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Autore: Lily White Matricide    28/06/2012    5 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga'
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36.

Shock In My Town


“Ho sentito urla di furore di generazioni senza più passato, di neoprimitivi”

Franco Battiato - Shock In My Town

 

Il Professor Vitious aveva cambiato il programma delle prove del coro di Hogwarts con pochissimo preavviso e tale decisione aveva scatenato non poco malcontento negli studenti che partecipavano all’attività musicale della scuola. Per gli studenti meno virtuosi e meno preoccupati dei voti, ogni occasione era buona per lamentarsi del carico di compiti assegnato dai professori e si erano dunque lanciati a capofitto nel coro messo assieme dall’insegnante di Incantesimi, forse per avere più una scusa buona da sfruttare in caso di un compito svolto con approssimazione e fretta. Com’era comodo poter dire in tono disperato ed accorato “Ieri il Professor Vitious ci ha fatto provare fino all’ora di cena”, per poter suscitare compassione nella Professoressa McGranitt che aveva appena messo uno “Scadente” sul compito dello studente poco zelante. Purtroppo per lo studente, non era facile commuovere l’inflessibile Direttrice di Grifondoro, e di fronte a quell’esemplare arrampicarsi sugli specchi, il giudizio rischiava di diventare un’elegante T di “Troll”, con un semplice colpo di bacchetta. Così, esaurita la possibilità di poter sfruttare le prove del coro come scusa del proprio rendimento scolastico poco soddisfacente, gli studenti avevano iniziato a lamentarsi dei brani proposti, dei cambi di programma all’ultimo minuto, il dover correre a sentire il brano in questione, magari cercando un giradischi opportunamente modificato, o accedendo alla Stanza delle Necessità. 

Ma c’era una ragione ben più profonda di un semplice capriccio del professore, al quale comunque non era esente, essendo un essere vivente come tutti gli altri: era un’improvvisa malinconia che gli aveva attanagliato il cuore, un brusco accelerare dei battiti del cuore, apparentemente senza motivo. Tra le pieghe della fronte corrucciata si annidava un’inspiegabile ansia, una preoccupazione verso l’ignoto ed il nulla. A dire il vero, ogni mago non era esente dall’avere presagi, e non sempre n’era consapevole. E quello che sentiva il piccolo insegnante dentro il suo cuore era un presagio triste, una cortina di tristezza e cupezza che avvolgeva tutto, le colline, l’imponente castello, ogni singola pietra che andava a comporre le sue mura. Persino la nebbia, che non l’aveva mai disturbato, né infastidito, gli pareva insostenibile, più angosciante nel suo avvolgere tutto in quel mantello grigiastro. Gli pareva tanto simile a quel grigio inquietante proprio della materia che i Dissennatori succhiavano via dalle proprie vittime: anche quella nebbia invernale suggeva dagli individui qualsiasi pensiero felice.

Allora, chiuso nella sua grande stanza, quella che spettava al Direttore di Corvonero, preso da quell’ansia, quella irrazionale nostalgia di casa, della sua piccola abitazione nel cuore della Scozia, aveva iniziato a riascoltare brani di musica classica in latino. Nutriva un forte amore per la musica classica Babbana, poiché alcuni brani erano così calzanti con i suoi stati d’animo. E chi l’avrebbe mai detto che un compositore Babbano sarebbe riuscito a toccare il cuore di un goblin? Con le lacrime agli occhi, aveva ascoltato lo “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi, un musicista Babbano italiano che apprezzava particolarmente, soprattutto per le opere buffe, che avrebbe così tanto voluto poter riprodurre in uno spettacolo teatrale ad Hogwarts. Ma quel canto doloroso, di una madre che soffre nel vedere il figlio nella sua ora fatale, ricordava la sua stessa sofferenza nei confronti del suo piccolo villaggio magico nei pressi di Dunkeld, avvertendo qualcosa di nefasto ed oscuro nell’aria. Si era sentito capito, compreso nella sua inquietudine in quella manciata di minuti di musica struggente, ed aveva così deciso di proporlo al proprio coro, agendo più per se stesso che per i ragazzi che partecipavano a quell’attività, per la prima volta dacché insegnava ad Hogwarts.

Lily, che di solito si accontentava di fare da semplice contralto nel coro, rifiutandosi categoricamente di fare da solista, avendo anche il ruolo di occasionale accompagnatrice al pianoforte o al clavicembalo - strumento amatissimo dall’insegnante di Incantesimi - aveva protestato vivacemente per quel cambio di programma: non era così immediato per lei impararsi una partitura in maniera soddisfacente, pertanto, non assicurava una riuscita ottimale dell’accompagnamento, sebbene si fosse rinchiusa con Severus nella Stanza delle Necessità ad esercitarsi. Il povero Serpeverde aveva avuto il compito delicato di sopportare la ragazza nei suoi scatti d’ira e frustrazione, e le aveva fatto da sprone in quel difficile pomeriggio di preparazione dello “Stabat Mater”.

Per di più, dopo un’ora di prove inconcludenti con il coro, Lily aveva voglia di prendere gli spartiti ed andarsene, perché le due soliste, un contralto ed un soprano, sbagliavano continuamente le note d’attacco al pezzo. Insomma, aveva anche da studiare una pozione di difficile preparazione e provare e riprovare la preparazione all’infinito. Non poteva perdere troppo tempo con gente poco seria e poco incline ad eseguire alla perfezione il proprio compito. Severus la guardava in un misto tra stupore e divertimento, quando reagiva in maniera così altezzosa.

“Siamo sicuri che il Cappello non abbia sbagliato nel mandarla a Grifondoro? Sarebbe stata un’eccezionale Serpeverde con quel delizioso modo spocchioso di fare” pensava tra sé e sé, intanto che la ragazza si sistemava la gonna, mentre si accomodava allo sgabello del clavicembalo. A lui, Lily altezzosa, irritante agli occhi degli altri in quel saperne una più degli altri, piaceva molto. Non che Lily fosse di natura così, ma era un comportamento che le veniva spontaneo quando si sentiva presa in giro dagli altri. La capiva, sapeva come ci si potesse sentire nel conoscere molto, e doversi abbassare al livello degli altri, per evitare di passare per anormali, per topi di biblioteca e cervelloni buoni solo ad accumulare nozioni. Severus aveva preferito continuare ad essere tacciato di anormalità, ma semplicemente perché a lui la solitudine non gli dispiaceva affatto, ci era abituato e si trovava meglio in una biblioteca vuota, che nel bel mezzo di un corridoio pieno di gente urlante e chiassosa. Lily invece aveva bisogno di un minimo contatto con gli altri, era una ragazza solare e generosa, vivace e - quasi - sempre con il sorriso sulle labbra. Era nella sua natura stare con le persone, dare e ricevere, sempre protesa verso l’altro, purché fosse minimamente interessato a lei. Quel mondo nuovo, quello della magia, di Hogwarts, di quei coetanei che avevano come lei poteri magici, continuava ad essere un mondo ricco di fascino e di mistero, anche dopo cinque anni di frequentazione. 

“Ragazze, ragazze” intervenì il Professor Vitious, scuotendo la testa e rivolgendosi al contralto ed al soprano, rispettivamente una Corvonero del sesto anno ed una Tassorosso del settimo “Ascoltate bene le note - Evans, la prego, riparta dalla quarta battuta”. 

Lily si voltò verso Severus, che era seduto su una delle panche della Sala Grande, e tirò fuori la lingua, facendo roteare gli occhi, esasperata. Il ragazzo abbozzò ad un sorriso e la esortò a continuare con un cenno del capo. Lui non ci capiva molto di musica, però trovava che fosse una forma d’intrattenimento interessante e piacevole. Aveva iniziato ad apprezzare qualche compositore Babbano grazie a Lily, e qualche gruppo contemporaneo grazie a Maeve, che non faceva altro che bombardarli di musica quando si trovavano a Galway. 

Ripresero un’altra volta da quella famigerata battuta - era la decima, undicesima volta? Severus non ricordava - e fortunatamente le cose parvero andare meglio, le due cantanti soliste azzeccarono la tonalità e il coro poté subentrare e sostenere le due voci. 

Severus però non si era reso conto che alle sue spalle c’era Albus Silente, seduto su un’altra panca, quella del tavolo dei Grifondoro. Il Preside non aveva mai fatto mistero di amare molto la musica, ed era un ospite praticamente fisso alle prove del coro, in quanto credeva molto nella magia di quella forma d’arte. Solitamente ascoltava il coro con gli occhi socchiusi e gli occhiali a mezzaluna che scivolavano lentamente giù dal naso. Il Preside però era sempre pronto a sistemarseli, con un gesto rapido della mano, intanto che con l’altra teneva il tempo, in maniera bizzarra e totalmente estemporanea, picchettando le dita sul grande tavolo in legno. 

Quel pomeriggio, però, il mago era più attento che mai e non stava perdendo traccia di alcun gioco di sguardi tra Lily e Severus, e non perdeva d’occhio Miranda Lynch, che partecipava al coro nel ruolo di soprano. C’era un motivo per cui si trovava lì, era evidente ai suoi occhi attenti e vigili come non mai.

Quei due ragazzi erano molto più che amici o compagni di scuola, ed erano due futuri elementi fondamentali dell’Ordine della Fenice. Il vecchio Preside non aveva fatto altro che dare ai due giovani due ruoli contrapposti: Severus Piton avrebbe dovuto spiare Lord Voldemort ed i suoi Mangiamorte, spingendosi a fingere di essere uno di loro, mentre Lily Evans sarebbe diventata un’Evocatrice, proprio ciò che il Signore Oscuro ed i suoi servitori fedeli temevano di più!

Si era reso conto di aver dato ai due ragazzi un compito gravoso, che li avrebbe visti avversari, l’uno contro l’altro, in teoria. Non si capacitava della leggerezza con la quale aveva sottovalutato la potenza di un legame sentimentale. Si chiedeva se fosse giusto e legittimo che i due ragazzi continuassero a frequentarsi, nonostante i loro ruoli delicati, che col tempo avrebbero richiesto ancora più impegno. Se Severus un domani si fosse fatto scappare qualcosa circa il suo amore per Lily di fronte al Signore Oscuro od un suo Mangiamorte, Lord Voldemort avrebbe potuto avere facile accesso ai piani dell’Ordine della Fenice, arrivando a sapere tutto degli Evocatori, che si nascondevano proprio dall’erede di Salazar Serpeverde, il quale secoli prima aveva fondato il Dearg Sléabua proprio per eliminarli una volta per tutte. Se invece Lily avesse fatto sapere alla Confraternita degli Evocatori del suo legame con una spia, che andava comunque ritenuta un Mangiamorte a tutti gli effetti per non far saltare la copertura, l’espulsione da Mile Droichead sarebbe stata inevitabile, con conseguente rottura del ciondolo dell’Albero della Vita. La rottura del monile sarebbe stata la massima onta per un’Evocatrice come Lily Evans, in quanto né lei, né i suoi eredi avrebbero mai più potuto entrare nella Confraternita.

Dall’altro lato, il voler sfruttare tutte le persone accanto a sé come pedine in una scacchiera, per quanto fosse una sua abitudine e non aveva mai negato di averne abusato, lo infastidiva, soprattutto quando le prendeva in simpatia, o sotto la propria ala protettrice; e si rendeva conto che questo modo di fare lo metteva a profondo disagio, lasciandolo nella confusione più totale.

Ad un livello più profondo, poi, gli errori del passato continuavano a tormentarlo, i rapporti con il fratello Aberforth si erano guastati, un amante e complice era andato perduto per sempre, l’adorata sorella Ariana era morta, senza la possibilità che potesse tornare indietro dall’aldilà. Erano sempre le persone a lui più care a pagare il prezzo più caro. E se separare Lily e Severus avesse significato per loro l’infelicità a vita? Se l’infelicità avesse portato i due ragazzi a non svolgere i loro compiti, desiderando solo una vita anonima, senza infamia e senza lode? Se Severus, non avendo più Lily, avesse abbracciato totalmente e genuinamente la causa di Lord Voldemort? E se lei avesse desiderato tornare ad una vita senza magia, totalmente Babbana ed ordinaria, senza il suo ragazzo, che era molto di più di un semplice fidanzato, ma era una guida, un punto di riferimento, una considerevole parte di lei?

Silente aveva visto gli occhi verdi della Grifondoro illuminarsi di fronte a Severus, l’aveva vista felice, sorridente, quando potevano stare assieme, senza l’assillo degli altri, l’aveva vista stare per ore sui prati del parco attorno ad Hogwarts in sua compagnia. E ora l’aveva lì, davanti a sé, incaponirsi su quello “Stabat Mater” che faticava a venire bene. Ma il suo sguardo, tra una pausa e l’altra, andava sempre a lui, quel ragazzo silenzioso e tranquillo seduto poco più avanti di lui.

Aveva visto Severus, di cui conosceva bene le travagliate vicende familiari, farsi meno buio e scontroso, ogni volta che aveva attorno quella ragazzina vivace. Lo aveva visto aprirsi a lei, confidarsi, farsi accarezzare e vezzeggiare, senza alcuna reazione d’astio, senza opporre resistenze. Silente vedeva e sapeva, anche tramite Miranda, che aveva tenuto d’occhio i due ragazzi per conto del Preside.

La Corvonero si allontanò momentaneamente dal coro, approfittando per un momento di pausa per dissetarsi e far riposare le corde vocali e si avvicinò a Silente. Gli occhi azzurri della ragazza dicevano solo una cosa: “Non separare i due ragazzi. Per nessun motivo al mondo”. Il suo sguardo era determinato e fermo come non mai; era pronta a discutere e a litigare con Silente, casomai avesse avuto la balzana idea di frapporsi tra i due ragazzi.

La verità era che l’amore era la magia più potente di tutte ed era il motore fondamentale che faceva girare il mondo, e ancor più il mondo magico, che aveva bisogno di un’iniezione di sentimenti positivi, per contrastare le mire di Lord Voldemort. 

Silente non poté fare altro che annuire con aria grave, mentre vide Severus accogliere tra le sue braccia la Grifondoro esausta dopo tutto quel provare e suonare sempre le stesse note.

L’amore era l’unica magia invincibile contro Lord Voldemort. Senza quello, l’Ordine della Fenice avrebbe combattuto una guerra già persa in partenza.

 

In Sala Grande le prove erano terminate e Lily si era buttata su uno dei gradini della scalinata poco distante. Sev l’aveva raggiunta, carico delle loro borse e dei loro mantelli; aveva appoggiato tutto con cura vicino a Lily e si era seduto accanto a lei. La Grifondoro sedeva accovacciata, con il mento appoggiato sulle ginocchia, e le braccia abbracciavano le gambe. Era tutta spettinata, la fascia grigia per i capelli con lo stemma Grifondoro ricamato a mano - gliel’aveva fatta sua madre qualche tempo prima - non era ferma sulla testa, ma era scivolata indietro, lasciando la chioma fulva nell’anarchia più totale.

“Sono stanca. Morta” si lamentò Lily sbadigliando vistosamente. 

La mano davanti alla bocca, Lily!” la redarguì Sev imitando la voce di Petunia, così rigida ed affettata nel modo di fare.

Quell’improvvisa imitazione della sorella fece ridere la ragazza.

“Oh, stai buona, Petunia, e non rompermi le scatole!” ribatté la Grifondoro, allungando una mano e dando uno spintone affettuoso al ragazzo. 

Sev vide che Lily era piuttosto stanca, lo si vedeva dalle occhiaie più evidenti, segno di notti passate a recuperare ciò che non era stata in grado di fare nel pomeriggio, e dalla quantità di sonno arretrato che si faceva vedere soprattutto durante le ore pomeridiane di lezione. Avere due ore di Storia della Magia il mercoledì ed il venerdì pomeriggio non aiutava affatto. Severus più di una volta nell’ultimo periodo aveva richiamato all’attenzione la giovane, che era sull’orlo di crollare addormentata, complice anche la poca luce che filtrava nell’aula del Professor Rüf.

Ma in quel momento preciso, il vederla così fragile ed affaticata gli fece stringere il cuore, preso in una morsa di tenerezza e dolcezza.

Sev afferrò Lily per le spalle e le fece appoggiare la testa sulle sue ginocchia. La ragazza non protestò, anzi, e si sistemò su un fianco, per stare più comoda, per quanto si potesse essere comodi su dei gradini di pietra.

“Non è il massimo della comodità, lo ammetto. Ma intanto puoi chiudere gli occhi per un po’” osservò Sev, mentre passava una mano tra i capelli di Lily. Quello era uno dei gesti che la rilassava all’istante e il ragazzo lo sapeva fin troppo bene. La Grifondoro, poi, apprezzava la delicatezza di Sev nei confronti della sua chioma, vedendo altre ragazze che si lamentavano della rozzezza degli altri maschi nei loro confronti.

“Non posso...” tentò di protestare Lily con voce stanca e gli occhi socchiusi. Stava già scivolando nel sonno e combatteva per rimanere sveglia ancora qualche attimo. “Ho la pozione di Lumacorno da studiare”.

Le dita di Sev indugiarono sulle tempie della ragazza, massaggiandole con tanti piccoli movimenti circolari. Il ragazzo, poi, le fece scivolare dietro l’orecchio di Lily. La giovane gradiva particolarmente quel gesto, tanto quanto poteva apprezzarlo un gatto, ci mancavano solo le fusa, che Lily scherzosamente di tanto in tanto cercava di imitare. In quel momento, però, la ragazza si abbandonò al sonno, lasciandosi andare completamente, ricompensando il Serpeverde con un’espressione serena e soddisfatta. Parve sorridere mentre dormiva, di quel sorriso fanciullesco puro, privo di turbamenti. Chissà che cosa stava sognando, chissà se le sue visioni fossero magiche, ordinarie, surreali, o inquietanti. 

Sev non si rese conto del sorriso spontaneo che gli era spuntato sulle labbra, intenerito dalla ragazza che si era assopita appoggiata alle sue gambe. Continuò ad accarezzarle i capelli, toccandole le guance piene di lentiggini - “Sev! Crea una pozione per farle sparire! Le odio!” piagnucolava Lily, nei normalissimi momenti in cui una ragazza odiava tutto di sé. Lui invece le adorava e non sapeva più come dirglielo - la punta del naso, sfiorandole le labbra leggermente aperte. 

Il ragazzo sentì degli occhi addosso e alzò lo sguardo, sulla difensiva, pronto a proteggere il riposo dell’amata, come un prode cavaliere aveva sfidato nelle fiabe - Erano fiabe Babbane? O quelle di Beda il Bardo? Non ricordava, tutto era mescolato e confuso nel calderone dei ricordi - un drago per poter far sì che la sua principessa potesse dormire ancora un po’, e risvegliarsi più bella e viva come non mai.

Albus Silente era davanti a loro. Guardava quel quadretto toccante con gli occhi sinceramente commossi, con la nostalgia di non poter avere qualcuno che potesse dargli lo stesso conforto, la stessa affettuosa protezione.

Ciascuno aveva scelto la propria strada e c’era chi al bivio aveva scelto la strada che sembrava migliore, salvo poi accorgersi che aveva perso il bene più prezioso: l’amore e l’affetto delle persone. Colui che bramava il potere, colui che aspirava a comandare, era fondamentalmente, ed irrimediabilmente, solo.

Ci si accorgeva della solitudine quando era troppo tardi per tornare indietro, quando le persone si erano fatte troppo lontane e distanti, quando i loro tratti erano divenuti sfocati e confusi nella nebbia fredda e maligna, una foschia crudele che era in grado di far perdere di vista ciò che era veramente importante. Egoisticamente, si sceglieva di andare avanti e di proseguire, per evitare di essere divorati dalla coltre.

Poteva Albus Silente, ritrovatosi completamente solo a causa di scelte avventate ed egoiste, ridurre alla solitudine totale quei due ragazzi, solo perché c’era quel dannato potere in mezzo?

Merlino, no che non poteva. Non era corretto. Perché costringere due ragazzi a percorrere una strada che era già stata battuta da lui con risultati disastrosi? Chi era lui per decidere per loro?

Vedeva quei due ragazzi, nell’innocenza dei loro quindici anni, farsi forza, affrontare le difficoltà di ogni giorno, mano nella mano. Tutto ciò che lui non aveva mai avuto, o meglio, che aveva rigettato stupidamente. 

Severus continuò a guardarlo, con un certo timore, ma con la determinazione di chi non è disposto a dare di più di quanto non stesse dando per la causa di Silente. Aveva messo la sua vita a rischio - e fintanto che era solo la sua per preservare quella di Lily andava benissimo - ma non era disposto a sacrificare il cuore, quello apparteneva alla ragazza che riposava sulle sue gambe. Lei era il motore di tutto, senza quello, lui sarebbe stato completamente inutile. Guardava il Preside come si guarda una minaccia, anche perché il vecchio mago aveva visto il lato migliore di lui, e nessuno, se non Lily, era autorizzato a vederlo in certi atteggiamenti. 

Gli occhi neri e determinati del ragazzo fecero abbassare quelli cerulei e cristallini dell’uomo. Severus lo vide fare qualche passo indietro, verso l’oscurità indistinta del dedalo che era Hogwarts, quando era immersa nel buio della sera. 

Albus Silente sparì nel buio, ma una voce riecheggiò, sospinta da qualche spiffero gelato che filtrava nelle mura del castello.

“Nessuno dovrà mai vedere il lato migliore di te?”.

Le mani di Severus continuavano ad accarezzare i capelli di Lily. Il ragazzo sapeva che il Preside si trovava ancora lì, ma aveva preferito l’oscurità, sopraffatto e tramortito dall’emozione di vedere quei due ragazzi così uniti.

“Nessuno” tagliò corto il Serpeverde.

Un rumore di passi e Silente era sparito del tutto, diretto verso il suo ufficio.

“Nessuno tranne te” sussurrò Sev, chinandosi verso l’orecchio di Lily.

 

Non ci sarebbe stato alcun riposo per Dunkeld quella notte, dopo il crepuscolo. Nessuna ninna nanna sarebbe stata cantata dalla madre al proprio figlio in procinto di addormentarsi. Semmai, si sarebbe udito solo il canto straziante della madre addolorata - impotente, piegata dal passare degli anni - nel vedere il proprio figlio soffrire, dopo essersi battuto contro la malvagità dilagante. Senza possibilità di ricacciare la morsa di cristallo indietro, senza la possibilità di difendersi contro il primo attacco che Lord Voldemort aveva intenzione di sferrare.

Come un fiero compositore che ha la possibilità di vedere eseguita la sua opera - il suo Meisterwerk, che sarebbe sopravvissuto nei secoli, riecheggiando assieme al suo nome, che nessuno avrebbe mai più pronunciato invano - da un’enorme orchestra, il Signore Oscuro aveva preso il proprio posto sulla piccola torre di pietra all’ingresso del villaggio magico. Gli spettava il posto migliore di diritto. Doveva godersi lo spettacolo appieno, doveva vedere tutti i suoi esecutori, i suoi Mangiamorte, doveva controllare che tutto andasse alla perfezione, sebbene quella fosse solo una prova generale. Ma nelle prove generali era previsto anche il pubblico, tra il quale poteva nascondersi qualche spia, qualche infiltrato. Forse, i buoni, i paladini della giustizia, pensavano che il Signore Oscuro non sapesse di loro, ma si sarebbero resi conto presto che lui non attendeva che loro. Quelli sarebbero stati gli ospiti speciali, i suoi prediletti, da trattare con un occhio di riguardo, ai quali sarebbero spettati dei posti d’onore, di tutto rilievo. Lord Voldemort avrebbe fatto in modo che quei invitati speciali sarebbero rimasti inchiodati al proprio sedile, come a teatro, quando i grandi signori giungevano abbigliati ed incipriati di tutto punto per la nuova opera della quale tutti avrebbero presto parlato. I loro sedili erano comodi, dai morbidi cuscini, dorati, lo scheletro di legno era intarsiato, dorato, talmente bello da avere paura a toccarlo.

Gli ospiti del Signore Oscuro non si sarebbero alzati da quelle poltroncine lussuose per nessun motivo al mondo, a meno che non avrebbero preferito due zanne di serpente sul loro collo. Il suo serpente, Nagini, fremeva, non vedeva l’ora di essere lasciata libera, ma per il momento era confinata nella sua bolla d’aria, che galleggiava accanto al proprio padrone.

Lord Voldemort era appoggiato ad un rozzo parapetto di legno in cima alla torre, ed era stato messo per la sicurezza di quei pochi che si volevano avventurare in quell’edificio che non aveva più motivo d’esistere da qualche decennio. Il crepuscolo era meraviglioso, poiché era un momento di perfezione, di fragilità immensa, dove il mondo era sospeso e avvolto in un’aura di luminosità precaria, dopo il tramonto del sole. Era una luce di speranza, che brillava fioca, colorava il cielo, tempestandolo di tinte vivaci e forti, bordava le nuvole di un profilo dorato accecante. Ma il manto della notte senza luna avrebbe coperto e cancellato quello spettacolo, con un gesto secco ed imperioso, lo stesso con il quale Lord Voldemort  scacciava via i suoi servitori più maldestri ed incompetenti, lo stesso gesto con il quale scacciava via ogni turbamento che appannasse il suo splendente disegno di gloria.

Lui avrebbe posto fine al mondo magico come tutti lo conoscevano. Un mondo fatto di caos, di dubbie mescolanze, di ambiguità. Lui - e solo lui, perché era la mente, aveva speso anni a costruire quel mondo ancora ideale, era lui che aveva speso più di ogni altro, fisicamente e mentalmente - avrebbe riportato in vita un mondo più puro, tinto di un solo affascinante ed inequivocabile colore, dove lui avrebbe regnato indiscusso. Chiunque avrebbe osato mettere in discussione la sua autorità, avrebbe brancolato nel buio, trascinando suoi arti cristallizzati.

Il crepuscolo del mondo magico fatto solo di buoni sentimenti, ipocrisie e patetiche morali sarebbe iniziato quella notte stessa. Avrebbe dato vita ad una nuova era, ed i libri di Storia della Magia non avrebbero parlato d’altro, che di quell’era splendida nella sua austerità, granitica nel suo rigore che non avrebbe ammesso alternative o dubbi. Il manto della notte, mai come in quella sera gelida, gli era parso dei colori del blu più profondo e maestoso, impreziosito dallo scintillare delle stelle imperiture, simili a centinaia di piccole schegge dorate ed argentate. 

Era l’alba della sua Era, dove la notte avrebbe preso il posto del giorno ed esso sarebbe stato un mero interludio, un passaggio totalmente trascurabile, perché solo durante la notte il Signore Oscuro avrebbe compiuto le sue magie. Nefaste, deprecabili per i buoni, ma mirabolanti per i suoi fedeli.

Parte dei suoi Mangiamorte attendeva pazientemente dietro di lui; loro erano abituati a quelle attese, a quei silenzi interminabili dove Lord Voldemort rifletteva, e si abbandonava ai suoi flussi di coscienza.

Un’altra parte di loro attendeva nel bosco nei pressi del villaggio, e quel gruppo era capitanato da Igor Karkaroff, che non era che il Priore del Dearg Slèbua; questi era assistito da Lucius Malfoy, che in fondo non ne voleva sapere molto di essere un puro e semplice assistente del tedesco - sebbene le origini del compare fossero slave - com’era solito bollarlo con tono sprezzante, quando si trovava al sicuro tra le mura di Villa Malfoy. Ma aveva accettato comunque il compito ingrato, sperando tra sé e sé che qualcosa potesse metterlo in luce. A volte, la sua smania di dover emergere a tutti i costi, di arrivare vicino, vicinissimo al Signore Oscuro, era paragonabile a quella di una ballerina che sgambetta, che si muove e si agita, pur di arrivare in prima fila e di essere vista e lodata da tutti. Il posto di stella di prima grandezza era occupato da tempo, per cui, Lucius Malfoy si accontentava di poter stare poco più indietro, affannandosi a non finire indietro, dimenticato e trascurato da Lord Voldemort.

Il Mangiamorte si aggirava ansioso tra quelle gabbie, coperte da grossi teli neri. I vari esemplari di Crioshad erano lì dentro, ringhiavano e le unghie di cristallo scricchiolavano, stridevano contro il fondo metallico delle gabbie. Erano tutte creature in fase adulta, Karkaroff era riuscito a far crescere piuttosto in fretta almeno tre esemplari. Altri due erano ancora un po’ acerbi, ma voleva metterli alla prova lo stesso. Avrebbero comunque contribuito a quell’attacco di prova, anche in caso di eliminazione. Ogni dato per lo slavo era fondamentale. Ogni successo ed insuccesso costituiva un tassello importante per la riuscita di quel progetto che lo privava del sonno da qualche mese, che gli metteva a repentaglio ogni normale bisogno. Non conosceva più distinzione tra giorno e notte, mangiava e beveva quando se lo sentiva, non curandosi del tempo che passava.

Lucius sentiva le Creature Oscure scalpitare, ansiose di essere liberate. Non osava sollevare un lembo di tessuto, perché non voleva finire cristallizzato a causa di uno scatto d’ira da parte di uno di quei mostri.

Alzò lo sguardo verso la torre di Dunkeld, in attesa di un segnale che tardava ad arrivare. La tensione gli stava chiudendo lo stomaco in una morsa acida ed alquanto dolorosa. Detestava il dover stare impalato ad attendere ordini da qualcun altro, ma non poteva di certo dire a Lord Voldemort di sbrigarsi, perché lui voleva passare all’azione. Gli occhi si spostarono verso Karkaroff, che aveva la bacchetta impugnata nella mano destra, mentre la sinistra era appoggiata ad una delle gabbie. Le dita stringevano forte il tessuto scuro, tradendo un leggero nervosismo, o piuttosto trepidazione. Anche lui attendeva che qualcosa si muovesse dalla torre. I loro sguardi s’incrociarono.

“Dimmi, Lucius, non dovevano esserci anche i tuoi due prediletti?” chiese Igor.

“Io non ho prediletti” ribatté Malfoy, con un sorrisetto sprezzante “Non so di chi parli”.

“Ma sì, quei due ragazzini, che ti stanno sempre addosso neanche fossi...” e con un cenno del capo, Karkaroff indicò la cima dell’edificio dove si trovava Lord Voldemort.

“Capisco. No, non ci sono”. Si riferiva a Mulciber e ad Avery. Non erano lì con lui, sarebbe stato troppo rischioso portarli allo sbaraglio in una prova d’attacco così importante e delicata. Potevano rovinare il piano, o peggio, finire per essere catturati dai nemici, con il rischio che facessero il suo nome, che rivelassero tutti i piani, svelando i Mangiamorte ed i progetti del Signore Oscuro all’intero mondo magico. Sarebbero stati un inutile fardello da gestire. Poi, dovevano imparare ad aspettare il loro momento, dovevano accontentarsi di quello che potevano vedere, ma non potevano passare all’azione, non ancora.. Dovevano farsi bastare quello che riuscivano ad imparare dalle riunioni di Lord Voldemort e dei suoi fedeli. E dovevano assolutamente migliorare nel loro rendimento scolastico, era necessario che si applicassero con più impegno ad Hogwarts, per diventare degli abili Mangiamorte. Lucius Malfoy non aveva di certo intenzione di dare loro ripetizioni o di sopperire alle loro mancanze, ma confidava anche nell’aiuto e nella collaborazione di Severus Piton, che era nettamente più bravo degli altri due. 

Il cielo si era fatto buio, i colori erano stati inghiottiti da quell’enorme bestia vorace che era la notte. Malfoy si ricordò all’improvviso di quella leggenda che narrava l’alternarsi del giorno e della notte: due bestie si rincorrevano per la volta celeste, e si divoravano a vicenda. Il mostro della tenebra scacciava la creatura del giorno, ingurgitandola. Ma il giorno rimaneva vivo nel ventre del buio e lottava per tornare a dominare sul mondo. E il sorgere del sole annunciava il trionfo del giorno sulla notte, alla quale era stato squarciato il ventre, ed era stata a sua volta inghiottita dalla creatura di sole e d’oro, ed a sua volta era costretta a combattere per riconquistare il cielo.

Anche loro erano in lotta, ma avevano avuto il loro periodo di dominio nel corso della storia. Erano stati defraudati del loro potere, del loro prestigio, ed era giunto il momento di riprendersi tutto con gli interessi. Loro erano stati costretti a riunirsi nell’ombra, a tramare lontani dai raggi del sole perfido, che voleva stanarli e bruciarli. Anche loro lottavano nel ventre di quel mondo eccessivamente splendente, per tornare a dominare una volta per tutte. E il sole non sarebbe mai più sorto.

Una scintilla rossa uscì dalla punta di una bacchetta in cima alla torre - forse quella di Bellatrix? Conoscendola, stava scalpitando per poter radere al suolo quel villaggio magico, con svariate famiglie di maghi Nati Babbani - ed immediatamente i Mangiamorte radunati nel bosco poco distante compresero che era ora dell’azione. Ora di bruciare, ora di distruggere, ora di purificare tutto, con la perfetta trasparenza e lucentezza del cristallo di Crioshad.

 

Mary non aveva molto appetito, era nervosa e stanca, quella sera. 

Aveva evitato la compagnia ciarliera di Lily, Marlene ed Emmeline. Aveva mangiato solamente delle verdure cotte - “Mary! Vederti mangiare solo verdure è desolante” aveva esclamato Lily stupita, salvo poi pentirsi di quell’uscita inopportuna, dato l’umore tetro dell’amica - ed aveva sbocconcellato un pezzo di pane, guardando il piatto che aveva davanti. Si era ritirata in dormitorio, passando di corsa per la Sala Comune, cercando di evitare quei perdigiorno dei Malandrini, che invano avevano cercato di trattenerla. Arrivata al suo giaciglio, non si era tolta la divisa scolastica, aveva semplicemente lanciato le scarpe sotto il letto, e si era buttata sul materasso, affondando la testa nel cuscino morbido. Non aveva acceso candele o torce, voleva rimanersene nel buio totale, voleva affrontarlo, giacché ultimamente lo temeva, e le disturbava il sonno. 

Aveva il costante timore che ci fosse qualcuno, qualcosa a tenerla d’occhio, mentre dormiva. Per di più, le pareva di sentire qualcosa afferrarle le caviglie e quegli arti erano freddi, gelidi, come il cristallo.

Si era detta che non erano altro che suggestioni, paure infantili tornate alla carica a causa dello stress e della tensione del quinto anno, degli esami in arrivo. Tuttavia, ci aveva riflettuto a lungo e non si ricordava di alcuna fobia di mostri di cristallo. Da maga Nata Babbana, ricordava paure per delle creature con molti denti affilati, per mostri dalle sembianze di rettili, di piccoli diavoli, esseri tipici dell’immaginario dei bambini Babbani, ma non possedevano di certo arti freddi. Si può essere piccoli quanto si vuole nel momento in cui si conosce il significato dell’avere paura di qualcosa, ma non ci si dimentica mai dell’oggetto dei propri timori, e benché esso sia coperto da strati di polvere e di oblio, è impossibile dimenticarselo. Esso riemergeva dal pulviscolo, con i tratti più nitidi che mai, ed è pronto a far rivivere alla propria vittima ogni singolo attimo di terrore.

Perché ora temeva degli artigli gelidi e taglienti? 

E anche se ci fossero stati per davvero, era convinta che la magia l’avrebbe salvata. Stava diventando una buona maga anche per quello, per sconfiggere dei mostri, che provenissero dalla sua testa o dalla mente di un mago malvagio.

Un rumore di passi l’inquietò e si mise su a sedere di scatto. Un colpo di bacchetta fece luce in quella stanza. Era Lily.

“Mary! Che ci facevi al buio?” chiese la giovane un po’ preoccupata.

“Niente” rispose asciutta l’altra “Ero semplicemente troppo stanca per fare luce”.

L’amica la guardò un po’ perplessa, intanto che entrambe si cambiavano, per mettersi il pigiama. Lily sbadigliò. 

“Sono esausta, credo che entro venti minuti sarò nel mondo dei sogni. E credo che me ne infischierò dei compiti da finire, per una volta”. Impossibile: piuttosto Lily si sarebbe svegliata prima delle altre per ultimarli e consegnarli in maniera impeccabile all’insegnante di turno.

“Mh-mh” annuì distrattamente Mary, passandosi una mano sulla caviglia. Quella presa l’era sembrata così reale... Si sedette sul letto, continuando a toccarsi ora la caviglia, ora il polpaccio.

Lily si avvicinò all’amica pensierosa e si sedette accanto a lei.

“Non me ne andrò fino a quando non mi dirai che cosa ti prende. Prima le verdure, poi tutto questo silenzio, a momenti non rispondi. Che cos’hai?”.

Mary la guardò intensamente negli occhi.

“Dormo male e faccio brutti sogni” spiegò con semplicità la compagna di casa “E... Ho paura del buio e me ne vergogno da morire”.

Lily avrebbe voluto dirle che lei da qualche tempo aveva quello strano sogno dove era sdoppiata in due donne diverse, una vestita di nero e follemente innamorata del Principe Mezzosangue - che iniziava a capire chi potesse essere, in fondo non era così difficile - e una vestita di bianco, sadica e crudele, in compagnia di quattro giullari simili in tutto e per tutto ai Malandrini. Ma non poteva, non fino a quando non avrebbe avuto chiaro il senso di quella visione onirica.

“Riesci a ricordarti quello che vedi nei sogni?”.

“Non sono proprio sogni” Mary tacque per qualche istante “Cioè penso che lo siano, ma sembrano così reali...”.

“...Al punto che ti sembra che sia tutto vero”.

“Sento qualcosa afferrarmi per le gambe. Ed è freddo” si lamentò l’amica “Non ho mai sognato creature fredde”.

La mente di Lily andò alla spiacevole sensazione che provocavano i Dissennatori, non ne aveva mai visti di persona, però sapeva dai libri che cosa fossero in grado di far sentire alle proprie vittime; tuttavia, non erano certo creature che si nascondevano sotto i letti delle ragazze. 

“Ti ricordi qualcos’altro di questi... Mostri?”.

Mary scosse la testa. “Non ricordo altro e ho paura. Ho paura di impazzire, di non dormire più serena”.

Lily oramai credeva che in ciascun sogno si nascondesse un presagio, un messaggio che stava alle persone recepire e decifrare. Un messaggio rivolto al proprio avvenire, specie quando questi sogni si facevano ricorrenti. Aveva paura di spaventare ulteriormente l’amica, ma d’altro canto non poteva nascondersi dietro frasi di circostanza - “Tranquilla, ti passerà!” - accompagnate da goffe pacche sulle spalle, per nascondere la propria incapacità di saper consolare una persona cara.

La giovane fece per aprire bocca, quando Marlene entrò in stanza, con passo rapido e sguardo preoccupato. Cercò con gli occhi sia Lily, sia Mary. Non annunciava buone notizie, soprattutto per il modo in cui stringeva tra le mani una pergamena in parte bruciacchiata.

“Mary” disse con tono grave “Appena hai lasciato la Sala Comune, sono arrivati due gufi, uno per Silente, uno per te, ma arrivavano entrambi da Dunkeld. Silente è partito all’istante, assieme al Professor Vitious. Aveva un’aria spaventatissima, chissà perché...”. Non poteva sapere che anche l’insegnante abitasse in quel villaggio scozzese. Ma Mary lo sapeva eccome e saltò in piedi, dirigendosi verso l’amica. Abitava in quel villaggio da un cinque, sei anni, da quando i suoi genitori avevano saputo di Hogwarts. Erano elettrizzati dal fatto di avere una figlia maga, quindi avevano accettato la sfida di trasferirsi in un paesino scozzese popolato per metà da maghi e per metà da Babbani.

“Che cosa è successo?” perché Mary in quel momento sentiva lo stesso freddo che avvertiva nei suoi incubi? Per quale motivo si sentiva attanagliata in una morsa d’ansia e di terrore? 

Marlene senza dire una parola la invitò a sedersi, poi le mise tra le mani la missiva. La grafia era disordinata e nervosa, a volte le parole non si leggevano in maniera chiara a causa delle macchie scure, le fiammate, che avevano annerito la pergamena.

 

Cara Mary, sono Annabelle, la tua vicina di casa a Dunkeld. E’ successo qualcosa di terribile. Ci stanno attaccando - “Chi!? Chi sta attaccando casa mia!?” pensò nel panico la ragazza - hanno attaccato il nostro villaggio... Hanno cercato i maghi Nati Babbani, avevano loro come obiettivo. E’ terribile. Hanno devastato - “Chi ha devastato la mia casa!?” ripeté Mary disperata - casa tua, e dei tuoi genitori, che non erano lì, ma sono sopraggiunti una volta finito l’attacco. Sono qua, davanti a me, impietriti sul mio divano. Sono sotto shock, non avevano mai visto una cosa simile. Ho protetto casa mia come potevo, assieme a mio marito. Per fortuna stiamo entrambi bene.

 

Hanno preso la famiglia Hill... Ti ricordi quella numerosa famiglia di maghi Nati Babbani? Hanno preso tutti, genitori Babbani compresi. Non ho capito chi fossero gli aggressori, a dire il vero, erano tutti coperti da maschere metalliche e mantelli neri. E controllavano creature terribili, quelle che vedi solo nei libri e nelle leggende che ti raccontano. Erano raccapriccianti, tanti piccoli scheletrini, demonietti dalle ossa trasparenti coperti da dei brandelli di tessuto scuro e viscido. Sembravano dei piccoli Dissennatori.

 

Ti scrivo perché i tuoi genitori sono troppo spaventati al momento per poter scrivere qualcosa di sensato. Stai al sicuro ad Hogwarts, per il momento li ospiterò io a casa mia, ma ti prego: convincili andare a vivere lontano dai maghi - lo so, loro vogliono convivere con noi, e noi con loro, ma ho paura che questo sia solo l’inizio di qualcosa di molto brutto. Stiamo tornando indietro, stiamo tornando verso un’era oscura e primitiva, dove solo la follia e la barbarie ci dominavano. E non c’era spazio per i maghi con sangue Babbano. Ti prego, ascolta il mio consiglio. Cerca di farli andare a vivere in una città Babbana, che sia Londra, Manchester, Edimburgo, Liverpool. Ma tienili lontani da qualsiasi villaggio magico. 

 

Tua,
Annabelle
”.

 

A Mary venne da urlare, ma tutto ciò che voleva gridare, si tramutò in silenziose lacrime, che colavano lungo le guance. Gli incubi stavano diventando un’atroce realtà.

Le altre tre ragazze si erano radunate attorno a Mary, cercando di farle forza e di farla reagire, per evitare che impazzisse del tutto. Un rumore di passi le fece voltare verso l’ingresso dell’ampia stanza. Minerva McGranitt, la direttrice della loro casa, stava entrando con aria estremamente preoccupata e stava avanzando verso il letto di Mary MacDonald.

“Evans, McKinnon e Newey” disse con aria molto seria “Vi chiedo di lasciare me e la signorina MacDonald sole per qualche istante. La situazione è estremamente grave”.

Le tre ragazze uscirono di corsa dalla stanza e fecero in modo di rimanere in prossimità dell’ingresso, nella speranza di poter carpire qualche frammento di conversazione. La mente di Lily iniziò a fare febbrili connessioni con tutte le informazioni che aveva accumulato in quelle settimane e ciò che stava accadendo nel mondo magico; gli attacchi ai Nati Babbani, quei strani personaggi che sbucavano fuori dalle tenebre - a partire da Lucius Malfoy, Mulciber ed Avery che sembravano così desiderosi di dimostrare una superiorità nei confronti dei maghi come lei... No, era decisamente troppo perché si trattasse di un caso, di eventi fortuiti e temporanei. Qualcosa era pronto a scuotere il mondo magico sin dalle fondamenta. E aveva la paura feroce che fosse Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Ma come poteva lei, semplice quindicenne, poterne avere l’assoluta certezza? 

Aveva un bisogno disperato di confrontarsi con Sev, di mettere assieme tutti i frammenti del puzzle. Ce l’avrebbe fatta solo con il suo insostituibile aiuto ed intuito. Ma in quel momento doveva fidarsi di se stessa e della sua intelligenza e non poteva permettersi di perdere un solo dettaglio.

Merlino, a volte rimpiangeva di non essere una semplice e normale ragazzina di quindici anni. Senza magia, senza Hogwarts. A volte rimpiangeva di non essere una normale ragazzina pronta alla sua audizione per il conservatorio, con la sua piccola e segreta ambizione di fare musica da camera. A volte rimpiangeva di non avere un rapporto normale e sano con sua sorella. Ma quella sarebbe stata un’altra storia, se fosse stata differente, che l’avrebbe portata lontano dalla sua vera natura, probabilmente. Non c’era niente di peggio che rifiutare o rinnegare quello che si era. E Lord Voldemort voleva annientare i maghi della stessa natura di Lily. Doveva forse iniziare a temere anche per la sorte dei suoi genitori? Avrebbero attaccato pure Cokeworth? Lei intuiva che ci fosse lui, il Signore Oscuro, dietro a tutto quel caos, sapeva che voleva schiacciarli tutti come insetti. Ma in cuor suo, continuava a sperare che fosse il Signore Oscuro a finire disintegrato dalla sua stessa ingordigia ed ambizione.

Lily strinse forte il ciondolo che portava al collo, sperando che potesse esserle di conforto in quei momenti difficili.

* * *

Avete tutti i sacrosanti diritti di cruciarmi e torturarmi. UN MESE E MEZZO SENZA AGGIORNARE IRISH RAIN! Poi, adesso che è entrata tra le Scelte!!!

Ma solo Merlino sa quanto voglia levarmi di dosso l’università e dedicarmi ad altro. Ahimè devo stringere i denti e dare gli ultimi esami che non ho nessuna voglia di fare e una tesi divertente - sui Beatles e sui Genesis e la psicologia dei leader nelle due suddette band - che invece vorrei aver già scritto. E vorrei suonare di più il pianoforte, per quanto riesca a suonarlo con regolarità. E vorrei vorrei vorrei vorrei e basta. *inserite cose a vostro / mio piacimento*

 

Intanto, vorrei davvero ringraziarvi per aver fatto in modo che la mia storia entrasse tra le Storie Scelte di EFP. Davvero, non so come ringraziarvi, sono commossa! E’ un traguardo che mi da’ motivazione e non ho alcuna intenzione di mollare il colpo, sebbene gli aggiornamenti siano decisamente più rarefatti. E’ solo per la dannata Real Life, non vi preoccupate.

 

Vi lascio il brano del capitolo - una meraviglia del Maestro Battiato, un vero poeta per me. E come sempre, non so come ringraziarvi per tutto questo affetto e seguito. Siete preziosi per me, sempre <3 E non mi dimentico di voi.

 

Ah, per chi non conosce lo Stabat Mater di Pergolesi. Qua <3 

 

Un abbraccione gigante,


Blankette_Girl

Ale <3

   
 
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