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Autore: Eko1    23/07/2012    0 recensioni
Una storia semplice, semplicissima. Lui, lei e qualcun altro. Due ragazzi normali che si incontrano, che litigano, che si prendono anche a pugni.
Ma le cose sono davvero così semplici? Ma l'amore, in sè, è veramente così semplice?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Si...no...no non oggi mamma...domani...si mamma, alle dieci...ma non lo so quando arrivo, parto alle dieci, per l'una sono a casa...ma si mamma, dio mio ormai sono più sugli aerei che a terra! No mamma, ci sono i controlli...mamma devo andare, davvero, mi si sta scuocendo la pasta e Alex non sopporta la pasta scotta lo sai! Si...” alzai gli occhi al cielo “ anche io mamma...ciao, ciao!” chiusi la conversazione e sbattei il cellulare sulla penisola della cucina. Andai ad alzare la radio e canticchiai per un po' una canzone di cui non ricordavo il titolo. Scolai la pasta ma non c'era nessun Alex a non sopportare che la pasta si scuocesse. Non c'era più da quasi due anni ormai. Sbattei la pasta nella padella con il sugo e la feci saltare un paio di volte, per amalgamare il tutto, poi la misi nel piatto. Presi una birra scusa dal frigo e la aprii, inumidendomi le mani con la condensa della bottiglia. Me ne versai un bicchiere e la bevvi d'un fiato. Alex. Guardai il calendario che sul frigo aveva preso il posto delle nostre foto. Segnava il tredici luglio. Il quindici luglio di due anni prima io e Alex ci eravamo lasciati. Anzi, io avevo lasciato lui. Mi misi a mangiare cercando di non pensarci, cercando di non pensare a cosa avrei detto a mia madre, di cosa avrei detto ai miei amici. Dopo due anni, non avevo ancora avuto il coraggio di dirglielo.Emma e Alex, la coppia perfetta. Certo, se lui non avesse avuto il piccolo vizio di scoparsi la sua segretaria al lavoro. Lanciai il piatto ancora mezzo pieno nella spazzatura, non avevo nemmeno più voglia di mangiare. In compenso mi accesi una sigaretta e aprii la finestra. Contemplai la Tourre Eiffel illuminata quasi a giorno e pensai che solo fino a pochi anni fa l'avevo vista soltanto da turista, ma Parigi mi aveva conquistata. Era il mio viaggio di maturità, io e la mia migliore amica eravamo partite da Venezia con lo zaino sulle spalle e le scarpe da camminata ai piedi. Avevamo girato tutta la Francia in treno, dormendo sulle panchine e negli ostelli, finchè non eravamo arrivate a Parigi. Quando tornammo a casa, io feci domanda alla scuola di cucina di Alain Ducasse. In Italia ci tornavo il meno possibile, ormai consideravo Parigi come casa mia. Ero diventata una chef principalmente per ripicca nei confronti dei miei, che mi volevano medico.

“Anche io salvo la vita alla gente, papà. Non hai idea di quanto possa nuocere alla vita di una persona un cibo cucinato da cani” gli ripetevo sempre, tanto che lui aveva scolpito questa frase su una tavola di legno che poi aveva appeso in cucina suscitando le proteste di mia madre, che pensava fosse rivolto a lei. Alex diceva sempre che ero la migliore del mondo a cucinare, anche una pasta al pomodoro. Scossi la testa inspirando l'aria estiva. Sette anni di relazione buttati nel cesso, letteralmente, visto che il solitario che portavo al dito era finito esattamente nella tazza. Il telefono squillò ma non avevo voglia di rispondere.

“Spiacente non sono in casa, se volete lasciate un messaggio.” la mia voce registrata in due lingue, italiano e francese, uscì meccanicamente dalla segreteria. I miei superiori si erano lamentati tamente tanto che alla fine mi ero decisa a comprare una stramaledetta segreteria telefonica, così potevo ascoltare messaggi di persone di cui non mi importava assolutamente nulla. Almeno con il cellulare guardavo il numero e ignoravo la chiamata, ma con la segreteria non era possibile. Maledetta lucetta rossa. Spensi la sigaretta nel posacenere ormai stracolmo e misi in borsa un maglioncino leggero accanto all'ombrello, perchè a Parigi il tempo cambiava in un battito di ciglia. Avevo sentito molti lamentarsi del tempo di Londra, ma evidentemente non avevano mai abitato a Parigi, Eppure a me non sarebbe mai venuto in mente di lamentarmi, non di Parigi almeno. Mandai un messaggio alla mia migliore amica e mi infilai in macchina prima di essere tirata sotto da una folla di ciclisti impazziti. Il cellulare squillò non appena appoggiai il sedere sul sedile, quindi decisi di rispondere.

“Si?” risposi, mentre cercavo le sigarette.

“Mi vieni a prendere direttamente davanti al centro? Ho finito tardi ma la doccia la faccio dopo, a casa...” la voce di Sara non mi sorprese. Annuii, poi mi ricordai che non poteva vedermi e decisi di tradurre il mio gesto in parole.

“Certo, tra dieci minuti se non becco il bus di Père-Lachaise che come al solito blocca tutto, se lo becco conta dieci minuti in più...oggi solito?” domandai, sapendo già la risposta.

“Certo che sì, mi sembra ovvio!” esclamò lei dall'altra parte. La salutai e misi in moto la macchina. Dovevo anche fare benzina, ma ci avrei pensato più tardi. Mi accesi una sigaretta e mi gettai tra le braccia del traffico parigino cercando di non uccidere nessuno.

Venti minuti dopo mi fermai accanto ad un marciapiede e tirai su Sara che si infilò velocemente in macchina.

“Come è andata oggi?” domandai mentre ricominciavo a guidare.

“Bene, più vado avanti più penso che fisioterapia sia proprio quello che voglio fare...stiamo sperimentando una nuova tecnica in acqua, una roba pazzesca...” mi spiegò la tecnica mentre si rifaceva la coda. Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, castani, appena ondulati. Parcheggiai davanti a quello che in questi anni era diventato il nostro bar, anche se io continuavo a sperare di non incontrare Alex. Aveva cambiato giro evidentemente, non lo vedevo quasi più. Sara mi fissò prima di aprire la portiera.

“Hai una faccia...o ti ha chiamata Alex o ti ha chiamata tua madre...”

“Mia madre, domani parto perchè tra due giorni è il compleanno di mio fratello e figuriamoci se posso mancare...” scesi dalla macchina e mi accesi una sigaretta poi controllai nel pacchetto “..è quasi vuoto poi mi ricordi che le devo comprare?” lei mi tese l'accendino, annuendo.

“Direi che ci mettiamo fuori, è una serata perfetta...” nascondemmo le sigarette accese con nonchalance, salutammo i baristi e salimmo la scala che portava al piano di sopra. Mi piaceva quel posto, con le sedie di legno e stoffa, il soffitto di legno scuro e il bancone lucido, ma sopratutto mi piaceva come facevano da mangiare. Sara spalacò la porta della terrazza e mi fece passare. Lì erano state messe alcune poltrone bianche ed alcuni tavolini di vetro, bassi e stondati. Presi un menù e lo richiusi. Sara lo scorse tutto, come quasi ogni sera, poi ordinò.

“A furia di bistecca e patatine ci butteranno fuori...qui fanno un pollo meraviglioso ma tu no...bistecca e patatine...bistecca e patatine...però stasera la birra invece della coca cola, facciamo passi avanti!” Sara fece uno sberleffo al mio sarcasmo, tirando fuori la lingua. Io non avevo fame, ma ordinai lo stesso un soufflè al cioccolato e arancia. Soffiai in alto il fumo, che si disperse nel cielo ormai blu.

“L'unica pecca di Parigi è che non ci sono stelle...”mormorai. Sara sbuffò.

“Ultimamente sei così piagnona...ma a proposito di compleanni, hai più sentito Santiago?” mi domandò. Ci misi un paio di secondi a ricordare. Due occhi scuri, pelle piuttosto scura, capelli nerissimi riccioluti... scossi la testa.

“Sara, è stato un bacio dato da un ragazzetto, ormai sono passati due anni...” le dissi sorridendo. Lei alzò le spalle, ma quello che voleva dire fu interrotto dall'arrivo delle nostre cose. Affondai il cucchiaio nel soufflè. Perfetto, come tutte le volte.

“Comunque no, non lo sento più da...due anni, appunto. Spero che continui così, sono felice e soddisfatta della mia vita, non ho intenzione di andare ad infognarmi in cose che non portano da nessuna parte...” lei mi guardò, puntandomi contro la forchetta.

“Quando cerchi così tante giustificazioni, tu, vuol dire che hai qualcosa da nascondere...mi nascondi qualcosa, Emma?” io feci finta di essere spaventata dalla forchetta.

“Eh...si...in effetti...stamattina ho usato il tuo spazzolino, non so più dove sia il mio!” esclamai, con aria colpevole. Lei abbassò la forchetta ridacchiando e si rimise a mangiare, io raschiai fino in fondo il mio soufflè, guardandomi in giro. Il semaforo della strada accanto alla terrazza diventò rosso e io mi ricordai del messaggio in segreteria.

“Faccio una telefonata un secondo...” Sara nemmeno mi ascoltò, stava chiedendo al cameriere il dessert. Digitai il mio numero di casa insieme aa due codici che mi avevano dato i gestori. Per ascoltare la segreteria anche fuori di casa, che tradotto nella mia lingua suonava come una connessione continua ai rompicoglioni.

“Spiacente non sono in casa, se volete lasciate un messaggio!” questo lo sapevo già.

“Ehi ciao...tuo fratello mi ha detto che torni uno di questi giorni...ti va di vederci, bere un caffè, parlare un po'? Forse dovremmo, che ne pensi? Un bacio.” rimasi alcuni secondi in silenzio, poi riascoltai il messaggio. Quelle esse appena sibilate, le parole raggruppate...tornai al tavolo e vidi Sara attaccare la seconda vaschetta di profiteroles. Masticando mi rivolse uno sguardo interrogativo.

“Alex?” fu quello che riuscii a capire mentre deglutiva. Scossi la testa senza sapere se ero felice o scioccata. Tirai su un po' di crema che colava dalla scodella e mi infilai l'indice in bocca, scuotendo appena la testa.

“Indovina un po'? Parli del diavolo..” mi sfilai il dito di bocca e mi pulii sul tovagliolo “non era Alex...incredibilmente, inaspettatamente, improvvisamente....era Santiago.”

  
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