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Autore: JulietAndRomeo    28/06/2012    1 recensioni
Io rimasi un attimo interdetta: Nick? Quel Nick? Il figlio di Jeremy? Il tipo che avevo odiato a prescindere?
Come se ci fossimo letti nel pensieroci girammo l'uno verso l'altra: «Cosa?»
«Sta zitto!», «Sta zitta!» urlammo all'unisono e continuammo: «Io?»
«Tu!»
«No!»
«No?»
«Si!»
«Smettila!» concludemmo.
questa è la prima storia che scrivo e l'ho fatto per un concorso letterario a scuola quindi non so neanche come è venuta: la pubblico perché mi piacerebbe avere un vostro parere, non so ancora quanto sarà lunga perché il concorso sarà a settembre quindi devo ancora finirla. E' un giallo/commedia perché non piacciono neanche a me le cose troppo pesanti da leggere quindi l'ho 'alleggerita'. Non vi chiederò un commento, quello deve essere a vostro buon cuore. Adesso vi lascio, buona lettura
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4: Problemi in paradiso.

I giorni passavano pigri e mi ero abituata alla presenza di Nick in casa: facevamo colazione insieme e poi, subito dopo, via alla volta del distretto, pranzavamo fuori e il pomeriggio tentava di non farmi pensare al caso. Solo una volta capitò un motivo di palese imbarazzo: una mattina, come al solito, avevo bussato alla porta della sua camera per dirgli che la colazione era pronta ed ero scesa al piano inferiore; passarono diversi minuti e cominciai a preoccuparmi, non essendo da lui essere in ritardo, infatti quando andavo a chiamarlo, era già pronto per uscire di casa; così risalii le scale e mi piazzai davanti alla porta, indecisa se aprirla o meno. Quando sentii un mugolio proveniente dall'interno decisi che sarebbe stato meglio bussare ancora, avvertendo della mia imminente entrata: e così feci.
Bussai e dissi: «Nick, sono io... sto entrando».
Forse ammetto che fu colpa mia, visto che non gli diedi il tempo di rispondere, fatto sta che, quando aprii la porta, lo trovai ancora a letto, con a fianco una bella ragazza: non credo i lettori abbiano problemi a capire la situazione, ma ebbi problemi io a capire perché diavolo avessi voglia di cavare gli occhi alla rossa senza cervello (perché dal suo sguardo si poteva notare l'assenza di neuroni nella scatola cranica) accanto a Nick. Sul momento attribuii il fastidio al fatto che quella fosse in casa mia senza che io lo sapessi, quindi balbettai delle scuse sconnesse e tornai di sotto, ancora rossa come un pomodoro maturo. Non mi ero ancora ripresa dalla brutta figura, quando Nick mi afferrò per un braccio e mi trascinò in salotto dove, dopo aver chiuso le porte ed essersi accertato che non ci fosse nessuno nei paragi, come avrebbe fatto un ladro, tentò di darmi delle spiegazioni: «Mi dispiace, io... io... beh, Tiffany...» tentava di dire Nick.
«Ascolta Nick, non devi darmi nessuna spiegazione, io capisco che tu... beh si, che tu abbia una... ragazza, una ragazza si, e... e va bene! Anzi è fantastico!» pronunciai l'ultima parte della frase con una nota di sarcasmo e amarezza, tanto accentuata che Nick la colse.
«Non lo credi davvero» affermò.
«Certo che lo credo davvero, perché non dovrei?».
«Cosa ti da fastidio?».
«Beh, certo, se mi avessi detto di avere una ragazza, non sarei entrata!».
«Non saresti dovuta entrare in ogni caso, non lo fai mai!» sbottò lui.
«Non lo faccio, perché quando ti chiamo la prima volta, di solito, sei già lavato e vestito e non ti stai rotolando nel letto con... con... un'oca!» dissi con rabbia, incapace di trattenermi.
«Beh, questa volta no! E, a parte il fatto che non vedo il motivo di essere arrabbiati, Tiffany non è un'oca!».
Già, non c'era motivo di essere arrabbiata: e allora perchè avrei voluto evirarlo? O quanto meno picchiarlo a sangue?
«Si appunto. Senti facciamo finta che non sia successo niente, ok? Anzi per la prossima volta metti un qualcosa fuori dalla porta, in modo che io non vi disturbi più del necessario» dissi mentre gli voltavo le spalle: «Ah, e salutami Jennifer!» proseguii con ironia.
«Si chiama Tiffany!» lo sentii urlare nella mia direzione, mentre correvo in cucina.
Mi sedetti come se niente fosse a tavola e, come ogni mattina, cominciai a giocare con la colazione: ma che diavolo mi era preso? Mi ero comportata come una fidanzata gelosa!
Impensabile anche per me che adoravo la teatralità! Certo, Nick era bello, bello da far paura, e simpatico e intelligente, ma non era il mio tipo... giusto? GIUSTO?!
Mi convinsi di essere irritata solo perché non sapevo che ci fosse un'oca rossa in casa mia. In quel momento la signora Smith interruppe il corso dei miei pensieri: «Devi mangiare, Macy».
Non mi chiamava mai 'Macy', lo faceva solo quando era preoccupata per me, quindi la conversazione aveva cominciato a non piacermi ancora prima che iniziasse.
«Non ho fame» risposi asciutta.
Lei si asciugò le mani nella tovaglia vicino al lavabo e si sedette di fronte a me al tavolo: «Cosa c'è che non va?».
«Niente, è tutto ok».
Io ero brava a mentire, ma la signora Smith e Charles mi avevano cresciuta e mi conoscevano meglio di mia madre, infatti la donna rispose: «Non ti credo, bambina».
'Bambina'? Ora si che cominciavo a preoccuparmi seriamente!
«Sul serio, non c'è niente che non vada».
«E allora perché quel muso?».
«Quale muso? Io non ho nessun tipo di muso, signora Smith!».
«Si che ce l'hai e se non vuoi raccontarmi niente va bene lo stesso, ma ricorda: non fa bene tenersi tutto dentro» concluse sibillina la donna.
Come diavolo faceva a convincermi sempre? Stava per alzarsi, ma io la bloccai afferrandola per un braccio: «Ok, ok, parlo» dissi rassegnata, ma decisa a non mollare.
Lei sorrise e si rimise seduta. Io chiusi gli occhi e decisi si mentire spudoratamente: neanche mio padre avrebbe capito la verità, e lui mi leggeva come un libro. Non fraintendetemi, non mi piaceva mentire alla signora Smith, ma era necessario per salvare la faccia!
«Ok, mi hanno chiesto consiglio e non so che fare; anzi, che dire...» cominciai mordendomi il labbro inferiore, cosa che mi ero accorta facevo solo quando ero sovrappensiero.
«Chi ti ha chiesto consiglio?» disse la signora Smith interessata.
Dalla sua espressione, capii che aveva creduto all'inizio della mia storiella e così mi preparai alla miglior performance di tutti i tempi: «Un amica che non vedevo da parecchio: non che sia un'amica tanto stretta, io non ho amici, ma pur sempre una conoscente, e non so che cosa consigliarle».
«Di che si tratta?».
«Ha un problema... con un ragazzo».
«Problemi con un ragazzo?».
«Si» confermai.
«Ma perché ha chiesto a te? Dici sempre che non sei brava in queste cose».
«Adesso che me lo ha fatto notare, me lo chiedo anch'io» dissi assumendo un'espressione pensierosa e interrogativa.
«Beh, vuoi dirmi il suo problema?» disse la signora Smith, dopo qualche istante di silenzio.
«Oh si, giusto! Ultimamente ha cominciato a... frequentare questo ragazzo, che credeva un amico -menomale che non ho amici-, ma quando la settimana scorsa lo ha visto con un'altra, aveva voglia di castrare lui e cavare gli occhi a lei. Che cosa ne pensa?» dissi guardando la signora Smith negli occhi.
«Penso che la tua amica, Macy, sia innamorata, anche se ancora non lo ha capito, e gelosa all'ennesima potenza» concluse la donna sorridendo.
Innamorata?! Gelosa?! Che cosa?!
«No, non è possibile! Lei è una, a quanto mi risulta, che si è innamorata un'unica volta, e le era capitato con una scatola di cioccolatini ripieni! Non può essere innamorata; non potrebbe essere qualcos'altro?» chiesi con ansia.
«No» replicò sicura la signora Smith.
Bene... sono fottuta! Amore 1 – Macy 0.
«Ok grazie allora, mando un messaggio alla mia amica e organizzo un appuntamento per dirle tutto» dissi afferrando il cellulare e volando letteralmente via dalla cucina.
Una volta uscita mi precipitai in salotto e stavo per sedermi sulla poltrona in pelle, quando sentii Nick e la sua fiamma (in tutti i sensi, dato l'improbabile colore dei capelli di quella tipa) scendere le scale: se si fossero fatti vedere in cucina, la signora Smith avrebbe capito che l''amica' di cui parlavo ero io!
«Ahahahah si lo so!» rideva l'oca.
«È stato davvero incredibile!» diceva lui.
Io sbuffai e roteai gli occhi: che cavolo si ridevano?
«Vieni, facciamo colazione e poi andiamo» continuò Nicholas.
'Colazione'? 'Andiamo'? Dove?!
Decisi che al 'dove' avrei pensato dopo, dovevo occuparmi della 'colazione' ora.
«Hey!» esclamai attirando l'attenzione dei due, senza un piano ben preciso in testa.
Entrambi si voltarono verso di me e io rimasi immobile, ferma come uno stoccafisso in mezzo al salotto.
«Che c'è?» domandò Nick, ancora irritato dalla nostra discussione.
«Ehm, io... io volevo... io volevo chiedervi di fare colazione con me, fuori, lontano, anzi no, lontanissimo da qui, così da poterci conoscere, stro... stupendissima ragazza di Nick» dissi all'oca, correggendomi appena in tempo, con un sorriso falso quanto il colore dei suoi capelli stampato in faccia.
«Oh si, Nick, possiamo?» disse contenta la stronza, rivolgendosi all'idiota.
«Uhm... ok» rispose lui sbuffando.
«Allora emh... aspettate qui, nel salotto... non, non muovetevi» comincia camminando all'indietro, tentando di raggiungere la porta: «Io avverto Charles che usciamo... ma voi non muovetevi da qui, dal salotto» ribadii sorridendo prima di uscire di scena.
Scrissi veloce un messaggio a Charles e mi affrettai a tornare in salotto. Quando lo feci, l'oca non c'era e per poco non mi venne una sincope.
«Dov'è la tua ragazza?» chiesi allarmata.
Nick se ne accorse e rispose: «In bagno, ti da fastidio anche questo, Macy?» disse duro.
Non raccolsi la provocazione, perché in quel momento uscì la signora Smith dalla cucina, con una montagna di roba (asciugamani soprattutto) da portare in bagno.
Quando la vidimo, sia io che Nick, ci alzammo di scatto dalle poltrone in cui ci eravamo appoggiati e ci parammo davanti all'anziana donna.
«Ragazzi, che state facendo? Devo passare!».
«Dove va di bello, signora?» disse Nick.
«A sistemare questa roba in bagno» disse lei con aria spaesata.
«No!» dissimo all'unisono io e Nick.
Anche lui non voleva che la signora Smith vedesse la rossa, ma perché?
«Non può» continuò lui più calmo, accortosi della faccia spaventata della donna alla nostra esclamazione.
«Non posso?».
«Già, non può! Perché... perché... perché il bagno si è...».
«Allagato» continuò Nick per me.
«E allora bisogna chiamare i tecnici e farli venire subito» disse la signora Smith.
«No!» dissi parandomi davanti a lei per l'ennesima volta.
«No?» disse lei frastornata.
«No, perché la ripariamo noi la tubatura vero, Macy?» disse Nick.
«Esatto! Quindi dia a me, porto io questi di sopra» dissi io togliendo dalle braccia della signora Smith la pila di asciugamani puliti.
«Ok ragazzi, ma se non doveste riuscirci, chiameremo i tecnici».
«Perfetto» mugolai sofferente, da dietro la torre di asciugamani. Accidenti quanto pesavano!
Detto questo cominciai a salire le scale barcollando, ma non prima di aver spiegato a Nick il piano che avevo in testa. Era relativamente semplice: mentre io, dal ritorno dal bagno in compagnia della rossa, distraevo la signora Smith, lui e l'oca, che nel frattempo sarebbe passata sotto la sua custodia, avrebbero preso la macchina e sarebbero usciti, raggiungendo il bar prestabilito, mentre io sarei uscita poco dopo di loro.
Arrivai in cima alle scale, non senza qualche difficoltà, e al primo sgabuzzino che trovai, buttai gli asciugamani, promettendomi di recuperarli più tardi... forse. Proseguii dritto e, alla seconda porta a sinistra, mi fermai e bussai: «Hey, emh... ragazza di Nick, sei lì dentro?».
«Si esco subito!» la sentii squittire.
Subito dopo sentii un tonfo e un gemito di dolore: lo scalino aveva fregato anche lei. Che scalino meraviglioso!
Quando aprì la porta, la trovai con la gonna storta e i capelli scompigliati: «Stai bene?» le chiesi cercando di trattenere una risata.
«Si, ma sono scivolata» rispose con un tono di voce vicino a quello di quando si piange.
«Lo avevo notato» dissi guardandola con una smorfia: «Ehm, ascolta, dovresti venire con me, senza fare rumore».
«Perché senza fare rumore?».
Proprio ora cominciava a fare domande sensate?
«E beh, perché... perché Charles sta dormendo e non vorrei svegliarlo ecco, e quando ti dico io nasconditi, sempre senza far rumore».
«Nascondermi?».
«Esatto, sai al cane non piacciono gli estranei».
«Ehm, ok, se lo dici tu! Lo sai che sei molto simpatica?».
«Grazie».
'Non posso dire lo stesso di te' pensai.
Cominciammo a scendere le scale nel più assoluto silenzio. L'oca era stata di parola: non un fiato. Sentimmo però dei passi e la voce di Nick che pregava la signora Smith di non salire. Porca vacca!
«Nasconditi! Ovunque, ma fallo!» bisbigliai alla ragazza alle mie spalle.
Lei annuì convinta e si accucciò dietro di me: non solo oca, ma anche completamente deficiente! Evidentemente il momento di intelligenza, sorto nel momento delle domande, era svanito lasciando spazio al nulla.
«Non dietro di me!» sussurai irata.
«E dove allora?».
«Non lo so, ma hai meno di cinque secondi per farlo!».
Lei cominciò ad agitarsi e a saltellare sul posto, muovendo le mani come quando vengono calpestate e si prova quindi dolore, così presi l'iniziativa e, dopo averle detto che sarebbe arrivato Nick, scesi le poche scale che mi separavano dalla signora Smith e la intercettai: «Signora Smith!» esclamai incerta su cosa inventarmi: «Non può ancora andare di sopra».
«Perché, di grazia?».
«Perché è tutto allagato! È come se ci fosse una piscina nel bagno».
«Ma signorina, i suoi piedi sono asciutti! e di sicuro non ha cambiato le scarpe».
In quel momento mi resi conto della mia gaffe e mi maledì in 13 lingue diverse, anche in quelle morte.
«Si beh.... certo, perché... io ho... perché ho indossato degli stivali. Sulle scarpe. Degli stivali sulle scarpe!» esclamai sorridendo come un ebete.
«Degli stivali sulle scarpe?» disse scettica l'anziana.
«Si sono dei nuovi stivali in commercio e... ma lasciamo perdere! Andiamo a controllare che... che non si sia allagato di sotto, nel frattempo Nick si occupa del problema di sopra».
«Senz'altro» rispose Nick.
«Uhm... ok» acconsenti la donna.
Scampata per un pelo! Adesso avrei portato la signora Smith lontana dalla cucina e dalla scala del sotterraneo, dando a Nick l'opportunità di uscire di casa con quella.
«Venga, signora Smith, venga» dissi guidandola fino allo studio, situato da tutt'altra parte rispetto alla cucina: «Vede? Qui è tutto pulito, perfetto no?» dissi guardando la macchina di Nick varcare la soglia del cancello di casa.
«Si, ma...» disse la signora Smith, senza parole.
«Ma che sbadata! Ho dimenticato di avere un sacco di cose da fare!» dissi dandomi una piccola sberla in fronte: «Esco, ci vediamo stasera, signora Smith!» dissi salutando allegra.
«Ok, Macy, a stasera» disse frastornata la donna.
Mi precipitai in cucina e poi subito nel sotterraneo. Presi le chiavi di Michelle, la Lamborghini, sperando fosse meno appariscente di Juliet, e solo quando sentii il rombo del motore, riuscii a rilassarmi del tutto; mentre aspettavo che la porta automatica del garage si aprisse, mi abbandonai contro il sedile in pelle nera dell'auto: perché Nick non voleva che la signora Smith vedesse Tanya o Theresa o come diavolo si chiamava? E perché la suddetta signora Smith era convinta che io, o meglio la mia amica, fosse innamorata?
Quando la porta del garage fu completamente aperta, uscii imboccando la salita: riflettendoci se la signora Smith avesse saputo che stavo parlando di me stessa, non avrebbe mai avanzato l'ipotesi dell'amore. Perciò il risultato cambiava: Amore 0 - Macy 0. Parità! Quindi con le mie convinzioni mi avviai verso Beverly Hills, nel solito posto dove io e Nick, facevamo colazione prima che lui si trasferisse da me.
Il tragitto non fu dei migliori, lo ammetto: non frantendetemi, adoravo Los Angeles, non ci si annoiava -quasi- mai, ma il traffico era la più cosa odiosa del mondo, indipendemente dal fatto che si avesse o no fretta e a Los Angeles ce n'era parecchio; infatti sulla Sunset & Boulevard -come in molte altre strade, ad onor del vero- c'era sempre un gran casino e se avevi l'incommensurabile sfortuna di imboccarla nell'ora di punta, non c'era santo che potesse tenere: rimanevi bloccato nel traffico, come un topo in trappola, tra le auto degli altri automobilisti sfortunati come te.
Io come una cretina, pensai fosse il modo migliore per arrivare prima, infondo la Sunset & Boulevard attraversava tutta Beverly Hills: mi sbagliavo di grosso. Ero in coda, da quasi venti minuti, quando qualcuno aprì lo sportello dell'auto e saltò a bordo.
Stavo per cominciare a minacciare di morte chiunque fosse salito, ma la voce di Lewis mi anticipò: «Non sprechi fiato, Cullen, non scenderò, ho delle notizie da darle».
Guardai l'ispettore interessata e annuii per fargli capire che poteva continuare.
«Hanno riconosciuto il nostro cadavere».
Io sgranai gli occhi: «Davvero? Come si faceva chiamare?».
«Samuel Santini: si era trasferito a Long Beach, subito dopo aver abbandonato il suo vecchio nome e aver cancellato la sua vita precedente».
«Ne aveva creata un'altra?».
«Si; si è sposato nel 2003 a 37 anni, nove anni dopo la scomparsa di Philip Jennings, con Jenna Lower, 37 anni attualmente; non hanno avuto figli, a causa della sterilità della donna, e quindi hanno adottato Karim, un ragazzino brasiliano, di quindici anni oggi, di 12 al momento dell'adozione».
«Chi lo ha riconosciuto?».
«La moglie: è venuta da noi al distretto, chiedendo cosa volessimo da suo marito, tanto che lì per lì non capii di che marito stava parlando, poi ha estratto la foto di Jennings e l'ho interrogata».
«Non aveva fatto denuncia di scomparsa?».
«Assolutamente no, e questa cosa, è parsa strana anche a me: abbiamo trovato il corpo una settimana fa e lei non si è neanche preoccupata a quanto pare. Mia moglie avrebbe rivoltato mari e monti, conoscendola» disse con un mezzo sorriso l'ispettore.
«Le avete chiesto perché non aveva sporto denuncia?».
«Si ovviamente, ma ha detto di aver avuto tempo».
«No ispettore, mi faccia capire bene: una donna sposata da 3 anni, non vede rincasare il marito per una settimana, non si preoccupa e non sporge denuncia perché non ha tempo?».
«Esattamente».
«E non vi siete insospettiti?».
«Certo che si! Ma che potevamo fare? Abbiamo cercato di farci spiegare il perché della mancanza di tempo, ma è stata parecchio reticente».
«E il ragazzo?».
«Chi?» disse l'ispettore stralunato.
«Karim, il ragazzo!».
«Oh si, giusto. Ma che c'entra lui?».
«Ispettore, mi prende in giro?».
«Non capisco» ammise Lewis, sforzandosi di comprendere dove volessi andare a parare.
«Ok: mettiamo caso lei sia un ragazzo di 15 anni, che cosa farebbe tutto il giorno in casa?».
«Come fa a sapere che rimane in casa?».
«Quello glielo spiego dopo, mentre andiamo al distretto, adesso risponda».
«Beh, giocherei con i videogames, userei il computer o il cellulare, guarderei la televisione...».
«Esatto!».
«Cosa?».
«Guarderebbe la televisione e userebbe il cellulare!».
«E quindi?».
«La foto di Jennings o di Santini, come preferisce, è stata mandata in onda su ogni telegiornale, è impossibile che il ragazzo non abbia riconosciuto il padre adottivo! E poi questo ragazzo degli amici deve averceli! Uno di loro gli avrebbe sicuramente chiesto il perché la foto di suo padre fosse in televisione!».
«Ha ragione, Cullen!» esclamò l'ispettore: «Questo significa comunque poco, però: io chiederei spiegazioni a mia madre se vedessi mio padre alla TV».
«Anche questo è vero, ciò non toglie che l'intera famiglia non si era minimamente curata della scomparsa dell'uomo».
«Già».
Con questa frase, o meglio, con questo monosillabo, morì la conversazione tra me e Lewis.
Quando notai che non accennava ad andarsene, mi venne in mente una cosa: «Ispettore, come ha fatto a trovarmi?».
«Ho rintacciato il suo I-Phone» disse con un sorriso furbo: «La cosa bella di questo telefono è che ha il GPS e la mia fortuna è che lei lo tiene sempre acceso».
«Ma una chiamata, come tutte le persone normali avrebbero fatto, era troppo banale per lei?».
«Ammetto di non averci pensato: ma comunque rintraccerò più spesso il suo cellulare se significa poter stare in una macchina come questa, con dei sedili così comodi».
«I suoi colleghi la staranno aspettando, in macchina» azzardai.
«Sono venuto a piedi apposta».
Sgranai gli occhi: cosa?!
«È venuto perchè sapeva che ero in macchina e che quando mi avrebbe detto le novità non avrei esitato a recarmi al distretto, vero?».
«Esatto» disse con un sorriso soddisfatto l'ispettore.
Borbottai fino a quando non arrivammo al distretto, come potete immaginare, e solo quando parcheggiai mi ricordai di Nick e del nostro pseudo appuntamento.
   
 
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