastanza seno.” vaneggia quello, intossicato dal caffè, con aria mortalmente seria.

Ned scoppia a ridere. Sembra si sia trattenuto fino a quel momento.

“Eirik, Eirik, devi bere caffè più spesso, sei divertente!” esclama, prima di controllare l'ora. “Riesci ad alzarti? Se non partiamo ora non saremo mai ad Amsterdam in orario...”

La sorpresa! Lo segue il più rapidamente possibile verso il parcheggio, divertendolo, probabilmente. Dice ancora qualcosa a proposito del caffè, ma, nell'esatto momento in cui si siede in quella macchina per nani, si addormenta.

Sì, il caffè ha uno strano effetto sul suo organismo, decisamente.


“Ehy, non vorrai mica farti prendere in braccio...”

Apre gli occhi, sentendo male ovunque, chiedendosi dove sia, cosa ci faccia in quelle scatola da scarpe -ah, no, è un'auto, ha anche i finestrini- e perché sia finito proprio lì, prima di ricordarsi che si è addormentato di colpo e vergognarsi come un cane.

“Ah! No!” scatta e fa per alzarsi, ma prende un colpo in testa, rannicchiandosi immediatamente per soffrire in silenzio. Sente una mano estranea farsi largo tra i capelli e stupidamente si sente meglio. Deve aver battuto la testa molto forte.

Si volta dolorosamente verso di lui e mormora: “La sorpresa?”

All'olandese sfugge una risatina, probabilmente perché ha un'espressione talmente assonnata da risultare buffo. Si imbroncia leggermente, ma aspetta una risposta e l'altro se ne accorge.

“Non sei stanco?”

Scuote la testa, anche se si farebbe volentieri portare in braccio fino al letto. E magari farsi sistemare anche le coperte addosso. Quello sarebbe indubbiamente comodo.

“Uhm... Facciamo così. Cena e verso le sette e mezza mi dici...” inizia Ned, subito interrotto.

“Sto bene, non sono stanco... Ci vediamo per quell'ora.” mormora Islanda, scendendo dall'auto. Sta chiudendo la portiera, quando l'olandese gli blocca un polso, facendolo sussultare.

“Hai degli abiti eleganti?” chiede, sorprendendolo. Non lo vorrà per caso portare a corte, no? Annuisce ed è immediatamente liberato, prima di restare a guardare, come inebetito, l'auto che se ne va'.

Sbaglia a pensare di averlo visto arrossire?

E perché, poi, fa tanto caldo?


Gli abiti eleganti gli piacciono. In famiglia hanno tutti un certo amore per le camicie e pensa di aver ereditato quel bisogno di apparire al meglio in ogni situazione un po' da tutti. Non è proprio narcisismo, perché ormai si tratta di movimenti automatici, quelli con cui sceglie le camicie migliori ed i vestiti più adatti alla circostanza, lo fa veramente... per far capire alle persone che ci si mette d'impegno, per incontrarle.

Questo ragionamento è davvero poco chiaro, ma ogni volta che ci riflette, all'incirca la conclusione è sempre la stessa.

Si guarda allo specchio, imbarazzato, cercando ancora di capire che occasione sia, quella e se sia il caso o meno di abbottonarsi fino in cima e mettersi un papillon. Fosse una riunione, un ricevimento... forse sarebbe meno agitato.

Jan non ha parlato di altre persone, vero? Sono soli?

Lancia un'occhiata all'orologio e decide che è tempo di uscire, visto che mancano solo una decina di minuti all'appunta... mento. Oh Thor. No, ma intendeva... un luogo ed un'ora prefissati, come dal medico, non di certo un appuntamento tra...

Si affretta verso la Museumsplein, sentendosi il viso rossissimo e cercando di calmarsi.

Aiuta poco la chiamata in entrata da parte di Dan. Maledice il cosmo intero e risponde, cercando di non balbettare.

“Ci chiedevamo come avessi trascorso la giornata!” esclama, tutto contento. Quell'entusiasmo gli dice a cosa si riferisca quel 'noi' ancor prima di porsi consciamente la domanda.

“Saluta Nor.” ribatte, sentendo nascere un sorriso sulle labbra. Sarà anche strano, ma non può che essere contento quando sa che sono insieme.

“Ti saluta anche lui. Con la mano.” ribatte il danese, ironico, prima di lasciarsi andare a svariati versi di dolore che fanno da sottofondo alla vendetta norvegese. “Ahi! Ahi! Nor, sono al telefono con Eirik, insomma!” protesta, ridacchiando ed il ragazzo riesce ad immaginarsi perfettamente il fratello che si calma ed appoggia il mento sul braccio di Dan, guardandolo dal basso.

A volte quei due lo preoccupano.

“Sono andato a pattinare... è stato bello, ma ho dovuto insegnare a Jan...” racconta, sforzandosi di sembrare scocciato ed accelerando il passo quando vede che ore sono.

“È stato difficile?” chiede l'altro, ridacchiando. Probabilmente ha un'idea abbastanza precisa di quanto sia goffo l'olandese.

“Non hai idea.” risponde, divertito, immettendosi nella folla serale del Museumsplein. I musei chiudono e sembra che abbiano ospitato più persone di quelle che effettivamente potrebbero.

“Ah! Non sei in albergo?”

“No, ho un appuntamento sulla...” inizia, senza possibilità di replicare, perché dal ricevitore proviene un discreto urlo, mescolato ad un borbottio basso in cui riconosce un 'bravo Eirik, bravo' che un po' lo inquieta.

Possibile che nessuno capisca il senso della parola appuntamento?

“Ti lasciamo al tuo appuntamento, allora, noi riprendiamo il nostro.”

“Nei tuoi sogni.”

“Sei cattivo, Nowu.”

E con questo, la telefonata termina, probabilmente interrotta da uno dei due che ha schiacciato il tasto sbagliato... e non vuole sapere il resto.

Resta con il telefono in mano, basito, per qualche secondo, prima di sentirsi picchiettare sulla spalla e voltarsi, per ritrovarsi di fronte l'olandese, con un bel sorriso sul volto, vestito di tutto punto.

Resta a guardarlo per un po', mentre la testa gli dice che, sì, obiettivamente è un bell'uomo, soprattutto con i capelli che gli ricadono sugli occhi, ma che i crampi alla pancia non sono una reazione tanto normale. Ribatte sottolineando come sia tutta colpa sua, salvo poi rendersi conto del monologo mentale e vergognarsene molto.

“Sei... diverso.” commenta, indicandolo.

Lo vede sussultare e poi distogliere lo sguardo. “Ero in ritardo e non ho sistemato i capelli.”

Si nota, ha un ciuffo perfettamente dritto in testa. Si alza sulle punte per sistemarlo e si riabbassa con estrema lentezza, come un ladro colto sul fatto, quando si accorge del gesto.

Non era quello che intendeva, comunque.

“Mhm... questa sorpresa?” chiede, scrollando la testa e guardando altrove. La folla li sta guardando? Che imbarazzo...

“Di qua.” risponde semplicemente, porgendogli il braccio ed aspettando che si appenda... no, ma è serio? Non è mica la sua dama... Resta due buoni minuti a fissare quel braccio e, vedendo che l'altro non sembra desistere, si arrende ed afferra il suo polsino tra indice e pollice, sperando che non chieda nulla di imbarazzante.

Le sorprese lo mettono a disagio. Non sa perché, ma sapere che qualcuno prepara qualcosa di nascosto, aspettandosi una reazione positiva, lo manda in crisi. Deve sembrare felice per forza? E se la sua espressione deludesse l'altro? No, non gli piacciono le sorprese...

Ma quando arrivano di fronte al palazzo e legge i manifesti appesi fuori si dice che, in fondo, non sono così male.

“Ti piace Schubert?” chiede l'olandese, un po' nervoso.

Gli risponde con un sorriso ed annuisce, prendendolo per il polso e trascinandolo dentro alla sala da concerto, al settimo cielo.

Il finale perfetto per quella giornata... come avrebbe potuto immaginarlo?




Angolino dell'autrice


Qui potete trovare foto e spiegazioni per il capitolo.

Mi scuso moltissimo per il mancato aggiornamento, ma ho esami/vita/condizioni psicofisiche che mi rallentano parecchio nella rilettura... spero che il capitolo vi sia piaciuto, comunque <3 Da qui in poi saranno piuttosto lunghetti, spero non vi dispiaccia, ma devono succedere molte cose in pochissimo tempo!

Fatemi sapere cosa ne pensate tramite una recensione o un breve commento sulla mia pagina di Facebook, grazie per la lettura!

   
 
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