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Autore: Jejje    13/01/2007    5 recensioni
Lei era bella. Lo era davvero. O forse no, forse non era esattamente la bellezza che ti fa fermare per strada e perdere l'uso della parola, ma io non riuscivo a non guardarla senza sentire il mio cuore cominciare a battere più veloce, senza sentire il dolore dentro perchè non faceva parte della mia vita, nonostante tutto.
Avevo pensato di non pubblicarla ma lo faccio oggi per motivi sentimentali XDDD
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia prima fan fiction originale, spero di essere in grado di scriverle °°. E' nata come one shot ma se mai avrò l'ispirazione per il continuo non è detto che non la aggiorni...vedremo ^_^!

{ . Unknown Love . }

L'aria, quel giorno, mi sembrava più fredda del solito. Avevo deciso di uscire a fare una passeggiata quando mi resi conto che non avevo nessun impegno e alla tv non davano niente di interessante, come sempre, del resto. Non avevo voglia di stare fermo a far niente, e senza pensarci due volte afferrai subito il sottile cappotto che tenevo vicino alla porta, cercando di non cambiare idea. Misi una mano in tasca, alla ricerca del mio mazzo di chiavi, e rassicurandomi al tocco del metallo gelido aprii la porta e uscii. Avevo cominciato a camminare senza una meta precisa, godendomi il vento che mi sentivo sul viso, e guardando senza troppo interesse le facce che mi capitava di incontrare, facce che vedevo spesso praticamente da sempre, ma che non erano mai riuscite a diventare più di quello. Facce conosciute e sconosciute allo stesso tempo. Senza neanche accorgermene ero arrivato fino a quel giardinetto dimenticato anche dai cani, un piccolo giardino che aveva piantati in mezzo solo una vecchia altalena e una fontanina che ormai non funzionava più da anni. Nonostante l'aspetto più che miserabile, mi piaceva quel posto, mi era sempre piaciuto. Mi ricordavo quando, anni prima, era ancora possibile incontrarci qualche famiglia fornita di passeggino o ragazzini stupidi che si incontravano per dare fastidio agli uccellini che si avvicinavano alla fontana speranzosi di bere acqua fresca, ma adesso era cambiato. La fontanina aveva smesso di funzionare, facendo scomparire anche i pochi uccellini, l'altalena non era più sicurissima, la sola panchina che c'era si era rotta, e anche l'erba non sembrava più essere verde. Era strano anche per me, ma mi rendevo conto che mi piaceva di più con quest'aria abbandonata. Mi piaceva soprattutto perchè non ci andava quasi mai nessuno e potevo starmene in pace con i miei pensieri, dovendomi preoccupare solo dell'aria gelida che mi scompigliava i capelli. Chiedendomi il motivo del fallimento del parco, mi misi a sedere sull'altalena alla mia destra, che era un po' più alta di quella appena accanto, e cominciai a dondolarmi lentamente, senza staccare i piedi dal terreno polveroso.
Mi guardai intorno, e non vidi altro che case da ristrutturare o piccoli alberi appassiti dal freddo, che giacevano ancora qua e là nel campetto. Qualche persona passava nella strada accanto, qualche donna con le borse della spesa, qualche bambino in bicicletta, ma nessuno si fermava, come se ormai quel posto non esistesse più. Meglio così, mi ritrovai a pensare, se no potrei dovermi alzare da qui se arrivano dei bambini. Odiavo dovermene andare forzatamente, quando stavo così bene.
Mentre guardavo senza molto interesse le persone che attraversavano la viuzza, una di loro catturò la mia attenzione, facendomi perdere un battito. Era una ragazza in jeans e cappotto lungo, con l'aria infreddolita, che sembrava avvicinarsi lentamente per entrare dentro al giardinetto. Spostai il mio sguardo altrove, cercando di restare impassibile. Lei non era una ragazza normale. O almeno non lo era per me.
Lei era una ragazza straordinaria, che mesi prima aveva stupidamente catturato il mio cuore, e non me l'aveva voluto più ridare indietro. E io non ci avevo mai parlato.
Lei era bella. Lo era davvero. O forse no, forse non era esattamente la bellezza che ti fa fermare per strada e perdere l'uso della parola, ma io non riuscivo a non guardarla senza sentire il mio cuore cominciare a battere più veloce, senza sentire il dolore dentro perchè non faceva parte della mia vita, nonostante tutto.
L' avevo vista la prima volta in quel bar in cui vado sempre, uscito dal lavoro. Mi ricordo ancora il tempo terribile che c'era quel giorno, ed entrai al Chocolat più per avere qualcosa sopra la testa che per mangiare un boccone. E lei era lì, seduta ad un tavolino rotondo, cercando di bere un caffè dall'aria bollente. Aveva i capelli mori spettinati dalla pioggia e un'enorme sciarpa che le avvolgeva il collo e che le riprendeva il colore del naso, arrossato dal freddo pungente. Fu quello che i romanzi rosa chiamano colpo di fulmine. Io non ci avevo mai creduto, e come tutte le volte che non avevo creduto in qualcosa la vita mi aveva dato una lezione per dimostrarmi che mi sbagliavo.
Dopo quel giorno, continuai ad andare in quel bar tutti i giorni, alla solita ora, rendendomi conto con felicità soffocata che lei c'era sempre. Ma nonostante tutto, io non avevo mai neanche cercato di rivolgerle la parola. Non ero il tipo di ragazzo che attacca facilmente bottone con una sconosciuta, non lo ero mai stato e sapevo benissimo che non lo sarei stato mai. Certo, avevo cercato di cambiarmi. Avevo cercato continuamente di uccidere il carattere che era in me per farne nascere uno senza timidezza, senza timore, ma non ci ero mai riuscito. Conoscerla era il mio desiderio più grande, ma sembravo non riuscire a superare quel limite invisibile che si trovava dentro di me.
Ogni tanto, mentre fingevo di gustarmi una bevanda o un dolce che avevo scelto a caso, mi rendevo conto che lei mi aveva notato. Notato solo nel senso letterale della parola, ma questo mi bastava. Vedevo il suo sguardo cadere su di me quasi tutti i giorni, in un muto segno di riconoscimento, e qualche volta mi sembrava quasi che ci fosse un accenno di sorriso sul suo volto. E intanto il mio cuore impazziva.
Non parlai con nessuno di tutto questo, tranne che con la mia migliore amica, l'unica persona che riusciva ancora a farmi ridere dopo tanti anni. Con un sorriso sinceramente interessato, un giorno che mi aveva invitato a casa sua, mi chiese che cosa mi piacesse di quella ragazza.
Restai in silenzio per qualche secondo, prima di riuscire a rispondere alla sua domanda. Poggiai sul tavolo la tazza di tè caldo che mi aveva preparato, rinunciando a bere. Con lo sguardo quasi perso nel vuoto, le dissi che amavo praticamente tutto di lei.
Amavo vederla soffiare sul suo caffè e lamentarsi silenziosamente quando si accorgeva che era ancora troppo caldo, amavo il suo modo di scuotere i capelli quando usciva dal bar, e amavo la sua risata, che ero riuscito a sentire quando qualcuno la chiamava al cellulare.
Mi piaceva anche per quello che mostrava di essere, per quel poco che potevo capire di lei. A volte sorrideva da sola mentre girava lentamente il cucchiano nella tazzina, e mi dava l'aria di essere così terribilmente dolce e fragile, oppure faceva una risata col cameriere apparendo simpatica ai miei occhi.
Io pensavo di amarla, perchè non avevo mai sentito niente di simile per nessuna, e perchè non facevo che pensare a lei, la ragazza del Chocolat. E intanto mi tormentavo per la mia stupidità, mi tormentavo perchè avevo bisogno di parlarle, mi tormentavo perchè non riuscivo a vedere la fine di quella situazione, e quando arrivavo a credere di aver capito cosa provassi per lei mi sentivo ancora in dubbio, e tutto cominciava da capo.
Dolore. Dolore puro. Era questo che provavo quando la vedevo uscire da quella porta, e l'unica mia consolazione era il sapere che il giorno dopo l'avrei rivista ancora. Ed era anche la mia infelicità.
Non l'avevo mai vista altrove, al di fuori del bar, e mi stupii non poco quando la vidi camminare fin dentro al giardino, e lo fui ancora di più quando la vidi avvicinarsi verso di me. In un solo momento pensai di alzarmi ed andarmene, pensai di salutarla, poi di ignorarla, ma alla fine quello che feci fu quello che mi aspettavo da me. Completamente nulla.
La vidi mettersi a sedere sull'altalena accanto alla mia, quella più bassa, senza una parola. Mi sentivo felice e nervoso, stupito e impassibile.
Mi imposi di fare qualcosa. Una battuta, una parola, qualsiasi cosa per far finire quel momento in cui mi sentivo assurdamente confuso...ma nello stesso momento non avrei mai voluto muovermi di lì. Lei cominciò a dondolarsi, facendo stridere le catene, ma si fermò quasi subito, dandomi un motivo per guardarla. Poi si girò verso di me, con quel sorriso che tanto amavo e tanto mi era sconosciuto, e disse:
- Io ti amo, lo sai? -
In quel momento pensai che il mio tormento era finito.

 

 

Spero che vi sia piaciuta...°° Ci ho messo veramente me stessa, forse anche troppo XD Vorrei dedicarla a chi è o è stato in questa situazione, cioè l'amore verso uno sconosciuto, che a mio parere è qualcosa di terribilmente doloroso...^^"
Spero in una recinsioncina, folks **!

  
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