Anime & Manga > Card Captor Sakura
Segui la storia  |       
Autore: Angemon_SS    26/06/2012    3 recensioni
Gli anni passano e i protagonisti crescono. Li Shaorang torna a Tokio per lavoro e non può non ripensare a Sakura, a come è cambiata, a cosa dovrebbe dire in caso la incontrasse, a cosa fare, dove andare, ecc. La paura di rinvangare il passato e di riaprirsi è una costante della sua nuova vita nella metropoli, proprio Sakura non migliora la situazione disorientandolo in più momenti e perdendosi a sua volta nei suoi stessi sentimenti e "bisogni". Sguardi, parole e gesti devono essere calcolati al millimetro da entrambi per non rischiare di farsi male a vicenda o di farsene così tanto da cadere in qualcosa di non controllabile, o per lo meno bisogna provare.
[seguito ideale della FF Aruòpule ma non necessita della preventiva lettura di quest'ultima]
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Li Shaoran, Sakura, Sakura Kinomoto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

 

Charlie Brown

 

 

Non ricordo se in un film o in un libro, ma una volta l’attore Robin Williams disse che il Creatore ci aveva dotati di un organo riproduttivo e di un cervello e, purtroppo, sangue sufficiente a farli funzionare solo uno alla volta. In poche parole se avessi ragionato con il pene, quella mattina mi sarei svegliato con Sakura accanto, invece mi svegliai con un forte mai di testa. Troppo sangue al cervello.

Dopo una decina di sbadigli mi decisi ad aprire l’acqua della doccia e, preso il rasoio, mi chiusi dentro per la sciacquata mattutina. Senza barba ribelle, lavato e profumato mi presentai al lavoro con il preciso intento di non essere disturbato per tutto il resto della mattinata. Oramai l’attività era in moto e teoricamente potevo anche saltare un giorno o due di ufficio, me lo meritavo dopo tutto l’impegno che avevo messo per garantire un’apertura puntuale, eppure sapevo che i miei superiori di Hong Kong non me lo avrebbero permesso quindi, durante la videoconferenza giornaliera, non lo chiesi nemmeno. Ricevetti i complimenti quotidiani per il buon lavoro svolto fino a quel momento e terminai il programma.

Il sorriso di Yuko fece capolino nel mio ufficio con una tazza fumante di caffè. Il suo fu il primo curriculum che mi capitò tra le mani e fu anche la prima persona con la quale pranzai in città, prima avevo sempre mangiato da solo finché non la presi con l’azienda, mi consigliò i posti migliori nelle vicinanze. Fu il suo sorriso a convincermi, era piena di vita e portava sempre con se una spilla del nastro rosa, simbolo che aveva sconfitto un cancro al seno, non le ho mai chiesto niente ma penso che fosse quello il motivo della sua gioia permanente.

Tra di noi c’era parecchia sintonia e dopo il lavoro non era raro andare a cena insieme- o anche solo a passeggiare, stare tutto il giorno seduti ti pietrifica le ginocchia - più di una volta. Si può dire che stessi bene in sua compagnia, forse per il fatto che, a differenza di un’altra mia conoscenza, non mi aveva chiesto di andarci a letto il secondo giorno.

«La vedo stanco questa mattina.» La sua voce mi ridestò in quanto mi stavo per appisolare. Tutta colpa di Sakura: passai la notte in un bagno di sudore tra sogni poco casti, un miscuglio di incubi e citazioni grottesche, in più il mal di testa martellava incessante.

 «Vorrai dire “più stanco del solito”.» Cercai di sorridere e sembrare lucido mentre assaporavo il caffè bollente. «Non ho avuto una notte tanto tranquilla, aggiungerei per niente.»

«Si tratta di una donna?» Lo chiese con un virgola di invidia e feci finta di non accorgermene.

«Incubi…» Il telefono della scrivania di Yuko mi salvò da una conversazione indesiderata, restai solo con il caffè, il mio tessssssoro! Non ricordo di averne mai bevuto così tanto come in quel periodo, ho rischiato di diventarne dipendente, così come lo ero per le sigarette. Infatti mi venne voglia di uscire a fumare non appena terminai la tazzina.

«Shaoran!» Tomoyo. Lei la riconobbi all’instante, esplose il mio nome come se volesse assordare tutti quelli che erano in strada, tanto che spense la fiamma dell’accendino. Non era cambiata molto, a differenza della cugina, anche le sue forme si erano ammorbidite con la crescita ed era diventata molto alta, praticamente quanto me.

«Buongiorno, sigaretta?»

«Grazie!» Ne prese una dal pacchetto e le porsi la fiamma del mio accendino. «Accidenti a te: erano tre giorni che non fumavo, sto cercando di smettere.»

«Bastava dire “no, grazie”.»

«Lo so ma mi rilassano, soprattutto in questo periodo…comunque, come vanno le cose? Vedo che l’attività è tranquilla, inoltre Sakura mi ha raccontato della cena superlusso di ieri notte.» Se la ridacchiava sotto i baffi.

«Ti ha raccontato ogni particolare?»

«Ovvio, però non ho ancora deciso se etichettarti come idiota o gentiluomo.» Non ho mai capito come facesse a dire ogni singola frase con lo stesso beato sorriso. Sembrava un agnello pronto al macello. «In ogni caso, mi ha confessato che era tesissima all’idea di averti così vicino e che sei stato davvero gentile, è molto felice di averti rivisto.»

Tesissima? Una persona tesa non si getta su di un'altra persona gridando di andarci a letto, ma questi sono punti di vista. Vidi che gettò la sigaretta ancora prima che arrivasse a metà, era il momento che fossi io a chiedere qualcosa: «A te come vanno le cose?»

«Mi sono laureata e gestisco l’azienda di mia madre, quella di giocatoli, inoltre ho voluto aprire una divisione per i film ed i cartoni animati, abbiamo fatto alcuni corti istruttivi per le scuole ed adesso sto producendo un film, mi sarebbe piaciuto girarlo di persona ma non ho la stessa bravura del regista. Se vuoi, quando sarà terminato potrei farti avere un biglietto per la prima, magari riesce a venire anche Sakura.»

Sakura, Sakura, Sakura, si finisce sempre col nominarla, stava cominciando ad annoiarmi quel nome.

«Ti ha per caso detto che sta con qualcuno?» Come volevasi dimostrare, sempre a parlare di lei, perché Tomoyo se ne uscisse con quella domanda non lo so ma non potei che rispondere con ciò che mi aveva detto la notte prima.

«Non stanno insieme ma sono molto intimi, è da quasi nove mesi che non fanno altro che andare a letto. E’ un po’ brutto messo in questi termini ma è così. Lei non vuole questa situazione e più volte mi ha raccontato come ha provato a cercare qualcosa di più. Escono insieme ma non si sfiorano nemmeno, non si danno la mano, non si baciano, si chiamano per cognome come degli sconosciuti. Dopo un po’ ci fai l’abitudine e lo vedi come una variante di ciò che pensi sia l’amore, ne rimani intrappolato.»

Le mie mani cominciarono a sudare: non volevo sapere i fatti privati di Sakura, mi facevano male.

«Capisci? Sakura ti ha chiesto di stare con lei perché stava cercando conferma.»

«Su che cosa?»

«Sul fatto se possa essere considerata amore la sua situazione attuale. Ti vuole bene, non smetterà mai di volertene, è per questo che avrebbe voluto…»

«Ti ha detto lei di dirmi tutte queste cose?» Avevo deciso che era abbastanza.

«No ma…»

«Allora non continuare, ti prego, non ne ho il diritto ma mi fa male.»

«Lo so…»

«Allora smettila!»

Tomoyo parve sconvolta ma il sorriso tornò sul suo volto in poco tempo: «Comunque, basta parlare di Sakura, sono passata in zona per chiederti un preventivo, vorrei farti entrare nel mio campo, faresti molti buoni affari.»

Rimasi disorientato, un contratto così grosso avrebbe figurato sul mio curriculum con l’inchiostro dorato, era una di quelle occasioni che capitano una sola volta.

«Entriamo in ufficio e parliamone, che ne dici?»

«Preferisco parlane in un bar con calma, da amici, quando hai il giorno libero? Non voglio rubarti tempo.»

«Nessun problema ma se proprio vuoi, ho libero il mercoledì sera.»

«Davvero? Fantastico, allora che ne dici di incontrarci alle 18, davanti al negozio della Apple? Vestiti per la serata, se fai il bravo e le offerte mi convincono di porto a cena fuori.»

Sorrise e la lasciai andare. Ebbi paura, pareva che mi stesse chiedendo di uscire con lei piuttosto di un semplice preventivo, non mi andava di incasinarmi ancora di più.

 

Come concordato mi feci trovare all’ora stabilita davanti alle vetrate della Apple a Shibuya. Mi accesi la sigaretta dell’attesa, come da tradizione, ed alzai di un tacca il volume del mio lettore mp3. Rimasi ad attendere per alcuni minuti finché non passò una siluette che conoscevo a memoria, di colpo risentii quel sapore sulle mie labbra e quasi non ci credevo, Sakura era davanti a me in tutta la sua bellezza - in quel periodo pensavo che diventasse più bella di giorno in giorno – e la sua espressione pareva più sorpresa della mia. Arrossimmo contemporaneamente ma non riuscimmo a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra.

«Che cosa ci fai qui?» La prima domanda fu sua.

«Sto aspettando Tomoyo, dobbiamo parlare di un possibile contratto tra la sua azienda e la mia davanti ad un caffè. E tu? Stai andando al lavoro?»

«No, anche io dovrei incontrarmi con Tomoyo, dobbiamo prendere un frappé insieme.»

Ci guardammo per alcuni secondi e dovemmo trattenere una risata. Tomoyo ci aveva fregati, era riuscita ad organizzare un appuntamento tra me e Sakura, a nostra insaputa, non si sarebbe di certo fatta viva e ne ottenemmo conferma quando Sakura ricevette un messaggio da parte della cugina: “Divertitevi!”

«La uccido! Riesce sempre nei suoi piani malvagi.» Ovvio che non era credibile mentre minacciava un telefonino, era troppo buffa; quel suo sorriso: da quando avevo capito di provare sentimenti diversi nei suoi confronti mi ero sempre incantato in quel sorriso che solo lei era in grado di mostrare. Era diverso, era qualcosa di inspiegabilmente bello, era il suo e basta, era quello che ogni persona vorrebbe suscitare in chi ama.

Scaraventò il suo apparecchio nella borsetta e si sistemò i capelli: «Io voglio comunque il frappé!» Lo disse come un capriccio che invoglia alla tenerezza, non potei che accontentarla e mi feci accompagnare nel suo locale di fiducia, d’altronde non conoscevo la zona e non potevo di certo fare da cicerone; entrammo e ci sedemmo nell’unico tavolo libero in zona non fumatori - lo fece apposta! – ci raggiunse in poco tempo una cameriera e prese le nostre ordinazioni.

Ricordo che restammo in silenzio per svariati minuti e passò tutto il tempo a smanettare con il telefonino, stava di sicuro inviando maledizioni su maledizioni per messaggio alla cugina.

«Spero che Tomoyo non ti abbia scombussolato i programmi.»

«Tranquillo.» Non alzò lo sguardo. «Avevo la serata libera e non avrei fatto altro che dormire, solita routine.»

Annuii e ci furono altri interminabili minuti di silenzio finché non ci vennero servite le nostre ordinazioni ed il viso di Sakura si illuminò come quello di una bambina in un negozio di giocatoli. Lo finì nello stesso tempo che impiegai io per zuccherare e gustarmi il caffè – e già mi veniva voglia di fumare – sembrò più tranquilla e rilassata, si stravaccò sulla sedia e mi sorrise.

«Siccome sono una gentil dama, lascerò offrire a te, dopotutto devi sdebitarti per la cena a base di cheeseburger e patatine fritte dell’altro giorno.»

«Hai ragione.» Mi rilassai anche io. «Però è stata una cena troppo elevata, con il caviale avresti risparmiato.» Riuscii a strapparle un altro sorriso.

Ci furono alcuni secondi di altro imbarazzante silenzio finché una bustina di zucchero non si infranse sul mio naso, la colpevole nascose la mano e fece la gnorri.

«Ma guarda, piovono bustine di zucchero.» Stetti al gioco.

«Quello di canna per giunta, il più fastidioso, è un fenomeno che si può osservare solo nei locali al chiuso. Propongo di rifugiarci all’aperto, dove non ci possono colpire!»

Ci alzammo e pagai le ordinazioni. Il tempo era cambiato e si stava annuvolando in modo minaccioso, la seguii lungo la via, ci trovammo in mezzo a centinaia di persone nella zona dei locali e dei negozi più famosi. Migliaia di rumori e brusii ci accolsero sui marciapiedi mentre ci fermavamo di vetrina in vetrina per commentare orrendi vestiti, utilissimi cellulari, dolci e cibi buonissimi. Comprai della frutta secca in una bancarella ambulante e la divisi con lei. Camminammo a lungo e finalmente parlammo, parlammo e parlammo di milioni di cose, sembrava che gli argomenti non finissero mai.

 

«Si, mio padre è tornato in Italia, è docente all’Università di Napoli, sembra proprio che abbia fatto buona impressione quella volta.» Ci sedemmo su di una panchina per riposare i piedi. Ormai era calato il buio e le luci al neon facevano brillare ogni angolo delle strade, di li a poco i negozi avrebbero chiuso e la gente si sarebbe riversata nei locali. «Divido un appartamento con due mie colleghe di lavoro, ci consideriamo sorelle; mio fratello naturale invece, è rimasto a Tomoeda, dopo la laurea è stato assunto da una piccola azienda che si occupa di spedizioni nell’area di Tokio, è il responsabile delle relazioni con i clienti. E tua cugina, invece?»

«A dir la verità non la sento da parecchio tempo, lavora come interprete all’aeroporto di Hong Kong, aiuta i turisti e i lavoratori delle compagnie estere ad orientarsi. Una specie di hostess, ma di terra.»

Per la prima volta dopo due ore ininterrotte restammo in silenzio. Nessuno dei due riusciva a staccare gli occhi da quelli dell’altro e parve come se l’intera città si fosse ammutolita di colpo. Sorridevo perché ero contento di aver passato un po’ di tempo con la vecchia Sakura, quella che conoscevo bene, quella che ricordavo nei miei bei ricordi, non so perché anche lei stesse sorridendo ma speravo si fosse ricordata di qualche istante bello passato insieme.

Un grosso energumeno ci piazzò davanti alla faccia due volantini coloratissimi e se ne andò. Bastardo!

«Interessante.» Sakura lesse attentamente il volantino. «”Vieni a divertiti con il nuovissimo LaserTag, a pochi passi dalla New Tokyo Tower, se batti il record ti offriamo la cena”.»

«Scordatelo.» Non avevo alcuna voglia di sudare i vestiti nuovi.

«Hai paura che io ti possa battere?»

«La psicologia inversa con me non attacca.»

«Giusto! Infatti è un ordine.» Si alzò e corse verso il bordo del marciapiede nell’intento di fermare il taxi che stava sopraggiungendo in quel momento. Il mezzo si dovette fermare con un lungo stridio di freni e gomme, la portiera si aprì in automatico e Sakura si sedette, restai sulla panchina ad osservarla per alcuni secondi. Il giorno dopo sarei dovuto andare al lavoro, ci sarebbe stata la videoconferenza, indossavo i vestiti nuovi. Al diavolo!

Salii sul taxi e presi posto accanto a Sakura, porgemmo il volantino all’autista e fece cenno con la testa di aver capito.

Ovviamente dovetti pagare io la corsa! Vabbè, facciamo i gentiluomo, mi dissi.

«Una partita per due.» Sakura porse i soldi alla ragazza della cassa all’ingresso. Sembrava facile ma dovemmo compilare un modulo di iscrizione e pagare per una tessera annuale, che sarebbe servita come assicurazione medica, fortunatamente la prima partita era inclusa nell’iscrizione. Ci fecero entrare in una stanza piena di otaku ed altri mocciosi per farci vedere un video sulle modalità di gioco.

Due squadre…blablabla…colpire solo pettorina ed arma rigorosamente impugnata a due mani…blablabla…non si corre…blablabla…non si salta…blablabla…non ci si sdraia in terra…blablabla…vietato il contatto fisico…blablabla.

Finalmente si aprì una secondo porta ed entrammo in una stanza con le armature pronte per essere indossate, quasi svogliatamente indossai la pettorina rossa e con la coda dell’occhio notai Sakura indossare quella verde.

«Fai sul serio?»

«Ti voglio bene, mio caro Li, ma in guerra non ci sono regole.»

 

Sakura, perché devi pronunciare queste frasi? Mi uccidi!

 

«Va bene, allora nasconditi per bene, perché non avrai scampo.» Impugnai l’arma cercando di sembrare un perfetto Rambo, penso di essere sembrato al quanto ridicolo.

Finalmente si aprì la porta dell’arena ed ogni squadra marciò verso la rispettiva base. Caricammo le armi e ci sparpagliammo; lo devo ammette: era una figata, ostacoli di ogni genere, luci nere, vernice riflettente, musica a tutto volume, fumo e luci stroboscopiche. L’adrenalina era compresa nel prezzo!

Impugnai l’arma e mi avventurai con altri due compagni alla ricerca della base nemica. Una pettorina verde fece capolino da una finestrella in un ostacolo, era Sakura, sparò tre colpi e tutti e tre andarono a segno. Eravamo fuori dal gioco per dieci secondi e ci nascondemmo finché le nostre armature non smisero di vibrare.

Di li a poco fu un bagno di sudore. Laser da ogni angolo e fessura, grida, risate, bestemmie, qualcuno infrangeva le regole e correva incurante del pericolo, incrociai più volte Sakura e in qualche occasione riuscii anche a colpirla, il resto delle volte mi abbatteva lei, aveva una mira incredibile. Il primo punto per la squadra riuscii a farlo proprio io e ritornai vittorioso alla mia base per ricaricare l’arma. Mi attendeva Sakura, nascosta dietro un angolo, mi tirò per un braccio e mi eliminò: «Mi vendicherò!»

Ed è quello che fece, conquistò la nostra base non una, ma per ben tre volte, incurante del pericolo e dei nostri colpi. Fortuna che in squadra avevo dei giocatori esperti e recuperammo in poco tempo.

Alla fine vincemmo 110 a 89.

Sakura era rossissima in viso, sperava di battere il grande Li Shaorang. Sudati come dei pugili ci dirigemmo con le squadre alla cassa per ritirare le pagelle personali. Nonostante la mia squadra avesse vinto, avevo fatto il minor numero di punti, ero il peggiore della squadra rossa. Sakura invece fu la migliore della verde e non solo, infranse anche il record vincendo la cena. Lo so che a raccontarlo sembra pazzesco ma uscimmo di li con un buono per una cena gratis, per due persone.

«Basta volerlo!» Fu la spiegazione semplice della sorridente sconfitta ma vincitrice. «Peccato solo che il buono sia valido solo per il ristorante dall’altra parte della strada.»

Il ristorante in questione era una kebaberia, semideserta per giunta, consegnammo il buono e prendemmo posto su un divano pieno di cuscini.

«Mi piace questo locale, penso che ci porterò Tomoyo uno di questi giorni.»

«Sei ancora arrabbiata con lei?»

Dopo quella mia domanda si zittì per alcuni secondi ma poco dopo mi mostrò uno di quei suoi sorrisi spensierati. Di quelli di cui ho parlato prima, quelli che ti fanno innamorare di una persona: «Non posso esserlo, hai fatto compagnia, grazie della serata.»

Ci portarono due lattine di birra e ne stappai una. Alzammo i bicchieri che avevo riempito: «Alla vittoria della squadra rossa ed un po’ anche alla squadra verde che offre la cena.»

«Camppai!»

Non nascondo che a cena era ottima e la birra entrò in circolo velocemente. Ridemmo svariate volte, soprattutto dopo il quinto bicchiere, non eravamo di certo i clienti più silenziosi del locale e più volte ci fecero capire di aver alzato troppo il volume della voce.

Ordinammo del thé tradizionale, che non era incluso nel buono, e ce ne andammo con la pancia gonfia, sembravamo due Tanuki di guardia al tempio, identici alle statue.

La serata era finita, mi doleva il cuore ma Sakura sembrava al quanto assonnata. Chiamai un taxi e chiesi di portarmi al mio appartamento che, a detta di lei, era più vicina del suo. Durante il viaggiò si addormentò sulla mia spalla e non posso nascondere che mi fece molto piacere, era davvero bella quando dormiva, nonostante perdesse bava dalla bocca.

 

L’auto si fermò sotto il mio palazzo e cercai di svegliarla, almeno per salutarla.

Niente. Non apriva gli occhi, solo mugugni. Le diedi degli scossoni più volte e provai a chiamarla altrettante volte, le feci il solletico, la pizzicai, niente.

«Senta, così non la lascia, la porti con se.» Seppur scorbutico, il tassista aveva ragione. Pagai e la presi in braccio, che altro potevo fare se non e metterla a nanna? Con fatica aprii la porta di casa e la portai subito in camera da letto, per quella notte mi sarei accontentato del divano, le tolsi le scarpe e la coprii con il lenzuolo, la borsa ai piedi del letto e la lasciai la luce del bagno accesa per farla orientare nel caso si fosse svegliata.

Dopo aver socchiuso la porta mi diressi nel soggiorno, finalmente tolsi la camicia e la gettai sulla sedia della cucina, via le scarpe e via la cintura, a causa della partita al laser tag ero sudatissimo. Era il momento di provare il divano e devo ammettere che non era male una volta trovata la posizione ideale.

Verso le quattro del mattino mi svegliai perché mi dava fastidio la luce che proveniva dalla cucina. Mi alzai assonnato e trovai Sakura seduta che beveva.

«Compri la mia stessa marca di succo di frutta, e russi.»

«Come stai?» Nonostante stesse finendo il mio succo per la colazione versai un bicchiere e sorseggiai anch’io.

«Bene ma non riuscivo a dormire, il tuo letto è troppo grande per una sola persona.»

 

Defcon 3! Allarme giallo! Allarme giallo! Possibilità di attacco!

 

«Se vuoi cambiare con il divano non hai che da chiedere.»

«Tomoyo ha ragione: non sei cambiato, sei rimasto il solito credulone ingenuo.»

«Ehi, piano con gli insulti! Ti ricordo che sei ospite, non si tratta così il padrone di casa.» Ero consapevole che lo diceva in modo scherzoso.

«Mi fa piacere che tu sia rimasto tale.»

 

Defcon 2! Allarme rosso! Allarme rosso! Massima cautela!

 

«Penso che tu non abbia ancora smaltito la birra, o il kebab, o tutti e due; comunque dovresti dormirci su, torna a dormire, a che ora vuoi la sveglia?»

«Sei davvero gentile.»

«E’ il minimo.»

«Scusa per come mi sono comportata la volta scorsa. Devo esserti sembrata una ninfomane, sono stata una stupida.»

 

DEFCON 1! Ripeto: DEFCON 1! ALLARME BIANCO! ALLARME BIANCO! SIAMO SOTTO ATTACCO, OGNI OPERATORE CONVERGA LA PROPRIA OPERATIVITÀ SUL PROGETTO “DIFESA DA DISCORSO IMBARAZZANTE”.

 

«Condividerai sicuramente l’idea che non sia il momento migliore per parlare di queste cose. L’ora, l’alcool, la bella giornata, il fatto che ti trovi in una casa non tua…per favore, vai a dormire!»

«Infatti, sto andando via!»

Non avevo notato la borsa di Sakura fino a quel momento, si trovava ai piedi del tavolo e, osservando bene la proprietaria, notai che si era data una risciacquata al viso e una sistemata ai capelli.

«Alle quattro di mattina pensi di trovare un taxi disposto a portarti dall’altra parte della città?»

«Basta pagare.» Si alzò in piedi e si diede una sistemata ai vestiti. «Grazie della serata, sono stata davvero bene. Spero che sia stato lo stesso per te.»

L’accompagnai alla porta e la aprii da perfetto gentiluomo, non potevo di certo trattenerla contro la sua volontà, è reato. Si diede un’altra sistemata ai capelli e mi sorrise, bastarda!

«Ciao!»

«Buon viaggio.»

«Sei uno stupido.» Lasciò cadere la borsetta e si mise in punta di piedi per far toccare le sue labbra con le mie. Fu un bacio breve ma quanto bastava per sentirne il sapore. Raccolse di nuovo la borsetta e varcò la soglia.

 

Fanculo, non poteva baciarmi e scappare come se niente fosse.

Allungai il braccio e dopo avergli preso il polso la riportai in casa chiudendo la porta. Restai disorientato da me stesso, non mi credevo capace di una reazione del genere, speravo solo di non averle fatto male. Cominciai a camminare per la stanza come uno scemo. Non sapevo che dire, che fare, come potevo giustificare quel gesto? Non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi.

Ad un certo punto la vidi allontanarsi, scomparve in camera da letto e la sentii entrare in bagno. Dannazione, dovevo averle fatto male sul serio, che idiota.

Mi precipitai nella stanza ed attesi che uscisse dal bagno.

«Ti ho fatto male?»

«Tu sei nato per farmi male.»

Eccolo lì il fattaccio! La presi tra le braccia e si lasciò baciare. Sapeva ancora di succo di frutta, era buona, non riuscivo a smettere di baciarla. Mi morse le labbra, sembrava volermele strappare via finché non mi prese il viso tra le mani. Avrei voluto dire un oceano di cose ma non ne usciva nemmeno una, in quel momento sembravano tutte frasi inutili, superflue.

Perché tutti i baci che avevo ricevuto fino a quel momento sembravano così stupidi, così senza senso, fuori luogo? Mi parve che solo lei aveva il diritto di mordermi le labbra a quel modo.

Nemmeno io so’ come ci ritrovammo sul letto, me ne accorsi solo quando imprecai nel cercare di slacciarle il reggiseno, fortunatamente mi diede una mano e potei ammirare il seno, baciarlo, appoggiare l’orecchio e sentire il suo cuore che batteva come una caldaia pronta ad esplodere. La volevo, non mi importava di nient’altro e quando mi accolse dentro di se mi diede il bacio più bello della mia vita, non ne ricevetti mai più così delicati. Mi sembrava di essere a casa, come se quello fosse il mio posto riservato, tutte le altre volte che avevo fatto l’amore erano niente, era come se era quello l’amore giusto, era così che doveva essere, era lì che dovevo stare.

«Non l’ho mai fatto senza preservativo.» La sua voce sussurrata nell’orecchio mi fece trasalire. Non ci avevo pensato, non ne avevo nemmeno in casa. «No, no, no. Non uscire! E’ giusto, mi fido di te.»

«Sono sicuro di non avere malattie ma…».

«Mi basta sapere questo! Prendo la pillola, per regolarizzare il ciclo, ma non me la sono mai sentita di farlo senza prima, è te che stavo aspettando.»

«Sicura di non essere ubriaca?»

«Sei tu che non mi hai lasciato andare a casa, ora devi darti da fare.»

Ricordo ogni secondo di quella notte. Fu come recuperare tutto il tempo perso. Non voleva che uscissi, voleva che restassi dentro di lei il più possibile, come se avesse paura che da un momento all’altro mi rivestissi e andassi via senza farmi vivo per anni ed anni. Ero stato un idiota a non farmi sentire per tutto quel tempo. La baciai e la ribaciai a più non posso, finimmo col piangere tutti e due ma non ci fermammo, come detto prima, sembrava che dovessimo recuperare il tempo perso, andavamo veloci, il più veloce possibile. Il tempo era poco e il sole stava già sorgendo.

Non mi lasciò mai uscire, mi ripeteva che ero suo, che non dovevo andare via, mi voleva tutto per se, che dovevo darle tutto ciò che era mio, che lo voleva. L’accontentai anche se avevo paura di pentirmene in futuro, in quel momento però, non potevo non continuare ad innamorarmi di lei secondo dopo secondo.

«Non sono capace di dirti che ti amo.» Mi gelò il sangue ma fui comprensivo.

«Nemmeno io sono capace di dire quelle parole.» Era la verità.

«Allora promettiamo di non dircelo mai.» Sorrise e mi baciò sul naso, era bellissima, stupenda. Non riuscivo a non sbirciare e mi incantai nell’osservare ogni centimetro del suo corpo nudo. Ci coprimmo con un lenzuolo e presi sonno quasi subito, non prima di averla cinta con le braccia, ora che era lì con me, non potevo permetterle di scappare.

 

Defcon 5! Allarme blu! Tempo di pace.

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Card Captor Sakura / Vai alla pagina dell'autore: Angemon_SS