Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Dicembre    26/06/2012    1 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo Trentacinque - Il casato dei Lannart (Parte Prima)
 
 
“Ho ricordi poco chiari della mia infanzia. Se ripenso ai primi anni della mia vita, l’unica cosa che mi viene in mente è un corridoio molto lungo e poco illuminato, dove scappavo, inseguito da una voce di donna mi chiedeva di fermarmi. Ricordo anche che finivo spesso nelle stanze di mio padre, per il quale non era difficile prendermi e riconsegnarmi a colei che consideravo la mia carceriera. Non ricordo nulla dei suoi lineamenti, non so se fosse giovane o vecchia, so solo che aveva le mani così ruvide e i modi così bruschi che ogni volta che mi si avvicinava, gridavo.
…Ero un bambino molto capriccioso” commentò sorridendo a se stesso.
“C’era qualcosa… Qualcosa che sin da piccolo non m’era chiara. Delle voci… La servitù che parlava pensando che io non capissi quello che dicevano… Il rapporto completamente diverso che mia madre – o forse dovrei semplicemente chiamarla Lady Lorelain – aveva con Chiaro... Lui, più di me, aveva un continuo bisogno di attenzione, e per questo lei spesso lo portava con sé nelle sue stanze o a cavallo. Lo faceva sedere sulle sue gambe quando ascoltavamo musica oppure gli permetteva di andarle vicino quando era lei a suonare l’arpa. Io potevo solo guardare.
Dal canto mio non posso dire di avere sofferto di questo suo atteggiamento perché era l’unico suo atteggiamento che conoscessi. C’era un’attenzione ferrea a non farmi uscire, a evitare che io e Chiaro stessimo con gli altri bambini della servitù, che alla fine rimanevamo sempre soli, presi fra i nostri giochi, le nostre lezioni e l’addestramento.
L’addestramento… Questo solo era il momento in cui riuscivo ad essere tranquillo. La sensazione d’intorpidimento che quel posto e i suoi abitanti m’imponeva, si dissipavano ogni volta che Anselm – il mio maestro d’armi – iniziava la lezione.
E più avevo i muscoli indolenziti e i calli sulle mani, più la sera riuscivo a dormire tranquillo.
Per Chiaro non era lo stesso, sebbene Anselm insegnasse a lui le stesse cose che insegnava a me, continuava ad averne paura. All’inizio, sciocco com’ero, pensavo si trattasse solo della sua eterna timidezza e della sua incapacità di affrontare un qualunque ostacolo da solo. Ero piccolo e per me era tutta una questione di orgoglio: non piegare mai la testa. Per lui era il contrario: era piccolo, poteva fare quel che voleva.
Ma Chiaro non era così debole, la sua non era solo paura. Lo capii un giorno, quando per l’ennesima volta, sotto i colpi di Anselm, Chiaro fece cadere la sua daga in legno e iniziò a tremare come mai l’avevo visto fare prima. Non erano stati colpi particolarmente duri, eppure si fermò, terrorizzato. Gli corsi vicino, e Anselm si fermò di colpo, ma solo dopo un po’ Chiaro riuscì a parlare.
La mamma… disse la mamma continua a dire che ci lascerai, dice che te ne andrai e porterai via papà…
Io non capii quello che voleva dirmi. Anselm cercò di farlo calmare, ma Chiaro non sembrò dargli ascolto.
La mamma dice che ci lascerai, dice che l’unico motivo per cui tu rimani qui è perché vuoi stare con me, ma dice che tu non vuoi bene a nessuno, è vero?
Mi chiese così tante volte se fosse vero che le sue parole mi risuonano ancora come una cantilena nell’orecchio, prive del loro significato.
E’ vero?
Non lo era, non ai tempi comunque, dove l’unica cosa che pensavo fosse lecita fare era seguire tutto ciò che mi veniva detto.
Ma Chiaro era terrorizzato.
La sera stessa, quando tornammo nelle nostre stanze, Chiaro volle dormire nel mio letto e continuò a chiedermi se davvero avessi intenzione di andarmene. Nostra madre ne era convinta, e Chiaro con lei.”
Nero esitò un istante, quasi cercasse le parole.
“Poco prima di addormentarmi Chiaro iniziò a parlare. Mi confessò che nostra madre gli aveva detto più volte che l’unico motivo per cui nostro padre rimaneva lì era per forgiare il mio carattere e trovare un degno erede del suo casato. Nostra madre era convinta che il suo forzare così la mano su di me m’avrebbe o schiacciato o fatto fuggire. 
Allora pensai che fosse un discorso senza senso: vedevo così poco nostro padre che mi pareva impossibile potesse farmi qualcosa. Si sarebbe concluso tutto lì, se Chiaro non avesse insistito cercando di strapparmi la promessa di rimanere lì per sempre.
Promettilo, continuava a ripetere promettimi che non te ne andrai maiPromettimelo così posso dire finalmente alla mamma che ho ragione io.
Glielo promisi” aggiunse Nero con un filo di voce “glielo promisi con la facilità di chi non ha capito niente. Questo quindi” continuò poi “fa di me uno spergiuro.
Pensandoci ora, forse quella notte è stato l’inizio di tutto.
Non so…
Quello di cui sono sicuro è che da quella notte ho iniziato a pensare in maniera diversa a quello che facevo e alla mia vita lì. Non incontravo nessuno, e a nessuno era permesso avvicinarsi né a me né a Chiaro, se non i pochi che si prendevano cura della nostra educazione. Perché?
Le voci dei servi, i loro discorsi, prima così confusi, iniziavano a prendere forma. Chiaro era così diverso da me, nell’aspetto e nel carattere. Assomigliava a sua madre, ma nel suo atteggiamento c’era qualcosa che ricordava suo padre. Io ero diverso da tutti loro, eppure dicevano fossi loro figlio. Una volta una bambina, la figlia di uno degli stallieri, mi chiamò bastardo. Ricordo che l’insulto non mi fece né arrabbiare, né mi ferì. Mi lasciò completamente indifferente.
Perché mi chiesi? Mi sarei dovuto arrabbiare con quella bambina, le avrei dovuto dire qualcosa, dire che si sbagliava. Ma non feci niente.  In quel momento ebbi la consapevolezza che non avevo legami di sangue in quelle terre. E andava bene così, perché io non volevo averne.
Ignoravo però il motivo per cui loro volessero farlo credere a tutti.
Quello che credo adesso è che il padre di Chiaro sapesse di essere pazzo. Nei suoi momenti di lucidità si rendeva conto che mettere alla guida delle sue terre il figlio nato dall’unione con sua cugina Lady Lorelain voleva probabilmente dire mandare le sue terre in rovina. E teneva troppo al suo nome per vederlo rovinato da se stesso e dal suo sangue. Ecco perché penso che abbia preso me, il figlio di qualcuno che probabilmente aveva messo a tacere, e detto a tutti che fossi figlio suo.
Per salvate le sue terre.”
Nero si strinse nelle spalle, perdendo il suo sguardo dietro un ricciolo del tappeto su cui era seduto.
“Si può condannare un uomo per questo? Posso davvero accusarlo di non essere stato un padre degno solo per questo?” Di nuovo Nero si strinse nelle spalle.
“Lontano da lui e dopo anni, il mio astio nei suoi confronti s’è affievolito - un po’ - lasciando il posto solo alla pena per un uomo che nei momenti di lucidità cercava di salvare ciò che era già perduto. Chiaro dal canto suo, non faceva pensare di aver preso niente di quella follia che stava consumando nostro padre. Tuttavia qualunque cosa facesse, la faceva o con me o con la madre. Non c’era gioco, parola, azione che Chiaro facesse da solo. Se rimaneva solo per un istante gridava con tutta l’aria che aveva in gola, lasciandosi cadere a terra, immobile, finché o io o sua madre non correvamo da lui. Ma dopo un po’ lady Lorelain iniziò ad andare meno frequentemente da lui, lasciando che fossi io, sempre più spesso, ad occuparmi delle grida di mio fratello. Finché non smise del tutto, chiudendosi nelle sue stanze. Non vidi più Lady Lorelain fino al  Natale successivo, quando fu costretta dal marito ad uscire. Ricordo che a stento la riconobbi, con tutta la pelle grinza, piena di rughe sotto gli occhi e sulle labbra e senza capelli. Un giorno, pensando che non stessi ascoltando, udii uno dei servi dire che se li era strappati tutti, ciocca dopo ciocca, e che appena li vedeva ricrescere, di nuovo, li strappava. Fino a che non avevano smesso di crescere del tutto.”
Nero si fermò a pensare, passandosi una mano fra i capelli e continuando ad osservare i fili dei tappeto sotto di lui. Voleva mettere ordine nelle sue parole, ma a malapena riusciva a metterlo fra i suoi pensieri.
Guardò Aaron, seduto lì di fianco a lui e sorrise, prendendogli la mano.
“Le tue mani invece sono così lisce…” Non come le mani della sua nutrice, di sua madre, ispide “così lisce…”
“Da allora non ricordo un momento in cui Chiaro non fosse con me. Cominciò  ad avere paura di sua madre, a volte mi chiedeva se fosse diventata una strega.
Fai qualcosa, diceva sempre, fai qualcosa…
E non sapevo cosa fare, perché anch’io avevo paura quando la vedevo. A stento mi riconosceva, e quando succedeva gridava il mio nome quasi ad insultarmi. Chiamava suo marito, forse, ma per me quello era il mio nome gridato a volte con odio e a volte con disperazione.
Iniziai a sentirlo di notte, quando tutti dormivano. Nathaniel… di continuo.
Lei lo gridava, dall’altra parte del castello, lo piangeva. E io non sentivo altro che non il mio nome ripetuto da qualcuno che mi faceva paura e che sapeva che me ne sarei andato.
Lady Loreilan era l’unica ad aver capito ben prima di tutti, ben prima di me, che non poteva esserci futuro, né per quella casa, né per noi…
E quindi s’era lasciata andare. Una vecchia nutrice mi raccontò che anche la madre di Lady Lorelain aveva smesso di uscire dalle sue stanze ed era morta lì, ritrovata fra le sue coperte, dopo giorni che non s’era fatta più sentire. E questo probabilmente era il destino che avrebbe atteso Lady Loreilain, ma lei continuava a ripetere il mio nome, tanto che ho cominciato a sperare che morisse davvero… che tacesse.
Che smettesse di chiamarmi.
Di notte, con Chiaro aggrappato a me che dormiva, sentivo solo il mio nome.
Lo stesso Chiaro iniziò a pronunciarlo con la stessa cantilena, con lo stesso modo in cui Lady Lorelain lo gridava di notte. Mi chiesi se anche lui non si stesse ammalando dello stesso male che aveva colpito la madre, ma fintantoché era con me, Chiaro sembrava stare benissimo.
Non mi permettevano di allontanarmi, non mi era permesso fare più nulla senza Chiaro vicino, ma a me andava bene così…” cercò di continuare, ma dovette smettere di parlare. Aggrottò la fronte, come se non capisse esattamente cos’avesse appena detto e alzò lo sguardo, guardandosi intorno come se vedesse quel luogo dove si trovava per la prima volta. Si portò la mano sulla bocca, per bloccare le parole che gli stavano uscendo quasi fossero un monologo mal scritto e accatastato in qualche anfratto della sua mente.
Perché parlare? Non c’era niente da dire.
Ma Aaron gli prese la mano sulle sue labbra e la spostò lasciando la bocca libera di dire quello che voleva.
“Se ad un bambino viene chiesto se preferisce cavalcare, in una giornata di primavera, oppure rimanere nella propria stanza, non è forse naturale che questo risponda che preferirebbe cavalcare? E’ sbagliato che il bambino dica, senza pensare, che vorrebbe cavalcare?”
Nero fece una smorfia dolorosa, e di nuovo pose la stessa domanda.
”E’ forse sbagliato?” sospirò. “Successe quando Lady Lorelain iniziò a rimanere chiusa nelle sua stanze. Non ricordo bene se fosse poco prima e se ancora m’era concesso di vederla, oppure se già s’era reclusa al mondo. Ricordo bene che Chiaro era sempre con me, che ormai non passava più tempo con sua madre, ma il resto… Il resto non lo ricordo.
Fu mio padre a chiedermi che cosa volessi fare. Se cavalcare con lui oppure rimanere in stanza, in compagnia del cagnolino che m’era stato regalato da Anselm. Il cucciolo era così piccolo che gli era ancora permesso rimanere all’interno del castello. Mi ricordo di aver pensato che avrei potuto cavalcare fino a sera e poi giocare con lui prima di andare a letto…
Quindi risposi subito. Voglio cavalcare! Devo averlo addirittura gridato…
Appena udita la mia risposta, quell’uomo prese il mio animale e lo uccise lì, davanti a me, senza che neanche potessi accorgermi di quando estraeva la daga. Capii quello che aveva fatto solo quando il mio cane fu gettato ai miei piedi.
E ora andiamo a cavalcare, disse dopo, come se l’animale non fosse mai esistito. Tremai e non riuscii a muovermi. Guardavo con occhi vitrei il cucciolo che m’era stato relegato dal maestro d’armi. Era lì per terra, zuppo del suo stesso sangue e privo di vita. Perché fare qualcosa così?
Perché, mi chiesi, mio padre l’aveva fatto?
Era nelle loro vene, in quelle di sua cugina Lady Lorelain e nelle sue, una follia che governava la maggior parte delle loro azioni, che lui aveva cercato di tamponare adottandomi, ma che in realtà si divertiva ad esercitare su di me.
Si tratta di scelte Nathaniel, mi disse, ora forse ti sembrerà ingiusto, ora forse non capirai, ma è solo una questione di scelta. Devi essere responsabile per ciò che fai. Devi essere responsabile per te e devi essere responsabile per gli altri, quando sarai a capo di queste terre.
Mi pare di poter sentire la sua voce tutt’ora.
Devi essere responsabile. Scegliere di cavalcare comporta una rinuncia…
Quello fu la prima volta, alla quale ne succedettero altre. All’inizio con così scarsa frequenza che quasi riuscivo a dimenticare le volte precedenti. Poi mio padre iniziò a farmi scegliere qualunque cosa, imponendo conseguenze devastanti a qualunque cosa scartassi…”
Nero sorrise, di uno di quei sorrisi che Aaron non riuscì più a dimenticare.
“Questo m’ha reso una persona immobile” aggiunse poi con un filo di voce. Si passò nuovamente la mano fra i capelli, nascondendo con quel gesto un lieve tremore. Poi con la stessa mano picchiò il tappeto e il pavimento con un pugno secco “e per questo io lo odio.”
“Non c’è giustificazione che possa darmi. A nulla servono le mille attenuanti che mi ripeto da anni, perché non riesco più a scrollarmi di dosso il terrore di intraprendere una strada invece che un’altra. Penso, rifletto, vaglio tutte le possibilità, quando sono davanti ad una scelta… Lo faccio così a lungo che il mio non è più temporeggiare, ma è rimanere immobile, incapace di affrontare le conseguenze di una scelta”
Aaron lo guardò, senza dire nulla. L’uomo che aveva di fronte era tutto ai suoi occhi, fuorché qualcuno incapace di intraprendere una strada e mantenerne la direzione. In lui vedeva un’abilità così sottile nel guidare e quindi scegliere una strada piuttosto che un’altra, che difficilmente avrebbe potuto condividere il pensiero di Nero. Tuttavia non disse niente: del dolore che tali scelte comportavano, della difficoltà di Nero d’incaricarsi delle vite degli altri – oltre che della sua – non poteva dire nulla.
Gli mise le mani fra i capelli, sollevandogli il viso, per poterlo guardare negli occhi. Il cavaliere lo lasciò fare:
“Odiarlo non è stata una scelta, invece. Odiarlo è stato naturale”.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Dicembre