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Autore: Eko1    28/06/2012    0 recensioni
Una storia semplice, semplicissima. Lui, lei e qualcun altro. Due ragazzi normali che si incontrano, che litigano, che si prendono anche a pugni.
Ma le cose sono davvero così semplici? Ma l'amore, in sè, è veramente così semplice?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Misi in terza, lasciando con scioltezza la frizione e accelerando, lasciavo che la strada scorresse sotto le ruote della mia renault. Aguzzai la vista per cercare di mettere a fuoco una zona della strada poco illuminata dai lampioni, prima che i fari la mettessero in luce. Girai appena lo sguardo verso la mia destra e incontrai il suo. Lo distolsi immediatamente, imbarazzata.

“Non mi guardare così, lo sai che mi da fastidio.” dissi, concentrandomi sulla strada. Lui sorrise appena, arricciando le labbra.

“Per questo lo faccio. Vedi, non c'è niente di meglio che metterti in imbarazzo.” mi rispose, senza smettere di sorridere. Si sentiva che non era italiano, arrotondava le v facendole diventare quasi b, gli accenti delle e erano diversi da quelli che usavo io. Le s sibilanti, quasi tutte, il suo modo di parlare raggruppando le parole e poi fare una pausa, per poi riprendere subito dopo. Lo trovavo irresistibile, anche se lui lo considerava un difetto. Frenai per evitare due ciclisti senza i fanalini e mi trattenni nel suonare il clacson ed insultarli.

“Non è carino essere divertiti dal mio imbarazzo.” gli dissi di rimando, mentre mi infilavo in un parcheggio. Spensi la macchina “Siamo arrivati, hai intenzione di rimanere in macchina?” lui scese senza rispondermi e sbattè la portiera, ed io repressi un moto di fastidio.

“Ti giuro, quando ti comporti così ho l'irrefrenabile impulso di schiaffeggiarti.” chiusi la mia portiera e chiusi la macchina. Mi ero ricordata di prendere la borsa, per fortuna.

“Scusa che ho fatto?” faceva il finto innocente, gli occhi neri che mi guardavano come se davvero non avesse fatto nulla “mm...hai intenzione di venire con quelle scarpe?” indicò le mie DC con un gesto del mento. Sospirai e riaprii la macchina.

“Ah per me puoi venire anche nuda...in tutti i sensi...” ridacchiò. Con lui i doppi sensi erano all'ordine del giorno, anzi, del minuto. Sbuffai e mi misi una mano sulla fronte, colta dalla disperazione. Aprii il bagagliaio e tirai fuori un paio di scarpe nere col tacco, che tenevo sempre in un sacchetto, per occasioni come queste in cui bisognava vestirsi in una certa maniera. Lui incredibilmente si era lasciato convincere a vestirsi elegante.

“Sistemati la camicia, il colletto...” lo rimbrottai infilandomi le scarpe. Ora ero alta quasi come lui, ma molto meno stabile. Chiusi il bagagliaio e feci un barcollante passo indietro. Lui mi prese per i fianchi, dolcemente. Appoggiò il mento sulla mia spalla, guardandomi di soppiatto. Lo guardai anch'io e gli diedi un bacio su una guancia. Odorava di dopobarba, per quanto un ragazzo di diciotto anni potesse avere una barba da farsi. Mi rimisi in una posizione stabile e chiusi la macchina.

“Grazie...” gli dissi “ ..so che l'hai fatto solo perchè sennò poi ti sarebbe toccato tirarmi su da terra mentre bestemmiavo!” sdrammatizzai subito la situazione e spezzai il filo di romanticismo che si era creato tra di noi. C'erano linee, grosse linee che non dovevano essere superate, per una serie infinita di motivi che non volevo nemmeno elencarmi in testa.

“Prego...andiamo?” mi porse il braccio, ma non potei non notare che aveva perso all'improvviso la spavalderia e l'arroganza che lo contraddistinguevano. Intrecciai il mio braccio al suo e cominciammo ad avvicinarci al ristorante.

“Senti...se chiedono qualcosa, io ti ho solo accompagnato qui...” misi, metaforicamente,le mani avanti, mentre cercavo di evitare di cadere e rompermi qualcosa.

“Perchè, ci dovrebbe essere qualcosa di più? Ti interessa così tanto che parlino?” mi chiese. Mi faceva sempre questo tipo di domande, che mi lasciavano spiazzata e confusa.

“No, non dovrebbe esserci, e se permetti mi da fastidio che parlino di noi...” dissi.

“Ah quindi c'è un noi?” era sempre più divertito. Gli lasciai il braccio, stizzita.

“No, non c'è nessun noi, c'è un me stessa che non vuole che si spettegolino cazzate sul suo conto, tu fai quello che vuoi, hai capito?” sibilai, cominciando a camminare più svelta verso la porta del locale. Lui mi raggiunse senza fatica, ridendo sguaiatamente. Entrammo quasi insieme e lui si mise subito di nuovo accanto a me.

“Buonasera.” salutò il maitre, ossequioso “Siete qui per il diciannovesimo? “ ci chiese. Annuimmo.

“Io sono Emma Mazzucco e lui è...”

“Il suo cavaliere, suppongo.” il maitre mi precedette, regalandomi un lungo sguardo pieno di sottintesi. Sbuffai.

“No guardi, lui è un amico di mio fratello, che è il festeggiato, e io l'ho portato qui solo perchè...”

“Oh mi amor, l'ha capito anche il signore, querida, che io e te siamo insieme...non ti imbarazzare dai...” Santiago mi abbracciò da dietro, mentre io ero sempre più confusa e imbarazzata.

“No guardi veramente...e tu finiscila...c'è un grosso errore in tutto questo...” cercai di divincolarmi ma non volevo nemmeno cadere rovinosamente a terra trascinando con me lui e il vaso da fiori vicino a noi. Il maitre sorrise ancora di più.

“Vado a chiamare il festeggiato, un momento prego...” l'uomo si girò e Santiago mi lasciò i fianchi.

“Sei scemo?” mi girai verso di lui, furibonda “sei deficiente? Ti ho appena detto che non voglio che parlino...” fu una cosa fulminea, imprevista. Mi cinse di nuovo i fianchi e appoggiò le labbra alle mie, delicatamente. Non avevo mai sentito delle labbra così piene e morbide, mai, in nessun uomo.

“Emma...?” sentii il mio nome e il cuore mi finì nello stomaco. Mi staccai da Santiago più veloce che potevo, mentre lui sorrideva sempre di più.

“Marco, davvero...è stata colpa sua.” cercai di giustificarmi con mio fratello che mi guardava come se avessi tre teste. Santiago sorrise anche a Marco, che si limitò ad accennare un saluto con la mano.

“Vero...colpa mia...ma tua sorella è troppo bella stasera, non ho resistito...” gli arrivò un ceffone a piena mano sulla guancia sinistra. Non se l'aspettava assolutamente, ma mi ero ripresa abbastanza da capire la situazione di merda in cui mi ero cacciata. Frugai in borsa in cerca delle chiavi della macchina e non appena le trovai, scesi dai tacchi.

“Marco, scusami ma io me ne vado. Non ho intenzione di restare qui a farmi prendere per il culo dai tuoi amici arroganti e coglioni “scoccai uno sguardo al ragazzo di fianco a me, che si stava ancora massaggiando la guancia “quindi ci vediamo un giorno di questi, va bene? Magari pranziamo insieme?” domandai e mio fratello annuì, poco convinto. Lo salutai con la mano e raccolsi i bordi del vestito da terra, stringendoli in una mano. Ora potevo camminare più velocemente, sopratutto a piedi nudi.

“Arrivederci signore e se la prossima volta può evitare di fare inutili supposizioni le sarei davvero, ma davvero molto grata” dissi al maitre che era rientrato da poco nell'atrio.

“Buona serata Marco e tanti auguri!” spalancai la porta ed uscii dal locale. La mia respirazione tornò normale mentre camminavo verso la macchina. Premetti il pulsante e le luci lampeggiarono due volte, segno che la macchina si era aperta.

“Santiago, vai fuori dalle palle. Vai dentro, goditi la festa, sbattiti qualcuna della tua età ma smettila di darmi fastidio.” mi sentivo proprio una stupida.

“Ma dopo chi mi riporta a casa se non lo fai tu?” aveva la voce lamentosa, quasi da bambino triste.

Chiusi la portiera dietro di me e abbassai il finestrino. Il suo viso olivastro, incorniciato da una massa fittissima di riccioli neri, era a pochi centimetri dal mio.

“Allontanati Santiago. Veramente, questa puttanata non me la dovevi fare. Trovi qualcuno che ti accompagni, anzi qualcuna, così magari rimedi anche la scopatina giornaliera e ti senti meno solo.” alzai il finestrino e feci la retro. Partii, mentre davo un'occhiata al retrovisore. Lui era lì, immobile, in piedi che guardava la mia macchina sparire dal parcheggio. Quando feci la curva mi fermai in uno spiazzo sterrato e riaprii il finestrino. Mi accesi una sigaretta con l'accendisigari e guardai il fumo avvilupparsi nella notte. Speravo che con l'età sarei diventata più adulta e responsabile, più convinta che i ragazzi più piccoli di me non avevano nulla da offrirmi. Che poi, quattro anni non erano molti.

“Certo, non sono tanti se tu ne hai trentaquattro e lui trenta, ma se lui ne ha diciannove e tu ventitre, conta eccome.” mormorai, scenerando fuori dal finestrino. Non erano tutti gli amici di mio fratello a farmi quell'effetto. Era solo lui. Con gli occhi color petrolio e i capelli ricci, nero blu. Lui che sembrava molto più grande della sua età ma che mentalmente aveva quattordici anni. E io che mi ero fatta fregare come una ragazzina. Presi il telefono e chiamai Alex, per sapere se era già tornato a casa. 

  
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