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Autore: Milla Nafira    28/06/2012    1 recensioni
Silvia, Isabella, Bianca e Cinzia sono quattro diciassettenni milanesi che decidono di andare in vacanza insieme ad Oristano.
Silvia è una ragazza piena di sogni ma fragile e con problemi di anoressia, alla ricerca del suo posto nel mondo. E quell'estate, per caso, conoscerà per la prima volta l'amore, che la salverà dal tunnel dei suoi problemi alimentari, dandole una sicurezza fino ad allora sconosciuta.
L'amore si chiama Riccardo ed è di Firenze ma, una volta tornata a Milano, Silvia scopre che non è il Principe Azzurro che aveva creduto, e passa la più grande sofferenza della sua vita.
Otto anni dopo, i due si incontrano per caso a Milano, dove Riccardo di è trasferito per lavoro. Silvia adesso è una venticinquenne di agiata situazione economica che ha ancora le sue tre migliori amiche, che la stanno aiutando ad organizzare il suo matrimonio. Riccardo tenta di racimolare i soldi per l'affitto ogni mese, e a Milano non conosce nessuno.
Non avrebbero alcun motivo per vedersi ma, si sa, il primo amore non si scorda mai.
Le amiche di Silvia odiano Riccardo, lui l'ha ferita. Ma loro non sanno tutta la verità. Non sanno cos'è successo quella notte sulla spiaggia.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OTTO

La spiaggia era gremita di gente alle nove e mezza del mattino, per lo più famiglie con bambini che schizzavano nel bagnasciuga, cercavano di infilarsi i braccioli senza scorticarsi un braccio o sfuggivano abilmente alla minaccia della crema solare che rendeva la pelle appiccicosa e, a meno che non ci si tuffasse nell’acqua all’istante, dopo i rotolamenti nella sabbia provocava l’effetto cotoletta. C’erano anche alcune coppie di anziani mattutini che si precipitavano in spiaggia appena svegli per evitare le ore più calde della giornata. Famiglie e anziani erano sempre muniti di ombrelloni, sedie sdraio, enormi borsoni e borse frigo, giochi da spiaggia, il che faceva molto Rimini, stabilimento balneare, gruppo vacanze. Invece in quella località di Oristano la spiaggia era libera, la prima stazione balneare era due comuni più in là, l’unica traccia di attività commerciale consisteva in un chiosco di bambù con quattro o cinque tavolini di plastica attorno. La spiaggia era piena perché era domenica, la gente che durante la settimana lavorava non aveva niente da fare, e il caldo faceva sciamare i lavoratori dall’afa della città al mare a pochi chilometri. I turisti odiavano la domenica principalmente per due motivi: il primo, con tutta quella gente era impossibile stare tranquilli senza capitare disgraziatamente nel mezzo di una partita di racchettoni o nel raggio d’azione della secchiata d’acqua di qualche bambino; e secondo, il lunedì la spiaggia era sempre uno schifo, con la gente che, con scarso senso civico, si premurava di riempirla con i resti del proprio picnic domenicale.

Le nove e mezza era un orario da famiglie e anziani, da turisti con i cestini da picnic, i ragazzi della compagnia non c’erano ancora, loro scendevano a mezzogiorno. Ma Silvia, Isabella, Cinzia e Bianca erano scese in spiaggia presto quella mattina e Riccardo, sapendolo, si era unito a loro passandole a prendere sotto casa, anche se tutte sapevano perfettamente per chi si era alzato presto.

Silvia si era buttata subito nel mare non ancora caldo, seguita a ruota da Riccardo; adesso, vicino alla riva, stavano in ginocchio sul fondale e anche Silvia, seppure abbastanza bassa, emergeva dal livello dell’acqua da metà dal seno. Isabella, Cinzia e Bianca, sdraiate sui loro asciugamani a pochi metri dal bagnasciuga, riuscivano solo a sentire le risate dei due mentre si schizzavano reciprocamente.

-Cosa aspettano quei due a mettersi insieme?-. Chiese Isabella, sollevandosi sui gomiti per guardare il mare da dietro gli occhiali da sole dalla montatura squadrata.

-Io non sono sicura che si metteranno davvero insieme alla fine-. Osservò Cinzia voltandosi sulla pancia e togliendosi un po’ di sabbia dalle braccia.

-Ma sei cieca, Cinzia?-. Isabella scoppiò a ridere. -Li hai visti?-. E indicò Riccardo e Silvia che, sempre più in prossimità del bagnasciuga, ridevano e giocavano. Riccardo improvvisamente, prese della sabbia dal fondale e la tirò a Silvia che, colto di sorpresa, spalancò la bocca e fece un verso di finta indignazione, prima di buttarsi sott’acqua a arrivare un po’ più al largo con un paio di bracciate per pulirsi i capelli dalla terra. Riccardo la seguì camminando e, quando lei riemerse, stava ancora ridendo. Silvia mise su un finto broncio e lui, senza smettere di ridere a crepapelle, la strinse in un abbraccio che lei ricambiò; Isabella, dalla spiaggia, sorrise istintivamente, quasi senza rendersene conto, riflettendo che, in tre anni che conosceva Silvia, lei era stata l’unica che avesse mai abbracciato con tanta disinvoltura. Non si sentì messa da parte, fu felice. Isabella aveva il dono di essere felice per gli altri, oltre a quello di saper capire le persone: può sembrare normale tra amiche, invece resta comunque un dono raro.

-Silvia ha ammesso che lui le piace-. Intervenne Bianca, sorridendo a sua volta. -E mi pare ovvio che lui ricambi. Anzi-. Aggiunse scrutando in mare Riccardo che cercava di abbracciare ancora Silvia e fingeva di divincolarsi, stando al gioco. -Ci prova spudoratamente-. E non riuscì a trattenere una risatina e uno sguardo intenerito coperto delle lenti nere e rotonde.

-Si metteranno insieme-. Decretò Isabella con una certa soddisfazione, voltandosi verso Cinzia e sollevando un poco gli occhiali da sole per mandarle uno sguardo di sfida, per poi riposizionarseli sul naso. -E’ solo questione di tempo. E giudicare da come la marca stretto, neanche di tanto tempo-.

-Sarà…-. Commentò Cinzia tra i denti, in un sussurro, indecisa se volesse essere sentita oppure no dalle altre.

Cinzia era considerata la cinica del gruppo, quella razionale e, anche se lei avrebbe negato fino alla morte di esserlo, in cuor suo si riconosceva un po’ in quello stereotipo. A lei sarebbe piaciuto essere più sciolta, più aperta, un po’ come Isabella o anche solo come Bianca, ma non era nella sua natura. Ci stava male, a volte; si sentiva diversa dalle altre. Silvia era più chiusa di lei; ma Silvia era timida, insicura, complessata. Silvia poteva sembrare fredda e razionale, ma la verità era ch era solamente fragile; Cinzia invece non era fragile né timida, la timidezza sarebbe stato qualcosa di troppo sentimentale per lei. Cinzia non lo dava a vedere, perché lei non mostrava alcun sentimento se non quelli che, se non inventava, portava all’esasperazione per evitare di essere considerata un robot, ma invidiava le sue amiche. Invidiava Isabella, che da qualsiasi parte arrivasse ci metteva cinque minuti a conoscere tutti e a fare amicizia con il mondo, Isabella che aveva un fascino intrinseco che andava oltre la mera bellezza fisica, che poteva avere ogni ragazzo che desiderava, che si innamorava spesso e ancora più spesso faceva innamorare, che faceva l’amore o il sesso, a seconda dell’occasione che le si presentava, senza pensarci troppo, senza sensi di colpa, senza rimpianti, talvolta anche senza precauzioni. E se succede qualcosa?, le aveva chiesto più di una volta Cinzia, che essendo iperansiosa aveva il bisogno inconscio di contagiare anche gli altri con le sue ansie; non hai paura? Isabella rideva e scuoteva la testa: perché me le devi tirare, Cinzia? Se dovesse succedere qualcosa ci penserò al momento giusto, no? Io non mi fascio la testa prima di rompermela, e poi non succederà niente. Lo spero, commentava ogni volta Cinzia con un sospiro, ma in cuor suo non lo sperava per niente: non l’avrebbe mai ammesso, ma segretamente, nelle viscere in cui ognuno nasconde la cattiveria repressa, sperava che una volta Isabella non avesse tutta quella fortuna, così avrebbe smesso di prenderla in giro. Poi si sentiva sempre da schifo, non tanto per aver augurato qualcosa di male ad una della sue migliori amiche, quanto per la consapevolezza che tutto quell’astio era dettato solo dall’invidia: perché Isabella non aveva paura, mai, e se qualche volta ne aveva, lo nascondeva bene. Cinzia spesso invidiava Bianca: Bianca non era disinibita come Isabella e la sua fedina penale non era macchiata da stragi di cuori; aveva avuto un solo ragazzo nella sua vita, quello attuale, che poi era anche l’unico con cui avesse mai fatto l’amore. Ma Bianca aveva qualcosa che la faceva apparire speciale agli occhi di tutti: era dolce, era comprensiva, disponibile; non era particolarmente popolare a scuola, era una ragazza come tutte le altre, ma tutti le volevano bene. Cinzia non stava antipatica a nessuno, almeno non apertamente, ma lei era convinta che questo non fosse dovuto ad una simpatia generale verso di lei, ma più semplicemente ad una cortese indifferenza: si sentiva trasparente agli occhi degli altri. Era questo il suo problema principale: si sentiva insignificante, ma ammetterlo sarebbe stato confessare la sua debolezza, quindi soffriva in silenzio e preferiva passare la sua adolescenza sentendosi un fantasma tra la folla piuttosto che aprirsi almeno con le sue amiche e rischiare di attirare la loro compassione.

Cinzia invidiava a Isabella e Bianca la loro vita sentimentale, abbastanza piena: a Isabella quella sessuale, e a Bianca la sua relazione che durava da due anni e che ormai era considerata “eterna” da tutti. Non è che Cinzia sentisse il bisogno di un fidanzato, né di fare sesso, ed era questo a spaventarla di più: lei non ne sentiva il bisogno, ma sapeva che avrebbe dovuto; avrebbe voluto essere normale ma, anche se avesse agito seguendo la massa, sapeva che non sarebbe comunque riuscita a sentirsi come tutte, perché non lo avrebbe fatto per sua convinzione, ma appunto per non sentirsi “diversa”. Era questo che le mancava di più, desideri comuni alle adolescenti della sua età.

-Se si mettono insieme, io sono contenta-. Dichiarò candidamente Bianca, dal nulla, dopo alcuni minuti di silenzio in cui le tre ragazze si erano adagiate a prendere il sole. Isabella non disse nulla, ma il sorriso luminoso con cui rispose all’amica conteneva al contempo l’approvazione di un’eventuale storia tra Silvia e Riccardo e, soprattutto, un improvviso moto d’affetto verso Bianca che, con una frase semplice ed elementare, aveva espresso quello che tutt’e due volevano dire da giorni.

-Sì, be’, se a lei piace…-. Bofonchiò Cinzia evitando di guardare chiunque.

-Mi raccomando, Ci’, non troppo entusiasmo!-. Sbuffò sarcastica Isabella, e si girò con la schiena a contatto con l’asciugamano, agitando un poco il corpo a terra per adagiarsi meglio sulla sabbia nella nuova posizione.

Cinzia trattenne un’espressione ostile. -Non sto dicendo che non mi farebbe piacere se si mettessero insieme-. Disse con una vocina saccente, la voce che assumeva sempre quando scattava sulla difensiva, una vocina secca che dava sui nervi a tutti, perché quando parlava così sembrava che fosse esasperata per dovere spiegare per l’ennesima volta un concetto elementare ad un manipolo di ritardati. -Ma forse vi state dimenticando un piccolo particolare: noi tra due settimane torniamo a casa-.

-Quindi?-. Domandò Isabella alzando un sopracciglio, evidentemente accigliata. Bianca non diceva nulla, ma segretamente tifava per Isabella. Dopotutto, il copione lo conosceva a memoria: si parlava di qualcosa, Cinzia cercava di smorzare l’entusiasmo generale con il suo pessimismo e con il suo insopportabile atteggiamento da prima della classe, Isabella si snervava e diventava velenosa pur senza mandarla apertamente a quel paese, come avrebbe fatto volentieri.

-Quindi noi torniamo a Milano, Riccardo torna a Firenze e Silvia sta peggio di prima-. Concluse Cinzia con una smorfia. Isabella schioccò le labbra e pronunciò un “ma vai, va’” con il solo labiale, come si fa quando non vale nemmeno la pena di ribattere e a Cinzia questo atteggiamento diede sui nervi. -Che c’è, Isa?-. Esclamò, come punta. -Se c’è qualcosa, perché non me lo dici, invece di darti tante arie e poi non dire niente?-.

-Guarda che io non ho nessun problema a farti notare le puttanate che dici-. Replicò Isabella con un tono così calmo e pacato da risultare di scherno, che provocò un moto di rabbia. -Mi sembrava solo poco carino farlo. E che non ne valesse la pena-. Aggiunse con un mezzo sorriso carico di sarcasmo.

-Sì, fai la spiritosa quanto vuoi-. Ribatté offesa Cinzia, spostando lo sguardo dal viso di Isabella, che stava distesa alla sua sinistra, per voltarsi verso Bianca, a destra. -Tanto tu speri che si mettano insieme così possono fare le uscite a quattro con te e Cristiano, che ti frega se poi tu a Milano te ne trovi un altro mentre Silvia ci sta di merda?-.

-Senti, Miss Ottimismo, ma tu che cosa ne sai?-. La rimbeccò Isabella stizzita.

-Conosco Silvia, so com’è fatta-. Rispose Cinzia, voltandosi di nuovo verso la sua interlocutrice. Bianca preferì ignorare il fatto che la conversazione si stava facendo accesa, prese un rametto da terra e iniziò a disegnare cerchi nella sabbia grigia e asciutta. -E so anche come sono le storielle estive-.

-No, guarda, non provare a fare la psicologa della posta del cuore perché tu di relazioni non ne capisci proprio un cazzo-. Lo disse seccamente, con un tono che non era da lei e Bianca, senza interrompere la sua nuova distrazione, si mise sull’attenti. -Senti un po’, non è che sei gelosa, vero?-. Il sorriso di scherno dipinto sul viso di Isabella non era più pieno di simpatia, segno che le cose stavano degenerando. -Perché se Silvia si mette con Riccardo e tu resti da sola…-.

-Adesso basta-. Intervenne seccamente Bianca, senza lasciarle nemmeno terminare la frase. Fino a quel momento, lei e il suo asciugamano lilla erano stati la Svizzera, Bianca preferiva stare fuori da quegli scambi di frecciatine, ma quando aveva visto Cinzia socchiudere le labbra in un’espressione delusa, aveva pensato che fosse il caso di calmare le acque. -Dateci un taglio. Tanto non siamo noi a dover decidere, Silvia farà quello che le pare-. Cinzia e Isabella si girarono verso di lei un po’ frastornate dal fatto che avesse alzato la voce per zittirle e, sebbene il suo viso rimase impassibile, dentro di sé Bianca sogghignò per aver ottenuto l’effetto desiderato. -Inoltre esistono i rapporti a distanza, e comunque non mi sembra il caso di farne una questione di Stato, non devono sposarsi, per ora non si sono nemmeno baciati, lasciamo che si facciano gli affari loro. Però-. Aggiunse, sorridendo dolcemente a Cinzia, come per scusarsi con lei per ciò che stava per dire. -Se posso dire la mia, mi sembra che Silvia stia bene con lui. Da quando ha conosciuto Riccardo mi sembra più felice, era da tanto che non la vedevo così-. Da dietro la testa di Cinzia, senza farsi vedere da questa, Isabella sollevò gli occhiali da sole per strizzare l’occhio a Bianca e le mostrò un pollice all’insù; Bianca si trattenne dal ridere e guardò Cinzia; -Comunque poi ognuno la può pensare come vuole-. Disse con un piccolo sorriso, per pura diplomazia.

Ma Cinzia non stava più ascoltando da quando Bianca aveva interrotto il suo scambio di battute con Isabella. Annuì all’amica senza nemmeno essere del tutto sicuro di quello che le avesse detto, poi si cacciò gli auricolari nelle orecchie, accese l’Ipod e premette a caso sullo schermo. Partì L’amore conta di Ligabue e Cinzia ricacciò indietro le lacrime sentendosi stupida a pensare che, se qualcuno lo avesse notato, si sarebbe lamentata incolpando il dannato granello di sabbia che le era entrato in un occhio e ringraziò dal profondo del suo cuore chiunque avesse inventato gli occhiali da sole. Perché magari Isabella aveva esagerato, ma aveva ragione. Il primo pensiero di Cinzia, che aveva molto senso pratico, era stato davvero che la lontananza avrebbe impedito a Riccardo e Silvia di rivedersi e che questo avrebbe fatto soffrire Silvia; perché sì, a Silvia Riccardo piaceva, e se n’era accorta anche Cinzia. Ma poi aveva anche riflettuto che, che Silvia si fosse fidanzata, lei si sarebbe sentita ancora più sola. Silvia era, tra le sue amiche, quella a cui Cinzia si sentiva più affine: tanto per cominciare, entrambe erano ancora vergini e anche se Silvia, a differenza di Cinzia, un ragazzo ce l’aveva avuto, era successo in prima superiore e non era stata una storia molto importante. Inoltre, anche Silvia non beveva, non fumava, non sembrava particolarmente interessata ai ragazzi ed era brava a scuola e Cinzia per questo sperava sempre di essere accomunata a lei per sentirsi un po’ meno strana. Ma Cinzia segretamente invidiava anche Silvia; Cinzia invidiava tutti. Perché non poteva ignorare il fatto che queste caratteristiche, che la facevano sentire “sfigata”, nel caso di Silvia contribuivano a creare un quadro di eterea purezza e che, sebbene Silvia fosse introversa e per lei socializzare avrebbe dovuto essere più difficile che per Cinzia, non ne aveva bisogno, perché erano gli altri a cercarla. Perché Silvia era bella. Lei era cieca di fronte alla sua stessa bellezza, lei puntava alla perfezione, non mangiava per questo e Cinzia lo sapeva, Cinzia l’aveva vista smettere di punto in bianco di mandar giù cibo, la sentiva vomitare nel bagno comune in casa di Isabella, l’aveva vista nei primi mesi con le labbra violacee per tutte le volte che, in preda alla fame, se le era morse per evitare di addentare qualcosa di calorico ma, stupidamente, Cinzia la invidiava anche per questo. Perché Silvia stava facendo qualcosa che credeva di fare per essere più bella, per il suo aspetto fisico e il fatto che fosse una cosa insensata, il fatto che si stesse ammalando per ottenere qualcosa che aveva già, denotava solo che possedeva quell’infima componente di irrazionalità che a Cinzia mancava del tutto. Cinzia avrebbe voluto dimagrire anche lei; non era brutta, con i capelli neri e lisci e gli occhi verdi, ma si vedeva tale e, anche se avrebbe voluto fare qualcosa per migliorarsi, c’era un che di contorto nella sua natura che glielo impediva. Era la prima a dichiarare di volere che Silvia guarisse, che non peggiorasse e, se da una parte desiderava davvero che la sua amica smettesse di soffrire, dall’altra la scarsa autostima di questa le faceva comodo. Perché, se Silvia avesse scoperto di essere bella, per lei sarebbe stata la fine.

Riccardo e Silvia corsero fuori dall’acqua correndo a facendo un gran fracasso, tra le risate e gli spruzzi di gocce e sabbia che si sollevavano al loro passaggio, poi Silvia si buttò sul suo asciugamano blu, accanto a quello di Bianca, e vi si avvolse da un lato, gettandosi involontariamente addosso un po’ di sabbia e ridendo.

-Dai, fai asciugare anche me col tuo!-. Esclamò Riccardo, in piedi accanto a lei. -Ho dimenticato a cassa il mio asciugamano, dai Silvia!-.

-Okay, te lo presto-. Annuì lei, mettendosi a sedere, senza mollare il bordo del suo asciugamano. -Ma prima devi metterti in ginocchio sulla sabbia e supplicarmi-. Aggiunse, scoppiando di nuovo a ridere.

-Ma sentila!-. Sbuffò Riccardo con un sorriso. -Che stronzetta! Dai, dammi l’asciugamano-. E si chinò cercando di prenderglielo mentre Silvia, tra le risate, esclamava “no!” e si contorceva su se stessa per tenerselo. Schizzarono e urtarono più volte Bianca che, senza lamentarsi, si scostò poco più in là e incontrò l’enorme sorriso di Isabella, che fingeva di guardare da tutt’altra parte.

Affondando le unghie nei lembi spugnosi nell’asciugamano, ormai troppo coinvolta nel gioco per lasciar perdere, Silvia raddrizzò la testa e, sollevando lo sguardo, si accorse che Riccardo stava a cavalcioni sopra di lei. Un imbarazzo non del tutto spiacevole la invase e avvampò in viso e per evitare che lui, il cui viso era così vicino al suo e che le stava grondando addosso con i capelli bagnati, se ne accorgesse, sorrise. Con sua grande sorpresa, il sorriso che apparve sul suo volto non era un sorriso forzato, era un vero sorriso, e Riccardo se ne accorse: lei non era un tipo che arrossiva ma, se lo fosse stato, in quel momento le sue guancie sarebbero sicuramente diventate scarlatte, alla vista di Silvia poco sotto di lui, del suo bel sorriso, il più naturale che le avesse visto da quando la aveva conosciuta, del suo imbarazzo da scolaretta tradito dalle gote rosse e quegli occhioni verdi. Si guardarono negli occhi per un istante, Silvia sbatté un paio di volte le lunghe ciglia nere sulla punta delle quali si erano intrappolate minuscole gocce d’acqua che i raggi del sole facevano rifulgere; Silvia sarebbe rimasta a specchiarsi nelle pupille di Riccardo, si era già resa conto che lui le piaceva parecchio, e avrebbe voluto perdersi in quegli occhi color marrone caldo, ma lui distolse lo sguardo e Silvia si sentì soddisfatta di non essere stata la prima a farlo.

Riccardo si affrettò a sollevare il ginocchio per unirlo all’altro e togliersi da quell’imbarazzante posizione, nel farlo si rese conto di avere la bocca socchiusa e, arrabbiandosi con se stesso per avere assunto un’espressione a metà tra un demente in estasi e un quattordicenne con gli ormoni impazziti, si affrettò a chiuderla. Silvia, con un sorriso un po’ meno pronunciato, stese a terra la parte dell’asciugamano che si era arrotolata addosso e scosse giù la sabbia. -Dai, sdraiati-. Disse prima di prendere i Ray-Ban di Bianca, che questa aveva lasciato incustoditi tra i loro due asciugamani e che lei poco prima aveva rischiato di rompere senza nemmeno saperlo -sarebbe stata la fine di undici anni di amicizia, pensò Silvia divertita- , infilarseli e distendersi. Tanto Bianca questi occhiali da sole li venera ma non li mette mai, pensò Silvia, ha paura che il segno delle lenti le rovini l’abbronzatura.

-Grazie principessa-. Disse Riccardo prima di sdraiarsi accanto a lei; avrebbe voluto usare un tono sarcastico e spavaldo che compensasse all’espressione ebete di poco prima che ancora non si era perdonato, invece sentì con disappunto la sua voce risuonare quasi dolce, allora decise che se doveva fare la figura dell’idiota cotto, tanto valeva farla fino in fondo, e avvicinò il suo viso a quello di Silvia per scoccarle un soffice bacio sulla guancia. Silvia accennò un sorriso e Riccardo constatò con piacere che era arrossita leggermente.

Silvia girò la testa dal lato di Bianca, rivolgendosi direttamente ad Isabella. -A che ora arriva Jacopo?-. Chiese alzando un poco la voce.

-Cambio di programma, tesoro-. Disse Isabella schiacciando il tubetto della crema solare sulla mano per poi passarsela sul naso spruzzato da qualche lentiggine. -Jacopo mi ha mandato un messaggio mentre eri in acqua. Andiamo noi al porto, ho già chiamato un taxi che passa a prenderci in piazza tra un’ora e mezza. Pranziamo sullo yacht e ci portano a fare un giro-. Spiegò. -Vogliono andare anche a fare immersioni-. Aggiunse con una smorfia di disapprovazione.

-Yacht?-. Intervenne Riccardo alzando un sopracciglio. -Proprio un poveraccio il vostro amico, eh?-.

-Non è suo, è del padre-. Disse Cinzia, togliendosi le cuffie dell’Ipod dalle orecchie.

-Capirai cosa cambia-. Sbuffò Riccardo, sollevandosi sui gomiti per guardare meglio le ragazze e non sentirsi escluso dalla loro conversazione, chiudendo un occhio e mettendosi una mano davanti al viso per riparare l’altro dal sole.

Silvia ignorò quella breve conversazione, a suo avviso completamente inutile. -E perché non possono venire loro qui?-.

-Perché hanno controllato, e qui non li fanno nemmeno avvicinare alla costa con lo yacht-. Rispose Isabella mettendosi a sedere. I suoi capelli, di un rosso acceso tendente al bordeaux senza bisogno di henné o tinte, rilucevano sotto il sole estivo; da seduta, Isabella aveva acquistato visibilità agli occhi dei bagnanti. Lei sapeva di essere una ragazza che non passa inosservata, il suo non era il fascino della ragazzina ingenua, era consapevole di attirare l’attenzione dei maschi sin da quando, intorno ai dodici anni, il suo corpo aveva iniziato a cambiare, le forme femminili ad accentuarsi e i lineamenti a renderle il viso più adulto, così da contornare gli splendidi occhi azzurri che aveva sempre avuto. La rendeva piena di orgoglio quando, scolaretta delle medie, passava con il viso troppo truccato e la maglietta corta e vedeva con la coda dell’occhio i ragazzi dell’università di fronte a casa sua che, sui motorini, la fissava con sguardo un po’ e incantato e subito dopo un po’ colpevole nel notare la cartelletta di applicazioni tecniche nella sua mano. Non che adesso le dispiacessero quelle occhiate a volte fulminee a volte lunghe e scannerizzanti, ma sicuramente non più colpevoli, al suo corpo, ma ci aveva fatto l’abitudine, non c’era più l’elemento novità, sarebbe stato strano il contrario.

-Poverini-. Commentò sarcastico Riccardo, in un filo di voce e Silvia, l’unica che lo sentì, decise di non replicare.

-Jacopo mi ha scritto che se si avvicina alla costa più del consentito rischia della multe assurde e, sai, lo yacht è di suo padre-. Continuò Isabella.

-Le ingiustizie della vita-. Disse Riccardo in un sospiro di scherno. Questa volte tutte lo sentirono, ma decisero di ignorarlo e la conversazione morì lì.

Passò qualche istante in cui nessuno parlò, Bianca si era sdraiata comodamente sulla pancia e quasi addormentata -non era abituata a svegliarsi prima di mezzogiorno, e stava maledicendo le due amiche e la loro idea di scendere in spiaggia presto per aspettare Jacopo, che alla fine avrebbe fatto muovere loro- e Cinzia si era rimessa le cuffie estraniandosi dal mondo. Isabella sperò che Silvia dicesse qualcosa ma, vedendola in contemplazione del mare -Isabella sapeva che se faceva così avrebbe voluto parlare ma si vergognava-, decise di prendere in mano la situazione: -Riccardo tu vieni con noi?-. Buttò lì con una finta naturalezza, cogliendo di sorpresa Silvia che si affrettò a dissimulare un sussulto.

Riccardo accennò una risata ironica. -Sullo yacht del vostro amico?-.

-Sì-. Rispose semplicemente Isabella, con un’alzata di spalle. -Perché, che c’è di male? Non dirmi che non ti piacerebbe salire su uno yacht-. Aggiunse con un sorriso.

-Ma nemmeno lo conosco-. Obiettò Riccardo che, con grande stupore, si rese conto che avrebbe voluto andarci davvero. -Non mi ha invitata-.

Isabella fece uno sbuffo e, anche se aveva ancora il viso mezzo coperto dagli occhiali da sole, Riccardo intuì che avesse roteato gli occhi dietro le lenti. -Ti stiamo invitando no, okay?-. Finse un tono esasperato. -Noi siamo le guest star dello yacht Maruso, quindi possiamo imbucare chi ci pare-.

Riccardo sollevò un sopracciglio. -Perché Maruso?-. S’informò, prendendo tempo prima di trovarsi costretto a decidere se valeva la pena di fare la figura di imbucato con una massa di fighetti figli di papà per passare un pomeriggio su uno yacht privato insieme a Silvia.

-E’ il cognome di Jacopo-. Rispose Isabella. -Ed è scritto sulla fiancata dello yacht-. Riccardo scoppiò in una fragorosa risata e Bianca, che si stava abbioccando e non aveva seguito praticamente nulla di quella conversazione, si sollevò incuriosita. -Che c’è?!-. Esclamò Isabella non capendo.

Riccardo continuò a ridere. -Oh mio Dio-. Disse, cercando di fermarsi un attimo per respirare ma non riuscendoci troppo bene. -Cioè, questi si sono pure fatti scrivere il loro nome sullo yacht? Io il nome lo scrivevo sui quaderni di scuola in quinta elementare-. E continuò a ridere incontrollatamente quasi fino alle lacrime.

Isabella era proprio l’ultima persona al mondo che si sarebbe sentita offesa se qualcuno avesse preso in giro Jacopo, ma francamente non riusciva a capire il lato esilarante di tutta la questione. -Un sacco di gente fa scrivere il nome sulla propria barca…-. Commentò, un po’ timorosa che Riccardo le scoppiasse a ridere in faccia di nuovo.

-Certo, altrimenti come farebbero a dimostrare di essere proprio loro a possedere tutto quel ben di Dio?-. Riccardo sfoggiò un sorriso sbilenco a metà tra l’ironico e il critico.

Oh, adesso capisco, pensò Isabella, non c’era niente di divertente nel fatto del nome in sé era solo una condanna al lusso e alla sua ostentazione, combattiamo il capitalismo, trionfi la giustizia proletaria, e guarda quei borghesi di merda che ci sbattono in faccia la loro ricchezza quando noi nella migliore delle ipotesi intaschiamo mille euro al mese da precari. E ora sì, Isabella si sentiva offesa, ma più che offesa si sentiva infastidita. Perché avrebbe voluto appartenere anche lei, a quel mondo, scoppiare a ridere pensando ad un nome dipinto sulla fiancata di uno yacht, appartenere ad un mondo in cui ci si muove con i mezzi a Milano, non importa se sono le due di notte, perché non ci si può permettere di pagare un taxi ogni volta, sfilare nei cortei di proletari e studenti incazzati, rivendicare i diritti rubati, fare l‘amore tra le mura dipinte di slogan di un cantiere occupato e urlare merde ai poliziotti, a morte i reazionari. Isabella non aveva mai avuto bisogno di rivendicare niente nella sua vita, sapeva che, per chi le viveva, occupazioni e manifestazioni non erano un gioco ma per lei, che era cresciuta in un altro mondo a cui non sentiva di appartenere, che si dichiarava comunista, libertina, emancipata dal suo rango sociale, quello sarebbe stato un sogno. Se ci fosse nata in quell’ambiente, certo, perché, per come si comportava attualmente, nessuno la prendeva sul serio. Perché Isabella per condannare il ceto borghese a cui non aveva scelto di appartenere ne avrebbe dovuta fare di strada perché, le aveva detto la figlia stronza dei vicini una volta, con l’IPhone e i jeans firmati non si fa la rivoluzione e Isabella non sembrava un’alternativa che voleva sovvertire il mondo egoista in cui era nata, ma una ragazzina viziata che, annoiata dalla sua vita di agi, spunta nel piatto in cui, abbondantemente, mangia. Ma non disse niente di tutto questo, Isabella, mascherò la sua espressione offesa e tornò, dopo un secondo, a guardare in faccia Riccardo, ignorando le sue parole. -Allora, ci vieni o no?-.

Riccardo storse gli angoli della bocca prendendo tempo e parve pensarci un po’ su; Silvia si voltò verso di lui e fece un bel sorriso. -Dai, vieni-.

Riccardo rifletté che era molto improbabile che Silvia, così timida e che arrossiva per un bacino sulla guancia, stesse cercando di usare qualche tecnica per sedurlo; dopotutto aveva fatto solo un sorriso, niente occhioni dolci o battiti di ciglia che lui era abituato a vedersi rivolgere dalle gallinelle del quartiere, ma quel sorriso aveva fatto molto più effetto di qualsiasi smorfia. -Va bene, via, vengo con voi-. Rispose semplicemente. -Aspettate-. Aggiunse dopo un secondo. -Ma non ci stiamo tutti in taxi-.

Isabella inclinò gli angoli della bocca in un’espressione di noncuranza. -Non avevi detto che hai il motorino?-. Chiese. -Prendi il motorino e porta Silvia dietro-. Silvia non si aspettava minimamente quest’uscita, e fulminò con lo sguardo l’amica, che aggiunse rivolgendosi a lei: -Se preferisci andare in taxi, posso andarci io in motorino con lui, per me è uguale-.

-No, no!-. Si affrettò ad esclamare Silvia con un tono che, se ne accorse con una frazione di secondo di ritardo, era stato troppo precipitoso. -Vengo in motorino con te-. Disse, girandosi verso Riccardo, che le sorrise. -Non c’è problema. La strada per il porto la conosci?-. Riccardo annuì mentre Isabella, fingendo di cercare qualcosa nella borsa, sorrideva soddisfatta tra sé: sapeva che Silvia non l’avrebbe mai mandata in motorino con Riccardo, soprattutto se aveva la possibilità di andarci lei. Non che se Silvia avesse preferito andare in taxi Isabella ci avrebbe provato con Riccardo, dietro di lui in motorino, questo era ovvio. Silvia aveva già dichiarato che e lei piaceva, era prenotato, era intoccabile per tutte le altre; questo era il codice delle ragazze.

Alle undici meno un quarto le ragazze avevano già raccolto asciugamani e borse e tutti erano pronti per andare. -Allora-. Disse Bianca all’uscita della spiaggia. -Noi tre andiamo in piazza a prendere il taxi e voi andate a casa di Riccardo e ci ribecchiamo al porta, okay?-. Tutti annuirono. -Bene-. Aggiunse Bianca passandosi una mano sul polpaccio per scuotere via la sabbia. -Ricordiamoci di lasciare una mancia abbondante al tassista, visto che gli riempiremo la macchina di sabbia e sale-.

Risero uscendo dal passaggio stretto che, costeggiato da rocce su entrambi i lati, dalla spiaggia buttava direttamente sulla strada, seppure una strada poco trafficata e occupata per lo più da bancarelle; Bianca prese a braccetto Silvia e le scoccò un bacio sulla guancia. -Ne approfitto ora per stare un po’ con te, visto che da quando è arrivato Riccardo chi ti vede più-. Le sussurrò in un orecchio.

-Ma non è vero, sono sempre con voi-. Rise Silvia, leggermente imbarazzata.

-Sì, come no-. Mormorò Bianca con un sorriso. -Andiamo in spiaggia e stai tutta la mattina in acqua con lui, usciamo con la compagnia e vi isolate per parlare solo tra di voi-.

-Guarda che non stiamo insieme-. Silvia dissimulò la nota di dispiacere nella sua voce ed evitò di aggiungere “non ancora”. -E potete venire anche voi quando siamo insieme, non è che non vi voglia più-. Aggiunse con un sorriso.

-Oh, ma siamo noi a non voler stare con voi-. Replicò Bianca, sempre sottovoce, mentre Cinzia esibiva un forzato sorriso di circostanza. -Va benissimo che stiate da soli-. Aggiunse poi facendo l’occhiolino a Silvia e schioccandole un altro bacio sulla guancia.

Isabella approfittò di essere rimasta indietro di qualche passo con Riccardo per sussurrargli: -Hai fatto bene a decidere di venire con noi-. Riccardo le sorrise. -E, anche se non lo potevi sapere quando prendevi in giro i nostri amici per la storia dello yacht, hai fatto bene anche su quello-. Qui Riccardo le rivolse uno sguardo interrogativo. -Jacopo ha una cotta storica per Silvia-.

-Ah-. Commentò atono Riccardo, determinato a non far trasparire alcuna emozione. -Non lo sapevo.

-Be’, ora lo sai-. Replicò Isabella. -E, a proposito, quando ti decidi a combinare qualcosa con lei? Se aspetti che Silvia faccia la prima mossa, l’hai proprio inquadrata male-.

Riccardo fu felice di essere arrivato all’incrocio e che casa sua fosse dalla parte opposta rispetto alla piazza dove il taxi stava aspettando le ragazze. -Casa mia è di là-. Disse a Silvia indicando verso destra. Non lo avrebbe mai ammesso, ma Isabella era riuscita a metterlo in imbarazzo: perché lui voleva davvero combinare qualcosa con Silvia, e a quanto pare anche le sue amiche lo volevano e, da come aveva parlato Isabella, Riccardo aveva dedotto che anche lei lo volesse. Si salutarono e mentre Cinzia, Bianca e Isabella si incamminarono a sinistra, Silvia e Riccardo percorsero la via sulla destra; casa di Riccardo era giusto dietro l’angolo alla fine della strada.

-Che bella-. Commentò Silvia guardando la villetta dipinta di rosa e con un aspetto piuttosto nuovo. -Ma è tua?-.

-No, è in affitto-. Rispose Riccardo. -Il motorino è quello-. Aggiunse indicando una moto nera e grigia parcheggiata di fronte al cancello basso altezza spalle che si inseriva nel muretto in cocci che circondava la cornice di giardino intorno alla casa. Silvia sorrise senza sapere cosa dire, per il semplice motivo che di moto non ne aveva mai capito molto e Silvia, quando non sapeva cosa dire, taceva. Era un’altra cosa che la escludeva dall’ambiente dei suoi genitori, in cui qualunque idiozia era meglio che ammettere la propria ignoranza con il silenzio ma Silvia, ispirandosi ad Oscar Wilde, era convinta che fosse meglio tacere e dare l’impressione di essere stupidi, piuttosto che aprire bocca e togliere ogni dubbio. -Devo prendere le chiavi, entri?-. Chiese Riccardo dopo aver frugato nelle tasche dei pantaloncini per quasi un minuto.

-Certo-. Annuì Silvia, seguendolo nel giardino, sul portico e in casa.

Entrarono e Silvia fu attaccata dal forte odore di tabacco che aleggiava in tutta la sala-cucina ma, per rispetto, oltre a non dire nulla, evitò di non torcere il naso e cercò di non tossire. Un uomo, appoggiato allo sportello aperto del frigorifero, teneva una lattina di Fanta in mano e sollevò lo sguardo all’entrata dei due, fissandoli con ostinazione senza dire una parola. Indossava solo un asciugamano dall’aria consunta sulla vita, aveva i capelli bagnati come fosse appena uscito dalla doccia e sulla spalla destra aveva tatuato a colori una creatura mitologica che poteva assomigliare ad una fenice urlante all’interno di un enorme fiamma. Lo sguardo di Silvia fu subito catturato da quel vistoso disegno ma dopo pochi secondi, accorgendosi che lo stava fissando, distolse lo sguardo e incontro quello di lui il quale non disse nulla, ma si batte una mano sul petto non depilato e ruttò.

-S-salve-. Azzardò Silvia intimidita, accompagnando il saluto con un gesto impacciato della mano. Per tutta risposta, l’uomo accennò con il capo verso di lei: Silvia lo avrebbe trovato molto maleducato, se non fosse stato che tutto ciò che quello sconosciuto suscitava in lei in quel momento era un disgusto che cercava di celare.

-Ancora qui stai?-. Gli si rivolse scortesemente Riccardo, tirando il cassetto dal bancone da cucina.

-Sì, ancora qui sto-. Rispose il tizio con un sorriso cattivo che a Silvia mise i brividi ma che, almeno in apparenza, a Riccardo non fece né caldo né freddo. -Non me ne vado, pischello-.

Riccardo gli rivolse un’occhiata inceneritrice, prese le chiavi del motorino e sbatté il cassetto nel richiuderlo poi, senza aggiungere una parola, percorse a grandi passi i pochi metri che lo separavano dalla soglia, seguito da Silvia che mormorò un timido -Arrivederci- che non ebbe mai risposta, e uscì sbattendo rumorosamente la porta.

-Chi era quello?-. Chiese Silvia quando furono usciti dal cancello.

-Uno stronzo-. Rispose secco Riccardo, aprendo il baule del motorino e tirandone fuori un casco. -E non mi va che parliamo di lui, okay?-. Aggiunse con un tono di voce alterato. Silvia fece un cenno del capo come a dire “come ti pare” e incrociò le braccia in attesa che Riccardo richiudesse il baule. -Cazzo-. Inveì Riccardo quasi sottovoce.

-Che c’è?-. Domandò Silvia, preoccupata non tanto dall’esclamazione in sé, ma ancora stranita da quell’incontro. -Che succede?-.

-Ho un solo casco-. Riccardo si batté una mano sulla fronte dandosi mentalmente dell’idiota da solo.

-Fa niente-. Replicò Silvia con un gesto di noncuranza della mano. -Io posso stare senza, non c’è problema-. Oh, invece il problema c’era eccome, pensò dentro di sé Silvia, cercando di non farsi tradire dall’espressione del suo viso. Già l’idea di farsi un’ora di viaggio sul motorino con un ragazzo che non aveva mai visto guidare non la lasciava molto tranquilla, per giunta senza casco… se lo avesse saputo sua madre!

-No, ci mancherebbe, tu lo metti-. Ribatté Riccardo passandole un casco grigio metallizzato. -Sto senza io, tanto l’ho già fatto mille volte. Spero solo che non ci becchino-.

-Okay-. Rispose semplicemente Silvia, infilandosi il casco che le andava un po’ largo e salendo a cavalcioni del motorino dietro Riccardo per poi cingergli i fianchi con le braccia.

-Silvia, sei tesa?-. Chiese Riccardo dubbioso, voltandosi per guardarla.

-No, perché?-. Domandò lei che, palesemente nervosa, sentì il forte istinto di portarsi una mano alla bocca e iniziare a rosicchiarsi le unghie ma, senza farlo notare, prese un respiro e si trattenne. -Dovrei?-. Aggiunse con una risatina che le uscì terribilmente stridula.

-Non dire balle-. Ribatté Riccardo con un gran sorriso, illudendosi che Silvia fosse nervosa per il fatto di trovarsi appiccicata a lui in quel modo. -Stai tremando, Silvia-.

-Il motorino mi fa paura-. Ammise Silvia in un mormorio sommesso, arrossendo e arrabbiandosi con se stessa nel sentirsi una bambinetta paurosa.

Riccardo fece una risata, cercando di nascondere la delusione che l’aveva invaso nell’apprendere il vero motivo di tutto quel nervosismo. -Guarda che guido bene, non hai niente di cui avere paura-. Disse.

-Non è questo-. Spiegò Silvia con una vocina lamentosa. -E’ che io in moto non ci sono mai andata-.

-Cosa?-. Esclamò Riccardo con un sorriso divertito. -Mi stai dicendo che in diciassette anni tu non sei mai salita su una moto?-. Silvia annuì. -Ma com’è possibile?-. Continuò Riccardo, che sembrava divertito dalla situazione, e Silvia alzò le spalle. -Be’, stai tranquilla-. Disse Riccardo con un sorriso dolce, pensando che forse questo le sarebbe stato un po’ più d’aiuto che scoppiarle a ridere in faccia. -Starò attentissimo, guiderò bene-.

-Pensavo che guidassi sempre bene-. Ribatté Silvia, alzando un sopracciglio ed esibendo un sorrisetto ironico per cercare di smorzare l’atmosfera di tensione.

-Certo, io guido sempre bene-. Replicò Riccardo rispondendo al suo sorriso con un intenso sguardo di sfida. -Ma, visto che sto portando te, oggi guiderò ancora meglio. Tu non ti agitare, stringiti a me e ascolta un po’ di musica se ti aiuta. Ce l’hai l’Ipod, no?-.

Silvia annuì, tirò fuori l’Ipod dalla borsa, infilò gli auricolari e mise l’opzione random, poi si strinse alla vita di Riccardo che intanto girava le chiavi nel motorino e metteva in moto, e i due partirono verso il porto

   
 
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