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Autore: ladymisteria    27/06/2012    2 recensioni
"Sherlock Holmes se ne stava in piedi in quella stanza della sede governativa dei servizi segreti britannici.
Sembrava perfettamente a suo agio, nonostante fosse scalzo, bagnato come un pulcino e avesse sulla testa una spada di Damocle con impressa a caratteri cubitali un'accusa per alto tradimento."

Seguito di "Rain and Confidences"
Versione riveduta e corretta
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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Sherlock Holmes se ne stava in piedi in quella stanza della sede governativa dei servizi segreti britannici.

Sembrava perfettamente a suo agio, nonostante fosse scalzo, bagnato come un pulcino, e avesse sulla testa una spada di Damocle con impressa a caratteri cubitali un'accusa per alto tradimento.

Un vociare concitato, poi la porta si aprì, lasciando entrare Mycroft Holmes e un altro uomo dall'aspetto distinto.

Già da una prima e rapidissima occhiata Sherlock intuì che doveva trattarsi di Sir Philip Hawking.

Una pietra miliare, in quel reparto.

«Inutile dire che si è messo proprio in un bel pasticcio»

«Solo cinque minuti, Phil. Dammi solo il tempo di parlargli. Sono certo che riuscirò a sistemare la faccenda»

«Cinque minuti, Mycroft. Non uno di più».

La porta si richiuse dietro a Sir Hawking.

«Belli i nuovi gioielli della Corona, Mycroft» disse Sherlock, mostrando i polsi ammanettati.

«Per una volta in vita tua Sherlock, fa silenzio!» esclamò il maggiore, togliendogli le manette e sedendosi alla scrivania.

Lo guardò passeggiare avanti e indietro, stringendosi nelle braccia, la maglietta incollata al busto.

«Hai deciso di prenderti una polmonite?» gli chiese, il tono di voce di chi è pronto a ricevere qualsiasi risposta, anche la più assurda.

«Non è certo colpa mia se i tuoi uomini mi hanno prelevato dal mio appartamento senza darmi neppure il tempo di infilarmi il cappotto, mentre fuori diluviava».

Mycroft gli lanciò la giacca.

«Wow. La giacca del tuo costosissimo completo. Quale onore!» disse Sherlock infilandosela.

«Vedi bene di non rovinarla. E' solo un prestito»

«Non avevo dubbi».

Il detective si sedette di fronte al fratello.

«Allora, vuoi dirmi perché mi trovo qui?» domandò, interessato.

«Da quanto non senti la signorina Adler?» domandò Mycroft, imperterrito.

«Sarà un mese, ma questo cosa...».

La comprensione brillò negli occhi chiari del giovane.

Si alzò, afferrando la cornetta del telefono sulla scrivania e componendo rapidamente il numero.

Niente.

«Il cellulare. Passamelo» disse.

«E' nella tasca della giacca».

Il detective premette rapidamente i tasti, portandosi il cellulare all'orecchio.

Inutile.

Rimise il cellulare nella tasca.

Sembrava agitato.

«Ho bisogno del mio».

Mycroft sospirò.

«Credi cambierebbe qualcosa?»

«Ne sono certo».

Il maggiore si passò una mano sul viso.

«Irene Adler ha fatto perdere le sue tracce circa due settimane fa. Nessuno ha sue notizie da allora. Credi davvero che basti usare il tuo cellulare per ovviare alla cosa?»

«Potrebbe non volersi fidare di altri numeri al di fuori del mio. Avete controllato che non le sia successo qualcosa?».

L'idea che potesse essere successo qualcosa alla donna mandava in corto circuito il cervello del detective.

«Ci siamo mobilitati immediatamente per escludere tale possibilità».

«Il suo appartamento?»

«Vuoto. Non è rimasto nulla; così come di lei. Svanita».

Sherlock scattò in piedi, avvicinandosi a grandi passi alla porta.

«Devo partire immediatamente. Nessuno, neppure i tuoi uomini migliori possono perquisire un appartamento meglio di me. Non osservano».

Diede le spalle al fratello, la mano sulla maniglia.

«Ho perquisito personalmente l'appartamento della signorina Adler. Sapevo non ti saresti fidato dei normali agenti, Sherlock. Non c'è niente che lasci supporre una colluttazione o una fuga dettata da una qualche minaccia».

La mano di Sherlock scivolò lungo il fianco, chiudendosi a pugno.

«Non è possibile. Non avrebbe mai...».

Mycroft si alzò, avvicinandosi al fratello.

«Ti ha mentito, umiliato, ferito, trattato come il suo personalissimo giocattolo... Eppure continui a non voler credere che possa aver tradito te e tutti noi».

«Tu non la conosci, Mycroft»

«Tu sì? Credi davvero che basti vedere una persona un paio di volte in tre anni per dire di conoscerla davvero?».

«Dimentichi con chi stai parlando, fratello caro» disse Sherlock, tagliente.

«Neppure tu puoi aver scoperto tutto di lei, Sherlock. Non con così poche occasioni. E da quanto mi hai detto, le volte che tu e la Adler vi siete visti, durante i tre anni in cui ti sei finto morto, ammontano solamente a quattro».

Sherlock rise divertito.

«Ti chiedi mai se la gente ti dice tutto, Mycroft?».

Lo fissò.

«Ti sei mai domandato se le persone ti raccontano la verità, o solamente ciò che vuoi sentirti dire?».

Mycroft sgranò gli occhi.

Aveva finalmente compreso.

Tornò a sedersi alla scrivania, stanco.

«Il tuo voler un appartamento proprio in quella zona di Parigi, a meno di un isolato dal suo, la tua reticenza nel tornare a Londra quanto te lo proponevo, dicendomi che non era il momento, le continue sparizioni, coperte da John...».

Si passò una mano sugli occhi.

«Credevo avessi ceduto anche tu al suo fascino, diventando solo l'ennesimo trofeo che lei avrebbe sfoggiato orgogliosa. Ma non è così. Tu sei andato oltre, non è vero?».

Sherlock lo sfidò con lo sguardo.

«Avrei dovuto capirlo subito. Come potevi esserti piegato al volere di qualcuno? Tu che non hai mai riconosciuto alcuna autorità al di fuori della tua?».

Annuì, mentre il detective tornava a sedersi.

Mycroft si schiarì la voce.

«Questo spiega davvero molte cose. Prima fra tutte la tua folle idea di farle da garante».

Sherlock lo guardò.

«Ora capisci perché devo partire?».

«Ti rendi conto che non ti lasceranno fare neppure un passo fuori dalla porta?»

«Allora vorrà dire che uscirò dalla finestra».

Mycroft lo fissò critico.

«Con me qui dentro?».

Sherlock alzò gli occhi al cielo.

«Oh, giusto. Dimenticavo che questo sarebbe terribilmente sbagliato, e che infrangerei la legge, eccetera...».

Il fratello lo guardò in tralice.

«Se mi lasciassi finire una frase, almeno una volta… Volevo dire che con me qui non avrai bisogno di usare questi rimedi estremi. Posso scortarti dove vuoi».

Sherlock lo guardò stupito.

«Tu credi che usando il tuo cellulare le cose cambieranno? Ebbene, tentar non nuoce» continuò Mycroft alzandosi, e venendo immediatamente imitato dal fratello.

Non avevano neppure messo piede fuori dall’ufficio, che Sir Hawking fu loro incontro.

«Che significa questo, Mycroft?»

«Mio fratello mi ha assicurato che si occuperà personalmente di questa faccenda. Immagino che dopo tutti i servigi resi al nostro Paese, ciò non rappresenti un problema. O sbaglio?».

Il suo tono di voce non ammetteva repliche.

Sir Hawking annuì, ammutolito.

«Non avevo dubbi».

 

*

 

Sherlock chiuse la portiera dell’auto, sedendosi accanto a Mycroft mentre l’autista partiva.

Il detective lo guardò di sottecchi, poi spostò lo sguardo fuori dal finestrino.

La pioggia aveva finalmente smesso di cadere.

«Perché lo fai?» domandò improvvisamente, senza distogliere l’attenzione dalla città che sfrecciava via davanti ai suoi occhi.

«Perché a volte anche gli acerrimi nemici si danno una mano. Ma a una condizione, Sherlock».

L’uomo si voltò, in attesa.

«Se questa faccenda dovesse risolversi nel modo che tu ritieni giusto… Non pensare nemmeno per un secondo che accetterò mai di essere chiamato “zio Mycroft”».

 

   
 
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