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Autore: Abirthofbrokendreams    29/06/2012    1 recensioni
Evelyn, una giornalista Echelon a Los Angeles. Jared e Shannon, finalmente a casa, si godono le vacanze. Cosa succederà quando le vite dei tre si incroceranno?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dodicesimo capitolo!! Questo ci è voluto un po' per scriverlo, ero troppo presa dal creare la copertina della storia! Ebbene sì, avete capito bene. Mi sono resa conto che non avete idea di come sia fatta Evelyn (cioè ve la sarete sicuramente immaginata, ma io voglio farvi vedere esattamente com'è ) e ho creato una copertina come se fosse un libro. Comunque, in questo capitolo ho dato spazio alla famiglia di Ev, lasciando totalmente fuori Shannon. (lo so, lo so, scusatemi) Ora vi lascio alla lettura, ovviamente recensite in tanti!! :*
copertina:  
  http://i46.tinypic.com/2uj1ftk.jpg




Took our chance, crashed and burned, no we’ll never ever learn.


Mentire non è mai la soluzione. Mentire è sbagliato, porta solo dolore. E io me ne accorgo solo ora.
Quanti errori, quanti rimpianti. E non si può tornare indietro. Mi perdonerà mai?

***


Erano le sei del mattino, Evelyn camminava nell’atrio dell’aeroporto, muovendosi lentamente verso il check-in. Si trascinava dietro la valigia facendola scorrere rumorosamente sul pavimento lucido. Per stare comoda durante il tragitto aveva indossato un paio di jeans e una camicia morbida color corallo, le scarpe da ginnastica bianche e una borsa capiente dello stesso colore. Era diretta verso Chicago, dai suoi, come aveva detto a Shannon qualche giorno prima. Aveva preso quella decisione una delle notti che aveva trascorso in ospedale, pensando a suo padre; aveva sentito la sua mancanza e quella di sua madre e aveva deciso di andare a trovarli. Avrebbe voluto avere Shannon accanto a sé, voleva che lui conoscesse i suoi genitori, perché non ci sarebbero state molte altre occasioni. Adesso però si ritrovava al check-in dell’aeroporto con un solo biglietto tra le mani e tutto per colpa sua.
Gli occhiali da sole le coprivano il viso segnato dalle occhiaie: da quando era andata via da casa di Shannon non era più riuscita a dormire; stare nel letto senza avere lui accanto era un dolore che non riusciva a sopportare. Un vuoto incolmabile. Aveva sbagliato ancora una volta e adesso ne pagava le conseguenze. Come ho potuto pensare che le cose sarebbero andate meglio? Si chiedeva. E diceva a se stessa che alle persone che ami non puoi mentire, non puoi nascondere loro qualcosa. Ne verranno a conoscenza, in un modo o nell’altro e non ne saranno contenti perché la sincerità è quello che vogliono. E tu devi dargliela. Non importa se quando dirai loro la verità si arrabbieranno, ti butteranno fuori di casa, ti urleranno contro.. tu devi farlo. O il senso di colpa ti distruggerà. Ma lei era stata vigliacca, ancora una volta. Aveva confessato quando lui sembrava non sentirla, aveva confessato solo per alleggerire la coscienza, per dire a se stessa: ho fatto la cosa giusta, ho detto la verità. Ma lo aveva fatto nel modo sbagliato.
Salì sull’aereo seguendo gli altri passeggeri, si sedette vicino al finestrino, seguì gli ordini delle hostess che continuavano a ripetere di spegnere i cellulari e si preparò al viaggio. Aveva sperato, stupidamente, che lui l’avrebbe raggiunta e sarebbero partiti insieme, o almeno che lui sarebbe andato a salutarla, a dirle che al suo ritorno lui avrebbe davvero continuato ad esserci. E invece così non era stato. Una lacrima silenziosa le rigò il viso rivolto verso il finestrino mentre l’aereo decollava, socchiuse gli occhi e afferrò il lettore mp3. Quando lo accese, premette play e la voce di Jared le risuonò nella testa.

No warning sign, No Alibi
We faded faster than the speed of light
Took our chance, crashed and burned
No we'll never ever learn

I fell apart, but got back up again and then
I fell apart but got back up again

We both could see, crystal clear
That the inevitable end was near
Made our choice, trial by fire
To battle is the only way we feel alive

And I fell apart, but got back up again and then
I fell apart but got back up again and then
I fell apart but got back up again

So here we are, the witching hour
The quickest tongue to divide and devour
Divide and devour

If I could end the quest for fire
For truth, for love, for my desire, my desire...

And I fell apart but got back up again

3 ore dopo, l’aereo atterrò. Nel frattempo si era addormentata perciò se ne accorse quando la signora che era vicino a lei cominciò a scuoterla. Si alzò velocemente dal suo posto, prese i bagagli e scese, dirigendosi verso l’uscita. Una volta fuori, si accese una sigaretta mentre aspettava il taxi. Si mise ad osservare la gente che entrava e usciva dall’aeroporto.. c’era gente triste, che camminava a passo lento, sul punto di tornare indietro e rinunciare. C’era persino chi piangeva. Poi c’era chi si abbracciava, chi rideva animatamente.. e poi c’erano quelli come lei. Soli, che non lasciavano trapelare alcuna emozione e sfuggivano agli occhi degli altri. Quando il taxi arrivò, spense la sigaretta ed entrò, indicando all’autista l’indirizzo della sua vecchia casa.
Guardando fuori dal finestrino, si accorse che Chicago era esattamente come se la ricordava, non era cambiata di una virgola. La gente camminava freneticamente, chi andava a lavoro, chi andava a scuola, tutti correvano di qua e di là. Lei invece era ferma, in quel taxi, ad osservarli. Ci era abituata a tutto quel caos, infondo anche Los Angeles non era da meno, solo che Chicago non la sentiva sua. Anche se ci era cresciuta, anche se la sua infanzia e la sua adolescenza le aveva trascorse in quella città, Los Angeles rimaneva sempre la sua preferita. Forse perché li era riuscita a realizzare i suoi sogni, lì era riuscita a diventare una giornalista, lì aveva incontrato Jared, Shannon e Tomo. Ce l’aveva fatta, ma ora sentiva di aver perso tutto. Tranne il suo lavoro, anche se in quel periodo stava in redazione poche ore al giorno, dato che non aveva molto da fare.
Tuttavia, ancora non riusciva a credere di non avere Shannon vicino a lei. Sapeva che lui l’amava, così come lei amava lui e sperava che prima o poi lui l’avrebbe perdonata, perché non era disposta a perderlo. Già una volta aveva rischiato di mandare tutto in fumo, perciò questa volta non l’avrebbe lasciato andare. Anche se sapeva che probabilmente, lui stava già cercando di dimenticarla con un’altra. È facile abbandonarsi quando si è feriti. È facile cercare di affondare tutto il dolore tra le lenzuola, ma non sempre funziona. E neanche l’alcool, o una sigaretta.. i sentimenti non bruciano assieme ai polmoni.
Arrivò a casa dei suoi, pagò il tassista che l’aiutò a scaricare i bagagli e si avvicinò all’entrata, sospirando. Suonò il campanello più volte, come faceva quando era più piccola, perché non sempre sentivano da lì dentro. Dopo qualche secondo, la porta si aprì, rivelando sua madre.
“Evelyn! Che ci fai qui?” le chiese sorpresa.
“Sono venuta a trovarvi, mamma! Non sei felice?”
“Ma certo che sono felice, vieni, entra! Tuo padre sarà contento di vederti!” Così dicendo si spostò per farla entrare e l’aiuto a portare le valigie in salotto. Sorrideva, lasciando però trasparire la sorpresa. Non era cambiata molto, aveva i capelli lunghi e castani, con qualche filo grigio, il viso segnato da poche rughe e gli occhi stanchi. Prendersi cura di suo marito non era facile e lei aveva sacrificato la sua vita solo per stargli vicino. Per questo aveva lo sguardo triste.
Evelyn la osservò, rendendosi conto di quanto era forte. Non lo dava a vedere, ma soffriva per la situazione in cui si trovava, con un marito che ormai sembrava non esserci e una vita passata in quella casa, senza nessun’altro.
Quando entrò in salotto suo padre era seduto sulla sua poltrona, fissando la finestra. Anche lui non era cambiato molto, i capelli completamente grigi erano corti, come la barba, sicuramente tagliati entrambi da sua madre. Lui aveva più rughe, che lo facevano sembrare più vecchio dei suoi sessant’anni. Lui e Lianne avevano pochi anni di differenza, lei ne aveva cinquantasette. Si erano sposati presto, un anno dopo il loro matrimonio era nato il loro primo figlio Duncan e tre anni dopo di lui, Evelyn. Suo padre Henry, prima dell’incidente, era uno scrittore. I suoi libri non avevano mai avuto molto successo però, e aveva smesso di scrivere. Sua madre invece era una pittrice, passione che aveva trasmesso anche a sua figlia. Dai suoi quadri aveva ricavato parecchi soldi, una parte dei quali bastavano a lei e suo marito per vivere, mentre il resto lo teneva da parte per i suoi figli.
“Henry, tesoro, guarda chi è venuto a trovarti.” Lianne si rivolse a suo marito, che non smise di guardare dritto davanti a sé.
“Papà, sono io.. Evelyn. Come stai?” Lui non disse una parola, si voltò lentamente verso di lei, le sorrise e ritornò a fissare la finestra.
“Nessun miglioramento, eh mamma?”
“No, Ev, nessuno. È sempre la stessa storia.” Entrambe sospirarono.
“Però non ha mai sorriso a nessuno, tranne a Duncan.” Ammise poi Lianne.
“A proposito di Duncan, dov’è ora?”
“Oh ha avuto la tua stessa idea, è venuto da Los Angeles a trovarci. Ora è uscito, ma tornerà presto. Non ne sapevi niente?”
“No, mamma, io e Duncan non parliamo da mesi.” Ripensò all’ultima volta che si erano visti, coincideva con il giorno in cui aveva incontrato Jared. Quella volta avevano litigato e non si erano più sentiti. Suo fratello viveva nella sua stessa città, ma raramente lo si vedeva in giro. Lui era quello che era riuscito più di tutti a farsi una vita: era il manager di un’azienda automobilistica e questo significava soldi, tante case e mai una ragazza fissa. Stranamente, le ricordava qualcuno.
Evelyn e Candice si sedettero in cucina, lasciando Henry al suo posto. Parlarono di quello che era successo per tutto quel tempo che non si erano viste, di come era andata avanti la vita della ragazza.
“Sono davvero felice per te, Ev. Hai realizzato i tuoi sogni.” Le disse sorridente Lianne.
“Già, ho superato di gran lunga le mie aspettative.” Sorrise, con un velo di tristezza sul viso.
“Che vuoi dire?” Evelyn non aveva ancora parlato a sua madre di Shannon e Jared. Temeva che non l’avrebbe creduta.
“Beh, non ci crederesti mai, ma.. ti ricordi la band per cui mi sgridavi tutti i giorni?” Sorrisero entrambe pensando alle grida di Lianne che le urlava di abbassare il volume.
“Certo che me la ricordo.. i 30 Seconds.. qualcosa?”
“30 Seconds to Mars, si chiamano così.”
“Sì, come vuoi.” Disse Lianne facendo un gesto con la mano.
“Beh, li ho conosciuti.” Fece una pausa, facendo attenzione alla reazione di sua madre.
“Sei andata ad un loro concerto?” Chiese lei, tranquilla. L’aveva sentita tante volte dire che voleva andare ad un loro concerto e incontrarli, fare una foto con loro.
“No, no. Li ho incontrati per caso, un giorno mi sono scontrata con Jared..” E iniziò il suo racconto. Fece come aveva fatto in ospedale con Shannon: le raccontò tutto nei minimi particolari, per far capire a sua madre che non stava mentendo. Quando finì, ormai con la gola secca, bevve un sorso d’acqua, osservando sua madre.
“Mi stai dicendo che hai una relazione con il batterista della band?” Chiese Lianne sbalordita.
“Beh, su questo non posso darti una risposta.. è arrabbiato con me per quello che ho fatto.”
“Tesoro, ne ha tutte le ragioni.”
“Lo so. Ma io sono innamorata di lui, mamma. E lui lo sa, sa quanto lo amo. Gli ho chiesto scusa.”
“A volte chiedere scusa non basta. È chiaro che ora non riesce a fidarsi di te. Quando scopri che la persona che ami ti ha mentito, diventa difficile. Ma se ti ama come ti ha detto, presto tornerà da te. Perché l’amore è più forte di qualsiasi cosa. Se non vuole perderti, non ti perderà. Lasciagli il tempo di pensare, di mettere insieme le idee. Vedrai che le cose si risolveranno.”
“Io ho paura che non sarà così. Ho paura di perderlo per sempre.”
“Non succederà, tesoro. Non preoccuparti.” Lianne fece segno a sua figlia di avvicinarsi e la strinse a sé, come aveva fatto poche volte. Anni prima non andavano molto d’accordo, litigavano spesso. Evelyn non si era mai confidata così con sua madre, ma questa volta aveva sentito di poterlo fare, dentro di lei aveva detto: Diglielo, sfogati, puoi farlo. Lei ti ascolterà. Se non lei, chi altro? E aveva fatto bene. Ora si sentiva capita, finalmente ne aveva parlato con qualcuno che non fosse Jared o Shannon. Tanti anni passati a Los Angeles, senza farsi degli amici. Non ne aveva mai avuto il tempo, troppo presa dal realizzarsi nel suo lavoro.
“Ti voglio bene, mamma.” Le disse, sincera. Gliel’aveva detto pochissime volte.
“Anch’io, Ev.” Le disse Lianne, accarezzandole i capelli.
Sciolto l’abbraccio, sua madre le offrì un pezzo di torta - quella alle mele che le piaceva tanto - poi rimasero ancora a parlare del più e del meno, aspettando che tornasse Duncan. Evelyn disse a sua madre che sarebbe rimasta per tre giorni, non di più, perché doveva ritornare a lavoro e sua madre a malincuore accettò. Avrebbe voluto che rimanesse almeno una settimana: non vedeva sua figlia da due anni e tre giorni erano davvero pochi, ma Evelyn le promise che le avrebbe fatto visita più spesso, da quel momento in poi.
“Se le cose si sistemeranno davvero, mamma, ti farò conoscere Shannon.”
“Ne sarei davvero felice.” Si sorrisero a vicenda.
“Vado a mettere le valigie al piano di sopra.” Disse poi Evelyn, iniziando a salire le scale.
“Oh, Ev.” Sua madre la chiamò e lei si fermò sui gradini.
“Sì?”
“Mi dispiace se ti ho sempre criticata, solo ora mi rendo conto di quanto io ti abbia fatto soffrire.” Parlò guardandola negli occhi, lo sguardo davvero dispiaciuto. Dava la colpa a se stessa per il rapporto conflittuale che avevano avuto fino ad allora.
“Non importa, è passato.” Le sorrise rassicurante, e proseguì su per le scale.
Almeno con sua madre, le cose si erano risolte nel migliore dei modi.
  
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