Capitolo 15 – Lavorare con House
Chase era esausto: una mattinata di solo
ambulatorio, grazie alla “bontà” di House sarebbe stata stancante per chiunque.
Spesso l’intensivista pensava al suo rapporto con lui: lavorava con House da
quattro anni ormai, eppure dalla sua bocca non aveva mai sentito il benché
minimo accenno di un complimento. Chase non si preoccupava più di questo. Un
tempo si era arrabbiato, anche infuriato per il trattamento che House gli
riservava, ma ormai non gli dava più fastidio, anzi, certe volte era persino
divertente vederlo pensare chissà a quale diagnosi, per poi sentire una delle
sue solite battutine sui canguri e sugli inglesi. Chase scosse la testa a
questo pensiero: House era sempre il solito bastardo, però, nonostante tutto,
lui gli voleva bene. House era l’unico che gli ricordasse in qualche modo suo
padre, con la sua distanza, la sua ironia, quello sguardo spesso assente. Nei
suoi confronti Chase si sentiva sempre come un figlio alle prese con i compiti
a casa.
Non si sarebbe mai aspettato un gesto di affetto
da lui, e del resto il giovane non lo avrebbe desiderato per tutto l’oro del
mondo. Gli bastava averlo come punto di riferimento, come un medico geniale,
come una persona da cui si poteva solo imparare, anche dai suoi errori.
Un sorrisetto lo sfiorò pensando a Cameron che
perdeva la testa per lui: spesso era stato tentato di risolvere l’enigma di
House. Ma davvero quel rimbambito – non c’erano altre definizioni di House in
questo caso – non provava nulla per la dolce, testarda Cameron. Oh, se solo l’avesse
toccata come aveva potuto lui, quella sera allucinante, Chase era sicuro che
House non l’avrebbe più lasciata. Il profumo di Cameron…se lo ricordava ancora:
una fraganza lieve che rimandava vagamente al profumo di una pesca.
Ormai l’intensivista era entrato in ascensore,
affollato come non mai, e decise di scacciare prepotentemente il pensiero di
Cameron dalla mente. Si, c’era stata quella notte ma...
Possederla era stato appagante fisicamente,
eppure appena aveva solo pensato di mettere in gioco dei sentimenti aveva
sentito innalzarsi prepotente una barriera tra loro due. Cameron non era sua e
non lo sarebbe mai stata, il messaggio era stato fin troppo chiaro.
E pensare che quello stupido di House
probabilmente la credeva una bambina alla sua prima cotta. Nemmeno lui riusciva
a capire quanto a Cameron risultasse difficile aprirsi a nuovi sentimenti dopo
la morte di suo marito. Le difese che aveva innalzato erano forti, eppure erano
crollate lentamente davanti al fascino che quell’uomo esercitava su di lei,
fino a spingerla ad aprirsi, a mettersi completamente in gioco per lui. No,
questo House non lo capiva. Tutto preso dal suo dolore non aveva capito quanto
fosse stato faticoso per Cameron esporsi così tanto per un amore che lei stessa
vedeva quasi impossibile. Chase sorrise: era proprio per questo che Cameron le
piaceva, il fatto che adorava le missioni impossibili, e chissà che un giorno
quella sua costanza non l’avrebbe premiata. Il giovane medico lo sperava con
tutto il cuore.
“Ah, parli del diavolo e spuntano le corna.” –
disse ad alta voce incrociando proprio l’immunologa – “Ehi! – sorrise lei – A
proposito Chase, iniziamo la cura per i sintomi correlati alla celiachia.” –
“Diavolo Cam, stai diventando proprio brava! Sei sicura che House non ti passi
le risposte?” – la guardò malizioso – “Beh, se glielo chiedi potrebbe passarle
anche a te…” – ricambiò lei, prima di riavviarsi verso la sala del paziente –
“Allison, aspetta. – lei lo guardò incuriosita – Ti volevo dire che…Ti voglio
bene – lo sguardo dell’immunologa tradì un attimo di panico, ma Chase si mise a
ridere – Ma da amico, sciocchina!”, lei si rilassò evidentemente: “Anch’io
Robert. E…non farmi più questi scherzacci!” – “Lungi da me distrarti dai tuoi
propositi di conquista…” le disse Chase con tono canzonatorio, seguito subito
da un occhiolino. Cameron sorrise, quindi se ne andò.
“Ciao Chase.” – una donna con i capelli
castani lo salutò familiarmente – “Ciao Sorrentino, sei già di ritorno?” – “Si,
ho riposato un pò e ora sono pronta a lavorare. Novità?” – “ Nulla che House non abbia già risolto.”
– “Ah, bene. Che ne dici di prenderci un caffè?” – “Ma si, andiamo. Mando un
messaggio a Foreman e sono da te.” – “Va bene, ci vediamo giù.”
Elly si avviò allegramente verso i
distributori: si trovava molto bene al Princeton, in quel mese in Italia un po’
gli era mancata l’atmosfera del suo posto di lavoro. Si diede mentalmente della
pazza: come poteva mancargli un ambiente simile, dove non c’era un minimo
equilibrio tra la tensione spasmodica delle diagnosi all’ultimo minuto e la
noia più totale?! Già, non sarebbe mancato a nessuno, specie ad un’italiana
abituata al calore e all’affetto del lavoro a due passi da casa. Eppure
qualcosa la spingeva ad andare avanti, a tornare in quell’ospedale di pazzi
scatenati, in primis lui, il dottor House. Ammetteva che dall’alto dei suoi 34
anni aveva fatto un pensierino sul suo capo all’inizio, ma poi aveva percepito
che Cameron provava qualcosa di molto forte per lui e aveva smesso di pensarci,
non era il tipo da mettersi di mezzo.
All’inizio tornare in quell’ospedale dove sua
figlia aveva lasciato la sua madre naturale era stato difficile, ma doveroso.
Capiva quanto doveva essere stato doloroso per la Cuddy lasciare a lei sua
figlia ancora neonata; era una donna con mille responsabilità, una carriera
all’apice del successo. La sua scelta era discutibile ma indubbiamente
difficile da prendere, e Elly aveva ammirato il suo coraggio sopra ogni cosa.
“Ehi, eccomi!” – “Ah, bene.”, Elly sorrise a Chase che gli offriva il caffè.
“Sai, ho saputo che House e Cameron hanno litigato furiosamente prima.” –
“Davvero?! E perché?” – “Cameron ha provato a togliergli il Vicodin.” – Chase
lo disse con sufficienza – “Cameron non è il tipo.” – “Eppure lo ha fatto.
L’avrà convinta la Cuddy!” – “Ma hanno fatto pace?” – “Non lo so, ma Cameron
non si è scoraggiata. Gli ha risposto a tono, e del resto House più che
arrabbiato mi sembrava stizzito. In effetti la Cameron che conoscevamo un tempo
non era così…” – Chase, appoggiato stancamente al distributore teneva gli occhi
bassi, poi li riportò sulla donna che gli stava di fronte: ‘Bella donna!’ gli
venne da pensare istintivamente.
Foreman intanto stava controllando i valori
del paziente. “Tutto regolare signor Keaton. Non è stato difficile capire cosa
avesse, forse lei si è preoccupato un po’ troppo..” – “In effetti – rispose l’uomo
– ho avuto paura e ho deciso di rivolgemi subito al dottor House, ne avevo
sentito già parlare.” – “Il dottor House è un professionista in gamba, anche se
i suoi metodi non sono condivisibili.” – “Ho sentito parlare anche di lei,
dottor Foreman…Sa, io nell’ambiente un po’ ci vivo, sono farmacista.” – “Ah, di
me?!” – “Si, lei è neurologo vero? Dicono che sia il pupillo del dottor House. –
Foreman dubitava un po’ delle parole di quel ruffiano, infatti lui continuò – Senta,
che ne dice se quando mi rimetto mi viene a fare visita nella mia industria?” –
“Non era farmacista lei?” – “Si, lavoro per la “Usa bayer”. Stiamo
sperimentando nuovi medicinali praticamente miracolosi…Anzi se mi prende la
borsa lì sopra ci sono tutti i documenti, magari ci trova qualcosa anche per
lei, dottor Foreman” – “Purtroppo sono molto impegnato. Chieda al dottor House”,
Foreman lo liquidò seccamente. Aveva ragione House, con i pazienti meglio
averci pochissimo a che fare!
Se ne andò innervosito, con il sospetto che
quel cretino si fosse fatto ricoverare appositamente. Aveva colto il tipico
sguardo dell’uomo d’affari, altro che farmacista, che lavora anche se sta in
punto di morte. Che disgusto quell’uomo, corrompere un medico, anzi cercare di
corrompere lui per arrivare ad House. Pessima scelta. La prossima volta ci
avrebbe mandato House, così l’avrebbe sistemato per bene.
“Oh, eccoti. Ti stavo cercando House…”, il
diagnosta stava per entrare in ascensore, ma rimase fuori. Non aveva un’aria
molto tranquilla: “Cosa vuoi Foreman.” – la sua voce era priva di qualsiasi
inflessione, neutra – “Vuoi sapere una cosa? Quello lavora in una casa
farmaceutica, è impossibile che non sapesse cosa aveva!” – House lo guardò
incuriosito – “Non vedo il nesso logico tra casa farmaceutica e conoscenza
della malattia, se lo vuoi sapere quelli sono persino più ignoranti di te!” – “L’ha
fatto apposta!” – “Come fai a dirlo?” – “Quando gli ho detto che era celiaco
non ha fatto una piega, e subito dopo mi ha proposto di andare a vedere un
nuovo farmaco che stanno sperimentando.” – House distolse lo sguardo da
Foreman, parlando più a se stesso che all’assistente – “Tutti mentono…Ok
Foreman, visto che ha fatto arrabbiare persino te e visto che oggi mi sento
particolarmente cattivo…che ne dici di giocargli un brutto scherzo?” – lo sguardo
del diagnosta, ora rivolto al neurologo, era veramente diabolico, quello che
gli stava proponendo era completamente insensato, però…per una volta Foreman
era d’accordo – “Non andiamoci pesante.” – “Naah! Solo una piccolissima bugia,
a te l’onore. A proposito, non dirlo a Cameron, ci farebbe mille storie – lo
sguardo di House tradì una certa preoccupazione, Foreman lo notò ma non ebbe il
tempo di dire nulla – Ora scusami ma devo andare”
House entrò nell’ascensore, che si richiuse
alle sue spalle. Foreman decise di informare Chase della piccola bugia, lui sarebbe
stato un complice perfetto, inoltre con quell’uomo non voleva più avere a che
fare.
Qualche ora dopo tutti gli assistenti si
ritrovarono nella sala riunioni per fare il punto della situazione prima di
tornare a casa. House li ignorava nel suo studio, con le cuffie nelle orecchie
e gli occhi chiusi.
“Allora Foreman, tutto bene con la cura?” – “Ehm…
certo Cameron, però aspetterei un altro paio di giorni prima di mandarlo via.” –
“Ma come? Potevamo mandarlo via anche stasera” – “Si, ma – intervenne Chase – è
sorta una complicazione, cose da nulla però non ti preoccupare…” – “Passerò
dopo a visitarlo.” – “No no! – i due dottori si affannarono a distoglierla dai
suoi propositi – Gli abbiamo dato un po’ di sedativo così dormirà tranquillo,
dice che sente...” – Foreman guardò Chase in cerca di aiuto – “Si sta bene,
solo che ha degli incubi notturni e per precauzione meglio tenerlo tranquillo.”
– Cameron li guardò sospettosa, ma decise di lasciar perdere, si accomodò al
tavolo – “Voi andate? Io resto qui, ho ancora delle cartelle da completare.” – “Ok,
a domani. Ciao a tutti.” – “Vado anche io Allison” – “Ok, ciao Elly.” – “Ciao.”
Foreman, Chase e Sorrentino si incamminarono verso le scale. Come al solito si
sentivano spossati, quasi distrutti, ma i sorrisetti che i due dottori avevano
stampati in faccia mostravano che in fondo oggi c’era stato di che divertirsi.
“Ti immagini? Quale altro medico ci avrebbe
permesso di fare quello scherzetto?” – “Proprio nessuno – ammise Chase – E diciamolo
per una volta: sarà anche un bastardo, però qualche volta è un bastardo
divertente!” – “Di cosa state parlando?” – chiese incuriosita la Sorrentino – “Ah
no, di nulla…Pensavamo solo che in fondo lavorare con House è un’esperienza
piacevole.”, quindi entrambi scoppiarono in una risata, lasciando interdetta l’italiana.
Cameron rimase sola nella stanza, alle prese
con quelle infinite cartelle. Attraverso la porta a vetri si accorse che House si
era addormentato. Cameron si alzò e gli andò vicino: si, dormiva profondamente.
L’immunologa lo guardò a lungo, poi spiò il
suo I-pod per capire cosa stesse ascoltando. C’era una canzone che lei
conosceva, impostata su “ripeti”, evidentemente la stava ascoltando più volte e
da parecchio tempo.
Cercando di non svegliarlo gli tolse una
cuffia da un orecchio e la ascoltò anche lei, sedendosi su una sedia lì accanto.
I
wanna heal, I wanna feel what I thought was never real
I wanna let go of the pain I’ve felt so long
(Erase all the pain till it’s gone)
I wanna heal, I wanna feel like I’m close to something real
I wanna find something I’ve wanted all along
Somewhere I belong
Non si accorse che House era semisveglio e la
guardava smarrito con gli occhi socchiusi. Vide i suoi occhi riempirsi di
lacrime. La vide piangere silenziosamente con in mano la piccola fotografia di
un uomo, suo marito.
House si sentì morire.
…And
the fault is my own, and the fault is my own
House non si mosse, non voleva darle a vedere
che ormai si era svegliato.
Chiuse gli occhi totalmente, non riusciva a vederla
piangere.
E non poteva aiutarla in nessun modo.
I
will never know myself until I do this on my own
And I will never feel anything else until my wounds are healed
I will never be anything till I break away from me
I will break away, I'll find myself today
Desiderò
l’oblio, desiderò che lei capisse.
Si
riaddormentò.