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Autore: shesfede    26/06/2012    10 recensioni
«Cosa sei?» chiesi di nuovo, sempre più spaventata.
«Lo sai» si rassegnò a rispondere.
Indietreggiai di nuovo, fino a scontrare una colonna che tagliava il corridoio. Scostai i capelli, impreparata e sconvolta per quello.
«Non può essere» mormorai, guardando il vuoto.
«Non può essere» dissi di nuovo, questa volta guardando lui.
I suoi occhi erano spenti, vitrei, quasi invisibili. Completamente diversi da come ero abituata a vederli. Un altro brivido mi percorse la schiena, facendomi raggelare il sangue.
«Se solo mi lasciassi spiegare…» provò ad avvicinarsi, ma lo scansai ancora prima che mi fosse vicino.
«Dillo» gli ordinai. Lui mi guardò, supplicandomi con gli occhi di non farlo.
«Dillo. Voglio che sia tu a dirmelo» non mi lasciai incantare, non più, e glielo chiesi di nuovo.
Lui inspirò, per poi buttare fuori l’aria assunta. «Sono un vampiro, Juliet.»
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter four.
 

1864
«Harry non dovremmo allontanarci così da palazzo.» Il sole non era ancora sorto, ma io mi trovavo già insieme a lui, a farmi tirare verso una meta a me sconosciuta.
Mi aveva portato fuori da palazzo quando ancora tutti stavano dormendo, riuscendo a varcare l’enorme cancello senza che nessuno ci vedesse.
Stavamo camminando lungo il confine della residenza. Teneva stretta la mia mano per non lasciarmi scappare, anche se sapeva che non sarei mai andata da nessuna parte senza di lui.
«Fidati di me, vale la pena correre questo rischio » continuava a ripetermi, senza mai rallentare il passo. Mi stavo davvero incuriosendo e ad una certa avevo anche iniziato a pensare che quella in fondo non era un’idea così folle e da sprovveduti.
«Manca ancora molto?» gli chiesi, stringendomi al suo braccio. Lui voltò il suo viso verso di me ma, invece che rispondermi, mi diede un dolce bacio sul naso.
«Siamo quasi arrivati.» Gli sorrisi annuendo e continuando a camminare in silenzio.
Camminammo ancora per un poco lungo le mura esterne del palazzo, stretti l’uno all’altro.
«Eccoci qua» esclamò radiante Harry, indicando un piccolo boschetto di alberi alti in lontananza. Mi guardai intorno e dovetti ammettere che quel posto era davvero meraviglioso.
«Dove siamo?» chiesi correndo in direzione del corso d’acqua che scorreva lì vicino. Più mi avvicinavo più mi pareva di scorgere in lontananza una piccola cascata creata artificialmente. Sembrava di trovarsi in un paradiso terrestre.
«Benvenuta nel mio rifugio segreto» rispose, allargando le braccia e indicando il paesaggio attorno a sé.
«È bellissimo qui» sospirai, sedendomi su di un masso ai piedi di quella cascata.
«Ti piace davvero?» Si sedette dietro di me e mi circondò con le sue forti braccia. Mi feci indietro per poggiare la schiena sul suo petto. Piegai la testa d’un lato, invitandolo a baciarmi il collo. Iniziò così a lasciarmi una scia di leggeri baci fino a scendere lungo la spalla.
«Come lo hai trovato?» gli chiesi, chiudendo gli occhi e lasciando che la leggera brezza mattutina mi colpisse il viso e scompigliasse i miei capelli.
«Qualche giorno dopo il mio arrivo avevo bisogno di rilassarmi, così ho iniziato a camminare e sono arrivato qui» raccontò, accarezzandomi la pelle nuda con le sue morbide mani.
«Sono felice che tu me l’abbia mostrato.» Girai la testa indietro e incrociai il suo sguardo brillante. «Significa molto per me» aggiunsi.
«Tu significhi molto per me» ammise, abbassando leggermente il capo forse per la vergogna. Gli misi due dita sotto al mento, obbligandolo ad alzare lo sguardo verso di me.
«Anche tu sei importante Harry, voglio che tu non lo dimentichi mai» ammisi, vergognandomi forse più di lui. Lui sorrise, posando una mano sulla mia guancia. Gliela baciai delicatamente, per poi stringerla nella mia.
Avvicinò il suo viso lentamente al mio, fino a poggiare le sue labbra sulle mie e baciarmi dolcemente. Presto quel bacio fu approfondito e divenne più carnale e passionale.
«Se mia madre ci vedesse in questo momento penserebbe che non sei poi un ragazzo così tanto ben educato» lo derisi, mordendogli leggermente il labbro inferiore.
«Penso che non sarei io la preoccupazione più grande di tua madre in quel caso» rispose, per poi baciarmi nuovamente. Sorrisi nel bacio, perché in quel momento ero davvero felice.
Restammo lì a guardare l’alba e il sole sorgere. Si trattò di uno spettacolo strabiliante, ma non quanto Harry che, in quel luogo, sembrava essere l’unica fonte di luce presente.
«Dovremmo rientrare, tra poco la servitù verrà svegliarti nelle tue stanze» mi disse, arricciando tra le dita una ciocca dei miei capelli.
«Non ho voglia di rientrare» protestai.
«Ma dobbiamo» mi riprese.
Sbuffai, alzandomi all’improvviso e fermandomi a braccia incrociate davanti a lui. Restò fermo sul masso dove si trovava, guardandomi con aria divertita.
«Non ho voglia di camminare fino a palazzo.» Lui mi guardò, aspettando che continuassi. «Le ordino di condurmi in braccio fino alla mia residenza, signor Styles» mi improvvisai sovrana, cercando di apparire autoritaria nel dare quell’ordine che in realtà faceva ridere anche me.
«E se io mi rifiutassi?» osò dire, alzandosi e venendo vicino a me con aria superiore e arrogante.
«Perché mai dovresti?» gli domandai a mia volta, guardandolo sbattendo gli occhi ripetutamente e aggrappandomi all’orlo della sua camicia.
«Vieni qua» disse soltanto, per poi prendermi velocemente in braccio. «Tieniti forte, non vorrai rischiare di cadere?» mi sussurrò sulle labbra.
«Con te non ho mai paura» ammisi, per poi baciarlo di mia iniziativa.
Ed era vero, accanto a Harry non avevo mai paura. Mi sentivo la padrona del mondo, capace di fare qualsiasi cosa, di superare ogni avversità. Harry era il mio piccolo angolo di salvezza, quel posto dove a prescindere da qualsiasi altra cosa, mi sentito in pace con me stessa. Ero felice e, fino a quando lui sarebbe stato con me, lo sarei continuata ad essere.
 
2012
«Avevi detto che avevi dei compiti da fare e invece te ne sei andata a passeggio tutta la giornata con quel tipo col ciuffo strano. Come dovrei sentirmi se non ingannato e preso in giro, Destiny?» Liam era nervoso, ma mai quanto me che in quel momento avevo veramente voglia di strangolarlo. Mi aveva chiesto di vederci quel pomeriggio, ma mi ero ritrovata costretta a rifiutare perché necessitavo di andare a caccia. Zayn era venuto insieme a me e, mentre facevamo ritorno al mio appartamento, qualcuno ci vide, riferendo tutto a Liam.
«Ascolta Liam, te l’ho detto: sono uscita per comprare la Nutella che era finita e nel mentre ho incontrato Zayn. Fine della storia, ti prego basta.» Sbuffai, alzandomi dal letto sul quale ero seduta da almeno mezz’ora e mi affiancai alla finestra della camera di Liam. Guardai all’orizzonte il sole calare, mentre il cielo iniziava a colorarsi delle tonalità del rosso e del giallo.
«Basta te lo chiedo io Dest, se non vuoi più stare con me basta dirmelo.» Mi voltai a guardarlo, scuotendo la testa per il nervoso. Strinsi i pugni, cercando di contenere così la rabbia che mi ribolliva nelle vene. Avevo un carattere piuttosto emotivo, perciò ero molto sensibile ai cambiamenti d’umore: se ero felice mi sembrava di essere in estati, quando ero nervosa non riuscivo a gestire la rabbia, mentre quando ero triste era come entrare in depressione.  Quello era un tunnel di emozioni difficile da gestire, soprattutto se la gente attorno a te non sapeva della tua vera natura.
«Liam io non voglio rompere con te» gli dissi calma, anche se dentro stavo bruciando di rabbia. Avevo spiegato a Liam che Zayn era soltanto un amico, ma lui insisteva nel sostenere che ci fosse qualcosa sotto. Inizialmente reagii bene perché pensai che fosse colpa di Harry, ma dopo aver controllato realizzai che quella paranoia era frutto della sola mente del mio ragazzo.
«Sul serio? Perché a me non sembra così.» Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Con uno scatto mi ritrovai addosso a lui, spingendolo contro il muro. Lui mi fissava spaventato, mentre io lo tenevo fermo per i polsi. Avevo il fiato corto e pesante, a stento riuscivo a respirare. Sentii un nodo formarsi alla gola e il desiderio di fame farsi sempre più vivo nonostante dovesse essere al minimo.
«Dest, che ti prende?» Mi accarezzò una guancia lentamente, cercando il mio sguardo. Io lo evitai, tornando per un attimo in me e lasciandolo andare.
«Mi dispiace, non so cosa mi sia preso» farfugliai in preda al panico. Mi allontanai immediatamente da lui, raccogliendo le mie poche cose sparse per la camera e affrettandomi ad uscire.
«Aspetta, dove stai andando?» mi chiamò, quando mi vide fuori dalla porta. Ma in un attimo io ero già schizzata lontano da lui.
 
Camminavo di corsa, risucchiata dal buio. Ormai si era fatta sera ed in pochi eravamo ancora in giro. Le strade erano per lo più deserte, fatte eccezione per qualche negoziante in chiusura o per qualche barbone che dormiva sdraiato su di una panchina.
Ancora non riuscivo a credere a ciò che avevo fatto. Avevo attaccato Liam, rischiando di fargli del male. Se gli fosse successo qualcosa a causa mia non me lo sarei mai perdonato, mai e poi mai. Intanto il desiderio di fame continuava a crescere in me: una volta azionato quel meccanismo c’era soltanto un modo per farlo smettere. Erano rare le volte in cui bevevo sangue umano e quelle poche volte che accadeva si trattava di sacche rubate da qualche ospedale o clinica privata. Il senso di colpa che provavo ogni volta che uccidevo un uomo mi faceva stare più male del dolore causato dalla fame in sé. Avevo fatto si che la mia anima da umana non mi abbandonasse mai ma, in momenti come quello, desideravo tanto che fosse spenta.
Proseguii per qualche isolato, camminando a testa bassa e cercando di prendere dei grandi respiri. Dovevo stare calma, altrimenti sarei scoppiata. Poi sentii qualcuno tossire. Svoltai l’angolo e vidi un uomo anziano chinato su se stesso, il che mi indusse spontaneamente ad aiutarlo.
«Sta bene signore?» gli domandai, facendolo alzare e recuperando il bastone che probabilmente gli era caduto a causa del malore.
«Si, la ringrazio» mi rispose con voce stanca e smorzata. Un sorriso spento gli si formò in viso, mentre tentava di reggersi in piedi da solo. «Ho perso l’equilibrio e sono caduto.»
Osservai l’uomo e all’altezza del ginocchio vidi il suo pantalone macchinato e, dall’odore, percepii la presenza di sangue. Quello fu l’elemento che mi mise in crisi definitivamente. Lasciai il braccio dell’uomo, allontanandomi di poco e poggiando la schiena contro il muro del palazzo sotto il quale eravamo. Cercai di regolarizzare il respiro, di evitare quell’odore, ma tutto era inutile: ogni cosa sembrava spingermi verso la mia vera natura.
«Che le prende signorina?» L’uomo si avvicinò a me, nonostante io lo implorassi di starmi lontano. L’odore del sangue era sempre più vicino e più invitante, ero sul punto di esplodere.
Alzai lo sguardo e incrociai quello dell’anziano che in quel momento si stava preoccupando per me. «Mi dispiace» farfugliai solamente, tra le lacrime, prima di cedere alla mia mostruosa natura.
Affondai gli affilati canini nella sua carne e, anche se il suo sangue non era delle migliori qualità, bevvi famelica, come se fossi in astinenza da secoli. Avevo provato a resistere, mi ero ribellata alla mia natura, ma era stato tutto inutile. Mi capiva di avere dei crolli emotivi, di stare male psicologicamente, ma ogni volta riuscivo a trovare la forza per riemergere. Eppure quella notte il male sembrava risucchiarmi.
L’uomo continuava ad urlare, implorandomi di smettere, ma io, per quanto lo volessi, non riuscivo a trattenermi dal desiderio di sangue. Poi, all’improvviso, due braccia forti mi afferrarono e mi buttarono via. Una figura scura stava chinata sull’uomo, ancora vivo seppur gravemente ferito. «Si dimenticherà di noi, dirà di essere stato aggredito da un drogato in cerca di soldi» disse quell’ombra, afferrando il volto dell’anziano tra le mani per poi lasciarlo cadere nuovamente sul marciapiede.
Io restai ferma, immobile, a guardare quella sagoma avanzare verso di me. Era notte fonda, e non riuscii a guardarla in volto fino a quando non si fermò sotto la luce dell’unico lampione presente in strada. La sua voce era bastata come indizio, eppure, nonostante fossi certa che si trattasse di Harry, stentavo ancora a crederci. Aveva il viso riposato e gli occhi brillanti, segno che si era nutrito da poco. Forse per questo aveva risparmiato quell’uomo che stava per essere dissanguato dalla sottoscritta.
«Come stai?» mi domandò preoccupato, tendendomi una mano. Rimasi ferma a fissarlo, mentre lui si avvicinava a me sempre con la mano tesa.
«Juliet, come stai?» mi chiese di nuovo, questa volta a pochi centimetri da me. Non dissi niente, non risposi, ma mi catapultai tra le sue braccia. Mi strinsi a lui, scoppiando a piangere disperatamente.
«Ehi, ehi, ehi» mi riprese più volte, ricambiando la stretta. «Non è successo niente» continuò, cullandomi tra le sue braccia.
Alzai il viso, staccandomi leggermente da lui. Mi specchiai in quelle iridi verdi che mi guardavano sempre più preoccupato. Era preoccupato per me, veramente.
«Non so cosa mi sia preso. Io..io..io non volevo» cominciai a balbettare. Scoppiai nuovamente a piangere, stringendo tra le mani la sua felpa.
«Andrà tutto bene, ci sono io ora Julie.» Alzai la testa di scatto, mentre lui mi stava accarezzando i capelli. Un sorriso stupido si aprì da solo sul mio viso, senza neanche che io me ne rendessi conto. Lo aveva fatto, mi aveva chiamato in quel modo.
«Nessuno mi chiamava così da 148 anni» sussurrai, tirando su con il naso. Stavo ancora tremando, ma improvvisamente era come se mi sentissi meglio. Come se lui, con le sue parole, mi avesse aiutato a guarire.
«Nessuno è mai stato me» affermò vantandosi. Sorrise a trentadue denti, mostrandomi quelle graziose fossette che, nonostante gli anni, riuscivano a dargli un’aria da bambino.
«Vuoi che ti riporti a casa?» domandò serio, prendendomi il viso tra le mani, e accarezzandomi le guancie. Il suo tocco era morbido e mi faceva rabbrividire ogni volta.
Non ci pensai per neanche un poco su, ma rifiutai immediatamente. «No» dissi secca. «Non voglio andare a casa, Jenn e Zayn mi riempirebbero di domande.»
Lui mi guardò, annuendo. «Ti va di venire da me allora?» mi chiese titubante.
Così come prima, non riflettei per niente alla risposta da dare. Annuii lievemente, facendolo sorridere ancora di più. E inaspettatamente quello fece sorridere anche me.
«Ok, andiamo.» Ci incamminammo, ma dopo solo qualche passo io rischiai di cadere a terra, a stremo delle mie forze.
«Vieni qua.» Alzai lo sguardo e vidi Harry piegato verso di me. Mi raccolse da terra, prendendomi in braccio. Il mio viso era ad un soffio dal suo, i nostri nasi si sfiorarono e le sue labbra quasi toccavano le mie. «Tieniti forte, non vorrai rischiare di cadere» disse, facendomi stringere le braccia dietro il suo collo.
Poggiai la testa sul suo petto, aspettando che iniziasse a correre. Nascosi il viso, in modo che non mi vedesse sorridere anche quella volta. Ripensai a quando ero ancora in vita e lui era solito prendermi in braccio, dicendomi quella frase alla quale io ero solita rispondere: «Insieme a te non ho mai paura.» E anche se quella notte non glielo avevo detto, dentro di me mi sentivo al sicuro come prima che la tragedia avvenisse.
Dopo quasi un secolo e mezzo trascorso a scappare da lui improvvisamente le sue braccia erano l’unico posto dove riuscivo a sentirmi protetta.


here i am:

capitolo numero quattro, eccoci qua! 
grazie a tutti per le recensioni, sono felice che la storia vi stia piacendo *-*
allora, la parte al passato vi mostra harry e juliet felici e contenti durante la loro storia d'amore, mentre la parte al presente.. beh, quella vi mostra una juliet diversa, più fragile e delicata, una juliet che necessita di essere salvata.. e beh, chi è meglio di super hazza? nessuno uwu ahah poi vabè, una cosa che io amo è la 'ripetizione' della scena in cui lei viene presa in braccio da harry aww
no sul serio, fatemi sapere che ve ne sembra di questo riavvicinamento e..niente, buona lettura xx

   
 
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