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Autore: ladymisteria    28/06/2012    0 recensioni
"Sherlock Holmes se ne stava in piedi in quella stanza della sede governativa dei servizi segreti britannici.
Sembrava perfettamente a suo agio, nonostante fosse scalzo, bagnato come un pulcino e avesse sulla testa una spada di Damocle con impressa a caratteri cubitali un'accusa per alto tradimento."

Seguito di "Rain and Confidences"
Versione riveduta e corretta
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'After Sherlock's Fall'
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John Watson continuava ad andare avanti e indietro, pensieroso.

La signora Hudson era scesa poco prima, tormentata anch’ella dai dubbi.

Una macchina si fermò davanti alla porta del numero 221b, e pochi istanti dopo si udirono passi concitati su per le scale.

Indubbia l’identità del nuovo venuto.

Sherlock si precipitò dentro, interrompendo sul nascere le domande di John con un rapidissimo: «Spiegherò dopo».

Il detective sparì nella sua camera, lasciando John Watson basito.

Era successo davvero?

O la sua mente sconvolta gli aveva giocato un brutto scherzo?

«E’ sempre agitato, dovresti saperlo».

John si voltò verso Mycroft Holmes, fermo sulla porta.

«Suppongo sia necessaria una spiegazione»

«E’ il minimo».

«Si tratta di guai. Come sempre, quando si parla di Sherlock».

Il medico stava per chiedere di più, quando il cellulare di Sherlock attraversò la stanza, dopo essere stato gettato con stizza dall’uomo.

Quest’ultimo tornò in salotto imprecando a mezza voce.

Si lasciò cadere sul divano, ignorando bellamente i due uomini.

«Nessun risultato?» domandò Mycroft.

Il fratello scosse il capo.

«Staccato».

Si scompigliò i capelli in un gesto nervoso che John l’aveva visto fare ben poche volte.

E non era mai buon segno.

Sherlock si rialzò, andandosene nuovamente in camera sua, sbattendo la porta dietro di sé e chiudendosi dentro.

Mycroft sospirò rassegnato.

«Credo sia meglio mettersi comodi, John. E’ una storia piuttosto lunga».

*

«Che cosa ha fatto?!» domandò il medico, allibito.

«Oserei aggiungere che si sia trattato di un atto di follia allo stato puro»

«Ma come gli è venuto in mente di fare una cosa simile?».

John si appoggiò allo schienale della poltrona.

Mycroft sospirò.

«Temo che Sherlock si sia fatto condizionare da ciò che prova nei confronti di Irene Adler».

John annuì.

«Temo anche io che sia così. Stamane, prima dell’arresto, ne abbiamo discusso. O almeno, ne abbiamo accennato».

Mycroft si fece attento.

«Sherlock che parla di sé

«Anche io ne sono rimasto sorpreso».

«E di che avete parlato, oltre che di…».

Il medico sorrise beffardo.

«Non credo che in questo momento sia importante. Se davvero vuole saperlo, lo chieda a Sherlock. E’ o non è suo fratello?».

Mycroft non riuscì a mascherare del tutto la delusione.

Si alzò.

«Lo è. Ma Sherlock preferisce confidarsi con il suo migliore amico, piuttosto che con me. A volte credo che per lui esista un unico fratello. E quello non sono di certo io».

John sentì in quella frase tanta amarezza.

Sherlock si era sbagliato, dopo tutto.

«Credo sia meglio che Sherlock si trasferisca nella mia abitazione di Pall Mall; almeno fino a quando questa faccenda non sarà chiarita»

«Scordatelo» disse una voce alle sue spalle.

Sherlock Holmes, indossati finalmente abiti asciutti, lanciò la giacca al fratello.

«Non potrei vivere in un luogo più sicuro. Ho un medico sempre affianco e non ho bisogno di mettere sotto sopra l’appartamento per cercare ciò che mi serve»

«Anche perché più sotto sopra di così…» mormorò John, gettando una rapida occhiata alla stanza.

Mycroft strinse la mascella, nel vano tentativo di rimanere calmo.

«Sono le condizioni. Oppure preferisci rimanere in custodia nella sede dei servizi segreti, dove non potresti starnutire senza che degli agenti indaghino su chi ti ha passato un fazzoletto?».

Il detective piegò il capo da un lato.

«Ora che mi ci fai pensare, hai ragione».

Il maggiore dei fratelli Holmes si infilò la giacca, decisamente più rilassato.

«Mi divertirò decisamente di più insieme agli agenti dei servizi segreti. Offrono uno svago imperdibile».

John si chiese quanto ancora Mycroft sarebbe riuscito a trattenersi dal colpire il fratello.

«Ragiona, Sherlock! A casa mia potresti muoverti liberamente e…».

Sherlock scoppiò a ridere.

«Conosci il significato della parola “liberamente”? Tu?».

John impedì a Mycroft di replicare.

«Dovrà pur esserci un modo che accontenti tutti, no?».

Mycroft guardò il fratello.

«Se l’idea di venire a casa mia non è di tuo gradimento, forse una soluzione io l’avrei…».

Sherlock assottigliò gli occhi, studiando il viso del fratello.

«Oh…» mormorò.

«Certo. E’ chiaro…. Non riesci a “tenermi d’occhio” tu e allora mi affidi alla mamma. Chi ti dice che accetterò di seguirti?»

«La mia non è una richiesta, Sherlock»

«I tuoi ordini con me non funzionano».

Scrollò le spalle.

«Tuttavia, sia come vuoi. Qualsiasi posto va bene, piuttosto che casa tua».

Mycroft alzò gli occhi al cielo.

«Ti aspetto di sotto con l’autista, Sherlock. Non credo sia necessario portare molte cose con te. Sono certo troverai tutto ciò che ti serve a casa di nostra madre» disse Mycroft uscendo, dopo aver dato una rapida occhiata al suo fedele orologio da taschino.

«Ne dubito» sibilò Sherlock a denti stretti, seguendolo con lo sguardo.

Una volta che l’uomo fu uscito, Sherlock sbuffò.

«Sempre meglio che rimanere rinchiuso da Mycroft» borbottò.

John lo fissò.

«Mi è sembrato che ci tenesse davvero a te»

«Probabile…» mormorò il detective, scrollando nuovamente le spalle.

«Se così fosse, comunque, non vorrei che Mycroft si mettesse in testa di riallacciare il rapporto»

«Perché no, scusa? Non sarebbe una buona cosa?» chiese John, confuso.

«Certo che no!» replicò il detective, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«Chi mi divertirei ad infastidire, altrimenti?».

   
 
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