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Autore: _vally_    13/01/2007    5 recensioni
House e la sua equipe alle prese con uno stranissimo caso, ma strano è anche quello che sta succedendo al Plaisboro. Cosa è successo tra Wilson e la Cuddy? Perchè Chase si comporta in modo così insolito? E House, che continua a provocare Cameron...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 17

 

31 gennaio, h 19.20

Ufficio della Cuddy

 

Qualcuno bussò alla porta, dopo aver abbassato la maniglia invano.

Wilson guardò tra le persiane.

“E’ House.” disse, rivolto alla Cuddy.

Lei si asciugò gli occhi nervosamente, col dorso della mano.

“Fallo entrare.” ordinò all’oncologo, sperando di essere presentabile.

L’ultima cosa che avrebbe potuto sopportare in quel momento era qualche sarcastica battuta del più impegnativo dei suoi medici.

Wilson girò la chiave e aprì la porta, incontrando lo sguardo perplesso di House e Cameron.

“Abbiamo interrotto qualcosa?” chiese lei.

“Entrate.” Wilson incrociò lo sguardo di House e ci lesse qualcosa di…non riusciva a definirlo in nessun’altro modo se non “insolito”.

“Ti permette di fare sesso con lei in ufficio? Allora è una cosa seria! Questo posto è sacro per la regina del Plaisboro…” le ultime parole gli morirono in bocca, quando i suoi occhi si posarono sul viso distrutto della Cuddy. “E’…colpa mia?”.

Aveva umiliato e maltrattato la Cuddy diverse volte, e lei più volte si era arrabbiata, gli aveva urlato dietro e si era vendicata. La discussione di poco prima nel suo ufficio era sicuramente un buon motivo per fargli passare qualche giorno chiuso in ambulatorio, ma addirittura piangere…

“Non sei il centro del mio mondo House.” rispose lei acida, alzandosi e avvicinandosi a loro.“Cosa vuoi ancora?”

“Lisa…stai bene?” Cameron si rese conto che doveva essere successo qualcosa di grave per ridurre in quello stato la Cuddy.

“Dille di no, se vuoi regalarle qualche momento di piacere estremo. Ma aspetta che io esca di qui, si creerebbe una scenetta patetica che mi farebbe venire il volta stomaco.” House si diresse verso la fornitissima libreria addossata alla parete dell’ufficio. “A meno che non vogliate abbracciarvi, baciarvi, o qualcosa di simile. In quel caso rimango!”

“Mi dici perché sei qui?” l’impazienza nella voce della Cuddy e il suo leggero tremore, fecero capire a Wilson che non avrebbe trattenuto a lungo le lacrime, e che voleva liberarsi dei due ospiti nel più breve tempo possibile.

“Mi serve un libro…” rispose distrattamente House, incominciando a scorrere i titoli dei testi.

“Cameron vieni a darmi una mano. Tanto non ti butterà addosso i suoi dispiaceri, non è tipo. Dopo ti lascio un po’ sola con Chase, quel bambino l’ha sconvolto e tra breve crollerà. La madre morta alcolizzata, il papà che lo ha abbandonato…vedi come ti diverti!”

La dottoressa si avvicinò a lui, e lo fulminò con lo sguardo.

“Hai visto? Non sono un tipo geloso.” mormorò il diagnosta, ma la sua attenzione era ormai concentrata interamente su un grosso volume incastrato sotto diversi libri.

“Cosa stai cercando?” Wilson si avvicinò agli altri due medici, sperando di affrettare la loro uscita di scena.

“Trovato!” House afferrò saldamente il tomo e tirò con forza. Come aveva previsto, gli altri libri caddero rovinosamente a terra, facendo una gran baccano.

“Hai un’assistente, o qualcosa del genere vero? Fai mettere a posto a lei.” House si avviò svelto verso l’uscita, facendo gesto a Cameron di seguirlo.

Arrivato alla porta però si voltò di scatto. “Ma non mi dici niente? Non urli? Non mi minacci?Sai che ho bisogno di certe attenzioni io…” disse esasperato, rivolto alla Cuddy.

Wilson si voltò a guardarla, preoccupato. Si rendeva conto che in un momento come quello, House non era la persona migliore da avere attorno.

“E’ morto mio padre, l’ho saputo pochi minuti fa.” Lisa fece un grande sforzo per pronunciare queste parole, che spiegavano tutto e nello stesso tempo niente.

House abbassò lo sguardo; sapeva che suo papà era malato, avrebbe dovuto capire quello che era successo appena entrato in quella stanza. Quei minuti in ascensore gli avevano confuso i sensi, e il suo acuto spirito d’osservazione era temporaneamente fuori uso.

Cameron rimase immobile, senza dire niente. Fosse stata in un’altra situazione avrebbe avuto per lei qualche parola di conforto, forse l’avrebbe abbracciata. Ma temeva il giudizio di House, e non voleva ispirare qualche battuta delle sue, che avrebbe potuto ferire ulteriormente la Cuddy.

“Bhè, allora pensaci tu. Fare un po’ d’ordine qui dentro potrebbe essere un buon modo per distrarti.” House non riuscì a guardarla negli occhi, ma posò lo sguardo per qualche istante in quelli di Wilson. “Occupati di lei.” voleva dirgli.

Sentì con sicurezza che l’amico aveva colto il messaggio.

Lasciò la stanza, rendendosi conto solo a qualche metro dall’ufficio, che stava tenendo Cameron per mano. L’aveva tirata dietro di sé, quando si era accorto che era rimasta impietrita a fissare la Cuddy.

“Ti sembra una cosa da dire in questi momenti?” chiese l’immunologa, sciogliendo la presa, e guardandolo indignata.

Sentì ancora quel moto di tenerezza nei suoi confronti. Quei comportamenti che prima lo irritavano, ora gli facevano venire voglia di baciarla e di stringerla; era decisamente nei guai.

“Mi sono reso conto che la reazione migliore è stata la tua, ma non volevo fregarti l’idea. E’ tuo il copyright sul rimanere imbambolati a fissare le persone.”

“Non…”

“Andiamo in laboratorio.”

 

31 gennaio, h 19.25

Laboratorio del Princeton Plaisboro Teaching Hospital

 

Chase era assorto nei suoi pensieri, gli occhi al microscopio, cercando di identificare quello strano parassita. Gli ricordava qualcosa, ma non sapeva dove l’aveva già visto. Forse durante i primi anni di medicina…

Il tonfo sordo fatto dal grosso libro che House lanciò in malo modo sul tavolo accanto a lui, lo fece sobbalzare.

“Scusa non volevo spaventarti.” scosse la testa “Non riesco proprio a mentire…volevo decisamente spaventarti!”

“E ci sei riuscito.” disse Chase, buttando l’occhio sulla copertina del libro. “Patologie pre-natali? A cosa ci serve?”

“A identificare quel parassita.” House si avvicinò al microscopio. “Ahhh…sono troppo vecchio. Cameron prova tu.”

Anche la dottoressa osservò il parassita. “E’ insolito ma…mi è familiare.”

“Già, primo o secondo anno di medicina. Parassiti che possono uccidere ma…un feto. Se ce l’hai, non arrivi neanche alla nascita. Nella placenta però si può trovare qualche sua traccia…”

“Ma sei sicuro?” Cameron lo guardava perplessa.

“No! Per questo che ci serve questo libro. Dobbiamo identificare il parassita e le sue proprietà. Sono sicuro che qui c’è.”

“Ma ci sono elencati...quasi cento parassiti” Chase sfogliò rapidamente l’indice.

“Bene. 15 secondi a parassita fanno…” House ragionò per qualche istante “…25 minuti! E siete anche in due, pensate che fortuna! Cameron, confronta la foto con l’immagine al microscopio, Chase scorri rapidamente i sintomi che può provocare. Tutto ciò che riguarda convulsioni, paralisi e problemi motori in generale, così come arresto respiratorio dato da paralisi polmonare, ci riguardano.” Sollevò il volume e lo lasciò cadere tra le braccia di Cameron, che per poco non cadde sotto quel grosso peso. “Ci vediamo tra massimo 25 minuti in ufficio. Buon divertimento!”

Sotto gli occhi sbalorditi dei due medici, House lasciò il laboratorio senza aggiungere una parola.

 

31 gennaio, h 19.30

Ufficio di House

 

“Ti stavo cercando.” Foreman andò incontro ad House, appena questo varcò la soglia del suo ufficio.

“Anch’io. Non sai quanto sono contento di vederti…”

“Cosa?!”

“Lascia perdere. Ti avevo scambiato per il mio spirito guida. E’ un santone africano morto qualche secolo fa…” House non aveva mai capito a pieno il perché, ma Foreman aveva la capacità di tirarlo coi piedi per terra in pochi secondi, e ora ne aveva proprio bisogno. “Ci sono novità?” chiese, cambiando discorso.

“Eccome!” l’entusiasmo del neurologo per quel caso lo contagiò immediatamente.

House si complimentò mentalmente con se stesso per averlo assunto, e non era la prima volta che lo faceva.

“Dov’è il ragazzino?”

“Lì.” Foreman indicò un ammasso di lenzuola nascoste dietro ad alcune sedie “Gli ho fatto un’altra dose di sedativo, ma non dormirà ancora a lungo.”

Un’altra dose di sedativo a un bambino? Senza farsi venire sensi di colpa? Si, senza dubbio: lo adorava!

“Ho trovato qualcosa: un parassita. Non sono riuscito ad identificarlo però…”

“Ci stanno pensando i tuoi fratellini.”

“Sapevi del parassita?”

“Chase ne ha trovata una colonia nel campione di placenta che ha analizzato.”

“Cos’è?”

“Non lo sappiamo ancora. Chase e Cameron stanno facendo una ricerca bibliografica. Sai, come alle elementari…” guardò l’orologio. “Tra massimo un quarto d’ora saranno qui.”

Il neurologo annuì, pensieroso.

“Ah! Una cosa importante.” Foreman si illuminò. “Non è vero che il braccio è paralizzato da anni…è solo qualche mese.”

“Come l’hai scoperto?”

“Gli ho fatto qualche domanda tra una dose di sedativo e l’altra. E’ stato molto collaborativo, non credo abbia mentito. Non era molto lucido…”

Torchiare il ragazzino sfruttando gli strascichi narcotici del periodo post-sedativo. Geniale…

Un sorriso appena percepibile si formò sulle labbra di House.

Sentiva che stava arrivando alla soluzione di questo caso; i pezzi del puzzle incominciavano a mettersi insieme.

“Aggiorniamo la lavagna” non vedeva l’ora di tornare a giocare un po’ coi suoi pennarelli.

“Già fatto.”

Ecco come perdere cento punti in pochi istanti.

House lo fulminò con lo sguardo, ma si trattenne dal dirgli cattiverie. Alla fine aveva fatto un buon lavoro.

“C’erano tanti elementi nuovi…ero qui a fare niente...” Foreman tentò di giustificarsi ma, vedendo che House non era andato oltre un’occhiataccia, lasciò perdere.

“Il parassita era morto. Questo può spiegare perché la malattia non è degenerata nel corpo di Elliot.”

House annuì.

“C’è un elemento che non torna però.”

“Meno male! Se spieghi tutto tu, io cosa faccio? Mi sentivo già un vuoto dentro…” House si massaggiò lo stomaco. Forse il vuoto veniva da lì, visto che non aveva mangiato. O era il cuore che aveva perso qualche battito quando Cameron aveva tirato quel bottone? Cercò di concentrarsi sul caso.

“Ho trovato anomalie nel flusso sanguigno del cervello di Elliot, come in quello di sua madre, ma qui limitate solo alla corteccia motoria.”

“Bene. Corteccia motoria, disturbo motorio. Più logico di così…” commentò House.

“Troppo logico, e troppo semplice. Le aree della corteccia che presentano anomalie in Elliot sono diverse da quelle danneggiate nel cervello della Pivet. Ma c’è un elemento in comune: cicatrizzazione nell’area di Broca.”

I due medici si guardarono per qualche secondo.

“Oddio, ma cosa sta succedendo? Ci siamo scambiati i cervelli?! Io ho detto una frase tua, tu una mia! Io non voglio risvegliarmi nel tuo corpo! E’…nero!”

Foreman spalancò gli occhi. “House, ma stai bene?”

Il diagnosta si passò una mano sulla fronte. “Si, ho solo bisogno di un caffè.” Si avvicinò alla macchinetta, guardandosi in giro. “Nella mia tazza! Voglio la mia tazza!”

Foreman abbassò lo sguardo, sperando che cambiasse in fretta discorso.

Questi sbalzi d’umore erano tipici di House, ma di solito passava da uno stato depressivo a uno aggressivo/sarcastico, e viceversa. Il suo lato isterico era una novità.

Lui rimaneva fermo nelle sue convinzioni… L’aveva visto perdere il controllo così solo in un periodo, ed era quello in cui era tornata Stacy. Ora Stacy era lontana, ma lui si era accorto di come il suo capo guardava Cameron, da quando aveva saputo della sua avventura con Chase…

“La vuoi finire di fissarmi?” il tono irritato di House distolse il neurologo dai suoi pensieri. “Beviamoci questo caffè, avremo bisogno di essere nel pieno delle forze quando il piccolo psicopatico si sveglia.”

Foreman incominciò a preparare il caffè, tenendo d’occhio House con la coda dell’occhio. C’era decisamente più di uno psicopatico in quella stanza…

 

Dopo pochi minuti, Chase e Cameron entrarono rapidamente in sala equipe.

L’immunologa reggeva a fatica l’enorme libro.

“Che cavaliere!” commentò House rivolto a Chase, mentre liberava la dottoressa dal grosso peso.

“Grazie.” mormorò lei, un po’ stupita da quel gesto gentile. Quando le loro mani si sfiorarono, percepì come una scossa elettrica.

House se ne accorse e ne fu felice.

Felice?!

Diciamo compiaciuto…

“Ah, scusami Allison.” ma Chase era concentrato su tutt’altro.

Elliot era seduto tra le lenzuola, e lo guardava in silenzio. I capelli scompigliati, la faccia stropicciata: sembrava un normale bambino appena svegliatosi.

“Avete scoperto cos’ha mia mamma?” domandò a bruciapelo, come se stesse continuando una conversazione iniziata in sogno.

“Tua mamma è morta.” disse House serio, catturando il suo sguardo.

Il bambino lo fissò, e lentamente un sorriso si fece largo sul suo viso. “Sta mentendo.”

“Sei un mostro.” ribatté il diagnosta, rispondendo al suo sorriso, con uno ancora più ambiguo.

Cameron aveva la pelle d’oca.

Foreman si avvicinò al ragazzo e gli prese il polso. “Ti senti debole o strano?”

“No dottor Foreman, sto bene.”

House si avvicinò ai due; il neurologo non si spostò, non si fidava a lasciare il ragazzo nelle sue mani: erano due soggetti pericolosi, ed il suo capo era più grosso.

House prese il giaccone di Foreman e glielo gettò addosso. “Facciamo lo stesso gioco che abbiamo fatto prima, quello dove io lavoro e tu stai sul balcone a guardare i fiocchi di neve che cadono, senza ipnotizzare nessuno.”

Questa volta Foreman non si sentì di replicare nulla. Rimasero tutti in silenzio mentre Elliot indossava il giubbotto e usciva sul terrazzo, accolto da una folata di vento gelido.

“Non so se è il caso…” tentò di protestare Cameron, ma si bloccò dopo aver incrociato gli occhi di Chase.

“E’ un barbone! E’ abituato! Anzi, magari si sente più a suo agio coi piedi congelati. Lo faccio per lui!” House e i sensi di colpa erano come due rette parallele, che non si sarebbero incrociate mai… “Allora?!”

“Pagina 2.149” Chase aprì il libro. “Iplexya crocorum.”

“Sembra una marca di crackers!”

“Invece è un raro parassita, che uccide il feto entro l’ottava settimana.” intervenne Cameron. “Attacca il cervello, si sposta rapidamente distruggendo la corteccia. Produce uova, che si diffondono attraverso il flusso sanguigno, rendendolo più denso.”

“Arriva al cervelletto?” chiese Foreman.

“Non sembra. Il feto non sopravvive che pochi giorni al suo attacco, probabilmente non fa in tempo ad arrivare fino lì.” Chase spostava nervosamente lo sguardo dal neurologo alla portafinestra che dava sul balcone.

House ci si avvicinò e chiuse le persiane.

“Se scappa ancora?!” chiese Chase.

“Da lì non va da nessuna parte. Ho chiuso a chiave l’ufficio di Wilson e l’unica altra via che ha è il cielo…dite che sa anche volare?”

“Direi di no.” tagliò corto Foreman. “Allora? Come mai il cervelletto della Pivet perde colpi così in fretta?”

Il diagnosta si mosse lentamente verso la lavagna e incominciò ad estrarre il suo yoyo dalla tasca della giacca.

Gli altri tre medici si scambiarono uno sguardo complice; House si stava mettendo al lavoro seriamente.

“Andate a farvi un giro.” disse come tra sé e sé.

Chase, Cameron e Foreman uscirono dalla stanza senza esitazione.

 

Appena loro lasciarono l’ufficio, House alzò gli occhi al soffitto e fece un bel respiro.

Si rimise lo yoyo in tasca e guardò distrattamente la lavagna: non ci riusciva.

Aveva là soluzione in testa, ma era frammentata, non riusciva a dargli forma. Tra un frammento di diagnosi e l’altro…Cameron.

Aveva appena fatto un test, l’aveva lasciata solo con Chase in laboratorio.

Il test non era per lei, era per se stesso, ed il risultato era stato fallimentare: gelosia.

Wow.

Era stato sincero con se stesso!

Doveva correre a dirlo a Wilson, sarebbe stato orgoglioso di lui.

Sentì bussare alla finestra.

Aprì di qualche centimetro. “Cosa vuoi?” chiese ad Elliot, in piedi di fronte a lui.

“La ama?”

 

House gli chiuse bruscamente la finestra in faccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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